20 02 22 NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ ESTERO ED ALTRE COMUNICAZIONI

01 – Schirò (Pd): dolore per l’ennesima strage xenofoba in Germania. La strage di stampo razzista e xenofobo compiuto ad Hanau ci colpisce tutti, profondamente.
02 – La Marca (Pd): Alla presentazione del libro “tra accoglienza ed emigrazione” ho sottolineato il valore dell’inclusione degli italiani nei paesi di insediamento e del multiculturalismo.
03 – Schirò (Pd): completo sostegno al comitato unitario per la libera circolazione costituito a Berna contro l’iniziativa regressiva dell’udc.
04 – Italiani all’estero, Sottosegretario Merlo a Londra inaugura il primo Sportello Assistenza Brexit In tempi di Brexit, a Londra uno sportello per gli italiani
05 -Aldo Tortorella: A trent’anni dal crollo del muro di Berlino. La fine della sinistra, la crisi del capitalismo e l’esigenza di un nuovo socialismo.
06 – Il Piano Trump è l’imbroglio del secolo. Il piano del Presidente statunitense Donald Trump per risolvere la “questione palestinese”, il cosiddetto “affare del secolo”, è una grande trappola, un imbroglio, e ci vuole poco a capire il perché.
07 – Gli anni ’70 e le colpe della politica: le lettere di moro lette da Fabrizio Gifuni. A teatro. “con il vostro irridente silenzio”
08 – Il taglio dei parlamentari è un colpo alla Carta, Alfiero Grandi su Il Riformista 18 2 20. L’assordante congiura del silenzio.
09 – BREXIT | Sottosegretario Merlo a Londra: “Entro marzo quasi tutti gli italiani in UK saranno iscritti all’AIRE”.
10 – Articoli di Alfiero Grandi su Il Manifesto e su Left contro il taglio del parlamento in vista del referendum del 29 marzo prossimo. Vander sul Manifesto solleva diversi problemi sul referendum costituzionale.
11 – Ciao a tutti, Quest’anno ci siamo avvicinati all’8 marzo con le dichiarazioni di Matteo Salvini sull’aborto, gravissime e strumentali. Di fronte a consultori sempre più depotenziati, all’aumento dei medici obiettori, alla mancanza di politiche per le famiglie, è necessaria una risposta a chi parla ignorando la legislazione in vigore, colpevolizzando chi non vuole affrontare una gravidanza, mettendo in discussione il diritto di scelta delle donne

 

01 – SCHIRÒ (PD): DOLORE PER L’ENNESIMA STRAGE XENOFOBA IN GERMANIA.
La strage di stampo razzista e xenofobo compiuto ad Hanau ci colpisce tutti, profondamente.
Il gesto di un killer solitario, soggiogato dall’odio razzista e dalla paura per il diverso, che ha ucciso dieci persone e ne ha ferite gravemente quattro prima di togliersi la vita, non può che essere condannato con fermezza.
Ancora una volta, si è trattato di un attacco vile alle persone, alla loro dignità e alla vita. E davanti alle immagini dei luoghi colpiti, ancora una volta, non possiamo che chiederci come sia potuto accadere. Le parole della Cancelliera Angela Merkel sono una risposta chiara e nello stesso tempo un monito: “Il razzismo è un veleno, l’odio è un veleno che esiste nella nostra società”.
Nessuno ne è immune. Nemmeno la Germania, che pure è il paese europeo che più ha dovuto confrontarsi con il suo passato e con le atrocità generate dall’odio e dalla violenza razzista. Un Paese che continua a pagare un tributo altissimo al fanatismo estremista. In questi ultimi anni, le stragi di stampo xenofobo, antisemita, islamista hanno fatto decine di vittime. Sono passati pochi mesi dall’attacco della sinagoga di Halle e dall’assassinio di Walter Luebcke, e soltanto pochi giorni dalla scoperta di un commando terroristico che organizzava attacchi contro migranti. Tutto questo ci impone di fermarci e di riflettere. E’ necessario individuare risposte adeguate per contrastare la crescita di questi fenomeni, spesso difficili da riconoscere, ma di cui siamo quotidiani testimoni e che avvelenano la nostra convivenza civile.

Come italo-tedesca e come cittadina europea desidero esprimere la mia profonda solidarietà alla Germania e alle sue istituzioni, il mio cordoglio alle famiglie delle vittime e la mia vicinanza agli amici delle comunità curde e turche.

In Europa, in questi ultimi anni, abbiamo assistito a inediti flussi migratori provenienti da zone del mondo colpiti da crisi economiche, ambientali e guerre. Questi movimenti di popoli rischiano, oggi, di mettere in discussione i nostri valori fondamentali, legati alla dignità delle persone, alla pace e alla giustizia. Siamo testimoni quotidiani della crescita esponenziale di atti di intolleranza xenofoba e razzista, di un inedito uso di parole d’odio e di disprezzo che va di pari passo ad uno uso spregiudicato del linguaggio utilizzato dal dibattito politico e pubblico quando si parla d’immigrazione, di minoranze etniche, ma anche di donne.

Da europei sappiamo che non possiamo permetterci di alzare muri, costruire comunità chiuse ed esclusive, selezionare e scartare. Sappiamo con certezza che questa prospettiva genera violenza. Compito dell’Europa, il nostro compito, è piuttosto quello di ripensare il suo approccio alle migrazioni, alla giustizia sociale, alle pari opportunità, all’istruzione.

Da italo-tedesca, sono bene che l’integrazione nelle società di accoglienza è un processo complesso che necessita di tante cose, ma soprattutto di una visione fatta di politiche economiche, sociali e culturali adeguate, di formazione e istruzione, di sostegno alle famiglie di origine, di costruzione di reti sociali, ma anche di diritti civili essenziali, quali il diritto alla cittadinanza.

Dobbiamo sforzarci di dare risposte concrete a quello che sta a monte delle paure, dei pregiudizi, dei razzismi: le disuguaglianze sociali, la perdita e il degrado del lavoro, un’economia ingiusta per milioni di persone, la crisi ambientale, la solitudine e l’abbandono delle periferie.

In questa prospettiva, il ruolo e la sensibilità dei giovani europei sono fondamentali. Noi giovani italiani per la nostra storia collettiva, anche in emigrazione, possiamo fare la differenza per costruire le basi di un necessario rinnovamento europeo.
Alle famiglie delle vittime il mio pensiero e il nostro impegno di europei e di migranti per una convivenza pacifica e solidale.
Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa –

 

02 – LA MARCA (PD): ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO “TRA ACCOGLIENZA ED EMIGRAZIONE” HO SOTTOLINEATO IL VALORE DELL’INCLUSIONE DEGLI ITALIANI NEI PAESI DI INSEDIAMENTO E DEL MULTICULTURALISMO. “Ho partecipato con vero piacere, giovedì 20 febbraio presso la Camera dei Deputati, alla presentazione del volume curato dal Prof. Giovanni Cerchia, “Tra accoglienza e pregiudizio. Emigrazione e immigrazione nella storia dell’ultimo secolo: da Sacco e Vanzetti a Jerry Essan Masslo”. La pubblicazione, assieme ad altre iniziative sullo stesso tema, è promossa dalla Fondazione Giorgio Amendola e dall’Associazione Lucana Carlo Levi. ROMA, 21 FEBBRAIO 2020
I contributi riguardano per una prima metà il percorso di americanizzazione che gli italiani hanno compiuto negli USA, portando sulle spalle un peso di discriminazione, marginalità, ghettizzazione e vere e proprie persecuzioni, di cui la vicenda di Sacco e Vanzetti rappresenta un caso esemplare. Ma con la loro determinazione, la loro resistenza e il loro lavoro, alla fine gli italiani sono riusciti a guadagnarsi una condizione di cittadinanza paritaria, pur tra persistenti pregiudizi e stereotipi che ancora avvolgono la nostra comunità.

Nel mio intervento ho cercato di portare la mia esperienza di italodiscendente di seconda generazione, tratteggiando anche la differenza tra il percorso di inclusione degli italiani in USA rispetto a quello degli italiani in Canada.

Ho insistito, poi, sull’opportunità di guardare con umiltà ed attenzione ad altre esperienze maturate nel mondo, come a quella della diaspora ebraica, che ha saputo dare straordinari esempi di compattezza e di radicamento in diverse realtà, e a quella del multiculturalismo, che proprio in Canada ha trovato la sua culla più propizia. L’Italia, contemporaneamente Paese di emigrazione, di immigrazione e di nuova emigrazione, per il suo bene deve accettare la sfida dell’interculturalità. In questa maniera costruirà una società più coesa e avanzata e, nello stesso tempo, potrà giovarsi di una più forte proiezione nel mondo”.
On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. – Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America

 

03 – SCHIRÒ (PD): COMPLETO SOSTEGNO AL COMITATO UNITARIO PER LA LIBERA CIRCOLAZIONE COSTITUITO A BERNA CONTRO L’INIZIATIVA REGRESSIVA DELL’UDC. “A Berna si è costituito un comitato, composto da numerose organizzazioni italiane in Svizzera, con il compito di opporsi in modo fermo e ragionato all’iniziativa dell’Unione Democratica di Centro (UDC) mirante ad abolire la libera circolazione dei migranti nel territorio elvetico. ROMA, 21 FEBBRAIO 2020
L’iniziativa dell’UDC rappresenta un ennesimo attacco ai diritti dei lavoratori e delle loro famiglie, che in caso di successo comporterebbe pesanti ripercussioni sulla condizione di vita e di lavoro delle persone in termini di permessi di soggiorno, ricongiungimenti familiari, prestazioni previdenziali e altro ancora.
Essa, inoltre, comporterebbe anche la caduta degli accordi bilaterali che regolano in modo preciso e utile le possibilità di ingresso di particolare categorie, in genere di alta qualificazione e utili allo sviluppo dei paesi coinvolti.
Condivido particolarmente l’impostazione data dal Comitato, quella di partire dai diritti delle persone, senza trascurare le conseguenze non indifferenti che ricadrebbero sulle attività produttive dalla limitazione della circolazione dei lavoratori.
Per questo, esprimo la mia completa condivisione e solidarietà verso il Comitato unitario per la libera circolazione e la mia convinta disponibilità ad accompagnare, qualora si rivelasse utile, la sua azione anche con eventuali iniziative parlamentari”.
Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa –

 

04 – ITALIANI ALL’ESTERO, SOTTOSEGRETARIO MERLO A LONDRA INAUGURA IL PRIMO SPORTELLO ASSISTENZA BREXIT IN TEMPI DI BREXIT, A LONDRA UNO SPORTELLO PER GLI ITALIANI. IL CONSOLATO APRE LE PORTE PER AIUTARE I CONNAZIONALI. Operativo da oggi nel Consolato generale d’Italia a Londra il primo Sportello Assistenza Brexit, concepito per dare assistenza – con l’aiuto di personale messo a disposizione da associazioni e patronati – ai connazionali residenti nel Regno Unito piu’ anziani e con minore dimestichezza digitale chiamati a registrarsi presso l’Eu Settlement Scheme, ossia il registro informatico ad hoc creato dal ministero dell’Interno britannico per garantire ai cittadini europei già residenti nel Paese fino al 30 giugno 2021 di mantenere gli stessi diritti attuali anche dopo la Brexit.
Ad inaugurare l’iniziativa, alla presenza del Console Generale Marco Villani, è stato il Sottosegretario agli Esteri, Sen. Ricardo Merlo, in missione ufficiale nel Regno Unito, insieme al Direttore generale per gli italiani all’estero alla Farnesina, Luigi Vignali.
Merlo, che durante l’evento ha parlato di un rinnovato “impegno di questo governo per gli italiani all’estero”, domani sarà a Manchester per scegliere la sede del nuovo Consolato locale. Apertura, ha ricordato lo stesso Sottosegretario, che si affianca a quelle recenti di Tenerife, in Spagna, e Vitoria, in Brasile, e ad altre che seguiranno nel continente americano e in Africa.
L’esponente del governo italiano ha inoltre evidenziato non solo l’inversione di tendenza “in questa legislatura” rispetto alle 54 chiusure di sedi consolari registrate dal 2010, ma anche l’assunzione di 477 persone dopo “20 anni di tagli”.

 

05 -ALDO TORTORELLA: A TRENT’ANNI DAL CROLLO DEL MURO DI BERLINO. LA FINE DELLA SINISTRA, LA CRISI DEL CAPITALISMO E L’ESIGENZA DI UN NUOVO SOCIALISMO.
Pubblichiamo il testo della relazione introduttiva del compagno Aldo Tortorella al convegno “A trent’anni dal crollo del muro di Berlino. La fine della sinistra, la crisi del capitalismo e l’esigenza di un nuovo socialismo”, organizzato a Roma dall’associazione Futura Umanità lo scorso 7 febbraio.

Lo scopo di questo incontro è riassunto dal titolo che indica come oggetto di “analisi e di confronto” un periodo storico – “a trent’anni dalla caduta del muro di Berlino” – due affermazioni – “la fine della sinistra e la crisi del capitalismo” – e un auspicio, quello di “un nuovo socialismo”. Intorno a questa materia concettuale tanto coraggiosamente estesa, c’è ormai, come si sa, una letteratura molto vasta, difficile o impossibile da maneggiare tutta, sicchè si può capire bene l’esitazione ad accogliere la cortese sollecitazione del compagno Ciofi ad una introduzione. Ma, avendolo accettato, si può incominciare interrogandosi su parole del titolo che paiono aver perso significato. A partire dalla parola “sinistra”.

Parola che, riferendosi a chi siede a sinistra del presidente nelle aule della rappresentanza, da che e finchè una rappresentanza esiste indica un luogo che sarà sempre occupato fisicamente da qualcuno, generando la denominazione di forze politiche storicamente, e cioè a seconda del tempo e della comunità statale cui partecipavano, molto diverse tra loro per valori morali e per sollecitazioni materiali, cioè economiche. La grande ampiezza di queste motivazioni, dal giacobinismo alla destra socialdemocratica, rende complicato affermare una volta per tutte ciò che abbia da essere una forza di sinistra. Si può dire senz’altro, però, che la sua prima origine sia in un insieme di valori – la giustizia sociale, la libertà, l’eguaglianza, la fraternità come solidarietà operativa- visti dalla parte delle classi subalterne e che si incontrano con i loro bisogni e con il loro moto spontaneo. Un desiderio di miglioramento civile e morale senza gli oppressi finisce come la repubblica napoletana del ‘99, come già fu spiegato da un protagonista sopravvissuto (il grande Vincenzo Cuoco). Ma gli oppressi e gli sfruttati privi degli strumenti ideali per la propria liberazione non possono che essere sconfitti o ritornare plebe.

Credo che, da parte della sinistra politica non solo italiana, sia stato un errore ignorare l’esigenza di tenere ben presenti queste due esigenze di identificazione, quella materiale e quella ideale, e, anzi, di eluderle entrambe. Non è stato così per le classi dominanti. La nota proposizione della Thatcher “la società non esiste, esistono individui, famiglie, uomini e donne” implica una concezione etica e un programma economico e deriva da una lunga tradizione di pensiero che ha seguito e accompagnato l’affermarsi del capitalismo. Il medesimo Trump dell’“America first”, com’è evidente, è portatore e altoparlante di una ideologia la cui compattezza non è minore della sua talora disgustosa grossolanità.

Più nobilmente, all’inizio del secolo passato, la teorizzazione del rapporto tra etica protestante e spirito del capitalismo, per quante contestazioni siano state fatte a quel saggio famoso (di Max Weber), richiamò l’attenzione sull’intreccio tra due sfere già messe in relazione dai due giovani autori del Manifesto del comunismo nel chiarire l’etica nuova espressa dalla centralità del profitto. Una relazione che Gramsci approfondirà in contrasto con la vulgata del tempo suo per convincere coloro che lo avrebbero letto, a partire dai suoi compagni, della necessità di impegnarsi su entrambi i fronti, cosa che avvenne per un certo tempo nel suo partito anche se con limiti ed errori. Errori su cui riflettere ancora oggi dato che il ripudio del passato in luogo del suo esame critico, lascia nudo chi lo compie, senza identità e senza avvenire, come si è visto in una ridda di autonegazioni senza fine del proprio nome e del proprio essere, e impedisce di capire con esattezza dove si è veramente sbagliato, ripetendo gli errori.

Lo sfondamento da destra e la vittoria planetaria del modello capitalistico, sia pure in varietà di regimi politici, è stata ovviamente determinata dal suo innegabile successo quantitativo nella produzione di merci di cui era difficile vedere le conseguenze negative (nella distribuzione della ricchezza e nella distruzione dell’ambiente naturale) per effetto di una campagna ideologica di grande efficacia perché essa interveniva sulle sclerosi del pensiero e sulle tragedie della sinistra novecentesca. E anche perché si accompagnava a presunte evidenze logiche bene espresse dal motto (di Deng Xiaoping) “non importa se il gatto è rosso o nero, l’importante è che prenda il topo”, motto contadino auto-evidente che, però omette di dire che ci vorrebbe un gatto di strepitosa cultura per non mangiarsi un topo avvelenato.

L’efficacia di quella campagna ideologica derivava anche da un retroterra culturale molto aggiornato dato che, come ci spiegano i docenti della materia, non mancano, anzi abbondano i testi contemporanei che, sottolineano il significato morale a loro giudizio positivo sia dell’individualismo proprietario, sia di determinati fondamenti etici nelle relazioni su cui si fonda il capitalismo anche di autori di orientamenti diversi (come, ad esempio, il rapporto di fiducia che presiede alle relazioni finanziarie, secondo Amartya Senn, oppure il valore vitale dell’emergere del più forte come in Robert Nozick, polemico contro una teoria della giustizia, pure assai prudente, come quella del concittadino statunitense Rawls). Un retroterra notevole a prescindere dagli sforzi fatti consapevolmente dallo stato guida, cioè dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, per sorreggere e divulgare la propria ideologia di sostegno, i propri intellettuali organici, i propri prodotti culturali.

Pensare che dopo il crollo della esperienza sovietica potesse esistere una sinistra senza una ridefinizione della propria essenza, se così posso dire, cioè senza un ridefinizione dei propri valori e della propria concezione della struttura economica, non poteva che essere esiziale. Ciò non riguardava solo il movimento comunista terzinternazionalista a lungo convinto, anche qui da noi, che il socialismo si fosse già stabilmente avviato nella pur terribile e tragica esperienza del primo stato che aveva soppresso radicalmente la proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio. Il bisogno di una propria ridefinizione riguardava anche quelle parti del movimento comunista che quella esperienza avevano respinto o combattuto in nome della democrazia, come da un certo momento in poi accadde anche al partito italiano, ma senza portare a termine un riesame di se stesso, tentato dall’ultimo Berlinguer, dinnanzi alle modificazioni nel capitalismo, in qualche misura previste alla lontana da Marx, e avvenute sotto la spinta dell’avanzamento della scienza e della tecnologia.

Ma la interpretazione, data dalla maggioranza della sinistra del tempo di un tale bisogno di auto riforma, fu disastrosa. Di fronte allo sconvolgimento planetario di quel crollo e alla vittoria di un capitalismo lontano e opposto a Keynes, guidato dal neoliberismo della restaurazione conservatrice reaganiana, parve ai più anche nel movimento socialista, che pure poteva vantare la sua fede democratica, che il riesame di se stessi e del proprio esserci dovesse significare una piena adesione al modello vincente e il ripudio di quanto nel proprio passato potesse ricordare una qualche somiglianza con il mondo sconfitto. Il “new labour” di Blair e la SPD come “neue mitte”, nuovo centro, di Schroeder ne furono il frutto mentre, qui da noi, il partito socialista scompariva a causa di una simile precedente involuzione e il partito comunista, ancora maggioritario a sinistra, compiva la sua abiura, la sua metamorfosi e la sua scissione, anziché discernere tra errori e meriti nel proprio impianto fondativo e nelle proprie politiche. Si affermava la piena e acritica adesione non solo alla società data e ai suoi valori ma alla stessa gestione nei liberista dell’economia. Prevaleva la linea della governabilità su quella della rappresentanza delle classi lavoratrici. L’accesso al governo diveniva un valore in se stesso, come fine e non come mezzo per attuare un programma serio nell’interesse del paese, e cioè innanzitutto delle classi subalterne. Le conseguenze pesanti di questa linea per molta parte delle classi lavoratrici in occidente e per tanti popoli travolti dalle guerre neocoloniali si videro particolarmente con la crisi del 2007-2008.

Non deve stupire, però, che quel che rimane seduto sugli scranni di sinistra del nostro parlamento sia prevalentemente espressione di quel cedimento a tendenze moderate o persino ultra moderate. O addirittura destrorse, come si è visto nella nuova scissione del partito democratico operata dal suo inverosimile ex capo, quello che sostituiva lo scontro con il sindacato dei lavoratori alla spinta egualitaria, e tramutava la lotta per l’attuazione della Costituzione nel suo contrario. Non deve stupire perché l’adesione acritica alle compatibilità date e ai valori vincenti ha portato ad un relativo mutamento di base sociale: se rimanevano o arrivavano settori di ceto medio e popolari gran parte dei settori più disagiati delle classi subalterne si è sentita ed è stata abbandonata offrendosi alle paure fomentate da destra e ad una sorta di contraffatto linguaggio di classe (il popolo contro l’elite). Né potevano aver presa settori detti alternativi ma sostanzialmente nostalgici sia pure di tradizioni diverse.

Molto tempo è stato perduto. Uno che fu dirigente autorevole del PD e presidente del consiglio ha detto che la sinistra (la sua) ha dimenticato di criticare il capitalismo. Meglio tardi che mai per l’autocritica. Ma bisogna anche interrogarsi su quale critica sia oggi necessaria. Non basta constatare che il capitalismo ha generato, com’è nella sua natura, un abisso tra i ricchi e i poveri a livello dei singoli stati e entro di essi e che l’idea dello sviluppo infinito su cui il capitalismo si sorregge ha determinato una devastazione dell’ambiente tale da far temere per il destino della specie. Contemporaneamente esso si è appropriato di quello che Marx chiamava il cervello sociale, cioè il sapere scientifico e tecnologico, usandolo allo scopo del profitto e della sua medesima perpetuazione. Il capitalismo delle piattaforme informatiche non è la medesima cosa di quello dell’industria seriale che pure sopravvive e sfrutta nei paesi emergenti una classe operaia mai così vasta nel mondo come oggi. Mentre nelle metropoli il terziario è diventato ultra maggioritario e la comunanza dei lavoratori diventa più difficile che mai per le diversità, la precarietà, lo sminuzzamento delle competenze. Lo sfruttamento è più vero di prima ma si fa più arduo comprenderlo per organizzare una risposta solidale.

E bisogna chiedersi se basta la difesa pur necessaria dello stato sociale, invenzione originata dal bisogno di pace sociale del conservatorismo illuminato e legata alla prosperità e dunque in crisi quando il ciclo economico capitalistico va in declino. Una sinistra ha bisogno di verità. Non si può lottare per una nuova politica economica qui ed ora senza chiedersi quale sia il margine di oscillazione entro cui è possibile operare a livello nazionale nel tempo presente, all’interno di un mercato globale dominato dal capitale finanziario e all’interno di una associazione sovranazionale come quella europea dominata dal paese più forte in cui la costruzione unitaria non è diventata autonomia internazionale in modo che si è instaurata la doppia fedeltà, alla comunità e all’impero. E’ ovvio che una aggregazione europea autonoma corrisponde ad una necessità storica a garanzia di pace, ma è stato un errore abbandonare la bandiera della nazione ai supposti sovranisti pronti a prostrarsi al paese guida: come ha mostrato il capo leghista applaudendo il Trump del drone assassino e così andando oltre il pur vergognoso silenzio dei governanti europei.

Il tempo si è fatto così buio che siamo arrivati alla vergogna della risoluzione del parlamento europeo che per compiacere i più reazionari dei regimi dell’est cambia la storia e mette i nazisti, che generarono una guerra spaventosa, decine di milioni di morti, il genocidio degli ebrei e dei rom, delitti e distruzioni immani, sullo stesso piano dell’Unione Sovietica, che, per quanto aspre siano le critiche da fare ai suoi dirigenti, ha contribuito in modo determinante a salvare l’Europa e il mondo dalla barbarie. Riappropriarsi della memoria storica delle grandi lotte del passato del movimento operaio e dei suoi partiti è essenziale, non per riprodurle come furono, non per giustificare gli errori, ma per ricordare che sono anche quelle lotte che hanno fatto progredire il mondo e la democrazia. Bisognerebbe alzare con orgoglio la testa per tutto ciò che di buono è stato fatto.

Il pericolo è grande ma anche le forze di movimenti alternativi sono numerose e forti. Il nuovo femminismo non è più un movimento d’elite, al contrario è stato ed è uno dei più potenti negli stessi Stati Uniti. Il movimento ecologista se da noi è fragile è grande in Europa. I sindacati dei lavoratori paiono ritrovare una nuova unità. La rabbia degli esclusi è grande. Il movimento antimafia mobilita ancora tanti giovani. Ma il mondo dei movimenti e della proposta alternativa è sommamente diviso. Riscoprire e rimotivare la necessità dell’unione senza pretese di priorità dovrebbe essere il primo problema.

Noi siamo confortati oggi dal fatto che la parola socialismo e i valori socialisti fino ad ieri totalmente tabù nel paese guida dell’impero hanno ritrovato cittadinanza laggiù per merito di un vecchio compagno socialista, Sanders, e ora per un giovane che, oltre a tutte le sue qualità, noi sentiamo vicino anche come figlio di Buttigieg, presidente della International Gramsci society da non molto scomparso, caro amico e compagno di sentimenti. Sentiamo che in molti paesi gli sfruttati scendono in lotte spontanee. E assistiamo al fatto inaudito che una ragazzina tiene testa al più potente e arrogante uomo del mondo, dicendo la verità sulla rovina ambientale.

Qui da noi è stato detto dal governatore emiliano vincente che le sardine hanno ricordato alla sinistra la necessità di scendere in piazza. Non hanno ricordato solo questo. Quei giovani iniziatori del movimento hanno chiamato a scendere in piazza perché sentivano offesi dei valori comuni e per ricordarli a tutti. La correttezza istituzionale, spregiata da un ex ministro dell’interno e dalla sua coorte. L’esclusione della violenza fisica e verbale dal dibattito politico. Il rifiuto della riduzione a slogan semplicistici di problemi complessi. Il valore della Costituzione italiana, una Costituzione che è un lascito grande dell’antifascismo e della resistenza e indica misure neglette o abbandonate che sono, invece, da attuare. Una Costituzione che contiene principi di tipo socialistico, innanzitutto quello dell’uguaglianza sostanziale e non solo formale. E alla fine da quelle piazze si levava il canto dei partigiani. Sono questi sentimenti e questi valori che dovrebbero essere realmente vissuti da chi vuol chiedere la rappresentanza popolare e vuol proporsi di ripensare una sinistra. Unitamente alla consapevolezza del tempo nuovo creato dal sapere, delle nuove aspre difficoltà ma anche delle nuove possibilità per una volontà trasformatrice

 

06 – IL PIANO TRUMP È L’IMBROGLIO DEL SECOLO. IL PIANO DEL PRESIDENTE STATUNITENSE DONALD TRUMP PER RISOLVERE LA “QUESTIONE PALESTINESE”, IL COSIDDETTO “AFFARE DEL SECOLO”, È UNA GRANDE TRAPPOLA, UN IMBROGLIO, E CI VUOLE POCO A CAPIRE IL PERCHÉ. Andiamo con ordine. di Rania Hammad *
Innanzitutto, non dimentichiamo che gli Stati Uniti non sono mai stati neutrali in questo conflitto ma hanno sempre agito nell’interesse di Israele e delle lobby ebraiche. Non dimentichiamo che Israele e Stati Uniti insieme hanno sempre mentito e diffuso storie completamente false, facendo pensare che fosse la parte palestinese a rifiutare generose offerte. In realtà nel frattempo Israele si annetteva grandi fette di territorio lasciando ai palestinesi sempre meno di quello che prevedeva il diritto internazionale, e lasciandoli totalmente dipendenti da Israele, nonché circondati dal suo esercito e senza accesso alla propria terra, al proprio mare o al proprio cielo. Fondamentalmente i vari piani (mai negoziati, ma sempre imposti ai palestinesi) hanno sempre mantenuto la stessa linea: imporre alla nazione palestinese di essere relegata in uno staterello con una totale dipendenza e soggiogazione politica, militare ed economica. Questa è sempre stata la strategia politica e ideologica sionista. E i cosiddetti “valori” di base, quelli morali o meno, sono evidenziati dalle loro azioni quotidiane, con le confische, la distruzione dei terreni, degli alberi, delle case e della vita. Gli stessi “valori” sono nei numeri dei bambini uccisi, 546 in 50 giorni a Gaza nel 2014. Anziché chiederci perché i palestinesi rifiutano il piano di Trump o qualsiasi altro piano, domandiamoci quale tipo di società non provi assolutamente nulla dopo l’uccisione di centinaia di bambini, così come si chiede il noto giornalista israeliano Gideon Levy.

A dire il vero, l’affare del secolo non è l’affare di Trump, ma è l’affare del sionismo, che inizia nel lontano 1917, con la dichiarazione Balfour e che rimane fedele all’antico disegno colonialista. Si tratta di nuovi abiti per un vecchio progetto. E come nella fiaba, l’abito è fatto di nulla, e possiamo vedere cosa c’è sotto.

È importante ricordare che nell’anno 2000, il premier israeliano Ehud Barak, aveva anche lui proposto un generoso accordo (secondo la stampa e l’immaginario collettivo ben alimentato dai media mainstream), quello di Camp David. Un piano altrettanto inaccettabile come riportò allora B’tselem, organizazzione israeliana per il rispetto dei diritti umani nei territori occupati. Anche allora, il mondo intero fu convinto che Israele avesse fatto delle concessioni eclatanti, sbandierando la “generosa” offerta, per convincere il mondo che i palestinesi fossero quelli irragionevoli e folli che lo rifiutavano.

Sia Camp David, che l’affare del secolo di Trump, sono proposte indecenti, accompagnate da efficaci ed ingannevoli campagne mediatiche per demonizzare ed incolpare le vittime, i palestinesi. In realtà, a questi ultimi si chiede di accettare uno scambio di terra sbilanciato, la perdita della propria capitale, una colonizzazione ed un sistema di apartheid perenni. Un sistema di apartheid più sanguinario di quello del Sudafrica e con crimini infinitamente peggiori, come spesso dicono gli stessi sudafricani, e come ha sempre dichiarato il professor John Dugard, relatore speciale, nei suoi rapporti in sede ONU. Non c’è confronto tra Israele e Sudafrica, l’apartheid israeliano è di gran lunga più crudele e più spietato.

Solo una attenta analisi e l’ascolto delle motivazioni e aspirazione del popolo palestinese, possono farci comprendere la vastità dell’imbroglio.

Il piano-complotto del presidente Trump, rivendicato come “affare del secolo” e pensato insieme al suo genero-consigliere Jared Kushner, prevede una serie di inaccettabili presupposti. Gerusalemme indivisa ed eterna capitale dello Stato d’Israele, in contraddizione con le risoluzioni ONU e contro i diritti inalienabili del popolo palestinese. Il luogo sacro e spirituale per i palestinesi, la moschea di Al Aqsa a Gerusalemme, diverrebbe proprietà dello Stato ebraico e i fedeli musulmani potrebbero accedervi solo con il permesso delle autorità israeliane.

I palestinesi comprendono bene il significato di una tale condizione, vale a dire, lo strapotere dello Stato israeliano. Nella pratica significherebbe che, come già avviene anche per i malati di tumore e per le partorienti, la burocrazia israeliana con i suoi “permessi” può uccidere, come di fatto uccide. Dipendere dalla benevolenza israeliana per i permessi speciali, è l’umiliazione più grande per i palestinesi, e la dimostrazione che la loro stessa vita è nella mani di Israele, uno Stato che commette un genocidio silenzioso, come ammette lo storico israeliano Ilan Pappe.

L’affare del secolo vuole che i palestinesi accettino di far sorgere sul 11% di quella che era una volta la loro Palestina storica, questo staterello, che sarebbe diviso in ghetti-bantustan, circondati da insediamenti e strade a uso esclusivo dei cittadini ebrei. Realtà già concretizzata sul territorio palestinese con la costruzione di insediamenti israeliani in tutti questi anni di falsi processi di pace. Fino a questo momento infatti si erano create le basi pratiche, la Linea verde era stata cancellata e i territori dei palestinesi erano de facto già annessi da tempo. La funzione degli insediamenti, sempre riconosciuti come illegali, ma condonati da tutte le amministrazioni statunitensi, è quella di eliminare la soluzione dei due Stati. Con il piano di Trump, la destra israeliana vuole rendere questa occupazione irreversibile in maniera permanente, legalizzandola e fermando qualsiasi tipo di opposizione all’annessione.

I confini del cosiddetto “mini-Stato” andrebbero sotto il controllo di Israele che non concederebbe un briciolo di sovranità effettiva, né indipendenza. Neanche un possibile futuro esercito per lo Stato palestinese che, secondo Israele, non avrebbe il diritto di difendersi dalle aggressioni. Perché la sicurezza vale per un popolo e non per l’altro. La stessa Amnesty International ha dichiarato che si tratta di un piano “squallido” che aggraverebbe le violazioni e sancirebbe l’impunità.

Mentre l’amministrazione Trump enfatizza il principio degli scambi di territorio, il piano mira solo a consolidare le conquiste coloniali. In decenni di occupazione militare, Israele ha di fatto imposto un sistema di discriminazione istituzionalizzato contro i palestinesi sotto il suo dominio. Infatti, lo scambio di territori prevede anche il trasferimento dei residenti palestinesi in Israele verso zone del futuro Stato palestinese. Una sorta di pulizia etnica, con la necessaria separazione delle popolazioni, pretendendo che i palestinesi lascino le loro terre e case “liberando” le città per i soli cittadini ebrei.

Ai palestinesi è chiesto di dare una risposta entro 4 anni e di riconoscere Israele come Stato “ebraico” con Gerusalemme capitale. Solo che i palestinesi avevano già riconosciuto Israele con gli accordi di Oslo e con quell’accordo avevano stabilito che Gerusalemme non era la loro capitale indivisibile, ma che Gerusalemme est, occupata da Israele nella guerra del 1967, avrebbe fatto parte delle trattative finali, e che avrebbe dovuto essere la capitale del futuro Stato palestinese. Cosa è rimasto allora di quell’accordo? La proposta, quindi, è in aperta violazione delle risoluzioni Onu come anche la risoluzione 194, che riconosce il “Diritto al Ritorno” a più di 7 milioni di profughi palestinesi che dal 1948 (data di nascita dello Stato d’Israele) sono stati cacciati dalle loro case. Il Piano chiede loro di dimenticare e rinunciare ai loro diritti, violando la legge internazionale che prevede questo diritto umano individuale e che non può essere trasformato in una concessione politica. Ai profughi palestinesi, che vivono tutt’oggi nei campi profughi dei Paesi arabi limitrofi, si impone di rimanere lì, come profughi. Invece di garantire loro il diritto al ritorno, si chiede ai palestinesi di accettare una compensazione monetaria per i rifugiati e a quelli fuggiti o espulsi di dimenticare la propria patria per sempre.

Non solo. Ai palestinesi viene chiesto di accettare lo smantellamento e la fine degli aiuti dell’UNRWA, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, creata dall’ONU nel 1949. Cosa più assurda ed ingiusta, il Piano di Trump prevede l’annullamento di tutte le risoluzioni dell’ONU riguardanti la questione palestinese ed il conflitto mediorientale.

Ai palestinesi è chiesto anche di disarmare la Striscia di Gaza e di consegnare le armi, affidandosi alla benevolenza del loro vicino Israele che possiede ed usa armi sofisticate e perfino proibite, come hanno ammesso loro stessi, usando la popolazione di Gaza come cavia nella sperimentazione degli armamenti. Dettaglio non indifferente e che vede Autorità Nazionale Palestinese e Hamas d’accordo nel rifiutare tali proposte.

Dinanzi a queste richieste, i palestinesi con le loro leadership di ANP in Cisgiordania e di Hamas a Gaza, fino a questo momento separati fisicamente e geograficamente, nonché politicamente, hanno detto NO al cosiddetto “affare del secolo” di Trump e della sua amministrazione. Perché Il governo statunitense non è in grado di contribuire ad una risoluzione del conflitto mediorientale, anzi lo aggrava. Anche per questo motivo, i palestinesi hanno dichiarato di non volere nessuna relazione con una amministrazione che viola la legalità internazionale e rinnega i diritti del popolo palestinese, riconosciutici dalle Nazioni Unite. Il Presidente Palestinese Abu Mazen dunque chiede di rompere ogni relazione con il governo di Israele, compresa la collaborazione in materia di sicurezza, anche perché Israele ha di fatto violato tutti gli accordi stipulati con i palestinesi.

Israele oggi ha scelto l’annessione e l’occupazione. Dovrà assumersi la sua responsabilità in quanto potenza occupante e rispettare i suoi doveri nei confronti della popolazione civile. La lotta dei palestinesi è anche una lotta per i diritti civili. Diritti inalienabili, che obbligheranno Israele a guardarsi allo specchio e a scegliere se essere una democrazia o uno Stato ebraico colonialista.

L’Europa e l’Italia possono aiutare, ma solo se difenderanno e tuteleranno i diritti umani e la legalità internazionale. Non viviamo in una giungla, ma in una società di nazioni, e quello per cui abbiamo lottato dopo la grande guerra, e sancito in legge dopo la seconda guerra mondiale, è stato proprio il rispetto del diritto internazionale e la difesa dei diritti umani. Abbiamo scritto “mai più”. Mai più genocidi. Quindi non possiamo permettere alle lobby, e nemmeno a quella israeliana di silenziare l’Europa, criminalizzando l’opposizione all’occupazione israeliana della Palestina con accuse di anti-semitismo. Cercare di mischiare le carte in tavola non farà altro che confondere e creare più violenza e odio. Se l’Europa vuole davvero aiutare, si deve scrollare di dosso il suo senso di colpa rispetto al passato e guardare al presente. Per farlo non può certo fermare il piano di annessione di Trump parlando gentilmente con Israele, tentando di persuaderla. È arrivato il momento di agire, sanzionando un paese responsabile di crimini contro l’umanità, e che resta il paese colonialista con la più lunga occupazione militare in epoca moderna.
* Rania Hammad è rappresentante della Comunità palestinese di Roma e attivista per i diritti umani.

 

07 – GLI ANNI ’70 E LE COLPE DELLA POLITICA: LE LETTERE DI MORO LETTE DA FABRIZIO GIFUNI. A TEATRO. «CON IL VOSTRO IRRIDENTE SILENZIO» in scena fino al 23 febbraio al Vascello di Roma
Il caso Moro, la terribile sorte del capo della Dc, anzi l’uomo che per quel partito stava per divenire capo di un primo governo di alleanza con il Pci di Berlinguer, è un pezzo di storia che ancora brucia nel nostro paese. Sia per le scelte dei governanti di allora che portarono alla sua uccisione, sia perché la partecipazione di apparati dello stato a quella «operazione» in qualche torbida maniera, sembra oggi una realtà ancora da scoprire e appurare fino in fondo.

LE STESSE lettere dello statista pugliese, quelle che dalla prigionia venivano recapitate fuori da parte delle brigate rosse, nonché il memoriale che con lucidità crudele e disperata egli andava disegnando in quei lunghi giorni del 1978, non sono mai state approfondite: in parte sperdute, in buona parte rinvenute solo casualmente dopo una quindicina d’anni nei lavori di ristrutturazione dell’appartamento/prigione. Oggi probabilmente quei fatti appaiono molto lontani, se non integralmente sconosciuti, ai ragazzi, che certo non le studiano a scuola.

QUELLO che ora Fabrizio Gifuni porta in scena (titolo Con il vostro irridente silenzio, in scena fino a domani con una doppia recita serale aggiunta per le prenotazioni andate tutte esaurite) non si può dire uno spettacolo, almeno non in senso tradizionale.

SOLO, davanti a un leggìo al centro di un quadrato bianco, con in mano quel consistente mazzo di fogli che va leggendo con crescente immedesimazione, l’attore sembra, più che recitare, officiare un rito. Neanche troppo liberatorio, perché anche apprendere verità finora oscurate, o correre con la mente a una ricostruzione «logica» di quanto è accaduto in quei mesi, provoca innanzitutto angoscia, e dolore, oltre che possibile «sorpresa».
In realtà da quella voce che svela il vero volto, i trascorsi e le colpe di una intera classe politica (non solo democristiana) che da decenni governava l’Italia, sale anche la rabbia, e lo sdegno e quasi l’incredulità, mentre le pedine vanno al loro posto sullo scacchiere della politica e su quello dei valori. Mentre non manca la sensazione di paura che può lecitamente serpeggiare in chi non ha mai voluto vedere e capire oltre lo schermo di quelle sbarre: non di piombo, ma di pensiero, anche se «plumbei» resta la definizione della storia per quegli anni. Anni di cospirazione da parte di organi dello stato, di grandi manovre e interessi giganteschi, che con linguaggio semplice ma colto, lucido quanto ficcante, Aldo Moro svela e fa comprendere a chiunque lo voglia stare a sentire, ancora oggi a più di quarant’anni da quegli avvenimenti.
PER FABRIZIO GIFUNI non è solo una grande prova d’attore (come concentrazione e forza di convincimento), ma una performance straordinaria, e anche fisicamente durissima, di come un palcoscenico può diventare il luogo di incontro, conoscenza e maturazione di una comunità. Una vocazione da cui era originariamente nato nella Atene di tanti secoli fa, e che in questo caso torna a guidare chi voglia farsi rabdomante della verità.

 

08 – IL TAGLIO DEI PARLAMENTARI È UN COLPO ALLA CARTA, ALFIERO GRANDI SU IL RIFORMISTA 18 2 20. L’ASSORDANTE CONGIURA DEL SILENZIO. IL GOVERNO HA FISSATO UNA DATA MOLTO RAVVICINATA PER IL REFERENDUM COSTITUZIONALE. HA PREVALSO LA CONVINZIONE CHE POTREBBE ESSERE UN PERICOLO, PER CHI VUOLE AD OGNI COSTO IL TAGLIO DEL PARLAMENTO, DARE PIÙ TEMPO AD ELETTRICI ED ELETTORI PER CAPIRE SU COSA VOTERANNO IL 29 MARZO.
Del resto tutti i partiti presenti in parlamento, seppure in fasi diverse, hanno votato a favore. Prima la maggioranza giallo verde del governo Conte 1, poi nell’ultimo voto della Camera la nuova maggioranza tra M5Stelle e sinistre. Le sinistre prima avevano votato contro, poi con un brusco cambio di posizione hanno capovolto il voto contrario iniziale.
Rendendosi conto dell’enormità del fatto (o ci si era sbagliati prima, o ci si è sbagliati dopo) hanno posto alcune condizioni al voto favorevole al taglio dei parlamentari: altre modifiche alla Costituzione, per ora scomparse nella nebbia, e una nuova legge elettorale, che viene presentata come proporzionale ma che in realtà non lo è perchè prevede di innalzare al 5 % la soglia (oggi è al 3 %) per eleggere i deputati, ma il risultato sarà in realtà più alto perchè peserebbe il 37 % di parlamentari in meno. Naturalmente è la media di Trilussa, in molti casi la soglia reale diventerebbe molto più alta. Comunque anche la nuova legge elettorale è avvolta nella nebbia. Sia le ulteriori modifiche della Costituzione, sia la proposta di nuova legge elettorale sono state presentate per giustificare il capovolgimento di posizione in vista del voto del 29 marzo, ma in realtà si voterà solo sul taglio dei parlamentari. Il resto non c’è.
Per fortuna la Corte costituzionale, anche ascoltando gli argomenti dei nostri avvocati Besostri e Adami, ha bocciato il referendum truffa della Lega che voleva arrivare ad un maggioritario secco, attraverso trucchi ed artifici.
Il 29 marzo quindi si voterà solo sul taglio del parlamento, mediamente il 36,5 %, creando così due camere ridotte di oltre un terzo, creando seri problemi al loro funzionamento. Basta leggere il dossier degli uffici studi di Camera e Senato disponibili su Internet per capirlo. Ad esempio dovranno essere cambiati i regolamenti di Camera e Senato, che finora hanno richiesto un paio di anni.
Perchè il taglio del parlamento ? Per risparmiare ? Il risparmio è lo 0,007 % del bilancio dello stato (Cottarelli), un cappuccino a testa all’anno. Di Maio per cercare, invano, di dimostrare che il risparmio sarebbe molto alto ha dovuto moltiplicare per 10 anni una cifra arrotondata verso l’alto.
Comunque sia il costo non può essere l’argomento per tagliare il parlamento. Il parlamento è diventato il punto centrale di un attacco demagogico contro la casta, dimenticando che il suo ruolo è centrale nella Costituzione e intaccarlo significa metterne in discussione l’equilibrio, aprire uno scenario di ulteriori modifiche.
Eppure la Camera dei Deputati è stata riconquistata dopo la vittoria sul nazifascismo perchè era stata abolita per lasciare spazio ad un organo del regime fascista, dovremmo sempre ricordarlo.
E’ vero il parlamento ha una crisi di credibilità presso i cittadini. La risposta non sta nel contribuire ad aggravarla ma nel rimuoverne le ragioni.

In questi anni le leggi elettorali hanno consolidato un parlamento di nominati dai capi. Gli elettori possono scegliere la lista non chi li deve rappresentare, creando una prima frattura con gli elettori che non sanno chi entrerà in parlamento. Anni di uso a raffica di decreti legge da parte dei governi, spesso senza ragioni di urgenza, di voti di fiducia ripetuti, Ha creato una prassi di preponderanza politica del governo sul parlamento fino ad invertire i ruoli. Il parlamento dovrebbe approvare le leggi che il governo deve applicare sotto il suo controllo, invece oggi la discussione verte su come togliere le garanzie dell’articolo 67 sulla libertà di comportamento dei parlamentari. Il risultato di questo taglio dei parlamentari sarebbe definitivamente un parlamento di yes man, di soldatini del voto.
Sotto tiro non è solo il parlamento ma la Costituzione e l’assetto istituzionale della nostra democrazia, faticosamente conquistata. Infatti dare un colpo alla rappresentanza, come è il taglio del 37 %, vuol dire compromettere la capacità di rappresentare gli elettori e insieme aprire una fase di instabilità istituzionale che la destra fiuta come possibile e che traduce nella richiesta di maggioritario spinto, di pieni poteri verso l’uomo solo al comando, di presidente eletto direttamente, quindi capo di una maggioranza, non più figura di garanzia istituzionale e tra i poteri. Se il parlamento prende un colpo ulteriore e diventa il parafulmine di tutte le insoddisfazioni non solo non troverà soluzione il malessere di tanti cittadini ma si rischia seriamente di aprire una fase di ulteriore modifiche della Costituzione, il cui impianto rischia di essere in discussione.
La discussione sul taglio del parlamento viene condotta con supponenza da chi da per scontato l’esito del referendum. Vedremo. Anche nel 2016 il No veniva dato al 20 % e sappiamo com’è finita. Certo ogni volta la situazione è diversa, ma oggi è in gioco l’esigenza di arrestare una deriva demagogica e populista che si è concentrata sul taglio del parlamento. Eppure il M5Stelle dovrebbe sapere che l’esperienza di governo con la Lega non gli ha portato fortuna. Anzi ha perso più della metà dei voti a favore dell’alleato. La destra è pronta a beneficiare ulteriormente di questa fase e il taglio dei parlamentari porterebbe ancora acqua al mulino della destra, con buona pace del M5Stelle.
Non si deve dimenticare che fu Berlusconi a proporre di fare votare solo i capigruppo in parlamento, confermando una concezione ben povera del ruolo del parlamento, del resto confermato dal voto che Ruby era la nipote di Mubarak. Perchè mai si dovrebbe oggi portare acqua alla destra colpendo seriamente il ruolo del parlamento ? Non contano le buone intenzioni, peseranno i fatti come il taglio del parlamento.
Alfiero Grandi

 

09 – BREXIT | SOTTOSEGRETARIO MERLO A LONDRA: “ENTRO MARZO QUASI TUTTI GLI ITALIANI IN UK SARANNO ISCRITTI ALL’AIRE”. NON SOLO. SPIEGA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI RICARDO MERLO: “IN UN FUTURO NON LONTANO, IL CONSOLATO DI LONDRA SARÀ IN GRADO DI OFFRIRE AI NOSTRI CONNAZIONALI SERVIZI CONSOLARI IN TEMPO REALE”
L’esponente del governo italiano oggi ha visitato la sede del Consolato Generale d’Italia a Londra, “potenziato grazie ai fondi che abbiamo stanziato col decreto Brexit”, dichiara il Sottosegretario, che su Facebook scrive: “Oltre 100 impiegati per un lavoro che è davvero senza pause”.
“Entro marzo quasi tutti gli italiani residenti nel Regno Unito saranno regolarmente iscritti all’AIRE – prosegue Merlo -, anche grazie al sistema Fast It che sta dimostrando di funzionare molto bene. Di più: in un futuro non lontano, il Consolato di Londra sarà in grado di offrire ai nostri connazionali servizi consolari IN TEMPO REALE, anche grazie all’uso della tecnologia. No, non è fantascienza: presto sarà realtà”.
“Sono grato al nostro Console Marco Villani e al Direttore generale per gli italiani all’estero della Farnesina, Luigi Vignali, per il grande lavoro che stanno portando avanti. In tempi di Brexit – conclude il Sottosegretario Merlo – siamo vicini come non mai agli italiani del Regno Unito e lo stiamo dimostrando con i fatti”.

 

10 – ARTICOLI DI ALFIERO GRANDI SU IL MANIFESTO E SU LEFT CONTRO IL TAGLIO DEL PARLAMENTO IN VISTA DEL REFERENDUM DEL 29 MARZO PROSSIMO. VANDER SUL MANIFESTO SOLLEVA DIVERSI PROBLEMI SUL REFERENDUM COSTITUZIONALE.
Allarme condivisibile. Se si cambia la Costituzione per consentire un accordo di governo ci si avvia su una china pericolosa. Eppure non hanno reagito esponenti della sinistra che avevano definito la Costituzione la più bella del mondo. Né altri che l’avevano definita un bene comune, da tutelare per il bene della democrazia in Italia.
Eppure nel 1939 la Camera è stata abolita dal fascismo che ne ha fatto un organo del regime. Il parlamento è stato riconquistato dopo la vittoria sul nazifascismo, con l’elezione della Costituente, che ha consentito alle donne di votare per la prima volta, e con la Costituzione, che ha al centro il parlamento come lo conosciamo oggi.
Curiose le posizioni in campo. La destra, che oggi sbraita, ha approvato il taglio del parlamento perchè ha ceduto al richiamo della foresta dell’antipolitica. Prima la Lega al governo, poi Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Le sinistre che avevano votato contro tre volte hanno capovolto la posizione pur di formare il governo e hanno votato a favore nell’ultima votazione. Avvertendo l’enormità del cambio di posizione, che ha creato un fronte dei partiti contro il ruolo del parlamento, di cui fanno parte, ci si è inventati altre modifiche costituzionali, ma non vale la pena di discuterne perchè sono impantanate in parlamento. Alle ulteriori modifiche della Costituzione è stata aggiunta la proposta di una nuova legge elettorale, con un testo frettoloso, a torto definito proporzionale, perchè prevede una soglia reale di accesso all’elezione del 7 % per i deputati e del 14 % per i senatori. Resteranno 3 o 4 partiti e milioni di elettori non avranno rappresentanti.
Il M5Stelle ha condotto una battaglia demagogica contro il parlamento che porterà solo voti alla destra. La lezione del dimezzamento dei voti a favore della Lega non è bastata. Il M5Stelle tenta di fare due parti in commedia: casta e anticasta, vedremo.
Solo la società può difendere il ruolo del parlamento contro cambiamenti pericolosi della Costituzione. Vander ha ragione. E’ comprensibile che la società sia confusa, preoccupata. Per questo è importante che alcuni settori della società e delle competenze, come il Coordinamento per la Democrazia costituzionale, abbiano scelto il No. Abbiamo aspettato le 71 firme dei senatori perchè non avevamo la forza e i soldi per raccogliere le firme per promuovere noi il referendum.
Ora il referendum c’è e ci siamo attivati. Non ci sono alibi. Noi abbiamo scelto. Il 15 gennaio abbiamo costituito dal notaio il nostro Comitato per il No e siamo partiti, senza soldi e senza strutture, ma convinti delle nostre ragioni e faremo di tutto per riaffermare la centralità del parlamento, per mettere un argine alla demagogia e al populismo che ha già fatto danni e altri ne farà, se non fermato dalla vittoria del No.
C’è chi pensa che sia una battaglia perduta. Avremo l’orgoglio di averci provato e non dimentichiamo che nel 2016 ci davano al 20 %.
C’è chi pensa che si e no siano una scelta troppo stretta, dimenticando che è chi ha voluto il taglio del parlamento. Il No è una reazione a un attacco alla Costituzione e al parlamento.
C’è chi pensa che si rompano uova nel paniere della sinistra, o in pollai vicini, vuol dire che non ha chiaro che la Costituzione è un pilastro della nostra democrazia e vale la pena difenderne i capisaldi, senza cedere a interessi immediati.
Noi siamo impegnati a pieno ritmo, nascono comitati locali, ci aiuterebbero altre energie per rafforzare il No. Se siamo in ritardo è anche perchè troppi assistono ma non scendono in campo contro una destra pericolosa e per spingere le sinistre ad avere coraggio. Non abbiamo interessi personali, solo convinzioni radicate, altri dovranno spiegare se possono dire altrettanto. ( di Alfiero Grandi)

 

11 – CIAO A TUTTI, QUEST’ANNO CI SIAMO AVVICINATI ALL’8 MARZO CON LE DICHIARAZIONI DI MATTEO SALVINI SULL’ABORTO, GRAVISSIME E STRUMENTALI. DI FRONTE A CONSULTORI SEMPRE PIÙ DEPOTENZIATI, ALL’AUMENTO DEI MEDICI OBIETTORI, ALLA MANCANZA DI POLITICHE PER LE FAMIGLIE, È NECESSARIA UNA RISPOSTA A CHI PARLA IGNORANDO LA LEGISLAZIONE IN VIGORE, COLPEVOLIZZANDO CHI NON VUOLE AFFRONTARE UNA GRAVIDANZA, METTENDO IN DISCUSSIONE IL DIRITTO DI SCELTA DELLE DONNE.

Per rispondere alle sue parole, per ristabilire un minimo di verità, va fatta chiarezza:

1) Nessuna donna abortisce in Pronto Soccorso: l’interruzione volontaria di gravidanza è regolata da 40 anni dalla Legge 194, che prevede un percorso lungo e tortuoso: bisogna presentare un certificato di gravidanza, poi c’è un colloquio obbligatorio con un medico, che è tenuto per legge a esaminare con la paziente possibili alternative. Poi sette giorni obbligatori di attesa. Infine l’operazione.

2) Qualcuno chiede di abortire in Pronto Soccorso? Sì, sono le donne (spesso quelle più in difficoltà) che non hanno idea dell’esistenza dei consultori, e che vengono rimandate a casa.

3) A cosa si riferiva Salvini, allora? Probabilmente alla cosiddetta “pillola del giorno dopo”, che può essere effettivamente data in pronto soccorso, oltre che nelle farmacie e nelle parafarmacie;

4) In commercio esistono due tipi di pillola del giorno dopo: Norlevo (Levonorgestrel) e Ellaone (Ulipristal acetato). Entrambe vanno assunte il prima possibile dal rapporto a rischio, la prima necessariamente entro 72 ore, la seconda entro 120 ore.

5) Qui c’è il punto chiave: la “pillola del giorno dopo” NON è un metodo abortivo, ma anticoncezionale. Agendo prima del concepimento, blocca l’ovulazione e la sposta di circa cinque giorni, rendendo infecondabile l’ovocita.

6) “Fa male”, come dice Salvini? No. Lo ha spiegato Emilio Arisi, ginecologo e presidente della Società Medica Italiana per la Contraccezione: “In quanto ai fenomeni collaterali non esiste farmaco che non ne abbia dall’aspirina agli antibiotici. Nel caso della CE (contraccezione d’emergenza, come sarebbe più giusto chiamarla) sono modesti e di poco significato clinico, a maggior ragione se posti in relazione con l’obiettivo che si vuole ottenere con la contraccezione emergenza, cioè evitare una gravidanza non desiderata con tutti i suoi ben maggiori problemi medici e sociali”.

7) Perché in pronto soccorso? Perché, anche se i farmacisti non possono avvalersi dell’obiezione di coscienza, non sempre i farmaci sono reperibili e sono molti i casi in cui i farmacisti si sono rifiutati di venderli, adducendo motivazioni etiche. Alcuni di questi casi sono finiti in tribunale: in uno di questi, chiusosi nel 2018 con l’assoluzione del farmacista non perché il suo comportamento fosse stato legittimo ma per la “tenuità del fatto” (poiché il giudice ha presunto che il farmaco potesse essere reperibile altrove), l’avvocato dell’imputata era Simone Pillon.

8) Qui c’è un altro punto chiave: la tendenza dell’ultradestra, ben rappresentata da Salvini e Pillon, è di spacciare la contraccezione di emergenza per aborto. “La somministrazione della pillola abortiva o di altri tipi di farmaci non è uno scherzo”, aveva detto Vito Comencini, consigliere comunale della Lega di Verona, capitale italiana (e mondiale, dopo il Congresso della Famiglia dell’anno scorso) degli anti-choice. “Siamo ben felici che anche la Corte abbia voluto mandare esente da responsabilità penale la nostra assistita, che ha scelto coraggiosamente di seguire la voce della propria coscienza per difendere la vita umana fin dal concepimento”, aveva detto lo stesso Pillon, commentando la sentenza di assoluzione di cui parlavo prima. Obiettivo? Il solito. Colpevolizzare le donne, ridurre i loro diritti.

9) La dichiarazione di Salvini, quindi, è strumentale, come tutte le sue dichiarazioni: prende un caso limite (una donna che ricorre alla contraccezione d’emergenza per sette volte), cambia i termini del discorso (non “ricorrere alla contraccezione d’emergenza” ma “abortire”), aggiunge un tocco di razzismo (le donne nel suo discorso sono “straniere”) e strizza l’occhio all’ultradestra bigotta che continua a rappresentare, nonostante le “svolte moderate” di cui tanto si sente parlare.
Un ultimo appunto: chi vuole davvero ridurre il numero di aborti in Italia (anzi, meglio sarebbe dire “continuare a ridurre”, visto che il numero è in costante calo da anni, anche grazie al ricorso alla contraccezione d’emergenza) dovrebbe puntare su tre aspetti: politiche per le famiglie, considerando le loro necessità e i loro bisogni durante tutto l’arco della loro vita (non solo al momento del concepimento), un investimento significativo dello Stato sui consultori e una corretta educazione alla sessualità, che passi anche attraverso la contraccezione gratuita almeno per alcune categorie a rischio. Cose di cui Salvini non vuole sentire parlare, ovviamente.
Anche per questo saremo in piazza l’8 marzo, e scioperemo il 9, e ci appelliamo alle principali forze sindacali affinché uniscano le forze in una lotta globale e facciano sentire la loro vicinanza alle donne di questo Paese. ( Possible www.possibile.com -Via Balbis 13, 10144 Torino (TO) info@possibile.com )

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