
Guerra – strumento economico nascosto
Le guerre sono sempre state presentate come indispensabili per soddisfare un bisogno pubblico o nazionale di sicurezza e protezione di fronte a minacce e paure.
Le loro giustificazioni fanno leva su istinti umani profondi e potenti legati alla sopravvivenza, capaci di innescare reazioni fisiologiche automatiche di attacco o fuga.
Ci sono luoghi in cui la lotta per la sopravvivenza assume ancora la forma classica di conflitti armati faccia a faccia.
Nelle economie di tipo occidentale, il pubblico è troppo sensibile per tollerare brutalità sanguinose, se non nei film o nei videogiochi.
Tuttavia, le persone restano molto vulnerabili alle paure e alle minacce, anche se esagerate, come il recente avvertimento ampiamente riportato del Presidente ucraino Volodymyr Zelensky secondo cui la Russia si starebbe preparando a invadere un altro paese europeo.
Accettare queste assurdità — considerando che la Russia non è riuscita a sconfiggere l’Ucraina, figurarsi fare la guerra all’Europa — alimenta la propaganda della paura che giustifica le spese militari, come quella imposta dagli Stati Uniti ai 32 membri dell’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO) durante il vertice di giugno all’Aia.
Gli alleati della NATO si sono impegnati ad aumentare la spesa annuale per la difesa fino al 5% del prodotto interno lordo entro il 2035, con almeno il 3,5% destinato alle armi e fino all’1,5% per infrastrutture o altre spese legate alla sicurezza.
Finora, il governo australiano ha resistito alle pressioni degli Stati Uniti per aumentare la spesa militare, in quanto fornitore di contributi per il supporto alle truppe e basi americane.
La pressione per aumentare la spesa pubblica, a scapito di bisogni sociali e ambientali urgenti, prosegue una recente tendenza: quella di iniettare liquidità in economie nazionali a corto di denaro, in gran parte estratto e concentrato privatamente in quantità senza precedenti.
Questa iniezione finanziaria, volta a mantenere in vita economie non sostenibili, ha assunto la forma di allentamenti quantitativi, salvataggi bancari, sussidi Covid e ora spese militari.
War – the hidden economic tool
Wars have always been dressed up as serving a public or national need for safety and security in the face of threats and fears.
Their excuses touch deep powerful human instincts for survival capable of igniting automatic physiological reactions of fight or flight.
There are places where the struggle to survive still takes the form of classical armed face to face conflicts.
In Western type economies the public is too squeamish for bloody brutalities, except on film or computer screens.
However, people are still very susceptible to fears and threats, even exaggerated ones, such as the recently widely reported warning by Ukrainian President Volodymyr Zelensky that Russia was preparing to possibly invade another European country.
Accepting that absurdity, given that Russia has been unable to defeat Ukraine let alone waging war on Europe, assists the fear mongering that justifies military spending like the one imposed by the US on the 32-member North Atlantic Treaty Organisation (NATO) at its June summit at The Hague.
NATO allies pledged to increase their annual defence spending to 5 per cent of gross domestic product by 2035 with at least 3.5% of that on core defence and up to 1.5% on security-related expenditures.
The Australian Government to date has resisted US pressures to increase military spending arguing that it provides ‘in kind’ spending with its support of American troops and bases.
Pressure for increased government spending, at the expense of much needed social and environmental needs, continues a recent trend of injecting much needed liquidity into national economies that are short of cash, much of it privately extracted and concentrated in unheralded amounts.
This financial injection, to keep unviable economies afloat, has taken the forms of quantitive easing, bail outs, Covid payments and now military spending.
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