6715 A Belém per cambiare il mondo: gli esiti del Forum Social Mundial

20090215 11:33:00 redazione-IT

Oltre centomila persone e quasi seimila organizzazioni hanno partecipato, dal 27 gennaio al 1° febbraio, al nono Forum sociale mondiale nella capitale del Pará. Presenti numerose delegazioni di indio.

di David Lifodi

Un altro mondo non solo è possibile, ma è urgente e necessario. E’ stato questo il filo conduttore del nono Forum sociale mondiale (Fsm), svoltosi per la prima volta a Belém, nello stato brasiliano del Pará e, soprattutto, nel cuore dell’Amazzonia.Rispetto al primissimo forum del 2001, tenutosi a Porto Alegre come anche alcune edizioni successive, il movimento altermondialista è giunto alla conclusione che questo non più il tempo di limitarsi a contestare la globalizzazione neoliberista ma, al contrario, è arrivato il momento di elaborare proposte concrete, soprattutto per l’incombente crisi manifestatasi nelle sue molteplici sfaccettature (economica, ambientale, sociale, politica e di rappresentanza) con cui tutti stanno già facendo i conti.

Oltre centomila persone e quasi seimila organizzazioni (politiche, sociali, religiose, sindacali, ecologiste, di economia solidale e indigene) hanno partecipato, dal 27 gennaio al 1° febbraio, a innumerevoli assemblee, dibattiti e seminari che si sono alternati principalmente nei campus di due università di Belém, l’Universidade federal do Pará (Ufpa) e l’Universidade federal rural do Amazônia (Ufra).

La scelta di fare svolgere il Fsm in Amazzonia non è stata casuale: Belém si trova in una regione del mondo in cui maggiormente emergono le logiche perverse dello sfruttamento selvaggio dei lavoratori, della distruzione delle culture dei popoli indigeni, di uno sviluppo economico rapace volto al solo profitto a scapito di un ricchissimo patrimonio naturale e biodiverso. E’ in questo contesto che il Forum non ha potuto rappresentare soltanto uno spazio di resistenza o testimonianza, ma si è messo in marcia verso la costruzione di modelli economici e sociali alternativi.

I lavori si sono concentrati principalmente su tre assi tematici fortemente interconnessi tra loro: la crisi economica (attorno alla quale sono ruotati i dibattiti sul ruolo delle multinazionali, sui diritti dei popoli in merito all’accesso garantito per tutti ai beni comuni e sullo sviluppo delle economie solidali); il rispetto dell’ambiente (per il quale è stata ribadita l’urgenza di dare vita a un nuovo ordine mondiale fondato sulla difesa della natura e in particolare del polmone verde del mondo, l’Amazzonia); infine il ruolo politico degli indigeni e delle minoranze tradizionalmente escluse (ad esempio i ribeirinhos, gli abitanti sulle rive dei fiumi), che nelle altre edizioni del Forum avevano spesso finito per passare come un fenomeno esclusivamente folcloristico.

La decrescita come alternativa alla crisi economica ha rappresentato uno degli argomenti più dibattuti al Forum in risposta alle ripetitive ricette dello sviluppo e del commercio a qualsiasi costo propagandati al concomitante incontro annuale dei grandi del mondo riuniti a Davos, in Svizzera, per il World economic forum. Sulla necessità di una globalizzazione che includa i diritti delle persone e non metta al primo posto le regole ferree del mercato e del profitto ha certamente influito anche la recente approvazione della costituzione ecuadoriana, che ha messo al primo posto il sumak kawsai, ossia quell’armonia tra ambiente, natura ed esseri umani che sta alla base del cosiddetto «buen vivir», una strada e uno stile di vita sostenibile da tempo indicati e praticati dalle comunità indigene.

Si è parlato inoltre di crisi economica in occasione del Forum mundial de mìdia livre, svoltosi all’interno del Fsm. Alcuni tra i più illustri relatori, tra cui i giornalisti Ignacio Ramonet (Le Monde Diplomatique) e Luiz Hernandez Navarro (La Jornada), hanno convenuto sulle responsabilità dei grandi gruppi editoriali, abili a a insistere sugli effetti più catastrofici della crisi economica per giustificare l’adozione di misure impopolari, dai licenziamenti di massa ai pericolosi attacchi nei confronti dei diritti dei lavoratori, che in realtà aprono le porte ad un modello di economia non più sostenibile. La presenza, nei giorni del Fsm, di una fiera del commercio equo gestita dalle reti di economia solidale e dei piccoli produttori sudamericani ha rappresentato un’ulteriore opportunità di dibattito e confronto.

Accordi commerciali iniqui e un sistema economico basato essenzialmente su un accentuato sviluppismo rappresentano le prime cause di una crisi ambientale che rischia di avere conseguenze ancora più catastrofiche di quella economica. Tutto ciò è spiegato con grande chiarezza nell’articolo scritto da Marilza de Melo Foucher per l’edizione brasiliana di "Le Monde Diplomatique".

La giornalista affronta il tema delle ambiguità dello sviluppo sostenibile, cui dicono di guardare i vari governi del pianeta, mettendolo in connessione con presunte innovazioni scientifiche e tecnologiche come la costruzione di nuove centrali idroelettriche, oppure scelte che strizzano l’occhio agli ogm e al nucleare. In questo contesto emerge in modo lampante il caso brasiliano, un paese che ha puntato su una forte crescita economica che non può tuttavia essere separata dalle tematiche socioambientali, giuridiche, politiche ed amministrative.

Al contrario, oggi sta prevalendo un modello di sviluppo profondamente egoista che ci obbliga a produrre e consumare a ritmi vertiginosi. «Proprio dal consumo sfrenato deriva la crisi ambientale», ha spiegato in un lucidissimo intervento il teologo della Liberazione Leonardo Boff, aggiungendo che il compito di ogni essere umano sulla terra dovrebbe essere quello di mettere in pratica il principio delle tre "R": ridurre, riutilizzare e riciclare. La sfida alla crisi ecologica potrebbe essere risolta tramite l’elaborazione di una legislazione più severa in relazione ai crimini ambientali.

Questa proposta, emersa nel corso del seminario tenuto da giuristi e magistrati e denominato "El papel del poder judicial en la protección del medio ambiente", ha avuto inoltre il merito di sottolineare come in numerose facoltà universitarie non sia presente una materia come Diritto ambientale, che invece sarebbe utile per creare una maggiore coscienza sociale.

Nel corso dei numerosi workshop dedicati alla crisi ambientale non poteva mancare un capitolo particolare dedicato all’Amazzonia. Secondo gli studiosi dell’Instituto nacional de investigaciones espaciales (Inpe), il Brasile entro giugno 2009 dovrebbe ridurre del 22,5 per cento la deforestazione del polmone verde del mondo, ma sarà comunque molto difficile impedire che superi i 9200 chilometri quadrati durante quest’anno, ha spiegato Nazaré Soares, coordinatrice del Programma di protezione dei boschi tropicali, istituito dal ministero dell’Ambiente brasiliano.

Sulla situazione sempre più critica che sta vivendo l’Amazzonia ha suscitato consensi l’intervento di Marina Silva, ex ministro dell’Ambiente che ha commemorato presso il campus dell’Ufpa i venti anni dalla scomparsa di Chico Mendes, indimenticato leader dei seringueiros brasiliani ucciso per il suo impegno a difesa della foresta amazzonica.

«Perché non si trovano le risorse per risolvere la crisi ambientale, che è molto peggiore di quella finanziaria?», ha chiesto Marina Silva denunciando la scarsa eco ricevuta dai movimenti ambientalisti in merito ai tanti progetti studiati e pubblicizzati per salvare l’Amazzonia. Per adesso sembra che le mire delle multinazionali sulle riserve ambientali della foresta abbiano spesso avuto la meglio, ma terra fertile, aria pura e acqua potabile non sono destinate a durare in eterno se non sarà trovata presto un’alternativa. La maggiore preoccupazione di Marina Silva riguarda soprattutto le generazioni future, che dovranno fare i conti con la crescente desertificazione e con i rischi prodotti da un sistema climatico impazzito che già da tempo ha creato una nuova figura di sfollati, i cosiddetti «rifugiati ambientali».

Il salvataggio dell’Amazzonia non è però un tema legato soltanto alle battaglie degli ambientalisti, ma è una questione di vera e propria sopravvivenza per gli indigeni che la abitano, come spiegato in occasione del "Mensaje del corazón de la Amazonia" lanciato dalla Coiab e dalla Coica, rispettivamente i coordinamenti delle organizzazioni indigene brasiliane e della Conca Amazzonica: durante una sessione del forum un migliaio di loro ha formato con i propri corpi la scritta "Sos Amazzonia".

I movimenti indigeni hanno rappresentato senza dubbio una delle maggiori novità del Forum sociale 2009, a partire dalla manifestazione di apertura. «La partecipazione alla marcia, in cui hanno sfilato circa novantamila persone, è stata una cosa stupenda ed emozionante», afferma Heloísa Bellini, coordinatrice della Casa de estudios italianos presso l’Ufpa. La presenza indigena è stata la maggiore mai registrata al Fsm dal 2001: «circa il 27 per cento del territorio amazzonico, formato dai nove paesi della Panamazzonia, è occupato dalle terre degli indio, e il 10 per cento di tutta la popolazione dell’America Latina, l’equivalente a 44 milioni di persone, è composta da 522 popoli tradizionali di etnie diverse», spiega ancora Bellini.

Dedicata alla costruzione di un’Amazzonia ove vi sia spazio per i movimenti indigeni e soprattutto sia garantito loro quel diritto ad abitare le terre ancestrali dove generazioni di etnie sono sempre vissute e adesso venuto meno per le esigenze dei sacerdoti del capitalismo neoliberale (vedi i progetti turistici che si pretende di imporre nei Montes Azules in Chiapas, i tentativi di deviazione del corso dei fiumi in Brasile, la costruzione di enormi infrastrutture in Centro e Sud America che anche i presidenti più legati ai movimenti popolari non sembrano disdegnare), la Giornata Panamazzonica ha vissuto i suoi momenti salienti in occasione dei dibattiti sulla plurinazionalità degli stati e sulla necessità di coordinare un fronte di lotta comune «per difendere la madre terra e contro la mercificazione della vita».

Terra e territorio, identità, sovranità popolare e integrazione regionale sono stati gli assi intorno ai quali ha ruotato il confronto cui hanno dato vita i movimenti indigeni, soprattutto sui progetti idroelettrici (a cui si sta opponendo la Red latinoamericana contra las represas), petroliferi e minerari, in particolare alla luce di quanto sta succedendo in Ecuador in seguito all’approvazione della Ley de minería, contestatissima dagli indio. Proprio ai dibattiti organizzati dagli indigeni è stata rivolta l’attenzione della maggior parte delle associazioni italiane. «La delegazione italiana – racconta Heloísa Bellini – è stata meno numerosa rispetto alle altre edizioni del Fsm tenutesi a Porto Alegre, ma ha garantito una maggiore e più ampia partecipazione».

Secondo un copione già ripetutosi negli ultimi anni, la copertura del Forum da parte dei mezzi di informazione italiani non è stata particolarmente significativa, e ha puntato più sul folclore del corteo di apertura che sui contenuti. Ma la cosa più importante, come non ha mancato di rilevare la presidente della Associação das universidades amazônicas, Rosa Acevedo, è che «il Forum continua ad essere un grande diffusore di coscienza politica, un grande evento dove tutti hanno il diritto di manifestare il proprio pensiero». E, indipendentemente dall’attenzione dei media, questa sorta di campagna globale per la difesa del pianeta in cui si sono trasformate le giornate di Belém merita un impegno costante da parte di tutti.

Ha collaborato Heloísa Bellini

Gli incontri paralleli

Come da tradizione, a margine del Forum sociale mondiale ufficiale si sono svolti una serie di interessanti incontri tematici paralleli nei giorni precedenti o in contemporanea all’evento principale.

Il più atteso è stato senza dubbio il Forum delle autorità locali, dove l’incontro pubblico tra Inácio Lula, Evo Morales (Bolivia), Rafael Correa (Ecuador), Fernando Lugo (Paraguay) e Hugo Chavez (Venezuela) è stato utile per uno schietto confronto tra i presidenti e i movimenti che hanno dato ai primi una spinta decisiva per i rispettivi successi elettorali.

«Il Forum non deve trasformarsi in una tribuna elettorale, ma mantenersi come uno spazio in cui il protagonismo resti nelle mani delle organizzazioni di base», aveva ammonito Maria Luiza Mendonça (direttrice della Rete sociale di giustizia e diritti umani), e in effetti la presenza dei cinque presidenti ha offerto l’occasione di un dibattito pubblico con i movimenti altermondialisti sulle tematiche del debito ecologico, della sovranità alimentare, dei diritti sociali e soprattutto in relazione alla direzione che sta prendendo la nuova sinistra latinoamericana.

Particolarmente significativo è stato il Forum della teologia della Liberazione, apertosi con le parole d’ordine «Acqua e terra per un altro mondo possibile» e dedicato al ricordo di Dorothy Stang, suora martire della lotta per la terra uccisa il 12 febbraio 2005 da un gruppo di sicari assoldati dai latifondisti, grazie alla presentazione del documentario "Mataron a la Hermana Dorothy" che racconta i trenta anni di impegno della missionaria americana a fianco degli emarginati in Brasile.

Di grande interesse è stato anche il Forum mondiale dell’Educazione, dove l’istruzione è stata considerata un diritto sociale e non una merce da porre in vendita al gran mercato della globalizzazione. Cooperazione, cultura della pace e rispetto della diversità, diritti umani ed etica planetaria sono stati gli assi intorno ai quali è stato redatto un documento denominato Piattaforma mondiale dell’Istruzione.

Infine il Forum dei giudici, nel quale si è discusso del nesso tra ambiente e diritti umani, e il Forum dei media indipendenti, a cui hanno partecipato giornalisti delle testate "Rebelión", "Pagina 12", "Carta Maior" e attivisti delle radio comunitarie, e il Forum su Scienze e democrazia.

10.2.2009

http://musibrasil.net/articolo.php?id=2513

 
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EmiNews 2009

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