Lo Spi Cgil riunisce ad Assisi rappresentati palestinesi e israeliani che chiedono alla comunità internazionale e all’Italia un impegno reale
Il cessate il fuoco prima di tutto, poi l’impegno della comunità internazionale, delle istituzioni globali e dei governi nazionali per un processo diplomatico che porti alla risoluzione del conflitto in Medioriente, nel segno del rispetto dei diritti umani. Con questo appello che si è conclusa l’iniziativa promossa ad Assisi dal sindacato dei pensionati Cgil. Simbolico il luogo scelto: la Sala della Pace del Sacro Convento della Basilica di San Francesco.
Un appello, quello al cessate il fuoco, risuonato fin dai saluti di Padre Marco Moroni, della sindaca della cittadina umbra e del segretario generale dello Spi Cgil regionale Andrea Farinelli. Il cuore dell’evento è stato il confronto tra esponenti politici israeliani e palestinesi: Aida Touma-Suleiman in collegamento da Tel Aviv, deputata palestinese al Knesset per il partito di Hadash; Ilan Baruch, presidente del Policy Working Group, già ambasciatore israeliano in Sud Africa e Jamal Zakout, scrittore palestinese, componente del Palestinian National Council.
Tre voci diverse, tre esperienze differenti che hanno tutte chiesto di fermare immediatamente le uccisioni di massa nella Striscia di Gaza, di avviare i negoziati di pace con il sostegno e l’impegno della comunità internazionale e che quei negoziati partano dalla fine dell’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele.
“L’assalto di Hamas del 7 ottobre – doloroso e terribile per la popolazione israeliana – non è arrivato dal nulla. Ha alle spalle una storia di sopraffazione e oppressione. Continuare a ignorarlo impedirà di trovare una soluzione pacifica al conflitto”.
Paola Caridi, autrice del libro “Hamas. Dalla Resistenza al regime”, ha ripercorso la storia del conflitto mediorientale negli anni recenti sottolineando la debolezza della posizione europea e i fattori che hanno finora impedito la costruzione di uno Stato Palestinese, indispensabile perché il processo di pace si compia.
A concludere i lavori Ivan Pedretti, segretario generale dello Spi Cgil, che rilancia la soluzione due popoli e due Stati e sollecita la politica italiana ed europea a fare la propria parte: “La guerra è tornata a essere il braccio lungo della politica, magari un po’ meno governata che in passato, in un contesto in cui le leadership politiche sono in crisi, così come gli equilibri mondiali. Eppure senza tentennamenti dobbiamo chiedere che si sospenda qualsiasi forma di guerra, che si attivino tutti i canali di diplomazia e di ascolto. A breve saremo chiamati a confrontarci e ad esprimerci su quale Europa vogliamo. Cogliamo quest’occasione per ripartire dai valori fondativi dell’Europa, fondata su libertà, uguaglianza, stato di diritto e sicurezza dei popoli. Siamo una generazione che ha una storia e una memoria. Non tramandiamola soltanto. Teniamola bene a mente quando affrontiamo le crisi e le difficoltà del presente”.
Gli interventi
Padre Marco Moroni: “Mi auguro che da qui, in questa giornata, si riesca a influire per il cessate il fuoco in Medioriente. Il cessate in fuoco oggi è il minimo indispensabile, l’obiettivo è costruire una realtà di pace in ogni modo che la fantasia umana possa trovare”.
Stefania Proietti, sindaca di Assisi: “Sono grata al sindacato dei pensionati per aver scelto Assisi per l’iniziativa “Parole di Pace” ma soprattutto per aver avuto il coraggio di parlare di pace con ospiti che vengono dal cuore pulsante della fede e della guerra. Oggi, infatti, parlare di pace con tutte e due le parti coinvolte nel conflitto è difficilissimo. Manca proprio il vocabolario perché ciascuno è offeso in ciò che ha di più caro. Eppure noi non possiamo rassegnarci né tanto meno abituarci alle cifre di questa violenza”.
Andrea Farinelli, segretario generale Spi Cgil Umbria: “Il nostro compito, anche come sindacato, è favorire e far crescere una cultura del dialogo, del rispetto e dell’ascolto attraverso l’impegno quotidiano di ciascuno di noi che costruisca azioni di pace, di cura e di solidarietà in un mondo che purtroppo va in tutt’altra direzione”.
Silvana Cappuccio, responsabile dipartimento internazionale Spi Cgil: “Rilanciamo in ogni sede la richiesta del cessate il fuoco. Difendiamo il principio di umanità. Per troppi anni la comunità internazionale e quella europea sono rimaste silenti a dispetto degli impegni e degli accordi assunti”.
Aida Touma-Suleiman, deputata palestinese al Knesset per il partito di Hadash: “Penso che abbiamo alle spalle 111 giorni di inferno, brutalità e violenza. Sentiamo di vivere in un incubo ormai dal 7 ottobre, l’assalto di Hamas ci ha scioccato e ha prodotto un enorme dolore ma la guerra contro Gaza e la sua popolazione è orribile. Nulla può legittimare i crimini commessi dopo l’attacco del 7 ottobre né può farci dimenticare anni di occupazione e oppressione militare di Israele su Gaza. Non si può continuare così: le uccisioni di massa che si sono susseguite per decenni, quelle odierne di donne e bambini – che costituiscono il 70% delle vittime di Israele in questo conflitto – non sono tollerabili. Se la guerra contro Gaza non terminerà adesso, assisteremo a catastrofi ancora peggiori. Dobbiamo chiedere ad Hamas di rilasciare gli ostaggi, perché ciò avvenga c’è un’unica strada: avviare i negoziati immediatamente. Senza garantire il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e il rispetto dei diritti non può esserci pace. Questo deve essere l’obiettivo di un processo diplomatico che per partire deve porre fine all’occupazione avviata nel 1967. Solo in questo modo, infatti, potremo garantire la sicurezza personale e nazionale di entrambe le parti. Abbiamo aspettative sulla comunità internazionale. Sappiamo che ci sono tante manifestazioni di solidarietà nei confronti della popolazione palestinese ma serve l’impegno dei governi. Il governo israeliano non vuole la diplomazia, pertanto deve essere la comunità internazionale a intervenire per fermare questa deriva”.
Ilan Baruch, presidente del Policy Working Group, già ambasciatore israeliano in Sud Africa: “Cito Nelson Mandela che disse ai suoi compagni che finché il popolo palestinese non avesse avuto la propria libertà e autodeterminazione, la lotta contro l’apartheid non avrebbe potuto dirsi conclusa: uno Stato per ciascuno, l’autodeterminazione per entrambi, sulla base di un principio di uguaglianza. La nostra tragica storia dimostra che da soli israeliani e palestinesi non sono in grado di risolvere un conflitto centenario, il fallimento dei negoziati – da Oslo in poi – suggerisce che il ruolo di facilitatori assunto dagli Stati Uniti o dall’Europa è insufficiente, quindi crediamo che il processo vada rivisto e che debba assumere un carattere multilaterale. L’assalto del 7 ottobre non è arrivato dal nulla. Il governo israeliano vuole far passare il messaggio che Hamas abbia agito in quel modo perché “nazista”; non possiamo cedere a questo, non è così: dietro l’assalto di Hamas ci sono decenni di violenze, occupazione e oppressione. Io dico che Israele è uno Stato piccolo, la popolazione è tanta, ma c’è terra per tutti, c’è spazio per tutti. I palestinesi hanno il diritto di vivere la propria vita dignitosamente, hanno diritto a un proprio Stato esattamente come gli israeliani. Quindi mi appello alla comunità internazionale perché lavori per una soluzione diplomatica di pace che vada a beneficio di tutti e che per tutti sia giusta”.
Jamal Zakout, scrittore palestinese, componente del Palestinian National Council: “Se non viene riconosciuto il diritto dei palestinesi a esistere e vivere nell’autodeterminazione è impossibile che il conflitto si concluda. Come persona che crede nella pace, dopo il 7 ottobre, e ogni giorno, sono convinto che il governo israeliano, un governo – lo ricordo – di estrema destra abbia un solo progetto: portare a termine la Nakba, l’esodo palestinese del 1948. D’altro canto nei cinquant’anni di occupazione israeliana che hanno preceduto il 7 ottobre, pur essendo uno Stato membro delle Nazioni Unite, Israele non è stato mai chiamato a rispondere delle proprie azioni. Quando uccidi centinaia di persone e nessuno ti chiede di fermarti, perché mai non dovresti arrivare a ucciderne migliaia, se questo è il tuo obiettivo. Questa guerra ha scopi nascosti significativi: non si vuole affatto di smantellare Hamas, ma prevenire la costruzione di uno Stato palestinese, concludere un progetto che risale ormai a quasi ottant’anni fa. Come dicevo, sbaglia chi sostiene che il conflitto sia cominciato il 7 ottobre scorso, il conflitto è nato, appunto, con la Nakba del 1948, quarant’anni prima della costituzione di Hamas”.
Paola Caridi, autrice del libro “Hamas. Dalla Resistenza al regime”: “L’Europa è stata citata più volte: come Godot, come qualcuno che si attende e non arriva mai e, però, lo si attende anche con una certa emozione. Per anni rispetto al Medioriente l’Europa è stata considerata un elemento di terzietà in contrasto con la posizione degli Stati Uniti e, in particolare di alcune amministrazioni statunitensi, schiacciata su Israele. Penso che ciò sia avvenuto anche per un’assenza di conoscenza del Medioriente da parte dell’Europa. Ora però ci viene richiesto, come poco fa ha ripetuto Ilan Baruch, di intervenire, di “salvare” i due popoli, non con uno spirito “colonizzatore” ma come quel modello politico e pacifico uscito dalla seconda guerra mondiale. Questa è la funzione che l’Europa dovrebbe avere e che tuttavia non vuole assumere”.
Giuseppe Provenzano, responsabile esteri segreteria del Partito Democratico: “L’Europa è circondata dal caos – pensiamo alla guerra in Ucraina, a quella in Medioriente, al Nagorno Karabakh. Ritengo che questo caos sia frutto della riduzione della politica avvenuta in questi anni, dell’idea che si potesse affidare e delegare la politica internazionale ai soli interessi economici. Il conflitto mediorientale è emblematico di questa nostra rimozione. Come Partito Democratico abbiamo chiesto che ci fosse una missione del Partito Socialdemocratico europeo in Israele e Palestina. Le nostre posizioni si sono misurate con posizioni molto diverse, come quelle dei socialdemocratici tedeschi. In Italia la presidente del Consiglio Meloni si è addirittura nascosta su questo tema, ma il vuoto di iniziativa politica colpisce al cuore l’Europa alla vigilia delle elezioni europee”.
Ivan Pedretti, segretario generale Spi Cgil: “La guerra è tornata a essere il braccio lungo della politica, magari un po’ meno governata che in passato. Noi parliamo di pace non perché siamo un’organizzazione sindacale pacifista ma perché la pace è un valore fondamentale della vita di una persona e così deve essere interpretata. Rilanciare l’idea di pace vuol dire rilanciare un’idea culturale che passa anche attraverso i popoli. A noi il compito di forzare la mano, di costringere la politica – italiana ed europea, in particolare – ad agire. Lo facciamo in un contesto in cui la guerra è tornata a essere il braccio lungo della politica, magari un po’ meno governata che in passato, in cui le leadership politiche sono in crisi, così come gli equilibri mondiali. Eppure senza tentennamenti dobbiamo chiedere che si sospenda qualsiasi forma di guerra, che si attivino tutti i canali di diplomazia e di ascolto. A breve saremo chiamati a confrontarci e ad esprimerci su quale Europa vogliamo. Cogliamo quest’occasione per ripartire dai valori fondativi dell’Europa, fondata su libertà, uguaglianza, stato di diritto e sicurezza dei popoli. Siamo una generazione che ha una storia e una memoria. Non tramandiamola soltanto. Teniamola bene a mente quando affrontiamo le crisi e le difficoltà del presente”.
FONTE: https://www.collettiva.it/copertine/internazionale/pace-cerca-europa-is5r1i96
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