6510 Obama, o le correnti profonde della storia

20090122 15:41:00 redazione-IT

di Rodolfo Ricci

[b]Nulla si crea e nulla si distrugge, dicono. Tutto permane trasformandosi oppure tutto di trasforma, permanendo. Obama recupera toni e vessilli antichi, quelli dei “padri fondatori”, quelli che fecero la prima grande guerra di indipendenza e si emanciparono dalla colonizzazione inglese. Quelli che fecero la guerra civile contro la schiavitù. In mezzo c’è la rivoluzione francese, quella dell’egalité, liberté, fraternité.
Toni che un po’ lasciano perplessi noi europei, più avvezzi alla gestione del gestibile, al pragmatismo –non raramente ideologico- che lascia intatta la struttura delle cose.

Obama recupera l’essenza meticcia dell’America, le sofferenze delle generazioni passate, soprattutto degli uomini e delle donne che nell’oscurità, conoscendo anche “la sferza della frusta”, hanno fatto l’America.
Senza di loro, senza le schiere dei neri e dei migranti che “solcarono gli oceani”, non ci sarebbe stata America.[/b]

[b]Manca, forse, una parallela considerazione di coloro che in America c’erano già; di quelli, annientati a milioni, Obama non ha parlato.
Ma tant’è: l’America attuale è effettivamente il prodotto dei migranti e degli schiavi africani, e insieme, lo sappiamo almeno da quando il piccolo grande uomo raccontava le sue peripezie e da quando Kevin Costner ballava coi lupi, del genocidio dei nativi.

Ascoltando Obama, mi tornava in mente qualche discorso del meticcio Chavez, per il suo rimando a Bolivar, interprete della liberazione tentata e mancata, il giuramento a Montesacro, il richiamo ai milioni di diseredati del sud, quelli che cominciarono a rifarsi vivi alla fine del secolo scorso, quelli che portano al potere in Brasile, il migrante nordestino e metalmeccanico Lula, quelli che eleggono Evo Morales, primo indigeno a tornare al potere in Bolivia, dopo 500 anni di dominazione bianca e gringa.
I sopravvissuti alla terribile stagione degli anni ‘60 e ‘70, incarcerati, squartati, desaparecidos, che vanno al potere democraticamente in Venezuela, Brasile, Argentina, Uruguay, Cile, Bolivia, Paraguay, dove un vescovo memore della breve quanto grande epoca delle missiones gesuitiche, Fernando Lugo, governa il paese guaranì.

Mi tornava in mente che nel lontano 2001, sei mesi, prima di Genova e otto mesi prima delle Torri gemelle e dell’inizio della guerra infinita della banda dei quattro, a Porto Alegre si era riunito per la prima volta, quel mondo di sconfitti, insieme ai contadini asiatici e africani, ai “ribelli” europei, con tanti premi nobel e intellettuali di diverse latitudini emarginati dai media mainstream. C’erano anche i nordamericani cresciuti sulle note di Peete Seeger e Woody Gutrie, le cui canzoni degli anni ’40 hanno preceduto, il 19 gennaio, il giuramento di Obama, come ci ricorda oggi Alessandro Portelli.

C’erano i pacifisti israeliani e i palestinesi. E c’erano, come ho ricordato in altre occasioni, decine di migliaia di discendenti di emigrati italiani nell’America Latina.
Le avvisaglie di un nuovo mondo stavano presentandosi per la prima volta insieme, da tutto il mondo, per dire che “un altro” mondo era – ed è – possibile.

Nel pomeriggio dell’11/09, ricevetti la telefonata di una cara amica che mi disse, sconcertata: “ora tutto quello che si stava costruendo, sarà distrutto”. E venne, effettivamente, l’Afganistan con il Mullah Omar e venne l’Irak, con le sue armi di distruzione di massa. E le centinaia di migliaia di morti civili. Ed ultima, ed in extremis, venne Gaza, dove le vittime di un tempo si trasformarono, nuovamente in bestie.

Ma è importante ricordare che prima dell’11/09 c’era stata la crisi della new economy clintoniana: l’enorme bolla speculativa che aveva scoperto “l’economia immateriale”, come succedanea soluzione al “problema” costituito dalla crescita della conoscenza globale, del lavoro cognitivo non riconosciuto. Era il tentativo di imbrigliare dentro il meccanismo capitalistico, l’enorme valore del sapere universale diffuso, il tentativo di utilizzare, come nuova miniera di valorizzazione, il sapere delle persone che viaggiava nella rete, in internet, questa strada che mostra, per la prima volta nella storia –forse- come lo spirito umano, insieme alle sue braccia, sia la fonte imprescindibile della conoscenza e della ricchezza.

Il crollo delle borse mondiali che avevano investito su questo sapere libero e diffuso convinse la leadership globale alla guerra. Con tutti i suoi vassalli, valvassori e valvassini nazionali, prezzolati (molti) o meno (purtroppo tanti anche loro).

La regressione verso il burqa (islamico e nostrano) e le altre infinite ragioni a sostegno della guerra che abbiamo dovuto sorbirci in questo decennio, sono le stesse che oggi fanno affermare al nostro ministro dell’Interno che è uno scandalo pregare (da islamici) di fronte a chiese cattoliche. Ma Dio, se c’è, non è unico e incommensurabile ?

E Cristo, adorato –come la Madonna- dagli adepti di Hallah, massimo dei profeti e persino più grande di Maometto (valoroso, ma semplice amanuense della divinità), non è forse l’uomo della speranza che il cardinal Martini, perdente di fronte al pontefice tedesco, tentava di reintepretare contro la logica dell’assedio e della paura?

Ora che Obama, col suo dizionario, con le parole necessarie alla lingua degli anni dieci del terzo millennio, parla al mondo, già si intravvedono i cambiamenti di posizione.

Certo che il comunismo ha fallito. O meglio il socialismo reale. Ma le parole dei padri fondatori vanno interpretate. Dal modo in cui si interpretano dipende come gira il mondo.
“Verrà un giorno un uomo dagli occhi chiari che rileggerà quelle di Francesco”, diceva Pasolini in Uccellacci e Uccellini.

Verranno da sud, uomini e donne, si potrebbe dire, oggi, a rinverdire le stesse parole, fratello sole, sorella acqua, ecc., ecc.
La battaglia delle estetiche, delle ermeneutiche, delle puntuazioni di potenza, non è affatto conclusa. La grande crisi che secondo la Banca Europea “coinvolgerà le future generazioni”, è la grande occasione della storia.
Certamente, le sciocchezze relative alle misure di rilancio dell’economia (capitalistica), del salvataggio delle banche, della salvaguardia degli interessi diffusi di chi ha prosperato negli anni della guerra infinita, fanno il paio con il dibattito parrocchiale tra PD e PDL, commissione di vigilanza RAI, e con il tentativo di rilanciare la lotta tra poveri e migranti, ultimo escamotage di riserva di un potere nazionale che si accinge ad abbandonare il paese.

Casini, leader dell’UDC ha affermato martedì scorso che tra tre, quattro mesi, “la gente ci tirerà dietro pomodori ed altro” se non risolviamo i problemi. “Saggia apostrofe a tutti i caccianti”.
Ma i problemi sono irrisolvibili al di fuori di una nuova equilibrata ridistribuzione di redditi e ricchezze. “Dentro e fuori delle frontiere”, come ha detto il grande capo Obama.[/b]

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Obama, o le correnti profonde della storia
di Rodolfo Ricci

Nada se crea nada se destruye, dicen. Todo permanece transformándose, o todo se transforma permaneciendo.

Obama recupera antiguos tonos y banderas, aquellos de los "padres fundadores", los que hicieron la primera grande guerra de independencia y se emanciparon de la colonización inglesa.

Aquellos que hicieron la guerra civil en contra de la esclavitud. En el medio está la revolución francesa, la de "la egalité, liberté, fraternité".

Tonos que nos dejan un poco perplejos a nosotros los europeos, más acostumbrados a la gestión de la normal administración, al pragmatismo -algunas veces ideológico- que deja intacta la estructura de las cosas.

Obama recupera la esencia mestiza de América, los sufrimientos de las generaciones pasadas, en particular de los hombres y las mujeres que en la oscuridad, sintiendo además "el azote del látigo", hicieron América.

Sin ellos, sin las multitudes de negros y emigrantes que "cruzaron los océanos", non existiría América.

Falta, tal vez, una consideración similar para los pueblos que en América ya existían; de aquellos, aniquilados por millones, Obama no hizo mención alguna.

Sin embargo esta es la realidad de los hechos: La América actual es efectivamente el producto de los emigrantes y de los esclavos africanos, juntos, lo sabemos, por lo menos desde que el pequeño grande hombre contaba sus peripecias y desde que Kevin Costner bailaba con los lobos, del genocidio de sus primeros moradores, los-aborígenes nativos.

Escuchando Obama, me venían a la mente algunos discursos del mestizo Chávez, por su referencias a Bolívar, interprete de la liberación truncada y fallida, el juramento en el Monte Sacro, el llamado a los millones de desheredados del sur, aquellos que empezaron a dar señales de vida a final del siglo pasado, aquellos que llevan al poder en Brasil, al emigrante del norte-este y obrero metalúrgico Lula, aquellos que eligen a Evo Morales, primer indígena que regresa al poder en Bolivia, luego de 500 años de dominación blanca y gringa.

Los sobrevivientes de la terrible estación de los años´ ’60 y ’70, encarcelados, descuartizados, desaparecidos, que llegan al poder por vía democrática en Venezuela, Brasil, Argentina, Uruguay, Chile, Bolivia, Paraguay, donde un obispo como recuerdo y fruto de la breve y, al mismo tiempo, grande época de las misiones jesuitas, Fernando Lugo, gobierna el país guaraní.

Recordaba que en el lejano 2001, seis meses antes de Genova y ocho meses antes de las Torres gemelas y del comienzo de la guerra infinita de la bandas de los cuatros, en Porto Alegre se reunió por primera vez, aquel mundo de los derrotados, junto a los campesinos asiáticos y africanos, a los "rebeldes" europeos, con muchos premios Nobel e intelectuales de distintas latitudes marginados por los medios de comunicación "mainstream".

Allí se encontraban también los norteamericanos que han crecido con las notas de Peete Seeger y de Woody Gutrie, cuyas canciones de los años ’40 antecedieron, el 19 de Enero, el juramento de Obama, como hoy nos lo recuerda Alessandro Portelli.

Allí estaban los pacifistas israelitas y palestinos. Estaban también, como he recordado en otras oportunidades, millares de descendientes de los emigrantes italianos en América Latina.

Los indicios de un nuevo mundo se avizoraban por primera vez juntos, al mismo tiempo, desde todas partes del planeta, para decir que "otro" mundo era – y es – posible.

En la tarde del 11/09, recibí una llamada telefónica de una querida amiga que me dijo, desconcertada: "ahora todo lo que se estaba (construyendo será destrúido)". Y llegó , en efecto, Afganistan con el Mullah Omar y llegó Irak, con sus armas de destrucción masivas, y los millares de muertos civiles. Y, por última, y en extremis, llegó Gaza, donde las víctimas del pasado se transformaron, ahora, nuevamente en bestias.

Sin embargo es importante recordar que antes del 11/09 hubo la crisis de la "new economy clintoniana": aquella enorme ampolla especulativa que había descubierto "la economía inmaterial", como solución subsidiaria al "problema" constituido por el crecimiento del conocimiento global, del trabajo intelectual no reconocido. Era el intento de sujetar dentro del mecanismo capitalista, el enorme valor de la sabiduría universal difusa, el intento de utilizar, como nuevo método de valorización el conocimiento de las personas que viajaban por la red, en internet, este camino que – tal vez -nos demuestra, por primera vez en la historia, como el espíritu humano, junto a sus brazos, constituye la fuente imprescindible del conocimiento y de la riqueza.

La caída de las bolsas mundiales que habían realizado inversiones en este conocimiento libre y difuso convenció a la "leadership" de la necesidad de hacer la guerra.

Con todos sus vasallos, "valvassori e valvassini", comprados -(muchos)- o no -(lamentablemente muchos también)-.

La regresión hacia el burda -(islámico y doméstico)- y las otras infinitas razones en favor de la guerra que hemos tenido que tragarnos en estos diez años, son las mismas que hoy hacen afirmar a nuestro ministro de relaciones interiores que es un escándalo orar (a los islámicos) frente a las iglesias católicas. ¿ A caso Dios, si existe, no es único e inconmensurable?

Y Cristo, adorado – como la Virgen Maria – por los seguidores de Hallah, el profeta máximo, inclusive más grande que Mahoma -(valiente pero simple amanuense de la divinidad)-, ¿no es él, a caso, el hombre de la esperanza que el cardinal Martini, perdedor frente al pontífice alemán, intentaba interpretar en contra de la lógica del asedio y del miedo?

Ahora que Obama, con su diccionario de palabras necesarias para el lenguaje adecuado al décimo año del tercer milenio, le habla al mundo, se empiezan a vislumbrar los cambios en las distintas posiciones.

Seguramente el comunismo ha fracasado. O mejor dicho el socialismo real. Sin embargo es necesario interpretar las palabras de los padres fundadores.

De su interpretación dependerá el movimiento del mundo.

"Llegará algún día un hombre de ojos claros que leerá de nuevo aquellas de Francisco" decía Pasolini en "Uccellacci ed Uccellini" (Pajarracos y Pajaritos).

Vendrán desde el sur, hombres y mujeres, podríamos decir, hoy a reverdecer las mismas palabras, hermano sol, hermana agua, etc..etc… La batalla de la estética, de la hermenéutica, de las puntualizaciones del poder, no se ha acabado en lo absoluto. La grande crisis que según la Banca Europea "involucrará a las generaciones futuras", es la gran oportunidad de la historia.

De seguro que la estupideces relacionadas con las medidas del relanzamiento de la economía -(capitalista)-, del rescate de los bancos, de la protección de los intereses difusos de aquellos que se han enriquecido en los años de la guerra infinita, hacen el par con el debate parroquial entre el PD y el PDL, comisión de vigilancia de la RAI , con el intento de relanzar la lucha entre pobres y emigrantes, último pretexto de reserva de un poder nacional que se dispone a abandonar el país.

Casini, leader de UDC dijo el martes pasado que dentro de tres o cuatro meses, "la gente nos lanzará tomates o algo más" si no solucionamos los problemas. "Saggia apostrofe a tutti i caccianti". ("Sabia apóstrofe a todos los -interesados-).

Sin embargo los problemas no tendràn soluciòn si no hay una nueva y equilibrada redistribución de la renta y la riqueza. “Hacia adentro y hacia afuera de las fronteras", como ha dicho el gran jefe Obama.

(Traduzione di M. Di Giovanni)

 
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