6523 SUL CONTRTTO SEPARATO SI GIOCA IL FUTURO DEL PAESE: Non lasciamo sola la CGIL

20090125 14:57:00 redazione-IT

(Articoli tratti da "Il Manifesto")
di Loris Campetti

COLPO BASSO ALLA DEMOCRAZIA

Sempre più spesso capita che gli anziani si presentino alla cassa del supermercato con la mitica social card per scoprire, con un sentimento più di vergogna che di rabbia, che è vuota. E provate a chiedere a un operaio di terzo livello di Mirafiori in cassa integrazione come fa ad arrivare a fine mese. Al figlio, precario e licenziato, meglio non chiederglielo. Domandate poi a un artigiano come vanno i suoi rapporti con le banche e sentirete che risposta. Il paese reale sta precipitando in una crisi senza precedenti. E cosa fanno il governo, Marcegaglia, Bonanni, Angeletti? Loro, a differenza dei pensionati presi per i fondelli con la promessa di una mancia poi negata, non si vergognano. Anzi, siglano un accordo senza e contro la Cgil che è il sindacato più rappresentativo, dunque contro milioni di lavoratori. Un accordo che peggiora ulteriormente i salari, riducendone il potere d’acquisto. E il prossimo passo annunciato dalla stessa compagnia di giro è l’ennesimo attacco ai pensionati. Quelli umiliati e costretti a vergognarsi al supermercato da chi non prova vergogna.
Ha ragione l’incontenibile ministro Maurizio Sacconi: l’accordo di giovedì scorso che sancisce la morte del sistema contrattuale nato nel 1993 ha un carattere storico. Storico, perché le regole generali che hanno un valore erga omnes non sono condivise ma imposte. Storico, perché redistribuisce la ricchezza nazionale dai salari ai profitti e alle rendite. Storico, perché viene siglato dentro una crisi che travolge il paese reale e presenta ai più deboli il conto delle sciagurate scelte economiche, finanziarie e politiche dei più forti.

Le nuove regole si traducono in poche voci fondamentali: i contratti nazionali perdono di valore così come i salari, e come le categorie sindacali perché tutto passa in mano alle confederazioni; è il trionfo degli enti bilaterali, già oggi un cancro della democrazia nel lavoro, etichettabile sotto la voce consociativismo; si rimanda l’ipotetico recupero salariale ai contratti di secondo livello, quelli a cui solo una minoranza di lavoratori ha accesso. Avranno almeno la decenza di sottoporre le nuove regole al giudizio vincolante dei diretti interessati, i lavoratori dipendenti?
La Cgil non ha cercato la rottura, come recita la vulgata tifosa di politici e media. Al contrario, il segretario generale Guglielmo Epifani ha cercato in ogni modo di evitare uno scontro così duro dentro una crisi economica e sociale epocale. Il fatto è che i padroni e il governo, con qualche nostalgia per gli anni Cinquanta, volevano espellere dal gioco la Cgil sapendo che oggi, a differenza di sessant’anni fa, non solo non c’è il Partito comunista ma neanche si intravede un’opposizione di sinistra. Il lavoro non ha rappresentanza politica, e neanche una sponda. Il Partito democratico che sognava l’unificazione di Cgil, Cisl e Uil, oggi si divide più di quanto lo sia già sull’accordo separato.
A un attacco storico di questa portata si può rispondere solo con una straordinaria mobilitazione democratica. Pur conoscendo le difficoltà economiche e sociali in cui vivono i lavoratori, la Fiom e la Funzione pubblica Cgil hanno indetto uno sciopero generale per il 13 febbraio che si concluderà con una manifestazione unitaria a Roma. E’ il primo appuntamento da segnare in agenda, per chiunque abbia a cuore la democrazia. Altri dovranno seguire. [b]Non lasciamo sola la Cgil.[/b]

QUESTO E’ IL TESTO DELL’ACCORDO SEPARATO FIRMATO DA GOVERNO, CONFINDUSTRIA, CISL E UIL, SENZA LA CGIL:
[url]http://www.cgil.it/nuovoportale/Documenti/20090121/AccordoQuadroRiformaAssettiContrattuali20090122.pdf[/url]

___________________

di Daniela Preziosi – ROMA

DEMOCRACK
La linea rossa che divide Ma la Cgil non è più sola
Ex Cisl contenti, ma D’Alema attacca: meglio un referendum
A Walter Veltroni, che pure ha fatto tutto il possibile per evitarlo, ormai da novembre era chiaro che sulla riforma del modello contrattuale sarebbe andata com’è andata: con il governo che tirava a dividere i sindacati, a non ammettere alcuna trattiva, a costringere la Cgil a non firmare. Cocchiere dell’operazione, il ministro del welfare Maurizio Sacconi, quello che tralasciava di invitare la Cgil anche nelle preriunioni informali, quelle che si consumano – chissà poi perché – a tavola.
Così giovedì sera, quando è arrivata la rottura, Veltroni era ormai preparato all’idea. Rassegnato. Anche perché oggi, a differenza di qualche mese fa, la radicalità – dal punto di vista dei democratici – della Cgil e il rapporto con il mondo del lavoro è solo una delle questioni che dividono il partito in due o più parti. E neanche la più urgente: arriva almeno dopo la collocazione europea, la questione mediorientale, la legge elettorale, la riforma sulla giustizia. Per non parlare dei diritti civili, dei temi etici. E da ultimo, del federalismo. Così ieri veltroniani ed ex ppi hanno mantenuto tutte le cautele sullo strappo di Epifani. La linea del Piave è la critica al governo, che ha voluto «irresponsabilmente» dividere i sindacati. Oltre ci sono andati in pochi: gli ex cislini come Sergio D’Antoni, entusiasta di un accordo in cui aleggia lo «spirito di concertazione che nel 1993». Quanto alla Cgil, l’ex leader sindacale si augura che ci ripensi. Gli dà ragione Beppe Fioroni, a nome dei popolari, e Pietro Ichino, giuslavorista ex Fiom ma ormai distante anni luce dalla Cgil, che infatti biasima il segretario Guglielmo Epifani per essersi sfilato: «Temo che se le riforme non le faranno i sindacati con le parti imprenditoriali, queste le faranno i fatti, e un po’ peggio. Il rischio è che certi importanti contratti non siano rinnovati oppure lo siano solo a livello aziendale».
Ma dal gruppo dirigente del Pd prende coraggio l’ala riformista che si schiera apertamente con la Cgil. A partire da Massimo D’Alema, l’esponente più autorevole ma anche quello il cui appoggio al sindacato è meno scontato. E invece ieri l’ex ministro degli esteri, nel corso di un faccia a faccia televisivo con Giulio Tremonti, ha dato una gran sponda a Epifani: aver firmato la riforma senza la Cgil, ha detto, è «un gravissimo errore», ora «un accordo di questo tipo dovrebbe essere portato a un vero referendum tra i lavoratori». La sfida che aveva lanciato il leader Cgil, poche ore prima. D’Alema attacca il governo: la Cgil ha 5 milioni di iscritti, e allora «come può questo sistema funzionare escludendo il maggior sindacato, il più forte, il più organizzato? Un accordo che esclude il maggior sindacato rischia di instaurare una confusa conflittualità». Più cauto Pierluigi Bersani, ministro ombra del pd, che se la prende con l’esultanza di Sacconi, («Qualcuno mi spieghi che salti di gioia dovrebbero fare i lavoratori su un accordo i cui contenuti non esistono e che produce ancora divisione in un momento come questo»). Ma il suo stretto collaboratore, Stefano Fassina, giovane e combattivo economista, entra nel merito: l’accordo determinerà «un’ulteriore perdita di diritti e di potere d’acquisto di milioni di lavoratrici e lavoratori. Alcuni diritti fondamentali vengono appaltati» e in sostanza «si abbandona il percorso riformista e liberale di universalizzazione del welfare e si torna indietro verso un modello lavorista e categoriale. L’iscrizione al sindacato diventerà la condizione di accesso ai diritti di cittadinanza». E non è finita: l’invenzione di un indicatore ad hoc al posto dell’inflazione programmata «scaricherà sui lavoratori i costi di tanti ritardi del nostro sistema paese». Le agevolazioni fiscali per il secondo livello contrattuale determineranno «solo una riduzione del costo del lavoro senza benefici sulla produttività, tanto più in uno scenario di crisi, dove la produttività si contrae». Può un partito riformista condividere la firma di quest’accordo? Non potrebbe. Per lo meno non dovrebbe: lo sottolinea Claudio Fava, Sd e Paolo Ferrero, segretario Prc: «È un accordo sbagliato nel merito, in quanto taglia il salario reale, e nel metodo perché taglia fuori la Cgil, il maggior sindacato italiano. In questo modo sono solo i lavoratori a trovarsi in condizione di ulteriore debolezza rispetto alla crisi: divisi e sottoposti a ricatti, arbitrarietà, volubilità delle imprese».

__________________

di Antonio Sciotto
A PALAZZO CHIGI Sì di imprese, Cisl e Uil. «Addio al modello del ’93»
Contratti, è patto separato La Cgil non firma

L’accordo separato è arrivato alle otto e dieci di ieri sera, con una velocità impressionante: dopo un incontro durato poco più di un’ora, con una pausa di trenta minuti in mezzo. In un primo momento sembrava che governo, imprese e sindacati dovessero fare la nottata, perché l’intenzione dell’esecutivo, come delle imprese, Cisl, Uil e Ugl era di firmare appena possibile: invece tutto si è concluso entro l’ora di cena, e addio al Patto del luglio ’93, sembra aprirsi davvero una nuova epoca. Senza la Cgil, il sindacato più rappresentativo, che ha deciso di non siglare il documento.
Il governo nel primo pomeriggio aveva incontrato imprese, sindacati e Regioni per esporre la sua proposta anti-crisi, un testo di tre pagine intitolato «Linee guida per la tutela attiva della disoccupazione». Poi, alle 18,30, l’incontro con le associazioni di impresa e i sindacati per discutere del modello contrattuale. Il governo si è dimostrato subito intenzionato a chiudere, se possibile entro la nottata: la proposta è arrivata dal sottosegretario Gianni Letta («se volete facciamo notte…»). Sia il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi che il segretario Cisl Raffaele Bonanni, subito dopo, hanno dichiarato in sincrono che «la crisi è un motivo in più per accelerare l’accordo». Insomma, il pressing è apparso fortissimo sin dall’inizio.
Il negoziato si è fermato una prima mezz’ora per trovare la quadra tra un nuovo documento presentato da Confindustria, e un testo proposto dal ministro Renato Brunetta: sono stati integrati per arrivare a un modello unico pubblico/privato. E’ a questo punto che il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, ha dichiarato che «se il documento non è modificabile, non c’è l’accordo della Cgil». Ma la modifica auspicata non è mai arrivata, e tutti gli altri protagonisti al tavolo hanno detto sì. Da parte datoriale, c’è da segnalare la scelta manifestata da Abi, Ania, Lega cooperative, Cida e Confedir: hanno condiviso il testo con riserva, rinviando la propria firma ai prossimi giorni.
Per il ministro Sacconi «l’accordo sostituisce quello del 1993»: «Avremmo preferito l’adesione della Cgil ma era necessario, come hanno ritenuto tutti gli altri attori sociali, mettere un punto fermo nella lunghissima vicenda: era prevalente rispetto all’idea di soggiacere a una sorta di veto». Acido il ministro Brunetta: «Nessuno ha il diritto di veto. Anche i contratti del pubblico impiego li abbiamo fatti senza Cgil». Sull’altro fronte, Epifani spiega che «il governo ha firmato in direzione di un’intesa che sapeva non avrebbe trovato l’accordo della Cgil. Ci è stato presentato stasera, integrato con la parte relativa al pubblico impiego che non si conosceva. Era un prendere o lasciare e la Cgil non era d’accordo». «Non sono contento, il Paese ha bisogno di unità ma non si può chiedere coraggio a quelli che lo hanno avuto e hanno pagato i prezzi più grandi. Noi preferiamo mantenere una linea di rigore e serietà».
Adesso bisognerà capire le prossime mosse della Cgil. Intanto, il 13 febbraio c’è lo sciopero dei metalmeccanici e del pubblico impiego, poi c’è la manifestazione, annunciata l’altroieri, prevista da tutta la Cgil per il 4 aprile. Ma di fronte al fatto «storico» di ieri (tanti protagonisti, da una parte della barricata e dall’altra l’hanno definito in questo modo), il 4 aprile sembra lontano e sembra troppo poco.
Dal fronte della Fiom dichiara subito il segretario nazionale Giorgio Cremaschi, che è anche coordinatore della Rete 28 aprile: «È l’accordo della complicità per distruggere il contratto nazionale. A partire dal 13 febbraio con lo sciopero dei metalmeccanici a Roma lavoreremo per ribaltarlo in tutti i contratti, nei luoghi di lavoro».
Il testo prevede una sperimentazione per 4 anni, e prevede contratti di durata triennale (economica e normativa) sia per il pubblico che per il privato. Il contratto nazionale ne esce trasformato in versione «light»: avrà la sola funzione di «garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi», ma non si fa alcun riferimento nè alla tenuta nè tantomeno al recupero del potere di acquisto dei salari. Punto a cui la Cgil teneva. Ci sarà un nuovo indice europeo per la misura dell’inflazione (l’Ipca), depurato però dei beni energetici (anche su questo la Cgil è sempre stata contraria). Il secondo livello, seppure citato, non è garantito, ripetendo di fatto su questo punto l’inefficacia del patto del ’93. Viene poi imbrigliato il ruolo delle categorie nella negoziazione, e guadagna peso il livello interconfederale.
La frase finale dell’accordo parla da sola: «Le parti confermano che obiettivo dell’intesa è il rilancio della crescita economica, lo sviluppo occupazionale e l’aumento della produttività»: manca qualsiasi riferimento ai salari, alla loro tenuta e al loro aumento.
Quanto invece al testo approntato per far fronte alla crisi, le «linee guida» presentate dal governo a regioni e parti sociali contengono solo intenti: è vero che si prende atto dell’urgenza della situazione e del fatto che le azioni devono essere «tempestive e mirate», ma per ora non si quantifica nulla, nè si stanziano risorse definite. D’altra parte non si è ancora raggiunta un’intesa, soprattutto con le Regioni, che dovrebbero sborsare, nell’intenzione del governo, buona parte delle risorse destinate agli ammortizzatori sociali. La Cgil boccia il testo: «C’è delusione – commenta Epifani – Più il tempo passa, più i precari sono senza tutele. Se il governo non mette risorse aggiuntive, non si esce da questo problema». Inoltre, conclde il segretario della Cgil, «la social card si poteva fare in maniera meno umiliante».

http://www.cgil.it/nuovoportale/Documenti/20090121/Volantino2.pdf

 
6523-sul-contrtto-separato-si-gioca-il-futuro-del-paese-non-lasciamo-sola-la-cgil

7256
EmiNews 2009

Views: 1

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.