di Roberto Ciccarelli (il manifesto 10/9/2024)
Armi, microchip, intelligenza artificiale e «energia green» per salvare i diritti sociali senza però rimediare ai danni di 40 anni di neoliberismo. Avvolto in un’aura sacrale Mario Draghi ieri è tornato a indossare i panni del profeta. Presentando il rapporto sul «Futuro della competitività» chiesto dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ieri Draghi ha detto che l’Europa «corre un rischio esistenziale».
È il vaso di coccio nella guerra industriale e commerciale tra Stati Uniti e Cina. Per evitare di mettere fine al «modello sociale europeo», o meglio di ciò che ne resta sotto altre spoglie, l’Unione Europea deve ripensarsi radicalmente e varare uno strumento finanziario di «debito comune» da 800 miliardi di euro all’anno. Insomma, un Next Generation EU (chiamato in Italia «Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – PNRR») moltiplicato per otto. Ogni anno. Una montagna di soldi che dovrebbero finanziare principalmente l’industria dei missili e dei carri armati, della tecnologia digitale, delle infrastrutture.
L’obiettivo è partecipare a uno speciale campionato, quello della guerra dei capitali, in cui formare «campioni europei» che, forse in un giorno non precisabile, potranno competere con gli oligopoli statunitensi e i cinesi. La pace, i diritti, la politica si fanno con le armi in pugno. Il progetto è stato ufficializzato due giorni prima dalla composizione della nuova Commissione Europea. A dire di von der Leyen, che ieri ha affiancato Draghi in uno show annunciato, l’ambizioso testo è già «sul tavolo del Consiglio» dove siedono i governi degli Stati membri.
I commissari designati all’esecutivo europeo dovranno impegnarsi ad applicare le 170 proposte riassunte, in maniera legnosa, in 62 pagine. Anche se non porta benissimo, visti gli esiti che ha prodotto in Italia, il rapporto è stato ribattezzato «Agenda Draghi» dall’entusiasta Partito Democratico in giù. Critici invece l’Alleanza Verdi Sinistra e Cinque Stelle. Con un’Europa politicamente a pezzi, dilaniata dallo scontro tra il mercantilismo e il nazionalismo, è remota la possibilità di realizzare interamente il piano Marshall intestato a Draghi, più che doppio in termini di investimenti rispetto al Prodotto Interno Lordo: 5% annuo contro l’1-2% degli anni Quaranta del XX secolo).
Del resto, tentativi non così ambiziosi, ma comunque significativi quanto quello di Draghi, sono stati già fatti nella storia dell’Unione Europea. Nel 2019 ci provò Jean-Claude Juncker. Passò quasi del tutto inosservato. Altra pasta d’uomo si direbbe. Poco aduso alle magie linguistiche, e all’autorevolezza, di Draghi. Ma le difficoltà restano, sono tante.
Al punto che Draghi potrebbe mantenere il suo status di profeta inascoltato mentre l’Europa nei prossimi cinque anni andrà in tutt’altra direzione rispetto a quella da lui auspicata. L’ex presidente del consiglio è un funambolo del realismo capitalista.
Lui è pragmatico. Per questo non ha indicato una tabella di marcia, ha messo solo in fila raccomandazioni. È consapevole che può fare irritare i governi importanti. Ad esempio il ministro tedesco delle finanze Christian Lindner che non intende sentire parlare di debito comune europeo. Von der Leyen, nelle acque agitate che si intravvedono, potrebbe presto trovarsi in difficoltà.
Starà a lei trovare i compromessi per realizzare la visione di Draghi. Ieri non ha voluto rovinare la magia del momento: «Saranno necessari fondi comuni per alcuni progetti europei comuni. Il compito è ora definire questo progetto – ha detto – Poi definiremo se li finanzieremo con nuovi contributi nazionali o con nuove risorse proprie». Un altro punto politico rilevante del rapporto Draghi è la riforma del voto all’unanimità senza ricorrere a impegnative revisioni dei trattati europei. Ciò potrebbe portare a un’Europa delle «cooperazioni rafforzate».
Draghi suggerisce di adottare un «nuovo quadro di coordinamento della competitività». Se l’UE è bloccata dai veti incrociati, allora bisogna creare una «coalizione di volenterosi». L’ex banchiere si è reso conto di avere citato il tragico Bush figlio. E ha precisato: l’hanno fatto in un «altro contesto». La possibilità di creare una simile «coalizione» è da verificare nell’attuale congiuntura. Con Marine Le Pen che etero-dirige il governo macronista in Francia e con l’AfD che sta con il fiato sul collo del pallido Olaf Scholz.
La creazione di un debito comune presuppone una maggiore concentrazione politica ed economica. Difficile come prospettiva. Draghi ha dato una forma politica a un’altra trasformazione osservata negli anni della guerra russa in Ucraina e dell’allineamento dell’UE alla NATO.
La sua idea è di cambiare il paradigma della politica estera continentale in una «politica della sicurezza economica». In un mondo in cui la guerra si fa sia con le armi che con il protezionismo economico la politica estera deve coordinare quella industriale, la concorrenza e il commercio.
Lo scopo è raggiungere una «capacità industriale di difesa indipendente». Questo significa che invece di «produrre dodici diversi tipi di carri armati» bisogna produrne uno solo «come negli Stati Uniti».
La raccomandazione di Draghi è modificare le norme sulla concorrenza. Ciò allude all’esenzione degli investimenti in armi dai calcoli del «patto di stabilità». Richiesta avanzata dal governo italiano nell’interesse delle industrie della guerra. Il documento restituisce la cifra autoritaria e tecnocratica della politica.
A tale proposito è interessante rileggere oggi una lettera inviata a Draghi e von der Leyen l’otto maggio scorso. È stato firmato da organizzazioni della «società civile» che hanno denunciato la «mancanza di trasparenza» e il «rischio di cattura da parte del big business».
«La filosofia complessiva di Draghi – si legge – permetterà alla concentrazione del mercato di aumentare ulteriormente in Europa, danneggiando i consumatori, i lavoratori e le piccole imprese europee e minando di fatto la nostra competitività». «Porterà a una situazione in cui i grandi cosiddetti “Campioni d’Europa” vengono sovvenzionati in modo improduttivo con denaro pubblico, mentre importanti obiettivi sociali, economici e ambientali vengono sacrificati a vantaggio degli azionisti di queste imprese dominanti».
Su questa «filosofia» è stato costruito il Next Generation EU e il PNRR in Italia al quale si pensa più per il metodo di finanziamento che per il coinvolgimento delle cittadinanze, che non c’è stato. Se uno Stato sociale ci dev’essere, esso sarà la conseguenza di una «crescita» del mercato dei capitali e della capacità di produrre microchip, pale eoliche e cannoni.
FONTE: Il Manifesto
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