6615 ELEZIONI EUROPEE: SALTARE UN GIRO? UNA LISTA UNITARIA SENZA I PARTITI

20090203 11:22:00 redazione-IT

Il dibattito lanciato sul Manifesto sull’opportunità o meno che la sinistra si presenti alle prossime elezioni europee, alla luce dell’accordo PD-PDL sullo sbarramento al 4%.

Articoli di Gabriele Polo e le repliche di Rossana Rossanda e Rina Gagliardi
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Sbarramento elettorale? Saltiamo un giro – 30/01/09
di Gabriele Polo – da il Manifesto

Da piccoli ci insegnavano che le elezioni erano un momento cruciale della democrazia. E che, quindi, il sistema elettorale doveva garantire la massima rappresentanza, lo specchio istituzionale dell’opinione pubblica. Forse non era completamente vero, oggi non lo è per nulla.

Non da ieri le leggi elettorali italiane sono state prima piegate all’ideologia della governabilità come valore assoluto, infischiandosene di tutto il resto. Ma ieri è stato fatto un passo ulteriore verso lo svuotamento della rappresentanza elettorale, per ridurla a una simulazione della democrazia basata sullo scambio di convenienze reciproche. Berlusconi e Veltroni si sono accordati sull’innalzamento al 4% della soglia di sbarramento per poter accedere al Parlamento europeo.

Ce lo spiegheranno invocando l’esistenza di soglie analoghe negli altri paesi dell’Ue. Ma non è vero. Non si sono accordati per essere più europei, trascurando pure che ogni paese ha una sua storia e un suo assetto sociale che andrebbero rispettati. Non è vero perché questo accordo – che diventerà legge la prossima settimana – è semplicemente il frutto di «interessi privati» trasformati in «progetti politici».

L’interesse di Veltroni è quello di desertificare ogni cosa alla sua sinistra (per quanto piccola sia) allo scopo di salvare se stesso e il suo partito dalla deflagrazione in corso. O di attenuarne gli effetti sulla sua leadership. Su questa urgenza si innesta la decretazione della fine di ogni ipotesi di alleanza con la sinistra, cioè la fine definitiva del centrosinistra. Non lo sfiora nemmeno il problema che così facendo si preclude ogni ipotesi di governo, a meno che il delirio del maggioritario abbia cancellato qualunque barlume di intelligenza politica. E allora il Pd offre a Berlusconi la Rai come palestra del bipartitismo assoluto e ci aggiunge un atteggiamento disponibile sulla giustizia – a partire dalla legge sulle intercettazioni – come già fece nei confronti della Lega sul federalismo. Il Cavaliere, fatti due calcoli, già vede il suo Pdl primo partito tra quelli che compongono il Ppe, accetta, incassa e pensa al Quirinale. Bello scambio.
L’agonizzante Pd è talmente preso dallo spirito di sopravvivenza che non è solo disposto ad accettare ogni condizione berlusconiana pur di produrre il deserto alla sua sinistra, ma non si preoccupa nemmeno di un altro particolare: la convinzione che si radicherà tra quei milioni di italiani che hanno votato o ancora voterebbero la sinistra ex parlamentare, di trovarsi di fronte a una «casta partitica» che decide per loro a prescindere dalle loro convinzioni e idee.
Fuori dal giochino c’è soprattutto ciò che resta della sinistra. Già divisa e frammentata per suo conto – e colpe – ora rischia di essere la vittima di un’ingiustizia. E giustamente protesta. Ma, forse dovrebbe passare dalle parole ai fatti. Ad esempio far valere la propria presenza dove è ancora istituzionalmente presente, cioè nelle giunte locali. Perché – dove si voterà in primavera nello stesso giorno della scadenza europea – costruire alleanze con chi vuole ucciderti e andare così incontro – comunque – a una progressiva sparizione? E, poi, prendere in considerazione un fatto elementare. Uno sbarramento elettorale al 4% è difficilmente abbordabile, forse nemmeno assemblando le attuali scomposte e litigiose particelle (in una riedizione ancor meno credibile dello sconfitto Arcobaleno) che finirebbero col passare i prossimi mesi a contendersi le candidature. E, allora, visto che tanto si parla di ricostruzione dal basso, di legami col territorio, di mettere al centro il merito… allora forse – in alto, alle europee – meglio saltare un giro e concentrarsi sulla politica «dal basso». Sarebbe anche una protesta chiara contro la riduzione dell’agire pubblico a interesse privato.

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SALTARE UN GIRO? UNA LISTA UNITARIA SENZA I PARTITI
di Rina Gagliardi

Ho trovato affascinante la provocazione di Gabriele Polo che, in sostanza, per le elezioni europee propone alle sinistre una scelta nonviolenta – un digiuno di protesta, un’ascesi, un Ramadan laico. Una parte di me pensa, con il direttore del manifesto, che a questa sinistra – in crisi pressoché agonica eppur malata di istituzionalismo – non potrebbe che far bene questa ulteriore «purificazione» per riflettere e magari ricominciare a pensare in grande. L’altra parte di me, però, non può non vedere che, ove la proposta fosse applicata alla lettera, produrrebbe alcuni effetti alquanto deleteri: non solo la soddisfazione di Veltroni, non solo e non tanto l’ulteriore boom dipietrista, ma la sepoltura definitiva di ciò che resta della sinistra italiana. In effetti, se al (mini)ceto politico della sinistra l’ossessione della presenza istituzionale fa malissimo, alle istituzioni e alla democrazia, l’assenza totale della sinistra fa peggio. Da queste «dialettiche» riflessioni, mi è venuta una piccola idea, quasi una proposta (del tutto personale). La formulo in quattro punti.
1) Dando per scontata l’approvazione della soglia di sbarramento al 4% (un atto di golpismo di pessimo gusto), la sola possibilità di ottenere rappresentanza, per un punto di vista di sinistra, è quella di una lista unitaria. Mi pare evidente che se quel poco che rimane del consensodissenso di sinistra si dovesse dividere tra due o più liste, il risultato non potrebbe essere un granché. Una sola lista, dunque. Ma quale?
2) Non un cartello dei partiti(ni) che già dettero vita alla disgraziata «Sinistra Arcobaleno», ma una coalizione radicalmente nuova. Costruita in toto, fuori da ogni mitologia sulla «società civile», su esponenti dei movimenti, dell’intellettualità critica, del sindacalismo, dell’associazionismo. Imperniata su un programma semplice e chiaro: portare a Strasburgo l’idea di un’altra Europa, del lavoro e dei diritti. Capace di rappresentare un punto di vista diverso, sia nei contenuti che nella concezione stessa della politica.
3) Da questa lista si autoescluderebbero i dirigenti, massimi, medi e piccoli, di partito. Qui si applica la proposta ascetica di Polo: si salta comunque un giro. I partiti stessi dovrebbero, certo, accordarsi, fare un patto: l’appoggio concreto (organizzativo, logistico, «tecnico») ai candidati di questa lista (e un eventuale accordo finanziario).
4) Il processo di costruzione di questa lista non potrebbe, a sua volta, che essere radicalmente innovativo. Primarie, assemblee, incontri, costruzione processuale dei criteri di selezione dei candidati – fatto salvo il vincolo di genere – insomma, un esperimento vero di partecipazione e coinvolgimento di massa, al quale un giornale come il manifesto potrebbe offrire un contributo vero. In sintesi, quello che avrebbe dovuto fare, e non fece, la Sinistra Arcobaleno.
Ho ben chiaro che una proposizione di questa fatta non troverà il consenso dei «gruppi dirigenti» delle attuali sinistre, convinti come sono che le elezioni europee possano costituire una buona occasione di risalita, se non di revanche anche grazie all’arroganza veltrusconiana. A me pare un’illusione – intorno vedo crescere soprattutto sfiducia, confusione, egemonia culturale della destra e la (in)credibilità di queste sinistre. Ma può darsi che mi sbagli. In ogni caso, battere una strada radicalmente nuova mi sembra un passaggio obbligato, se si pensa che la priorità sia quella della rifondazione di una sinistra degna di questo nome. Se, invece, si continua a inseguire l’obiettivo del «salvare la pelle», il risultato non potrà comunque essere buono, neppure ai fini della sopravvivenza stessa. Alla fine, la proposta di Polo potrebbe rivelarsi come quella più razionale.

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NON SALTARE UN GIRO
di Rossana Rossanda

La direzione del manifesto propone una non presentazione delle sinistre alle elezioni del parlamento europeo. Non sono d’accordo. Come ci si permette di tagliar fuori dalla possibilità di esprimersi tutta una fascia di società che non si sente rappresentata dal Pd? Essa era arrivata, ancora in presenza dei Ds, fino a più del 13 per cento, ma i piccoli partiti ancora in campo, segnatamente Rc, si guardarono bene dal trovare un accordo elettorale – ognuno se ne andò al voto per conto suo, con la propria più o meno grande miseria; e dopo le elezioni, in cui pesarono sempre meno, continuarono a dividersi, anzi più perdevano più si dividevano, fino a ridursi alle poche migliaia di persone che sono attorno ai gruppuscoli dirigenti.
Da queste poche gloriose vicende i citati gruppi dirigenti non hanno imparato nulla e adesso si lamentano che Pdl e Pd mettano uno sbarramento alle europee del 4 per cento, livello che nessuno di loro da solo è in grado di raggiungere e che assieme – con spasso del Pd – non vogliono raggiungere. Crepi chi vorrebbe poter votare, oppure voti Veltroni o Di Pietro, un ex ragazzo di centro o un giustizialista di destra. Se non ci sono loro, nessuno ci sia. Après moi le déluge. L’opposizione all’Europa di oggi – pressoché inesistente perché fuori della concorrenza e competizione non sa pensare altro, sulla crisi non spiaccica parola, sul Medio Oriente più che sostenere Israele nella guerra a Gaza non ha fatto – sia rappresentata al più dal Pse, cioè una specie di niente.
Non è un caso che siamo arrivati a questo. E’ il risultato della convinzione di tutte le sinistre e sinistrine, e di gran parte della loro esigua base «militante», che istituzioni e partiti siano la stessa identica cosa. Non riescono a fare un partito di una qualche consistenza? La rappresentanza se la spartiscano il centro e la destra. Dal più che approssimativo tentativo della Sinistra Arcobaleno, che di colpo doveva diventare «il» partito della sinistra, non hanno dedotto che un conto è dare una voce, o una coalizione di voci, alla inquietudine critica di società complessa e un altro è dare forma a un gruppo anticapitalista che si propone di dare un nesso ai conflitti in atto fra capitale e lavoro, modo capitalistico di produzione e rapporti fra uomini e donne, logica del capitale e difesa dell’ecosistema, modo di produrre e istituzioni; le questioni irrisolte del Novecento sulle quali siamo capaci più di far lazzi che fare un’analisi. Meglio saltare un giro. Come se fosse un ballo, dove rientri quando ti pare.
Eppure il Parlamento è un osservatorio importante per capire il continente che ci determina e il perché del suo sempre più scarso peso nel mondo. Non che decida molto, ma può opporsi, sapere e far sapere. E non è ancora un’istituzione bilaterale. Bella trovata ridurla a tale.
Mi si dirà: ma quelli che anche noi chiamiamo cespugli non si mettono d’accordo. Rispondo, primo non dargli un alibi. Secondo, dove essi si danno assenti o troppo deboli per farcela, possiamo proporre che si formi un lista di candidati che non sono e non ambiscano diventare leader di questa o quella sigla, ma siano disposti a mettere a frutto competenze e volontà per dire: «Eppure una sinistra italiana esiste». Non conosciamo frotte di giuristi, costituzionalisti, economisti, lavoristi, sindacalisti, lavoratori rossi ed esperti, donne riflessive sul femminismo, ecologi, sociologi, scienziati ecc. che avrebbero molto da dire e che nessun partito più ascolta? Non ci ha fatto sempre impressione che ormai le scelte dei candidati alle istituzioni siano fatte dalle segreterie, con l’alibi delle primarie all’italiana? E si siano candidati dirigenti che abbiano altro da fare, o abbiano candidato sempre più degli acchiappavoti obbedienti? Che abbiano fatto delle europee una mera occasione per misurare i rapporti di forza interni?
Non è una lista del manifesto che propongo, non tocca a noi. Ma è nostro dovere suonare un allarme, dare una scossa, mobilitarsi e mobilitare, raccogliere e far raccogliere le persone necessarie. Fare tutti i giorni la cronaca delle impossibilità non è molto interessante. E neanche proprio del giornale seriamente di parte che diciamo di essere.

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www.ilmanifesto.it

 
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EmiNews 2009

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