04 aprile 2020 NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL ESTERO ED ALTRE COMUNICAZIONI.

000 – La Marca (Pd) – cordoglio per la scomparsa di Adalberto Cortesi. Protagonista esemplare della comunità italiana in Messico.
00 – “Insieme-Together”: parlamentari di 25 paesi chiedono che la risposta alla minaccia pandemica e alla crisi sia comune a livello europeo – https://insieme-together.eu
01 – Lettera di Schirò (Pd) al ministro Amendola: l’assicurazione europea contro la disoccupazione comprenda anche i lavoratori precari e quelli senza tutele
02 – Le agevolazioni fiscali per i rimpatriati nel modello redditi pf 2020. Nonostante la grave emergenza sanitaria di questi giorni, ritengo utile e opportuno continuare informare sulle questioni che attengono ai diritti e ai doveri del mondo dell’emigrazione e delle nuove mobilità.
03 – In tre milioni perdono il lavoro. Per Trump «non è rilevante» . Stati uniti. Crollo dell’occupazione in una sola settimana. E restano fuori dal calcolo gli autonomi e i gig workers. Il presidente USA: «i media sperano di farmi perdere le elezioni». Ma il consenso è il più alto di sempre,
04 – Confusione sanitaria. Il dio mercato e i suoi adoratori bussano impazienti alle porte della politica perché l’emergenza coronavirus sia dichiarata superata, il lockdown finisca e l’economia riparta.
05 – Ue a fuoco lento. Conte ai tedeschi: “Scriviamo la storia non l’economia”. Intervista del premier alla tv Ard. Ma i tedeschi tornano a parlare di Mes. Dalla Commissione 100mld per il lavoro. E gli Stati membri balbettano anche su Orban
06 – La Marca (Pd) all’ambasciatore in usa: tutelare la salute del personale dei consolati e salvaguardare la continuità del servizio ai connazionali.
07 – Schirò (Pd): gli enti promotori dei corsi di lingua e cultura italiana all’estero sono allo stremo. Si intervenga subito e in modo adeguato
08 – La Marca (Pd) – connazionali temporaneamente in Canada: l’ambasciatore Taffuri risponde alla mia richiesta di informazioni,
09 – Brevi Notizie.

 

000 – LA MARCA (PD) – CORDOGLIO PER LA SCOMPARSA DI ADALBERTO CORTESI. PROTAGONISTA ESEMPLARE DELLA COMUNITÀ ITALIANA IN MESSICO. Ho appreso con sincera costernazione la notizia della scomparsa di Adalberto Cortesi, una personalità eminente della comunità italiana in Messico e un protagonista esemplare della capacità di iniziativa dei professionisti e degli imprenditori italiani nel mondo.
L’ho conosciuto in occasione della mia seconda visita in Messico, quando con squisita cortesia venne a ricevermi all’aeroporto. Mi ci volle poco per cogliere la sua amabilità, la sua grande conoscenza della realtà messicana, la sua autorevolezza nell’ambito della nostra comunità, il suo peso nelle attività economiche e nel percorso di modernizzazione del Paese che egli aveva scelto come seconda patria.
Faccio le mie condoglianze ai familiari ed esprimo la mia affettuosa partecipazione alla comunità italiana in Messico, che perde un fondamentale punto di riferimento per le sue attività sociali, solidaristiche e culturali.
Un saluto, caro Adalberto, e grazie per quanto hai fatto per l’Italia e per gli italiani in Messico.
on. Francesca La Marca – Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America

 

00 – “INSIEME-TOGETHER”: PARLAMENTARI DI 25 PAESI CHIEDONO CHE LA RISPOSTA ALLA MINACCIA PANDEMICA E ALLA CRISI SIA COMUNE A LIVELLO EUROPEO – https://insieme-together.eu Con preghiera di pubblicazione – 1° APRILE 2020 Parlamentari di 25 Paesi europei hanno sottoscritto un appello affinché l’emergenza sanitaria, sociale, finanziaria ed economica provocata dalla pandemia sia affrontata in modo unitario a livello europeo.

L’appello (http://insieme-together.eu), promosso dal parlamentare del Bundestag Lars Castellucci e dalla deputata italiana Angela Schirò, eletta nella ripartizione Europa della circoscrizione Estero, è stato sottoscritto da 42 parlamentari di diversi Paesi dell’UE.

Esso esprime un’evidente indicazione in senso unitario e solidaristico in una fase molto complessa dei rapporti tra i partner dell’Unione. Una fase nella quale sono in discussione l’entità, le modalità e l’efficacia della risposta europea alla devastante pandemia e alla crisi sociale ed economica che si preannuncia e, in prospettiva, la stessa sopravvivenza della costruzione unitaria.
Il motivo che ispira l’appello e accomuna parlamentari di Paesi e di istituzioni diverse è che in questo drammatico passaggio i cittadini europei sono più tutelati e garantiti da una risposta coordinata e sostenuta dalle energie comuni di quanto non possano esserlo dall’impegno solitario di ciascun Paese: “Il virus non conosce confini. Anche la nostra risposta non deve avere confini”.
https://insieme-together.eu Angela Schirò Deputata PD – Rip. Europa –

 

01 – LETTERA DI SCHIRÒ (PD) AL MINISTRO AMENDOLA: L’ASSICURAZIONE EUROPEA CONTRO LA DISOCCUPAZIONE COMPRENDA ANCHE I LAVORATORI PRECARI E QUELLI SENZA TUTELE, 1 MARZO 2020
“In Europa, dal punto di vista delle conseguenze sociali che la pandemia sta determinando, vi è un’emergenza nell’emergenza. Essa è costituita da quanti, per ragioni di lavoro, si sono spostati dai loro Paesi in altre realtà, dove spesso hanno dovuto accettare lavori precari, part-time o irregolari, con retribuzioni in nero, per essere chiari. Sono lavoratori senza o con poche tutele contrattuali, ma sono persone in carne e ossa che non hanno minori bisogni ed esigenze di tutela degli altri.

Per la loro tutela, per esempio, la Germania ha fatto per ora un primo passo, estendendo alcune misure assistenziali a quelli che sono arrivati da poco o che hanno vista vanificarsi i contratti stipulati. E gli altri?

In queste ore è aperta una drammatica trattativa tra i partner dell’UE sul modo come affrontare, mi auguro con un approccio del tutto nuovo, le devastanti conseguenze della pandemia sotto il profilo sanitario, sociale, economico e fiscale. Una trattativa dalla quale dipenderà non solo la capacità di dare una risposta comune ed efficace ai gravi problemi che si profilano, ma anche il profilo e la qualità dell’edificio europeo.

Tra le misure in discussione vi è anche un’assicurazione sociale europea contro la disoccupazione e, spero, contro le nuove povertà. Per questo ho scritto al Ministro per gli affari europei Vincenzo Amendola, uno dei protagonisti della trattativa, perché si consideri la modulazione dell’assicurazione europea in modo che possa ricomprendere la massa dei lavoratori stranieri che ha operato al di fuori delle tradizionali garanzie contrattuali, sia in termini di soccorso temporaneo che di incentivo al reingresso nel mondo del lavoro.

Una soluzione comune a livello europeo, potrebbe favorire inoltre una trattativa in termini di reciprocità con il Regno Unito, nel vivo del processo Brexit, e trattative bilaterali, sempre su base di reciprocità, con i Paesi terzi nei quali il numero dei nuovi emigrati italiani sia significativo.

C’è poi il problema di coloro che sono tornati in Italia a seguito di questa emergenza e che non possono usufruire dei criteri restrittivi del reddito di cittadinanza, come io stessa denunciai in Parlamento, presentando anche emendamenti che in quell’occasione vennero irresponsabilmente respinti. Con conseguenze la cui gravità solo oggi possiamo misurare.

Si corre il rischio che per inseguire le tante emergenze particolari, possano essere trascurata la coerenza e l’unitarietà delle misure da adottare. Credo che un buon rimedio possa essere quello del rispetto dei diritti delle persone e dei lavoratori, di tutti i lavoratori. Questo, almeno, è quello che nel mio lavoro parlamentare cerco di fare”.
Angela Schirò
Deputata PD – Rip. Europa –
Camera dei Deputati

 

02 – LE AGEVOLAZIONI FISCALI PER I RIMPATRIATI NEL MODELLO REDDITI PF 2020. Nonostante la grave emergenza sanitaria di questi giorni, ritengo utile e opportuno continuare informare sulle questioni che attengono ai diritti e ai doveri del mondo dell’emigrazione e delle nuove mobilità.

In questa nota ricordo che le detassazioni previste per i lavoratori che trasferiscono la loro residenza in Italia dall’estero sono state rese operative, nelle percentuali stabilite dalla legge, nel modello Redditi Persone Fisiche 2020 con l’introduzione di specifici codici, da inserire nei vari quadri del modello, per il lavoro dipendente, quello d’autonomo e quello di impresa.

Gli incrementi delle agevolazioni si applicano ai soggetti che acquisiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal periodo d’imposta 2020.

Tuttavia si ricorda che il Decreto Fiscale (Dl n. 124/2019) collegato alla legge di Bilancio per il 2020, ha anticipato le agevolazioni per i soggetti che hanno trasferito la residenza in Italia successivamente al 30 aprile 2019, ossia alla data di emanazione del “Decreto Crescita”.

Per i lavoratori dipendenti nei casi ordinari il beneficio è riconosciuto direttamente dal datore di lavoro, previa presentazione della domanda. Pertanto, il beneficio potrà essere richiesto direttamente nella dichiarazione dei redditi esclusivamente nell’ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia potuto o voluto riconoscere l’agevolazione, in presenza dei requisiti previsti dalla legge. Quindi a partire dalle date suindicate, nel periodo d’imposta in cui la residenza è trasferita e nei successivi quattro, i redditi di lavoro dipendente (o ad esso assimilato) e di lavoro autonomo prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30% dell’ammontare (in precedenza era il 50%) ovvero al 10% se si trasferisce la residenza in una delle seguenti regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia (sono state inoltre introdotte maggiori agevolazioni riguardo alla durata che aumenta fino ad ulteriori 5 anni in presenza di particolari condizioni: numero di figli minorenni, acquisto unità immobiliare di tipo residenziale, trasferimento residenza in regioni del Sud).

Affinché il regime di favore sia applicabile, per i trasferimenti di residenza avvenuti a decorrere dal 30 aprile 2019 devono sussistere due sole condizioni: 1) il lavoratore non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento e si impegna a risiedervi per almeno due anni; 2) l’attività lavorativa sia svolta prevalentemente nel territorio italiano. Giova ricordare che possono accedere al regime agevolato anche i cittadini italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) purché, nei due periodi d’imposta precedenti il trasferimento, abbiano risieduto in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni fiscali.

Segnalo qui di seguito quali sono i codici previsti solo per i lavoratori dipendenti (per ovvie ragioni di spazio e ricordando comunque che i codici sono diversi per i lavoratori autonomi e per il reddito di impresa): in particolare nel riquadro RC, nella casella “Casi particolari”, i codici per i lavoratori dipendenti impatriati sono:
– il codice 4 per i lavoratori impatriati che sono rientrati in Italia dall’estero fino al 29 aprile 2019 per i quali i redditi di lavoro dipendente concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50 per cento;
– il codice 6 per i lavoratori impatriati che sono rientrati in Italia dall’estero a decorrere dal 30 aprile 2019 per i quali i redditi di lavoro dipendente concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 30 per cento;
– il codice 8 per i lavoratori impatriati che sono rientrati in Italia dall’estero a decorrere dal 30 aprile 2019 e che hanno trasferito la residenza in una delle seguenti regioni: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna e Sicilia. In tal caso, i redditi di lavoro dipendente concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 10 per cento;
– il codice 9 per i lavoratori impatriati che sono rientrati in Italia dall’estero a decorrere a decorrere dal 30 aprile 2019 e in possesso della qualifica di sportivo professionista. In tal caso il reddito da lavoro dipendente e i redditi assimilati concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50 per cento.

 

11 – IN TRE MILIONI PERDONO IL LAVORO. PER TRUMP «NON È RILEVANTE» . STATI UNITI. CROLLO DELL’OCCUPAZIONE IN UNA SOLA SETTIMANA. E RESTANO FUORI DAL CALCOLO GLI AUTONOMI E I GIG WORKERS. IL PRESIDENTE USA: «I MEDIA SPERANO DI FARMI PERDERE LE ELEZIONI». MA IL CONSENSO È IL PIÙ ALTO DI SEMPRE, di Marina Catucci NEW YORK
La crisi economica che sta investendo gli Stati uniti è forse la più aggressiva dai tempi della seconda guerra mondiale. Ieri un rapporto del Dipartimento del Lavoro ha mostrato un aumento senza precedenti delle domande di sussidi di disoccupazione, passati da 282mila a quasi 3,3 milioni in una sola settimana.
Molti economisti affermano che la recessione causata dall’emergenza coronavirus sia già iniziata e che si sia solo all’inizio di un massiccio aumento della disoccupazione che potrebbe portare oltre 40 milioni di americani a perdere il lavoro entro aprile.
Il rapporto comprende le domande presentate dal 15 al 21 marzo, con i licenziamenti saliti alle stelle lunedì 16 marzo dopo la dichiarazione di Trump riguardo gli assembramenti di non più di dieci persone che ha costretto alla chiusura di ristoranti, bar e altri luoghi pubblici.
Gli economisti prevedono per questa settimana un’altra ondata di oltre un milione di nuove richieste di sussidi. Il numero reale di disoccupati è probabilmente ben più alto di 3,3 milioni: molti lavoratori non hanno i requisiti necessari per richiedere la disoccupazione, come gli autonomi, i cosiddetti gig workers, le persone che l’anno scorso abitavano in uno Stato diverso o gli impiegati da meno di sei mesi.
La Casa bianca ha reagito, ancora una volta, minimizzando: il segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha definito il dato «non rilevante» e ha rimandato al piano da 2mila miliardi di dollari in aiuti all’economia approvato dal Senato.
«L’economia Usa è in salute e tornerà in salute», ha detto Mnuchin riferendosi a una crescita del pil americano del 2,1% nel quarto trimestre e al pacchetto di sussidi economici approvati dal Senato per aiutare cittadini e imprese grandi e piccole.
L’aplomb dalla Casa bianca sembra più ostentato che reale. Prima del rilascio del comunicato del Dipartimento del Lavoro, l’amministrazione Trump aveva fatto molte pressioni sui singoli Stati affinché non rilasciassero le cifre giornaliere sull’impennata della disoccupazione così da non spaventare mercati e opinione pubblica.
Da giorni The Donald continua a ripetere, nonostante il parere contrario degli esperti, che questa diavoleria del lockdown deve finire il prima possibile, possibilmente per Pasqua, perché l’economia deve riprendere. Su Twitter ha scritto: «I lamentosi media sono la forza principale del tentativo di convincermi a tenere chiuso il nostro paese il più a lungo possibile nella speranza che ciò pregiudichi il mio successo elettorale. Le persone reali vogliono tornare al lavoro al più presto. Saremo più forti che mai!».
Il timore di una recessione epocale proprio pochi mesi prima delle elezioni è ben presente nelle affermazioni di Trump che al momento, secondo Gallup, gode del più alto gradimento mai avuto dall’insediamento della sua presidenza nel 2017, pari al 49%. Il dato è per molti versi sorprendente, se si pensa a quanto possono essere aspri i giudizi di chi critica Trump.
La critica maggiore che gli viene mossa è l’incredibile flusso di bugie con cui inonda le sue quotidiane conferenze stampa, al punto che la stazione radiofonica NPR, National Public Radio, di Seattle, ha smesso di mandarle in onda in quanto divulgano «informazioni fuorvianti e pericolose».
A causa di una falsa affermazione di Trump riguardo l’efficacia di un farmaco da banco per la malaria a base di clorochina fosfata, a detta del tycoon utile per il trattamento e la prevenzione del Covid-19, si sono registrati molti casi di avvelenamento da questo farmaco. Una coppia di coniugi sessantenni è morta dopo averlo assunto.

 

04 – CONFUSIONE SANITARIA. IL DIO MERCATO E I SUOI ADORATORI BUSSANO IMPAZIENTI ALLE PORTE DELLA POLITICA PERCHÉ L’EMERGENZA CORONAVIRUS SIA DICHIARATA SUPERATA, IL LOCKDOWN FINISCA E L’ECONOMIA RIPARTA., di Ida Dominijanni, giornalista 31 marzo 2020
Ma francamente non si capisce il perché di tanta precipitosità. L’epidemia è ancora in pieno dispiegamento: da qualche giorno c’è qualche segnale incoraggiante di un lento appiattimento della curva, ma in compenso nel sud i casi crescono, sia pure non esponenzialmente, e qualche focolaio minaccia di peggiorare la situazione. Siamo ancora in piena carestia di mascherine e tamponi, il minimo che servirebbe per parlare di prevenzione di ulteriori disastri. E soprattutto c’è ancora troppa confusione nella politica sanitaria, ed è di questa che è urgente parlare, anche da incompetenti, intanto perché la sanità è un diritto fondamentale e dunque la politica sanitaria ci riguarda tutti e tutti ci autorizza alla presa di parola: del resto, la riforma sanitaria che nel 1978 istituì il servizio sanitario nazionale fu l’esito di un processo che coinvolse la società, non solo i politici e gli esperti. E poi perché guardando a ritroso il film dell’ultimo mese è evidente che sono state le strategie sanitarie ed epidemiologiche a determinare quelle istituzionali e politiche (Conte: “Abbiamo sempre operato seguendo le indicazioni del nostro comitato scientifico”), il che significa che non si può valutare l’efficacia delle seconde senza entrare nel merito delle prime.

Qualcosa sappiamo, e sapevamo
Prima questione. Di questo virus si sa ancora poco, e questo va certo tenuto ben presente nel giudicare incertezze e oscillazioni delle strategie di contrasto, scientifiche e politiche. Però dell’epidemia a questo punto qualcosa sappiamo. E qualcosa sapevamo anche prima, fin dai rapporti internazionali di inizio secolo che avvertivano del rischio incombente (“Non è questione di se, ma di quando”). Sembra perfino che in Italia esistesse dal 2010, sulla carta, un piano antipandemico nazionale, e relativi piani regionali, mai implementati e mai aggiornati. Dunque il rischio era annunciato ed è stato ignorato o rimosso, presumibilmente per ragioni di bilancio, fino allo scoppio dei primi casi, non solo in Italia ma in tutta Europa e negli Stati Uniti, per stare solo ai paesi occidentali. Ovunque non c’era una strategia, ovunque si ripete la stessa catena comportamentale fatta di sottovalutazione, negazione, allarme ritardato, assenza di precauzioni preventive; ovunque mancavano e mancano mascherine (salvo che in Cina, cui era stata lasciata la produzione in regime di monopolio), respiratori, attrezzature sanitarie di sicurezza. È vero, l’intruso ci ha preso di sorpresa e noi eravamo impreparati, ma questa impreparazione non si può dire che sia stata innocente, né in Italia né altrove. A forza di scommettere sul rischio eventuale giocando con i future e i derivati, la governance neoliberale mondiale ha finito col ritrovarsi sguarnita rispetto a un pericolo effettivo e tutt’altro che imprevisto, e col dichiarare una guerra senza avere né armi né munizioni: come andare in trincea a piedi scalzi.

La pandemia globale mette all’ordine del giorno la globalizzazione delle politiche sanitarie più che la loro nazionalizzazione

Seconda questione. Il virus, come ben sappiamo, provoca nei casi più gravi polmoniti severe che possono portare rapidamente alla morte e che richiedono il ricovero in terapia intensiva. In quel rapidamente c’è la sua perfida capacità di mettere sotto scacco i sistemi sanitari, che non ce la fanno a reggere un’ospedalizzazione così massiccia. Ma il virus ha anche la perfida intelligenza di testarli, i sistemi sanitari, e di mostrarne quei lati deboli che il discorso politico e mediatico mainstream tende a occultare sotto l’esaltazione dell’eroismo del personale ospedaliero. Esaltazione, è superfluo dirlo, sacrosanta: chiunque conosca un medico, un anestesista o un infermiere sa dai suoi racconti in quali condizioni proibitive per l’incolumità personale stiano lavorando, con quale professionalità e generosità e con quale carico di stress psicologico ed emotivo. Non è questo in discussione, né la gratitudine commossa che tutti sentiamo per loro. In discussione vanno messi, invece, i limiti che il sistema sta rivelando nonostante il loro eroismo. Due su tutti.

I limiti dell’“autonomia“ regionale
In primo luogo, un sistema sanitario nazionale qual è quello che in Italia ancora abbiamo malgrado i tagli dissennati cui è stato sottoposto, non può sopportare un dualismo esasperato come quello fra nord e sud. L’incubo che l’epidemia colpisca le regioni del sud con la stessa virulenza di quelle del nord, e abbatta strutture ospedaliere ben più esili di quelle del nord, si è sommato e si somma tuttora all’angoscia per la tragedia che imperversa nelle zone più colpite, e ha determinato scelte politiche fondamentali, come quella di estendere il lockdown a tutto il territorio nazionale, comprese le regioni in cui il contagio era inferiore ma il sistema sanitario più debole. E si devono alle condizioni strutturali del dualismo nord-sud, non solo a una irresponsabilità fin troppo sottolineata, gli incauti ritorni a casa da Milano e dintorni degli studenti meridionali che hanno rischiato e ancora rischiano di accendere focolai ulteriori nel Mezzogiorno. Il dualismo socioeconomico territoriale è la negazione fattuale dell’universalismo di principio del sistema sanitario e si è rivelato di difficilissima composizione in una situazione di emergenza nazionale e globale. Superfluo sottolineare che la “soluzione” dell’autonomia differenziale regionale, uno dei piatti forti della contesa politica fino a un attimo prima della catastrofe, non farebbe che accentuarlo. E dunque va tolta di mezzo senza se e senza ma, tanto più dopo una pandemia globale che mette all’ordine del giorno la globalizzazione, più che la nazionalizzazione, delle politiche sanitarie.

D’altra parte bisogna prendere atto che nell’emergenza Covid-19 il sistema sanitario ha mostrato limiti e inefficienze proprio nelle regioni del nord dove è considerato d’eccellenza. Come nel modello lombardo, caratterizzato, oltre che dalla commistione tra pubblico e privato che in questa circostanza non è stata d’aiuto, da un forte centralismo ospedaliero specialistico a scapito della medicina di base e dei presidi territoriali. Di nuovo, non si tratta di misconoscere lo sforzo titanico degli ospedali lombardi per fronteggiare un’emergenza ben più crudele di quanto fosse immaginabile. Ma se l’epidemia avanza, sia pure con un decremento relativo, malgrado il lockdown; se, come sembra, i contagiati con sintomi lievi o asintomatici sono molti di più di quelli rilevati con i tamponi riservati ai sintomatici gravi da ricoverare; se, come emerge da una tragica sequenza di testimonianze, sono in tanti a morire a casa senza riuscire ad accedere agli ospedali e senza diagnosi, diventa sempre più chiaro che un modello basato su una avanguardia ospedaliera priva di una retroguardia territoriale di diagnosi, prevenzione e terapia non ce la fa. Anche la complementarità tra presidi ospedalieri e medicina di territorio rientra tra i capisaldi abbandonati della riforma sanitaria del 1978, ma lasciamo stare e torniamo a noi.

Può esistere un uso democratico e non autoritario o totalitario delle tecnologie di monitoraggio e mappatura?

Secondo il virologo Andrea Crisanti, consulente della regione Veneto, la battaglia contro un’epidemia non si vince negli ospedali ma sul territorio, con la “sorveglianza attiva” dei medici di base che monitorano il contagio curando in quarantena i sintomatici e risalendo attraverso i loro contatti agli asintomatici, con un uso a cerchi concentrici dei tamponi. Il che consentirebbe tra l’altro, e crucialmente, di ottenere una misurazione del contagio reale più credibile di quella ufficiale, basata sulla tamponatura e la conta dei soli sintomatici e dunque sull’occultamento dell’insidia più grossa, cioè dei positivi asintomatici che continuano a trasmettere il virus senza saperlo, fuori casa e soprattutto in famiglia, sì che le famiglie rischiano di trasformarsi in focolai.

Il Veneto si muove in base a questo metodo di mappatura e sorveglianza territoriale. La Lombardia ha annunciato a sua volta, pochi giorni fa, un cambio di approccio, con un incremento della mobilitazione dei medici di base (che però, insieme agli ospedalieri, sono una categoria decimata dal contagio). La provincia di Siena ha deciso in proprio di estendere l’uso dei tamponi. Ma com’è evidente, e come il direttore dell’istituto Sacco di Milano ha più volte ripetuto in tv, questa sterzata sarebbe urgente nel centrosud, dove il contagio non è (ancora) esponenziale e in questo modo potrebbe essere contenuto senza incombere troppo sulla debolezza delle strutture ospedaliere.

Perché allora nel sud non si procede nettamente, e pubblicamente, in questa direzione, invece di continuare a sigillare con i carabinieri i comuni dove spuntano i focolai, o ad aspettare la saturazione ospedaliera che prima o poi arriverà fatalmente? Perché scarseggiano i tamponi, si dirà. O perché mancano direttive chiare di politica sanitaria? O perché ciascuna regione, ciascuna provincia, ciascun comune è legittimato a fare come vuole o come può, secondo il criterio neoliberale della medicina fai da te? Arrivano notizie buone, di nuovi test che potrebbero verificare la presenza di anticorpi in chi ha già contratto il virus o se ne è immunizzato: sarebbero fondamentali per le strategie di uscita dal lockdown. Li producono gli Stati Uniti e la Cina, e in Italia è già partita la corsa delle regioni del centronord per accaparrarseli. Dal Cnr gli immunologi fanno sapere che così non va e che ci vuole un protocollo nazionale: la politica che dice?

Modelli a confronto
Terza questione. L’Italia ha seguito il modello cinese del lockdown, dopodiché tutti gli altri paesi occidentali, quale più quale meno, si sono accodati. In verità l’abbiamo seguito inevitabilmente a metà: perché la Cina ha chiuso solo una provincia e noi invece abbiamo dovuto chiudere tutto il paese, perché lì la reclusione è stata più rigida che qui, e perché i metodi con cui la reclusione è stata imposta lì – da quelli polizieschi classici alle tecnologie della sorveglianza: tracciamento dei dati personali, telecamere, droni, riconoscimento vocale e facciale – non sono (ancora?) tutti proponibili in una democrazia come la nostra.

Ma il modello cinese non era l’unico possibile: c’era anche quello della Corea del Sud che è a sua volta un paese democratico e non ha chiuso niente, eppure è riuscita a domare l’epidemia. In Corea del Sud identificano i sintomatici, anche lievi, con tamponi facilmente eseguibili per strada stando in auto, li isolano in quarantene selettive e tracciano i loro contatti attraverso le carte di credito, la geolocalizzazione degli smartphone e le telecamere, rilevando così la mappa precisa del contagio e risalendo anche agli asintomatici. Infine, usano app programmate per segnalare a ciascuno dove sono i rischi di contagio. Com’è noto il metodo ha funzionato: a oggi la Corea del Sud è fuori dall’epidemia, e chi ha studiato da vicino l’esperimento sudcoreano sottolinea che l’uso dei dati personali anonimi – temporaneo, finalizzato all’emergenza Covid-19, pubblico e condiviso – non ha avuto le caratteristiche autoritarie che ha avuto in Cina.

Domanda: il governo italiano ha scelto la via cinese pour cause o di default, senza neanche prendere in considerazione quella coreana? E se l’ha scelta intenzionalmente, delle opzioni in campo non avrebbe dovuto essere informata e investita l’opinione pubblica, secondo il criterio della trasparenza tanto spesso evocato e rivendicato da Conte? Solo pochi giorni fa, quando sul paragone tra la via cinese e quella sudcoreana i social si interrogavano già almeno da una settimana, il consulente del ministro della sanità Walter Ricciardi, in un’intervista di seconda serata su una rete all news, ha detto di avere analizzato il metodo coreano e di essersi persuaso a consigliarlo al governo, e ha annunciato la call, poi effettivamente lanciata sul sito del ministero, per l’elaborazione di app di telemedicina, assistenza domiciliare ai pazienti, monitoraggio attivo del rischio di contagio, che saranno vagliate in relazione alla loro efficacia e alla compatibilità con la tutela della privacy. A che punto è l’offerta delle app e la loro valutazione? Oltre che con la tutela della privacy, l’adozione di queste tecnologie è compatibile con le infrastrutture esistenti in Italia (la rete sta già scoppiando per l’improvviso uso estensivo del telelavoro), nonché con il tasso di alfabetizzazione digitale del nostro paese, sicuramente assai inferiore a quello della Corea del Sud, di Taiwan o di Singapore? Può esistere un uso democratico e non autoritario o totalitario di queste tecnologie? Si può, con un’informazione corretta, abbassare il tasso di allarme tecnofobico di chi teme per la raccolta dei dati sensibili a fini sanitari e poi li cede in continuazione su internet a fini commerciali?

Invece che inchiodarsi sulla contrapposizione tra sicurezza sanitaria ed esigenze dell’economia, come ha fatto all’inizio dell’epidemia procurando oscillazioni deleterie e come ricomincia a fare adesso, il dibattito pubblico dovrebbe virare su questo ordine di questioni. Che verosimilmente diventerà presto quello decisivo, perché è evidente che la soluzione tecnologica è l’unica alternativa che abbiamo a una clausura inevitabile nella fase di esplosione del contagio, ma sicuramente difficile da prorogare se e quando da questa fase usciremo ma il virus continuerà a circolare, salvo tornare a recludersi ogni volta che si accenderanno nuovi focolai o che la curva epidemica rischierà di rialzarsi.

La scelta è tra il rimedio medievale della quarantena, basato sulla segregazione all’interno di mura mai abbastanza spesse da impedire a un virus di penetrarle, e l’uso di una tecnologia che avendo la stessa forma virale del “nemico” si presta forse meglio a seguirne e contrastarne l’espansione. Ma è anche tra la disposizione psicologica e politica alla condizione bellica dell’assedio – peraltro puramente difensivo – contro un agente esterno, e la disposizione psicologica e politica a una vigilanza che lo schiva e lo sorveglia con la consapevolezza che è ormai interno alla nostra specie, e resterà tra noi fino a quando non negozieremo con lui una qualche forma di convivenza pacifica o di immunizzazione

 

05 – UE A FUOCO LENTO. CONTE AI TEDESCHI: “SCRIVIAMO LA STORIA NON L’ECONOMIA”. INTERVISTA DEL PREMIER ALLA TV ARD. MA I TEDESCHI TORNANO A PARLARE DI MES. DALLA COMMISSIONE 100MLD PER IL LAVORO. E GLI STATI MEMBRI BALBETTANO ANCHE SU ORBAN , di Angela Mauro
“Io e la Merkel abbiamo espresso due visioni diverse durante la nostra discussione. Ne approfitto e lo dico a tutti cittadini tedeschi: noi non stiamo scrivendo una pagina di un manuale di economia, stiamo scrivendo una pagina di un libro di storia”. Giuseppe Conte entra nel dibattito in corso in Germania sulle misure europee da adottare per fronteggiare la crisi economica scatenata dal coronavirus. In un’intervista alla tv tedesca Ard, il premier lancia un altro appello all’Ue: “E’ un’emergenza della quale non è responsabile nessun singolo Paese, non si tratta di tensioni finanziarie. L’Ue come risponde? L’Ue compete con la Cina, con gli Usa che hanno stanziato 2mila miliardi per reagire, in Ue cosa vogliamo fare? Ogni Stato membro vuole andare per conto suo? Se la reazione non sarà coesa, vigorosa, coordinata, l’Europa diventerà sempre meno competitiva nello spazio globale di mercato”.

Ma l’Ue reagisce ancora lenta, sia sul coronavirus che sull’altro fronte che si è aperto in Ungheria, con la mossa di Viktor Orban di aggiudicarsi pieni poteri approfittando dell’emergenza, con votazione a maggioranza in Parlamento ma di fatto esautorando il Parlamento.

Dal punto di vista italiano, la buona notizia è che il ministro delle Finanze olandese Wopke Hoekstra è costretto a fare autocritica, incalzato dalle accuse in patria. “Ho mostrato poca empatia” con i paesi del sud Europa, ammette, “l’appello alla solidarietà ha senso, una Europa forte è nel nostro interesse. Avremmo dovuto fare di meglio, a cominciare da me”. Chapeau. Ma questo non significa che gli olandesi si stiano orientando sugli eurobond per condividere i rischi economici da coronavirus. Anzi, i loro colleghi tedeschi oggi riportano in pista l’uso del Fondo salva Stati.

La Commissione europea invece sta mettendo a punto una proposta per mobilitare risorse fino a 100 miliardi di euro per sostenere il lavoro nei Paesi colpiti dall’emergenza.

Ma è ancora lunga la strada fino all’Eurogruppo di martedì prossimo. Domani intanto si riuniscono gli sherpa dei ministeri dell’Economia dei paesi Ue, lo faranno anche il prossimo 6 aprile.

“La nostra posizione sui Coronabond è ferma, ma non quella sulla solidarietà – specifica Hoekstra – Non ho passato il messaggio con sufficiente empatia. Ma vogliamo vedere in modo solidale cosa è razionale e ragionevole” fare.

Che significa? La ‘traduzione’ arriva da Berlino. Il ministro tedesco delle Finanze, il socialista Olaf Scholz, sottolinea che la strada è quella del Meccanismo europeo di stabilità e non degli eurobond. “Il Mes – dice Scholz – ha una capacità di credito di circa 500 miliardi di euro ed è molto stabile. La mia convinzione è che lì ci sia una realtà in cui si può aprire una linea di credito precauzionale per semplificare il finanziamento degli Stati”.

Ne parla anche il direttore generale del Mes, il tedesco Klaus Regling, in un’intervista al Financial Times. Per arrivare ai coronabond ci vuole troppo tempo, è la sua argomentazione. E quindi la scelta più logica “è usare le istituzioni esistenti con i meccanismi esistenti”. Vale a dire i fondi del Mes, a condizionalità ridotta. Che non significa senza condizionalità come aveva chiesto l’Italia con la Spagna, la Francia e altri paesi con i bilanci più deboli. “Fondamentalmente – dice Regling – ci basterebbe essere sicuri che i soldi siano spesi in modo corretto e che il Mes venga ripagato un giorno”. Che significa: piano di rientro a emergenza finita.

Sul tavolo della discussione, in vista dell’Eurogruppo di martedì prossimo, resta la possibilità della terza via di cui ha parlato ieri il commissario all’Economia Paolo Gentiloni: bond emessi dalla Banca per gli Investimenti europea (Bei) con missioni precise legate all’emergenza coronavirus. Mentre la Commissione europea sta mettendo a punto una proposta per mobilitare risorse fino a 100 miliardi di euro al fine di finanziare le iniziative che i Paesi colpiti dall’emergenza coronavirus metteranno in campo per combattere l’attesa impennata della disoccupazione. Anche questa proposta dovrebbe finire sul tavolo dell’Eurogruppo della prossima settimana.

E’ un ennesimo passo da parte della Commissione, dopo la sospensione del Patto di stabilità e crescita. Ma non è ancora una misura di condivisione del rischio, di vera solidarietà europea. Per ora, dalla discussione sono scomparsi gli eurobond, anche se in Germania e Olanda è nato un certo dibattito su questo strumento: non era scontato, ma i rispettivi governi restano contrari.

Se le misure economiche anti-virus stentano a vedere la luce, anche sul fronte dei diritti e della democrazia l’Unione Europea si conferma quanto meno lenta. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen interviene sulla mossa di Orban: “E’ della massima importanza che le misure di emergenza” adottate dai governi Ue per il coronavirus “non vadano a scapito dei nostri valori fondamentali. La democrazia non può funzionare senza media liberi. Rispetto della libertà di espressione e certezza del diritto sono essenziali. Eventuali misure devono essere limitate al necessario, proporzionate e soggette a controllo. La Commissione europea seguirà da vicino la loro applicazione”.

Il presidente dell’Europarlamento David Sassoli dice al tg3 di aver “chiesto alla Commisisone Europea, che è custode dei trattati, di verificare se la legge ungherese sia conforme con l’articolo 2 del nostro Trattato. Tutti i paesi europei hanno il dovere di proteggere i nostri valori”.

Ma è il Consiglio europeo che dovrebbe adottare delle decisioni nei confronti dell’Ungheria. Tanto più che, come ricorda l’eurodeputato Carlo Calenda, “il Parlamento Europeo ha già chiesto che venissero presi provvedimenti per grave violazione dell’articolo 7 del Trattato sull’Ue, ma l’ultima mossa di Orban è una misura senza precedenti che necessita l’intervento tempestivo e determinato del Consiglio dell’Unione europea per sospendere l’Ungheria da ogni potere decisionale in Europa e dall’accesso a qualsiasi tipo di finanziamento”.

A gennaio scorso il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in cui chiedeva agli Stati membri di decidere su Polonia e Ungheria, visto che da tempo stanno verificando le violazioni dello stato di diritto in entrambi i paesi europei
Come se non bastasse il coronavirus, anche il caso Orban scuote l’Ue, ma senza provocare decisioni di sorta.

 

06 – LA MARCA (PD) ALL’AMBASCIATORE IN USA: TUTELARE LA SALUTE DEL PERSONALE DEI CONSOLATI E SALVAGUARDARE LA CONTINUITÀ DEL SERVIZIO AI CONNAZIONALI
“A seguito del preoccupante espandersi della pandemia da coronavirus in importanti aree degli Stati Uniti, nei giorni scorsi mi sono rivolta all’Ambasciatore d’Italia a Washington Armando Varricchio per chiedergli di considerare l’opportunità di estendere il più possibile le modalità di lavoro agile da casa al personale impegnato nelle nostre strutture consolari.
A questa interlocuzione con l’Ambasciatore Varricchio sono stata spinta da due motivazioni. La prima, di natura primaria, consistente nel dovere di tutelare la salute dei lavoratori che prestano servizio nei consolati e delle loro famiglie. L’altra, riguardante l’esigenza di salvaguardare la continuità dei servizi ai connazionali, sia pure nelle dimensioni compatibili con l’attuale momento, che da eventuali casi di contagio sarebbe stata irrimediabilmente compromessa.

L’Ambasciatore Varricchio ha dato cortese riscontro al mio messaggio precisando che l’Ambasciata ha disposto per tempo l’attivazione di una task force dedicata al coordinamento dell’emergenza in dialogo con i responsabili dei diversi consolati. Ha precisato, inoltre, che sono state già disposte turnazioni giornaliere ridotte a 2/3 persone per limitare la presenza nelle strutture degli impiegati, dando poi la possibilità agli altri di lavorare in modo flessibile da casa. Ha aggiunto, infine, che da oggi la turnazione sarebbe stata ulteriormente limitata in modo, comunque, da assicurare la possibilità di erogazione del servizio diretto ai connazionali almeno per un giorno a settimana.
Ringrazio l’Ambasciatore Varricchio per la sua cortese disponibilità ed esprimo gratitudine ai Consoli e a tutto il personale impegnato nei diversi terminali decentrati per il servizio che svolgono in condizioni di emergenza sanitaria al fine di non far mancare, nelle forme possibili nell’attuale grave momento, una positiva interlocuzione con tutti i connazionali che hanno la necessità di rivolgersi ai nostri consolati”. On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America

 

07 – SCHIRÒ (PD): GLI ENTI PROMOTORI DEI CORSI DI LINGUA E CULTURA ITALIANA ALL’ESTERO SONO ALLO STREMO. SI INTERVENGA SUBITO E IN MODO ADEGUATO, 1° APRILE 2020
“La pandemia sta incidendo in diverse situazioni – sanitaria, sociale, economica, culturale – tutte di grande importanza per la nostra vita individuale e collettiva. Dobbiamo reagire con tempestività, determinazione e capacità di adeguarci alle nuove condizioni, prima che si determinino danni irreversibili.

Questo è vero anche per la rete di promozione della lingua e cultura italiana nel mondo, che è uno degli assi portanti della presenza globale del nostro Paese. Una rete che coinvolge oltre due milioni di utenti e che vede nei corsi gestiti dagli enti promotori il suo nucleo più solido.

Detto con chiarezza, questo sistema, già prima dell’irrompere della pandemia, era in difficoltà. Solo una metà degli insegnanti inviati dall’Italia sono effettivamente arrivati sulle cattedre e, soprattutto, quest’anno gli enti promotori non hanno visto un euro di anticipazioni. Sono allo stremo e, nonostante ciò, hanno continuato la loro attività ricorrendo, chi lo ha potuto fare, a onerosi prestiti bancari e giovandosi del sacrificio dei tanti operatori che hanno continuato a lavorare senza retribuzione.

Il fermo delle attività determinato dalla pandemia ha indotto gli enti a riorganizzare la didattica con modalità online e anche in questo caso si è trattato di uno sforzo unilaterale, basato solo sulle proprie forze.
Ora non è più possibile continuare così. E’ necessario, se non si vuole assistere a una devastazione di uno dei punti di forza della politica culturale dell’Italia nel mondo, procedere con urgenza assoluta ad erogare le anticipazioni a enti che da anni sono conosciuti e operano con regolarità e dedizione. E non è ammissibile che queste erogazioni, ormai improcrastinabili, siano condizionate alla preventiva documentazione delle spese dell’insegnamento a distanza che si è da poco avviato e richiede altro tempo per entrare pienamente a regime.
Se non si levano subito questi macigni dal sentiero, si rischia di compromettere il corrente anno scolastico, di mettere fuori gioco alcuni enti promotori, e di non riuscire a preparare, già qui ed ora, l’apertura del nuovo anno scolastico, sul quale si scaricheranno questi ritardi e queste contraddizioni.

Viviamo momenti eccezionali, gravidi di rischi, che richiedono risposte altrettanto eccezionali, che non possono venire dalle tradizionali cadenze burocratiche. Faccio un appello vivo e accorato perché chi ha la responsabilità di intervenire per superare questa insostenibile situazione, lo faccia al più presto e con soluzioni adeguate”.
Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Deputati

 

08 – LA MARCA (PD) – CONNAZIONALI TEMPORANEAMENTE IN CANADA: L’AMBASCIATORE TAFFURI RISPONDE ALLA MIA RICHIESTA DI INFORMAZIONI, 3 APRILE 2020
“Le preoccupazioni che mi sono state manifestate da diversi connazionali temporaneamente residenti in Canada, in particolare per il ritardo nei rinnovi dei permessi e per il timore di non riuscire ad accedere a cure di emergenza nel malaugurato caso di contagio, mi hanno indotta a rappresentare all’Ambasciatore d’Italia Claudio Taffuri e ai Consoli operanti sul territorio la situazione di queste persone, sorprese in modo imprevedibile dalla pandemia.

L’ampia e cortese risposta dell’Ambasciatore Taffuri, oltre a contenere motivi di rassicurazione sull’impegno dei nostri rappresentanti diplomatici e consolari e sul personale che opera nelle nostre strutture, consente anche di fare un quadro più ampio della situazione.

Alle task force appositamente costituite presso ciascun consolato per dare aiuto ai nostri connazionali temporaneamente presenti si sono rivolte circa 1500 persone, di cui poco più di un terzo è stato aiutato a rientrare in Italia con voli ancora operativi.

È stata questa l’occasione per allargare il monitoraggio anche a non pochi connazionali che non si erano mai segnalati agli uffici e di questi 130 sono in attesa del rientro in Italia, con il supporto del nostro personale.

L’intervento dell’Ambasciata presso le autorità locali ha consentito inoltre di ottenere la proroga dei visti e degli eTA a scadenza, in ragione della situazione di emergenza in corso. Così come coloro che avevano visti per studio o per permesso di lavoro temporaneo ma si sono trovati occasionalmente fuori dal Canada, hanno la possibilità di farvi ritorno, nonostante il divieto di ingresso agli stranieri, compatibilmente con la disponibilità di voli.

L’ambasciatore Taffuri non ha dimenticato di sottolineare la dedizione di tutto il personale operante nelle nostre strutture che, nonostante, la turnazione delle presenze per ragioni cautelative e lo spostamento in smart working riesce tuttavia a coprire le esigenze di interlocuzione per l’intera giornata e per l’intera settimana.
Mi permetto di aggiungere a quelli dell’Ambasciatore Taffuri anche il mio riconoscimento e il mio ringraziamento per il personale in servizio, al quale non mancherà la gratitudine dell’intera nostra comunità.
Aggiungo la raccomandazione, per i connazionali che si trovino in difficoltà, di contattare immediatamente i numeri della rete di emergenza e ribadisco la mia personale disponibilità a raccogliere qualsiasi tipo di esigenza che si possa presentare perché la possa rappresentare alle autorità competenti”.
QUI possibile trovare i numeri di emergenza messi a disposizione dalla nostra rete diplomatica-consolare (da utilizzare soltanto in casi di reale emergenza, altrimenti contattare i numeri di telefono ordinari disponibili su questa pagina)
On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. -Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro Ameri

 

09 – BREVI NOTIZIE.

CRISI DEVASTANTE. La direttrice del Fondo monetario internazionale Kristalina Georgieva ha definito la crisi economica causata dall’epidemia di Coronavirus “senza precedenti” e di gran lunga peggiore di quella finanziaria di dieci anni fa (Cnbc). Possibile un taglio alla produzione di petrolio, ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin, ma solo con l’accordo di tutti gli Stati, Usa compresi (Ft).

Record negativo L’indice Pmi composito italiano, che monitora l’andamento dell’attività manifatturiera e dei servizi, ha toccato il suo minimo storico a marzo facendo segnare 20,2 punti, rispetto ai 50,7 di febbraio. Un crollo che ha interessato tutta l’Eurozona, piombata a 29,7 (Agi). Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, intervistato da La Stampa, avverte: “Se non arrivano subito i soldi, saltano gli stipendi”

Il decreto di aprile La ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ha delineato le prossime misure del governo che dovrebbero essere approvate lunedì e si concentreranno sullo stanziamento di 3 miliardi di euro per il reddito d’emergenza destinato a 3 milioni di lavoratori, anche in nero, e sul blocco dei licenziamenti (Il Sole 24 Ore). Raggiunto anche un accordo con il Mef per 200 miliardi di prestiti garantiti per sostenere le imprese.

Appuntamento rimandato È stata rinviata la chiamata prevista per giovedì prossimo tra il premier italiano Giuseppe Conte, quello spagnolo Pedro Sanchez e l’olandese Mark Rutte per un chiarimento sulla questione Coronabond. Conte avrebbe sollecitato la presenza della cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente francese Emmanuel Macron (La Stampa).

PANDEMIA IN ESPANSIONE
Nel mondo il numero di vittime da Covid-19 è salito oltre 58 mila mentre i contagiati hanno superato il milione e 88 mila (John Hopkins University). Gli Usa sono di gran lunga il primo paese per persone infette, circa 270 mila, con un totale di quasi 7 mila morti.

Quanto si espande il virus nelle aree metropolitane (Nyt).
Il report di Google sugli spostamenti in 131 Paesi (The Verge).
In caso d’emergenza In particolare crisi è lo Stato di New York dove le persone contagiate sono ormai 100 mila e i morti sono balzati a quasi 3 mila (Nyt). Il governatore Andrew Cuomo ha detto che è pronto a prendere respiratori e dispositivi di protezione da quelle strutture sanitarie private che al momento non ne stanno facendo uso (Ap).

Verso il lockdown Il direttore dell’Istituto statunitense di malattie infettive Anthony Fauci ha detto che in tutti gli Stati Uniti dovrebbe esserci l’ordine di restare in casa per tutti i cittadini e si è chiesto come mai questo non sia ancora stato deciso (Washington Post).

Gli esperti che portano Trump ad ascoltare la scienza (Cnn).
La disoccupazione esplode A marzo gli Usa si sono persi 701 mila posti di lavoro, interrompendo così una striscia record di 113 mesi consecutivi di crescita dell’occupazione (Reuters). Ma questi dati rischiano solo di essere un antipasto di un calo imminente molto più pesante (Bloomberg).

LA GUERRA DELLE MASCHERINE
Mentre l’Ue ha deciso di sospendere dazi e Iva sull’importazione dei dispositivi medici da Paesi terzi (Politico). Il presidente statunitense Donald Trump ha cercato di forzare l’azienda americana 3M ad esportare negli Stati Uniti mascherine realizzate all’estero e destinate ad altri Stati (Ft).

Il virus nell’aria Diversi studi parlano di una diffusione del Covid-19 anche via aerosol e stanno così spingendo nella direzione dell’obbligo di utilizzo delle mascherine, in attesa che l’Oms riveda le sue indicazioni in merito (Il Sole 24 Ore). Ma il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro ha precisato che al momento non esistono evidenze scientifiche (Adnkronos).

BOLLETTINO ITALIANO
Gli ultimi dati diffusi dalla Protezione civile segnalano 766 nuove vittime, per un totale di 14.681, mentre altre 1.480 persone si sommano ai 19.758 guariti. Il numero ufficiale di contagiati è 85.388, in aumento di 2.339 rispetto al giorno precedente (RaiNews 24). Dall’inizio dell’epidemia sono morti 73 medici.

Occhio al calendario Il capo della Protezione civile Angelo Borrelli ha ricordato che è compito del governo decidere le tempistiche per la riapertura delle attività, mentre in mattinata aveva anticipato che il lockdown sarebbe durato almeno fino al 1° maggio, ipotizzando l’inizio di una “fase 2” dal 16 maggio (Ansa). Negli ultimi due giorni quasi 15 mila persone hanno violato le restrizioni senza un valido motivo (Corriere).

Parola ai laboratori Con una circolare il ministero della Salute ha fornito i dettagli sulle categorie di persone con la priorità per fare il tampone (Repubblica). Lo stesso dicastero ha aggiunto che i test sugli anticorpi al momento non possono sostituire quelli molecolari sull’Rna virale per decretare l’infezione (Adnkronos).

Primo riavvicinamento Il premier Conte ha incontrato in videoconferenza i presidenti delle Regioni per provare a superare le tensioni e le polemiche degli scorsi giorni (Repubblica).

FRONTI EUROPEI
Il Regno Unito arranca Con 684 nuove vittime il totale dei decessi nel Regno Unito supera i 3.600; i contagiati sono oltre 38 mila. Il ministro della Salute ha chiesto ai britannici di rimanere in casa in vista del weekend, avvertendo che le morti potrebbero salire a mille al giorno entro Pasqua (The Independent). Intanto il sistema sanitario è sempre più in difficoltà e con ogni probabilità non riuscirà a rispettare la promessa del governo di realizzare 100 mila test al giorno entro fine mese (Guardian).

Parla la Regina Domenica sera la Elisabetta II terrà un discorso alla nazione focalizzato sull’emergenza in corso. Si tratta della quarta volta in 68 anni che la regina si rivolge ai britannici in circostanze eccezionali (The Telegraph).

Crescita inarrestabile Per il secondo giorno consecutivo in Spagna sono state superate le 900 vittime: il conto totale è ormai a un passo dagli 11 mila decessi. Il numero dei contagiati ha oltrepassato quota 117 mila (El Mundo). Il governo intanto pensa di prorogare lo stato di emergenza fino al 26 aprile (El Pais). In Francia si sono invece contate 588 vittime in 24 ore, per un totale di oltre 6.500 (Le Monde).

Fermezza teutonica Mentre la Germania ha superato i 1.000 morti e si avvicina agli 85 mila contagiati, la cancelliera Angela Merkel ha detto che è ancora troppo presto per pensare di allentare le restrizioni imposte finora (Dw).

MEDIA&TECH
Minacce russe Il giornalista della Stampa Jacopo Iacoboni ha subìto un’intimidazione in una nota diffusa dal ministero della Difesa russa per un articolo in cui sollevava dubbi sugli aiuti del Cremlino all’Italia. Sono intervenuti i ministeri degli Esteri e della Difesa italiani per ringraziare Mosca del supporto, ma sottolineando i valori della libertà di espressione e del diritto di critica nel nostro Paese (La Stampa).

Smart Tg Da ieri, ogni giorno, un’intera edizione del telegiornale di Sky TG24 viene realizzata da remoto per quanto riguarda la conduzione, il coordinamento e la regia.

WEEKENDER
Imparare a fallire, i film andati malissimo alla loro uscita (Rivista Studio).
Non si può ingannare il naso (Aeon).
La comunità ebraica cubana che sta sparendo (1843).
Il cervello autistico nella famiglia (Il Tascabile).
OGGI
Gran Bretagna, risultati relativi alla nomina del nuovo leader dei Labour.

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