6369 Gaza, Tenere lontane telecamere e giornalisti non funziona assolutamente

20090106 22:15:00 redazione-IT

di Robert Fisk

The Independent, 5 gennaio 2009

Di che cosa ha paura Israele? L’utilizzo del vecchio pretesto della "zona militare chiusa" per impedire ai media di parlare della sua occupazione della terra palestinese va avanti da anni. Tuttavia, l’ultima volta che Israele ha fatto questo gioco – a Jenin, nel 2000 – è stato un disastro. Essendo stato loro impedito di vedere la verità con i propri occhi, i giornalisti citarono i palestinesi, che sostenevano che i soldati israeliani avevano commesso un massacro – e Israele ha passato anni a negarlo. In effetti, c’era stato un massacro, ma non delle dimensioni di cui si era parlato inizialmente.

Adesso l’esercito israeliano sta tentando di usare di nuovo la stessa tattica destinata a fallire. Impedire la presenza della stampa. Tener fuori le telecamere. Ieri mattina, solo poche ore dopo che l’esercito israeliano era entrato fra il suono dei cingolati a Gaza, per uccidere altri membri di Hamas – e, naturalmente, altri civili – Hamas riferiva la cattura di due soldati israeliani. Se ci fossero stati giornalisti sul campo, avrebbero potuto chiarire la verità – oppure mentire. Ma senza un solo giornalista occidentale a Gaza, gli israeliani non hanno potuto fare altro che dire al mondo che non sapevano se la cosa era vera.

D’altra parte, gli israeliani sono talmente spietati che è abbastanza facile spiegare i motivi per cui vietano ai giornalisti di lavorare: tanti soldati israeliani uccideranno così tanti innocenti – oltre una sessantina a ieri sera, e sono solo quelli di cui siamo a conoscenza – che le immagini del massacro sarebbero troppo per essere tollerate. Non che i palestinesi abbiano fatto molto per essere di aiuto. Il sequestro da parte di una famiglia mafiosa palestinese del corrispondente della BBC a Gaza –alla fine liberato da Hamas, anche se questo adesso non viene ricordato – ha messo fine di colpo a qualsiasi presenza televisiva occidentale permanente nella Striscia da mesi. Tuttavia, i risultati non cambiano.

Nel 1980, l’Unione Sovietica cacciò via tutti i giornalisti occidentali dall’Afghanistan. A quelli di noi che avevano seguito l’invasione russa e il periodo brutale che ne era seguito non fu possibile rientrare nel Paese – se non al seguito dei guerriglieri mujahidin. Io ricevetti una lettera da Charles Douglas-Hume, il direttore del Times – per il quale io allora lavoravo – che sottolineava una cosa importante. "Adesso che non abbiamo una copertura regolare dall’Afghanistan", rimarcava il 26 marzo di quell’anno, "le sarei grato se potesse fare in modo di non perdere nessuna opportunità di rilferire i resoconti attendibili di quello che sta succedendo nel Paese. Non dobbiamo permettere che gli eventi in Afghanistan scompaiano dal giornale solo perché non abbiamo un corrispondente lì".

Che gli israeliani debbano far ricorso a una vecchia tattica sovietica per accecare la visione che il mondo ha della guerra può non lasciare sorpresi. Ma il risultato è che adesso a dominare le frequenze sono le voci palestinesi – invece di quelle dei giornalisti occidentali. Gli uomini e le donne che sono sotto gli attacchi degli aerei e dell’artiglieria israeliani ora stanno raccontando la loro storia alla televisione e alla radio e sui giornali, come non avevano mai potuto fare prima, senza l’"equilibrio" artificiale che tanto giornalismo televisivo impone alle dirette. Forse questa diventerà una nuova forma di copertura giornalistica: lasciare che i proagonisti raccontino la loro storia. Il rovescio della medaglia, naturalmente, è che a Gaza non c’è nessun occidentale a cercare di verificare il resoconto fuorviante degli eventi da parte di Hamas: un’altra vittoria per la milizia palestinese, che gli è stata consegnata su un piatto d’argento dagli israeliani.

Ma c’è anche un lato più oscuro. La versione israeliana degli eventi ha ricevuto talmente tanto credito dall’amministrazione Bush, giunta ai suoi ultimi giorni, che il divieto per i giornalisti di entrare a Gaza potrebbe semplicemente avere poca importanza per l’esercito israeliano. Fino a quando andremo a indagare, qualunque cosa stiano cercando di nascondere sarà stata superata da un’altra crisi, nella quale potranno sostenere di essere in "prima linea" nella "guerra al terrorismo".

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)

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Gaza, Israele tiene fuori osservatori e giornalisti

Osservatorio Iraq, 5 gennaio 2009

I giornalisti e gli osservatori internazionali continueranno a restare fuori dalla Striscia.

Nonostante una recente sentenza della Corte suprema israeliana, che aveva aperto la strada all’ingresso di otto corrispondenti stranieri, oggi il ministero della Difesa di Tel Aviv ha ribadito il rifiuto di concedere ai giornalisti stranieri il permesso di entrare a Gaza, adducendo rischi per la sicurezza.

Nelle stesse ore, il ministro degli Esteri israeliano, Tzpi Livni, ha respinto la richiesta di ingresso di osservatori internazionali nella Striscia subito dopo l’eventuale conclusione di un cessate il fuoco, avanzata dall’Unione Europea, affermando “di non vederne l’utilità”.

Il doppio divieto israeliano è stato accolto con rammarico dalla comunità internazionale e dalle associazioni per i diritti umani, che da tempo chiedono la presenza di testimoni neutrali nella Striscia, in grado di raccontare in prima persona quello che sta avvenendo.

Israele – ha commentato oggi in un comunicato l’ong Human Rights Watch (Hrw) – dovrebbe consentire immediatamente l’accesso di giornalisti e osservatori umanitari a Gaza, “per monitorare e riferire sulla condotta di entrambe le parti”.

[c.m.m.]

http://www.osservatorioiraq.it/

 
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EmiNews 2009

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