19 11 09 NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL ESTERO ED ALTRE COMUNICAZION

01 – Alfiero Grandi. Il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari è molto probabile, prepariamoci.
02 – La Marca (Pd): “ho interrogato con urgenza il governo sulle iniziative da prendere per limitare gli effetti dei dazi usa sui nostri prodotti”
03 – Schirò (Pd): la mia proposta di legge per l’istituzione di una bicamerale sull’emigrazione e sulle nuove mobilità.
04 – LA MARCA (PD): “le mie dichiarazioni di voto per conto del pd su due importanti trattati con il Messico e l’Argentina”
05 – Schirò (Pd): evitare che la legge di bilancio contenga misure penalizzanti per gli italiani all’estero
06 – L’on. Francesca La Marca (PD) ha incontrato i rappresentanti della delegazione del QUÉBEC A ROMA sulla questione delle patenti e su altre di reciproco interesse tra le due realtà
07 – Il taglio dei parlamentari apre una fase contraddittoria, incomprensibile. La nuova maggioranza che ha espresso il governo Conte 2 ha deciso di approvare il taglio dei parlamentari nella versione già votata in 3 letture dalla maggioranza Lega-M5Stelle.
08 – Due esempi di scelte etiche e politiche per avere un’anima. Si parla molto di anima, in questi giorni, a proposito del governo e della maggioranza politica che lo sostiene
09 – «Silurata per interessi privati». L’ex ambasciatrice Usa a Kiev accusa Trump
Diventano pubbliche le indagini sull’impeachment. L’audizione di Marie Yovanovitch aggiunge dettagli inquietanti all’Ucraniagate
10 – C’è una nuova generazione, la Generazione G.
Quella che si occupa delle prossime, di generazioni, e se ne preoccupa più di quanto non abbiano fatto le precedenti.
11 – Lula libero riaccende la speranza. America latina. Il simbolo di un continente in fiamme che ha un disperato bisogno di giustizia sociale.

 

 

01 – ALFIERO GRANDI. IL REFERENDUM COSTITUZIONALE SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI È MOLTO PROBABILE, PREPARIAMOCI.I SENATORI CHE HANNO FIRMATO PER IL REFERENDUM COSTITUZIONALE SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI SONO ORMAI 50. I PROMOTORI SONO CONVINTI DI ARRIVARE ALLA SOGLIA MINIMA DI 64. Comunque hanno tempo fino al 12 gennaio, termine dei 3 mesi previsti per raccogliere le firme necessarie. È ragionevole ritenere che questo traguardo verrà raggiunto e come conseguenza si terrà il referendum costituzionale previsto dall’articolo 138. Sui tempi di effettuazione la situazione è più incerta. La legge consente al governo di differire entro un massimo di sei mesi la convocazione del referendum se vi sono altre modifiche della Costituzione in corso per riunire il voto in un giorno solo. In effetti ci sono altre modifiche costituzionali in arrivo perché è la stessa maggioranza che le promuove dopo che, con una piroetta politica di 180°, il Pd e Leu hanno deciso di votare a favore del taglio dei parlamentari, mentre nelle precedenti tre votazioni avevano votato contro. Probabilmente agli occhi di chi ha condotto la trattativa per il Pd con il M5Stelle la modifica costituzionale del taglio dei parlamentari è sembrato un prezzo accettabile per formare il nuovo governo.
La Costituzione non dovrebbe entrare tra gli argomenti per costituire maggioranze di governo, non fosse altro perché la temporalità delle due materie è diversa. La costituzione di un governo e la formazione di una maggioranza sono iniziative che hanno come prospettiva al massimo una legislatura, mentre la modifica della Costituzione dovrebbe guardare ad un periodo molto più lungo. Aggiungo che la nostra Costituzione meriterebbe maggiore rispetto, non solo perché ha svolto bene i suoi compiti per oltre 70 anni ma soprattutto perché, come è noto, è nel mirino da tempo di centri finanziari e di potere internazionali che hanno messo nel mirino le Costituzioni mediterranee, a partire da quella italiana. La nostra Costituzione ha principi derivanti dalla vittoria sul nazifascismo e dalla Resistenza, quindi è state scritte con il contributo anche delle forze di sinistra. Prima di aprire la strada alle modifiche bisognerebbe sempre preoccuparsi del rischio di sfondamenti e ribaltamenti dell’asse costituzionali. Quando un governo decide di (tentare di) cambiare la Costituzione compie un gesto spesso improprio e strumentale perché la sede propria per discutere della necessità di questo percorso dovrebbe essere il parlamento, in cui sono rappresentate anche le componenti che non sono parte della maggioranza. Da tempo purtroppo non è così perché da qualche tempo i governi appena insediati sembrano pervasi dalla mania di modificare la Costituzione.

La ragione non sta, come qualcuno ha detto, nel cercare di entrare nel pantheon dei padri della patria, ma più banalmente nel cercare di trovare giustificazioni altrove per le proprie incapacità di governo (se la Costituzione è da cambiare la colpa non è nostra…) o per imporre vincoli, come è accaduto con la modifica dell’articolo 81 che ha incorporato il pareggio di bilancio. Le ulteriori modifiche della Costituzione per cercare di compensare l’errore di votare il taglio dei parlamentari è una scelta francamente incomprensibile. Se proprio il taglio dei parlamentari doveva entrare nel programma della nuova maggioranza si poteva cercare di prendere impegni temporali per concludere tutto il percorso ma con l’impegno a ridiscutere almeno le modalità sul taglio dei parlamentari, tenendo conto che per tanti anziché due camere azzoppate nel numero sarebbe preferibile averne almeno una in grado di rappresentare effettivamente i cittadini, i territori e le opinioni politiche nel modo migliore.

Le modifiche che dovrebbero riequilibrare il taglio dei parlamentari in realtà c’entrano ben poco, tranne l’inevitabile riduzione dei rappresentanti delle regioni nel collegio per eleggere il Presidente della Repubblica. Anzi la parificazione delle modalità per eleggere ed essere eletti al Senato ha l’effetto di rendere ancora più uguali i rami del parlamento e quindi meno comprensibile la scelta. Il buco nero è la legge elettorale. La legge con cui abbiamo votato il 4 marzo 2018 (rosatellum) è sbagliata, non permette agli elettori di scegliere chi votare e ha una potenziale distorsione maggioritaria. La Lega invece sostiene il rosatellum da quando ha capito che con queste modalità elettorali potrebbe avere un risultato parlamentare formidabile e prenotare non solo la vittoria politica della destra ma ottenere una maggioranza talmente ampia da arrivare ad imporre altre ben più impegnative modifiche costituzionali. Per questo la Lega, in testa Calderoli, ha già fatto approvare dalla precedente maggioranza una legge elettorale che sconta il taglio dei parlamentari e che entrerà in vigore automaticamente se il parlamento non sarà in grado di approvare una nuova legge proporzionale prima delle prossime elezioni. Quindi la tenaglia è composta dalla riduzione dei parlamentari già approvata e dalla legge elettorale che piace alla Lega già approvata. Chi ha condotto la trattativa per il programma del governo non sembra essere stato molto lucido.

Con la babele di lingue esistenti nella maggioranza e anche nel Pd il parlamento attuale potrebbe non riuscire ad approvare una nuova legge elettorale. Invece la Lega ha già messo in cantiere una proposta di referendum per togliere tutta la proporzionalità esistente come deterrente per evitare che si arrivi ad una nuova legge elettorale proporzionale. È vero che la Lega ha proposto un referendum cervellotico che probabilmente non passerà l’esame della Corte, questa almeno è l’opinione prevalente tra i costituzionalisti, tuttavia in questo modo la Lega ha chiarito il suo obiettivo che è semplice: ottenere ad ogni costo una maggioranza blindata attraverso una legge elettorale che consente a Salvini di scegliere direttamente i parlamentari. Ha imparato da Renzi e ora rischia di superare il maestro. Perché ci si sia infilati in questo pasticcio è difficile da capire, tuttavia il punto che conta è che occorre scongiurare ad ogni costo che la Lega ottenga una maggioranza parlamentare fuori controllo e per ottenere questo risultato ci sono solo due mosse possibili.

La prima è il referendum costituzionale, ormai quasi certo. Per essere chiari: affrontando la campagna elettorale con una chiara posizione per il No. Il referendum costituzionale è anche una forte spinta per arrivare ad una nuova legge elettorale proporzionale, che sarebbe una scelta importante se garantirà ai cittadini di poter scegliere direttamente la persona che li deve rappresentare, iniziando la ricostruzione di un rapporto di fiducia tra elettore ed eletto. Per questo, pieno appoggio ai senatori che firmano la richiesta di referendum, augurio che altri vogliano farlo e impegno a prepararsi nel modo migliore alla campagna referendaria. Per quanto mi riguarda scegliendo il no. Battaglia persa? Vedremo, può accadere, ma vale la pena di combatterla perché costringerà tutti a pronunciarsi e non sarebbe la prima volta che si scopre che ciò che veniva dato per scontato così scontato poi non è. È troppo evidente che il tentativo è di scaricare solo sul parlamento tutte le responsabilità di una crisi di credibilità istituzionale, che certo esiste, ma che gli elettori potrebbero giudicare come un maldestro tentativo di scaricare sul parlamento responsabilità che sono in realtà dei governi che tentano di sopraffare il suo ruolo, dei partiti e della loro dirigenza, dei loro difetti.

Il parlamento oggi è nel mirino, ma i cittadini potrebbero decidere che è meglio tenersi questa Costituzione, con i suoi limiti, piuttosto che affidarsi ad un’avventura che potrebbe portare ben altri dolori. Perfino chi ha condiviso il taglio dei parlamentari potrebbe essere convinto a ripensarci e in ogni caso è una battaglia politica che va fatta perché prima di ogni altra cosa viene l’esigenza di fare decidere i cittadini e l’augurio a tutti noi è che ci sia l’occasione per farlo.

 

02 – LA MARCA (PD): “HO INTERROGATO CON URGENZA IL GOVERNO SULLE INIZIATIVE DA PRENDERE PER LIMITARE GLI EFFETTI DEI DAZI USA SUI NOSTRI PRODOTTI”
Il dazio del 25% imposto sui prodotti europei dall’Amministrazione Trump rischia di diventare un’autentica frustata su settori importanti della nostra economia, a partire da quello agroalimentare, e sul made in Italy, in un mercato sicuramente importante.
La motivazione che è stata data a queste misure è quella di volere compensare in tal modo le sovvenzioni europee al consorzio Airbus, ma si ignora, come ha attestato il Wto, che anche gli USA hanno forzato le regole del commercio internazionale con le sovvenzioni al Boeing.
E’ necessaria, dunque, una soluzione negoziale per evitare una pericolosa escalation di sanzioni tra le due sponde dell’Atlantico, proprio nel momento in cui la crescita mondiale viene valutata al ribasso, sotto il 3%. Insomma, non c’è tempo da perdere.
Per questo, ho presentato un’interrogazione in commissione esteri al Ministro degli esteri e al Ministro dello sviluppo economico per sapere quali iniziative il Governo intenda assumere per tutelare al meglio i settori che saranno più colpiti dai dazi statunitensi e quale posizione intende portare in sede europea affinché si possa arrivare ad un concreto e veloce superamento delle tensioni commerciali nei rapporti Europa-USA.
Non trascuro, naturalmente, di rendere pubbliche le risposte che il Governo vorrà dare a questa mia iniziativa”.
On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. – Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America – Electoral College of North and Central America

 

03 – SCHIRÒ (PD): LA MIA PROPOSTA DI LEGGE PER L’ISTITUZIONE DI UNA BICAMERALE SULL’EMIGRAZIONE E SULLE NUOVE MOBILITÀ. ROMA, 8 NOVEMBRE 2019
“Non possiamo accettare senza reagire che la riduzione del numero dei parlamentari assegnati alla circoscrizione Estero, ingiusta e dannosa, apra una deriva di sfiducia e di rassegnazione sulla rappresentanza degli italiani all’estero. È necessario avviare una riconsiderazione coraggiosa e profonda sugli istituti di rappresentanza per evitare di perdere gli spazi conquistati in decenni di impegno e di lotte e per aggiornare le forme di dialogo tra il nostro complesso mondo e le istituzioni italiane.
Per questo, come primo passo in questa direzione, ho presentato una proposta di legge per l’istituzione di una commissione parlamentare bilaterale sull’emigrazione e sulla mobilità degli italiani nel mondo, che tiene conto della riflessione che già nella scorsa legislatura aveva fatto a tale proposito il collega del PD Gianni Farina.
L’idea che ne ho è quella di una commissione con poteri reali di indagine e di proposta sulle tematiche delle nostre comunità e sulle nuove mobilità, una specie di osservatorio capace di monitorare costantemente i cambiamenti che si determinano nell’emigrazione consolidata e nelle nuove emigrazioni. Cercando di rilevare con prontezza i problemi più acuti.
La vedo composta dagli eletti all’estero, ma non solo: essa deve avere proporzionalmente i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari, per avvicinare il nostro mondo alla politica italiana, ed essere presieduta da una personalità di alto profilo scelta dai Presidenti delle due Camere, con un peso significativo nella politica italiana. E tanto per tentare già un raccordo con le altre istanze, con una presenza, a titolo consultivo, di componenti del CGIE, che va comunque salvaguardato nella sua autonomia e rafforzato.
Registro con soddisfazione la disponibilità trasversale di esponenti di altri gruppi parlamentari ad avviare quanto prima l’esame delle proposte di legge esistenti su questo tema. Il mio contributo, come dimostra la presentazione della proposta di legge, è convinto e partecipe”.
Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – – Camera dei Deputati – Piazza Campo Marzio, 42
00186 ROMA – Tel. 06 6760 3193

 

04 – LA MARCA (PD): “LE MIE DICHIARAZIONI DI VOTO PER CONTO DEL PD SU DUE IMPORTANTI TRATTATI CON IL MESSICO E L’ARGENTINA”
“Ho avuto il piacere e l’onore di pronunciare in Aula, per conto del gruppo del Partito Democratico, le dichiarazioni di voto su due importanti ratifiche di accordi bilaterali, l’uno con la Repubblica argentina sul trasferimento delle persone condannate o sottoposte a misure di sicurezza e l’altro con gli Stati Uniti del Messico in materia di cooperazione per la difesa.
Il Trattato con l’Argentina consentirà di trasferire nel proprio Stato cittadini detenuti in un altro Stato per permettere di scontare la pena residua o di eseguire misure di sicurezza nel proprio Paese. Una pratica ormai diffusa, anzi un principio di civiltà giuridica al quale è bene che due grandi Paesi come l’Italia e l’Argentina si siano uniformati.

L’Accordo con il Messico, a sua volta, potrà avere positivi risvolti sul piano tecnico-industriale, capaci di dare un ulteriore impulso ai legami istituzionali con gli Stati uniti del Messico, che da tempo ha acquisito uno spazio di rilievo nel contesto geopolitico ed economico americano.

Nel mio intervento ho tenuto a sottolineare che il Messico, tra le grandi economie emergenti a livello globale, è forse quella che sentiamo più vicina. Un partner attivo sia a livello bilaterale che multilaterale.
Ho aggiunto, poi, che nella grande evoluzione di questo Paese amico c’è anche qualcosa di nostro, dal momento che la comunità italiana che in esso si è insediata è stata certamente parte attiva della sua modernizzazione e del suo grande sviluppo”.
On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. – Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America – Electoral College of North and Central America

 

05 – SCHIRÒ (PD): EVITARE CHE LA LEGGE DI BILANCIO CONTENGA MISURE PENALIZZANTI PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO . “Ci vorrà un grande impegno per fare quadrare i conti degli italiani all’estero nella legge di bilancio per il 2020 e per il triennio 2020-2022. Le politiche assistenzialistiche del precedente governo e la stagnazione dell’economia hanno determinato tensioni finanziarie che hanno prodotto restrizione di risorse, destinate purtroppo a durare.
A UNA PRIMA LETTURA, AFFIORANO ASPETTI CHE RICHIEDONO UN IMPEGNO COMUNE DI MODIFICA.
Il primo riguarda l’eliminazione dell’esenzione dall’IMU dei pensionati esteri, ottenuta anni addietro proprio da esponenti del PD. La ragione è dovuta a una procedura di infrazione avviata dall’UE su questa misura, ma credo che prima di prenderne atto sia necessario cercare ogni strada per difendere, anche nei confronti dell’Europa, una soluzione profondamente giusta, oltre che utile a prolungare un legame con l’Italia. Vediamo che succede su questo nel passaggio al Senato, ma una cosa è certa: se non si risolve prima, il mio emendamento alla Camera è già pronto, ci sarà.
Un secondo aspetto riguarda la modifica al rialzo che il MAECI ha fatto della tabella delle percezioni consolari, che subiscono un appesantimento generalizzato, ad iniziare dal raddoppio della tassa per le domande di richiesta di cittadinanza
Così non va, non può andare. Non può andare che ogni volta che si verifichi una stretta finanziaria, al Ministero degli esteri le prime voci che ne subiscono le conseguenze, con il mantra delle spese rimodulabili, sono quelle riguardanti gli italiani all’estero.
Ci sarà, dunque, da lottare per fronteggiare queste misure e per cercare di ottenere miglioramenti su altri fronti, sui quali non mancherò di dare informazioni nei prossimi giorni. Intanto, però, stringiamo le fila e cerchiamo di superare al meglio anche questo difficile passaggio”.
Angela Schirò Deputata PD – Rip. Europa –

 

06 – L’ON. FRANCESCA LA MARCA (PD) HA INCONTRATO I RAPPRESENTANTI DELLA DELEGAZIONE DEL QUÉBEC A ROMA SULLA QUESTIONE DELLE PATENTI E SU ALTRE DI RECIPROCO INTERESSE TRA LE DUE REALTÀ. L’On. Francesca La Marca, lunedì 4 novembre, ha avuto un cordiale incontro con i rappresentanti della Delegazione del Québec a Roma nelle persone del Delegato Marianna Simeone e del agli affari politici e pubblici Joëlle Bernard.

L’occasione è stata propizia per dialogare su un ampio spettro di questioni riguardanti i rapporti tra l’Italia e il Québec, sia in termini generali che su questioni specifiche.

Tra queste ultime, ci si è soffermati sulla prolungata trattativa relativa al reciproco riconoscimento delle patenti di guida, che ha conosciuto nel recente passato difficoltà di carattere tecnico sulle quali le parti sono assiduamente impegnate nell’intento di arrivare ad una definizione del protocollo di intesa.

I rappresentanti della Delegazione hanno poi illustrato le caratteristiche della fase espansiva che la Provincia canadese sta attraversando da qualche tempo, che apre prospettive occupazionali interessanti anche per cittadini europei interessati al mercato del lavoro di quella realtà.

Non è mancato, infine, la sottolineatura della forza attrattiva della cultura italiana per i giovani desiderosi di avere una formazione elevata e moderna, una tendenza incentivata in modo mirato dal governo del Québec e che vede la presenza in Italia di circa quaranta giovani impegnati nello studio e nel lavoro.

 

07 – IL TAGLIO DEI PARLAMENTARI APRE UNA FASE CONTRADDITTORIA, INCOMPRENSIBILE. LA NUOVA MAGGIORANZA CHE HA ESPRESSO IL GOVERNO CONTE 2 HA DECISO DI APPROVARE IL TAGLIO DEI PARLAMENTARI NELLA VERSIONE GIÀ VOTATA IN 3 LETTURE DALLA MAGGIORANZA LEGA-M5STELLE.
Sotto la pressione del M5Stelle l’accordo dell’attuale maggioranza ha previsto l’approvazione definitiva della legge costituzionale che taglia i deputati (ridotti a 400) e i senatori (ridotti a 200) e l’8 ottobre è stata votata in quarta ed ultima lettura.
Va ricordato che il Pd e Leu avevano votato contro per 3 volte e solo alla quarta votazione hanno capovolto la posizione, sottovalutando il peso di questa decisione e senza impegnarsi a spiegare adeguatamente le ragioni della nuova posizione. Così l’impressione è della serie: il nuovo governo con i 5 Stelle vale il sacrificio. Questo rafforza l’impressione che la conduzione della trattativa per la nuova maggioranza sia stata inadeguata su una materia tanto delicata.
Dopo questa piroetta sono stati individuati due correttivi per riequilibrare la scelta: la modifica di altre norme costituzionali e una nuova legge elettorale.

Anche prendendo per buone queste intenzioni va sottolineato che l’ulteriore modifica costituzionale che parificherebbe l’età per eleggere i senatori e per essere eletti in Senato ha una contraddizione logica con il mantenimento di due camere. Come è noto attualmente il nostro è un bicameralismo con poteri paritari ma con elettorati ed eletti diversificati sulla base dell’età e delle modalità di elezione. Se venisse meno anche questa differenza sarebbe ancora meno comprensibile perchè debbano restare due camere ormai identiche praticamente in tutto, ma entrambe con una capacità di rappresentare i cittadini e i territori ridotta di un terzo. Chi sostiene meglio una sola Camera ma con numeri adeguati ha un buon argomento a disposizione.

Per completezza di ragionamento va ricordato che c’è chi ritiene che avere due camere porta a due distinte approvazioni del testo delle leggi, consentendo maggiori garanzie e forse di evitare errori.

E’ comunque evidente che due camere ridotte di un terzo dei componenti sarebbero meno rappresentative dei cittadini, dei territori, del pluralismo politico. Tanto è vero che un’altra modifica costituzionale presente nell’accordo di maggioranza in pratica riconosce questo problema e punta a superare l’elezione dei senatori su base regionale in modo da consentire di arrivare ad una ripartizione nazionale, come per la camera. In questo modo ci sarebbe la possibilità di elezione anche di rappresentanti di partiti minori. Infatti ridurre a 200 i senatori ha come conseguenza che il loro numero per regione sarebbe molto ridotto e di fatto in quelle piccole potrebbero essere eletti solo i rappresentanti di uno, al massimo due partiti, con una distorsione enorme e un maggioritario implicito con soglie altissime. Per chiarire: la legge può anche prevedere un sistema elettorale proporzionale, ma resta una possibilità solo teorica se gli eletti possono essere pochi, solo 1 o 2, senza collegio nazionale di recupero. In questo caso parlare di proporzionale è un trucco.

Non a caso la Lega di Salvini, spinta da sondaggi e risultati favorevoli, ha virato seccamente verso il maggioritario, promuovendo addirittura un referendum abrogativo per cancellare il proporzionale dalle leggi attuali, sia nel rosatellum vigente oggi, che nella nuova versione fatta approvare da Calderoli, ai tempi della maggioranza precedente, immediatamente applicabile dopo il taglio dei parlamentari. Questo referendum probabilmente non ci sarà perchè è stato proposto un testo cervellotico, complicato, difficilmente approvabile dalla Corte costituzionale perchè lascerebbe il nostro paese senza una legge elettorale immediatamente applicabile, in contrasto con una precedente sentenza precedente della Corte stessa.

La Lega va per le spicce, è convinta di avere le condizioni con un maggioritario spinto di fare cappotto nell’elezione del parlamento e ha rivelato le sue vere intenzioni quando Salvini ha detto apertamente che punta all’elezione diretta del Presidente della Repubblica nel 2029, prenotando uno stravolgimento di fondo della nostra Costituzione. Tuttavia la Lega vuole salvare la nomina dall’alto dei parlamentari che è il lato più nefasto del rosatellum, perchè come è noto oggi gli elettori possono scegliere solo la lista da votare, non chi eleggere. Con la legge in vigore viene eletto solo chi ha il posto giusto nella lista secondo l’ordine deciso dai capi partito. Basta ricordare come Renzi ha maneggiato le liste del Pd nelle ultime elezioni assicurandosi una maggioranza di eletti nei gruppi parlamentari, che in parte lo hanno seguito anche nella scissione dal Pd, consentendogli di formare i suoi gruppi parlamentari.

Le altre modifiche costituzionali concordate dall’attuale maggioranza riguardano la riduzione della presenza dei delegati regionali nell’elezione del Presidente della Repubblica, da riequilibrare per la riduzione dei parlamentari.

Sulla nuova legge elettorale è buio pesto. Il proporzionale che all’inizio sembrava possibile è entrato subito nel tritacarne dei sostenitori del maggioritario che ora si fanno forti anche della pressione maggioritaria della Lega. Così si rischia seriamente di arrivare alla paralisi politica e quindi all’impossibilità di approvare una nuova legge elettorale degna di questo nome, con il rischio di lasciare quella che c’è.

Non rassicurano gli impegni ad approvare la nuova legge elettorale, mentre la riduzione dei parlamentari è già approvata e che, se non interverrà il referendum costituzionale unico strumento ancora disponibile per bocciarla, entrerà in vigore. La proposta renziana di deformazione della Costituzione fu appunto fermata dal referendum.

Al Senato le firme già raccolte per arrivare al referendum sono circa i 2/3 di quelle necessarie. Visto che la G.U. ha pubblicato il testo della riduzione dei parlamentari il 12 ottobre c’è tempo fino al 12 gennaio per promuovere il referendum costituzionale. Con le firme già raccolte è possibile arrivare al referendum costituzionale.

E’ utile che si arrivi al quorum necessario per ottenere il referendum per diverse ragioni. La principale è la necessità di fare esprimere gli elettori su una modifica centrale della Costituzione.

Il taglio dei parlamentari è stato presentato come un grande risparmio, ma non è così. Non solo perchè il risparmio è lo 0,007 del bilancio dello stato e i 5 Stelle per arrivare a dimostrare che si tratta di cifre importanti hanno dovuto arrotondare di molto la cifra e moltiplicare il risparmio di un anno per 10 anni, tanto valeva farlo per 20.

In ogni caso il problema non può essere la quantità dei risparmi. Non si può affrontare il ruolo del parlamento partendo dai risparmi perchè il suo ruolo è centrale nella nostra Costituzione e decisivo nella nostra democrazia. E’ vero che la credibilità del parlamento è caduta, ma non solo la sua. Tutte le istituzioni sono in crisi di credibilità. Le ragioni della crisi di credibilità del parlamento stanno nella modalità di scelta dei parlamentari che di fatto sono nominati dall’alto, cooptati, con il risultato di un abbassamento della loro qualità, perchè purtroppo il primo criterio per la loro scelta è la fedeltà. Inoltre sul parlamento pesa un ruolo eccessivo del governo che lo concepisce come sede per l’approvazione di decisioni già prese. Infine pesano le decisioni prese fuori dal parlamento, sia attraverso piattaforme come Rousseau che con decisioni di partito accentrate che tendono a vincolare i comportamenti parlamentari anche su materie dove è riconosciuta da sempre la libertà di coscienza.

In sostanza queste ragioni aggiunte all’uso spregiudicato dei voti di fiducia, dei decreti leggi imposti senza reali ragioni di urgenza, a un uso disinvolto delle espulsioni dai gruppi parlamentari come ricatto, mettono i parlamentari in una condizione di sudditanza all’esecutivo. Questo percorso è iniziato da anni con la motivazione dell’esigenza di maggiore governabilità, che forse era insufficiente ma ora è il ruolo del parlamento che è ridotto ai minimi termini.

Tagliare il numero dei parlamentari significa individuare nel parlamento il responsabile della crisi di credibilità istituzionale e scaricare sul suo ruolo le responsabilità di altri: governi invadenti, assenza di partiti funzionanti e con una reale vita democratica, visto che ormai siamo alla lotta tra partiti personali.

Per questo il taglio dei parlamentari non è affatto una questione marginale, poco importante, con l’aggravante della totale incertezza sulla futura legge elettorale visto che crescono le resistenze contro il proporzionale e contro la certezza che siano i cittadini a decidere chi li deve rappresentare.
In queste condizioni il taglio dei parlamentari è una scelta non convincente, demagogica e a questo punto può ribaltarla solo il referendum popolare ex 138. Con il referendum ci sarebbe la possibilità di avere un confronto politico e di chiamare in causa i cittadini nelle scelte. Si potrebbero esprimere riserve e contrarietà che sono il sale della democrazia e per questo è bene che si arrivi al referendum costituzionale. Se i senatori riusciranno a promuovere il referendum costituzionale dimostreranno che i parlamentari possono ancora svolgere un ruolo importante, affidando l’ultima parola ai cittadini sulle modifiche della Costituzione.
Alfiero Grandi

 

08 – DUE ESEMPI DI SCELTE ETICHE E POLITICHE PER AVERE UN’ANIMA. SI PARLA MOLTO DI ANIMA, IN QUESTI GIORNI, A PROPOSITO DEL GOVERNO E DELLA MAGGIORANZA POLITICA CHE LO SOSTIENE. USCIAMO DALLA VAGHEZZA E DALLE METAFORE PARARELIGIOSE, PER AFFERMARE CHE SI TRATTA DI UN DIFFUSO BISOGNO DI SCELTE ETICO-POLITICHE CHE INDICHINO UNA DIREZIONE STRATEGICA. Gian Giacomo Migone
Faccio un esempio positivo. Il voto del Senato con cui è stata istituita la commissione riguardante l’odio pubblico, e come vi si possa porre rimedio, proposta dalla senatrice Segre, manifesta una scelta di questo tipo da parte della maggioranza governativa. Il voto di astensione (che al Senato vale come contrario), non tanto della Lega, che della politica dell’odio fa il suo pane quotidiano, quanto delle altre componenti di destra, dimostra che, anche da questo punto di vista, una differenza tra sinistra e quella destra permane.

Vediamo, invece, quali sono le sfide aperte. Sabato, in mancanza di un atto governativo e/o parlamentare in senso contrario, si rinnova un accordo con la Libia che costituisce una condizione essenziale per la continuità di un’azione della guardia costiera libica, sostenuta da denaro del contribuente italiano, che pone i migranti in mare di fronte alla scelta tra morire nelle onde o essere destinati a campi di concentramento con un destino che molti di loro ritengono peggiore della morte. Campeggia nelle fila della maggioranza una “soluzione” che equivale ad una resa di fronte all’esistente: non denunciamo l’accordo – sarebbe destabilizzante, sostengono molti Cinque Stelle ed alcuni Pd, tra cui Marco Minniti, padre di questa politica – per poi introdurre delle modifiche. Che nel frattempo non sono operative, come denuncia Unhcr che, insieme con le ONG, continua a dichiarare quel porto insicuro.

Non è difficile rovesciare il ragionamento rispettando una logica ad un tempo etica e politica: disdire quell’accordo perché incompatibile con le condizioni, che vanno messe in atto con urgenza: ingresso e gestione dei campi da parte di Onu (cioè Unhcr e Oim), Unione africana, Unione europea, in attesa della costituzione di corridoi garantiti di accesso per gli aventi diritto di asilo. Anche un modo per far emergere interlocutori qualificati nella Libia che ha subito una guerra oggi senza padri. Nel frattempo, pieno sostegno a chiunque salvi vite umane, da destinare tempestivamente a porti sicuri, d’intesa con gli stati che si sono già dichiarati disponibili.

Faccio un altro esempio. Lo ius soli per gli immigrati nel nostro paese, come premessa necessaria di un ius culturae come parte integrante di un processo d’integrazione giusto e necessario.

Lo sappiamo, la politica è la politica. In una democrazia parlamentare servono maggioranze che sono frutto di interessi, ambizioni, culture diverse, oggi riconducibili a partiti, in quanto tali, sempre più deboli. La logica del male minore, se esce dalla porta, rientra dalla finestra. Ma è troppo chiedere un dibattito pubblico e trasparente, che affronti esplicitamente valori in gioco, senza il quale, non questa o quella parte, ma la stessa democrazia subisce una lenta agonia?

 

09 – «SILURATA PER INTERESSI PRIVATI». L’EX AMBASCIATRICE USA A KIEV ACCUSA TRUMP
DIVENTANO PUBBLICHE LE INDAGINI SULL’IMPEACHMENT. L’AUDIZIONE DI MARIE YOVANOVITCH AGGIUNGE DETTAGLI INQUIETANTI ALL’UCRANIAGATE di Marina Catucci

Ora che le indagini sull’impeachment di Trump sono passate a una fase più pubblica, le tre commissioni della Camera che conducono l’investigazione, hanno pubblicato le trascrizioni di due audizioni avvenute a porte chiuse, quelle dell’ex ambasciatore Usa in Ucraina Marie Yovanovitch e di Michael McKinley, ex consigliere senior del segretario di Stato Mike Pompeo.
Le trascrizioni aggiungono dettagli a un ritratto inquietante del presidente. Yovanovitch, che a maggio era stata licenziata su due piedi a seguito di una campagna diffamatoria da parte degli alleati del presidente, ha dichiarato che per più di anno si è sentita minacciata da Trump e dal suo avvocato personale Rudy Giuliani, e ha aggiunto di sentirsi ancora minacciata dal presidente.
L’ex ambasciatrice ha detto di aver saputo alla fine del 2018 che Giuliani e l’ex procuratore generale ucraino Yuriy Lutsenko avevano in programma piani che la includevano, e che Lutsenko aveva cercato di rimuoverla a causa degli sforzi dell’ambasciata di liberare l’ufficio della corruzione dal procuratore generale; funzionari ucraini le avrebbero consigliati di «guardarsi le spalle», in quanto gli associati di Giuliani, ora in carcere, Lev Parnas e Igor Fruman, avrebbero preferito un altro ambasciatore al posto suo.

Yovanovitch avrebbe voluto che il segretario di Stato Mike Pompeo rilasciasse una dichiarazione a suo sostegno ma ciò non è mai avvenuto per timore delle reazioni di Trump; l’ambasciatore Usa alla Ue, Gordon Sondland, per aiutarla a mantenere il lavoro l’avrebbe invece incoraggiata a twittare pubblicamente lodi e sostegno al presidente, mossa che avrebbe violato le norme diplomatiche. «Posso dire, dal momento che non ho altre spiegazioni – ha dichiarato Yovanovitch – che interessi privati e persone a cui non piace un particolare ambasciatore americano possono unirsi per trovare qualcuno che sia più adatto ai loro interessi».
A conferma del clima torbido McKinley ha dichiarato di essersi dimesso anche a causa degli sforzi di Trump e dei suoi alleati sull’acquisizione in Ucraina di «informazioni politiche negative per scopi interni», invece che concentrarsi su la politica estera americana e la sicurezza nazionale. L’interesse riguardo queste testimonianze è tale che appena le trascrizioni delle udienze a porte chiuse sono state rese pubbliche il sito della Camera è andato in tilt.
Il presidente della commissione per i servizi segreti della Camera, Adam Schiff, che sta conducendo l’indagine sull’impeachment, ha detto ai giornalisti che i comitati pubblicheranno oggi le trascrizioni delle audizioni con Sondland e con l’ex inviato negli Stati uniti in Ucraina Kurt Volker.

 

10 – SCOPRI I DETTAGLI NELL’EVENTO FACEBOOK. C’È UNA NUOVA GENERAZIONE, LA GENERAZIONE G. QUELLA CHE SI OCCUPA DELLE PROSSIME, DI GENERAZIONI, E SE NE PREOCCUPA PIÙ DI QUANTO NON ABBIANO FATTO LE PRECEDENTI.
Quella che nell’ultimo anno si è imposta all’attenzione del mondo, senza altre forze se non le proprie, e quella delle proprie idee. Con un suo stile, sue parole, un suo modo di fare le cose e di rivendicare il diritto di volerle fare diversamente da chi l’ha preceduta.
Con Possibile abbiamo deciso di indagarla, con un senso di urgenza, perché è del tutto evidente che se loro stessi avessero pensato di poter aspettare di crescere, beh, non ne avremmo mai sentito parlare.
Lo faremo a partire da sabato 30 novembre – alle 10.00 – al centro Concetto Marchesi di via Spallanzani 6 a Milano.
Una giornata di formazione, la prima di una serie come già annunciato a luglio nel corso dell’ultimo Politicamp.
Avremo testimonianze da chi nelle piazze c’è stato e ha contribuito a organizzarle, da chi salva i migranti, da chi si batte perché i cosiddetti lavoretti siano riconosciuti per quello che sono, ovvero lavori veri e propri, da chi di questa nuova generazione ne fa parte, e non si limita a commentarla. Da chi fa politica anche senza bisogno di ritrovarsi nelle sue forme tradizionali, da chi studia perché gli è stato detto che lo studio era la chiave per realizzarsi e poi ha scoperto che studiare costa e che il mondo del lavoro là fuori non era così pronto a riconoscere non tanto il valore legale, quanto quello morale di quello studio.
Una giornata in cui saranno i protagonisti e le protagoniste della generazione G a insegnare e tutti gli altri a imparare nuove soluzioni perché quelle vecchie, evidentemente, non funzionano.
SCOPRI I DETTAGLI NELL’EVENTO FACEBOOK
Come arrivare: Il Centro Culturale Concetto Marchesi è a circa un chilometro dalla stazione di Milano Centrale (15-20 minuti a piedi). La fermata della Metropolitana più vicina è Porta Venezia (M1, linea rossa), a 50 metri dal Concetto Marchesi. Per chi arriva in macchina, l’autorimessa più vicina è il Machiavelli Parking (Via Camillo Finocchiaro Aprile 1 ang. Via Lazzaretto), a 700 metri dal luogo dell’evento.
POSSIBILE Via Balbis 13, 10144 Torino (TO) info@possibile.com

 

11 – LULA LIBERO RIACCENDE LA SPERANZA. AMERICA LATINA. IL SIMBOLO DI UN CONTINENTE IN FIAMME CHE HA UN DISPERATO BISOGNO DI GIUSTIZIA SOCIALE. Di Roberto Livi
Lula libero riaccende le speranze in Brasile e in America latina. «Viene restituito un uomo diventato un simbolo», commenta l’ex presidente uruguayano Pepe Mujica. Un simbolo di dignità, giustizia e uguaglianza sociale. Di lotta alla povertà e di sovranità nazionale.
Uscito dal carcere dopo 580 giorni di prigionia, l’ex presidente brasiliano lo ha ribadito. «Non è me che hanno voluto incarcerare, ma un’idea». E quell’idea di giustizia sociale e di integrazione dell’America latina è disposto a portarla avanti «con più forza di prima».
Appena fuori dal carcere di Curitiba Lula è gia l’anti Bolsonaro, il presidente dell’odio razziale e di genere, l’uomo degli agrari che deforestano e dell’integralismo pentacostale, delle armi a tutti. E del vassallaggio agli Stati uniti di Donald Trump, dimostrato tre giorni fa votando all’Onu a favore del criminale embargo a Cuba (in compagnia di Israele).
Lula è un simbolo anche per un continente che da più di un mese è in fiamme. Non si tratta però di un ottobre rosso. Non è l’immagine di Che Guevara che viene innalzata, né i manifestanti intonano L’Internazionale. La ribellione e il malessere che partono a ridosso del Rio Bravo e si estendono fino alla Patagonia e che accomunano popolazioni indigene e giovani, donne e classi medie, è contro una politica neoliberista che li spinge in basso – nella miseria una parte sempre più consistente, il 10,2% dei 600 milioni di abitanti – e comunque tutti più lontani da un élite socioeconomica che si appropria di gran parte della ricchezza. E del futuro dei giovani, con una politica ambientale pericolosamente asservita al dogma della società dei consumi.

Il subcontinente latinoamericano non è l’area più povera del pianeta, ma quella con maggiore diseguaglianza. Dei dieci paesi con indice Gini – misura la diseguaglianza socioeconomica – più alto solo due non sono latinoamericani (Sudafrica e Ruanda).

Se a questa situazione si aggiunge che l’America latina è la regione più colpita dalla crisi globale – secondo l’Fmi crescerà dello 0,2% – si capisce perché la scintilla che accomuna i focolai di ribellione sia il «ya basta» dei giovani cileni, che vogliono farla finita con l’eredità di Pinochet e dei Chicago Boys. I quali come scrive Joseph Stglitz (Il prezzo della diseguaglianza) per trent’anni hanno predicato che le politiche neoliberiste avrebbero prodotto una ricchezza più rapida i cui benefici si sarebbero poi trasmessi verso il basso, assicurando un miglioramente della vita per tutti. Stiglitz prevedeva che l’evidenza dei fatti – ovvero che tale politica produce soprattutto diseguaglianza – avrebbe portato alla sfiducia nelle élites dirigenti e avrebbe eroso lo stato di diritto.

Il disprezzo della politica dei governi e dei governanti non implica però una disaffezione dalla medesima. Al contrario le lotte in corso – specie in Cile – e i risultati delle ultime elezioni dimostrano che vi è una società civile che vuole essere protagonista politica. Solo che quanto avviene non può essere interpretato (solo) secondo l’asse sinistra/destra. Secondo Marta Lagos, direttrice di Latinobarometro – «oggi le popolazioni non votano per la destra e la sinistra, ma per chi propone soluzioni ai loro problemi».

Le politiche redistributive attuate dai governi progressisti durante il decennio della “marea rosa” latinoamericana – seguita alla prima elezione di Lula nel 2003 – continuate poi in Venezuela e Bolivia non hanno cambiato l’asse di sviluppo estrattivista basato sullo sfruttamento delle commodities. E parallelamente non hanno incrementato la partecipazione dal basso e una cultura politica diffusa.
Lula è libero, ma non assolto. Solo se verrà annullata la condanna emessa in secondo grado potrà tornare attivamente alla politica e scendere in campo per riconquistare la presidenza del Brasile. Ma già , come diceva Mujica, può rappresentare quel leader progressista e pragmatico in grado di raccogliere la voce che sale dalle rivolte popolari.
A lui fanno riferimento i leader della “marea rosa” – Mujica, Correa (Ecuador), Lugo (Paraguay), Roussef (Brasile) che si sono riuniti ieri a Buenos Aires assieme a un’altra ventina di leader progressisti del Gruppo di Puebla chiamati a raccolta dal neoeletto presidente Alberto Fernandez per tracciare un programma di integrazione dell’America latina e politiche economiche e sociali per affrontare la crisi che attanaglia il subcontinente.
Non vi partecipano i leader di Cuba, come pure del Venezuela e del Nicaragua, che della pattuglia progressista formano l’ala radicale.
Ma L’Avana, assieme a Caracas, rimane il primo fronte ad assorbire gli attacchi che vengono dal potente vicino del Nord. Quanto avviene in Bolivia, dove è in corso un golpe programmato da mesi dall’ambasciata Usa e condotto dai comitati civici guidati da Camacho, che minacciano una secessione dei tre grandi centri -Santa Cruz, Cochabamba e Sucre- nel caso che il presidente Evo Morales non si dimetta, preoccupa particolarmente il vertice cubano. Sono 187 le misure che Donald Trump ha messo in atto contro l’isola da quando è stato eletto. L’embargo è diventato una spietata guerra economico-commerciale, senza però far capitolare Cuba. In clima di elezioni presidenziali, un’escalation dell’interventismo di Trump non è da escludere

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