6714 Caso Battisti e cattiva coscienza

20090215 11:24:00 redazione-IT

Toni arroganti e manipolazione politica della richiesta di estradizione dell’ex militante dei Pac incrinano i rapporti con il Brasile. E alimentano immotivato odio nei confronti del Paese.

di Francesco Giappichini (da Musibrasil.net)

Brasile? No grazie. Battisti? Lucio si, Cesare no. Brasiliani buffoni & burattini. Il Brasile fa vergogna dopo aver dato asilo a un assassino comunista. Ripeto, vergogna e abominio per il Brasile e le sue istituzioni». É quanto scrive alla redazione di "Musibrasil" un lettore di Grosseto che si firma Giorgio Bonaiuti. Il suo è solo uno dei tanti messaggi, quasi tutti dello stesso tenore, che ci sono giunti nelle scorse settimane. E pur nel doveroso rispetto per le opinioni altrui, non saremmo sinceri se non ammettessimo che ci amareggia.
[i](nella foto: Saluti romani al Campidoglio dopo la vittoria elettorale di Berlusconi)[/i]

Abbiamo numerosi segnali e la ragionevole certezza di affermare che Bonaiuti non avrebbe espresso la medesima indignazione se Cesare Battisti, anziché essere comunista, avesse militato nella così detta eversione nera. Per noi sarebbe cambiato poco, a parte il tono analogo ma di segno politico opposto di altri lettori che ci avrebbero accusato di difendere un fascista.

Dunque ci amareggia che Bonaiuti non abbia urlato vergogna contro il Brasile e le sue istituzioni anche per i casi dolorosi di decine e decine di cittadini italiani ivi detenuti, spesso ingiustamente, quasi sempre in condizioni disumane. Ci amareggia che il lettore non si sia scagliato anche contro altri Paesi ove trovano ospitalità numerosi nostri connazionali ricercati per fatti di terrorismo: Giappone, Nicaragua e specialmente la Francia, per citarne qualcuno.

Ma sopra tutto ci amareggia che questa campagna di odio antibrasiliano, fomentata da antichi rancori e promossa da esponenti della nostra maggioranza politica che non ha ancora fatto i conti con i fantasmi del passato, cominci a fare breccia presso la società civile.

Tutto ciò con l’acquiescenza dell’opposizione parlamentare, pronta si ad attaccare Silvio Berlusconi per avere ricevuto il presidente Inácio Lula da Silva in presenza di Ronaldinho Gaúcho, ma pilatescamente silente al cospetto delle gravi conseguenze che deriveranno dall’incrinamento dei rapporti diplomatici – dunque anche economici e commerciali – con la decima potenza mondiale.

Ma andiamo con ordine. Mentre scriviamo la vicenda dell’ex militante dei Proletari armati per il comunismo (Pac) è ancora sotto esame da parte del Tribunale supremo brasiliano, che si pronuncerà sulla richiesta di estradizione presentata dall’Italia e conseguentemente sulla concessione dello status di rifugiato politico deliberata il 13 gennaio dal ministro della Giustizia, Tarso Genro.

Impossibile pronosticare sull’esito finale del procedimento, poiché se é vero che la normativa in vigore assegna alla valutazione del ministro l’attribuzione del citato status é altrettanto vero che il Tribunale supremo – nel dichiarare incostituzionale la legge che regola la materia – ha il potere di dare il via libera all’estradizione. La maggioranza dei giuristi brasiliani reputa più probabile che i giudici finiscano per confermare la decisione di Genro, sopra tutto alla luce del parere del procuratore generale Antônio Fernando de Souza, favorevole all’archiviazione del procedimento contro Battisti.

Tuttavia le pressioni da parte italiana, esercitate in modo forte e arrogante, hanno colto di sorpresa la controparte brasiliana e hanno provocato crepe nella stessa maggioranza che appoggia il governo Lula. L’ex presidente del Senato, Garibaldi Alves Filho, del Partido do movimento democrático brasileiro (Pmdb), non ha esitato a bollare come «precipitosa» la decisione di Genro, mentre altri esponenti politici, pur non attaccando frontalmente il titolare della Giustizia, hanno comunque rilevato la disparità di trattamento con casi analoghi, primo fra tutti quello che ha coinvolto i due pugili cubani Guillermo Rigondeaux e Erislandy Lara durante i Giochi panamericani del 2007.

In Brasile esponenti politici e la così detta società civile stanno seguendo sorpresi e sbigottiti questa escalation di dichiarazioni e manifestazioni antibrasiliane e la sua degenerazione in farsa, come quando da più parti si scrive «monta la polemica» tra il ministro per le Politiche giovanili, Giorgia Meloni, ed il portiere campione del mondo, Gianluigi Buffon, sull’opportunitá di disputare col lutto al braccio l’amichevole con la Seleção del 10 febbraio. «É una misura esagerata e fuori tempo. Quello che è successo – ha dichiarato lo juventino – non è una tragedia, ma una vicenda in evoluzione e della quale si deve ancora capire come andrà a finire».

Tra le dichiarazioni che tengono vivo lo scontro diplomatico italobrasiliano, le più grottesche provengono dal Comune di Milano e in particolare dall’ufficio di Riccardo De Corato, vicesindaco e parlamentare del Popolo delle libertá (Pdl). Lo storico esponente del Movimento sociale italiano meneghino ha suggerito di boicottare i prodotti provenienti dal Brasile e di esercitare pressioni «sui tanti lavoratori brasiliani che in Italia hanno trovato fortuna come calciatori, a cominciare dai campioni che vestono le maglie delle squadre milanesi, Inter e Milan». All’insegna del chi la spara più grossa anche un’analoga uscita del senatore della Lega Nord, Sergio Divina che, senza mezzi termini, invita invita gli italiani a non andare in vacanza in Brasile e ad annullare i viaggi già prenotati.

Frattanto sul fronte opposto la gara a chi é più realista del re è già cominciata e il senatore dell’Italia dei valori Settano Pedica ha deciso di incatenarsi davanti all’ambasciata del Brasile per iniziare uno sciopero della fame a oltranza. Le agenzie di stampa hanno inoltre dato notizia dell’iniziativa mediatica di Maurizio Costanzo, che dagli schermi di Canale 5 ha lanciato il proprio accorato appello agli italiani invitandoli a inviare cartoline postali recanti a scelta le scritte «vergogna» o «estradate Battisti» alla sede diplomatica verdeoro.

Sul fronte governativo ci paiono degne di nota le fiere affermazioni del ministro dell’Interno Roberto Maroni. Da consumato osservatore di questioni geopolitiche l’importante esponente leghista non manda giù che Lula sia stato invitato al prossimo vertice del G8 a La Maddalena. E osserva che non andrebbero fatti accordi col Brasile, «uno Stato che considera il nostro Paese quello in cui chi è condannato rischia di essere ammazzato o torturato».

Un altro vuoto a perdere del conflitto diplomatico in corso, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, è invece interessato ai risvolti calcistici. A suo dire il match dell’Emirates stadium tra le due nazionali più titolate, proprio in quanto amichevole, non s’ha da fare. Diverso sarebbe il caso – se abbiamo compreso il suo sottile ragionamento – qualora si fosse trattato di una competizione ufficiale. Quindi i tifosi non dovrebbero assistervi né dagli spalti né da casa, perché «in questo momento – ha chiosato con durezza – non vedo ragioni di amicizia con il Brasile».

Tra le parole al vento lanciate nel tritacarne dei media, a stupirci di più sono state quelle pronunciate dal leader del Partito democratico, Walter Veltroni. A suo parere il can-can organizzato dal governo, manifestamente irrispettoso delle legittime decisioni di uno stato sovrano, è insufficiente: «Non basta richiamare l’ambasciatore», ha sentenziato l’ex sindaco della capitale, «Berlusconi alzi il telefono e chiami Lula per protestare».

A proposito di ambasciatore, l’escalation ha avuto apice nel temporaneo richiamo per consultazioni di Michele Valensise e nel coinvolgimento del Parlamento europeo, che ha approvato a larga maggioranza la mozione italiana. Il menzionato richiamo da Brasília per consultazioni del capomissione rappresenterebbe non soltanto una bizzarra forma di protesta diplomatica, ma anche un modo virile di «sbattere il pugno sul tavolo», per usare la colorita espressione cui hanno ricorso fonti della Farnesina.

Pur definita «esagerata» dal presidente Lula, questa entrata a piedi uniti del governo italiano non ha dato seguito a contromisure o parole in libertà, ma soltanto a dichiarazioni ufficiali volte a riaffermare gli storici legami di amicizia tra i due Paesi. (Il 2 febbraio Valensise è tornato a Brasília con l’incarico di seguire i futuri sviluppi giudiziari del caso, ndr).

Insomma, coesione politica e gazzarra da parte italiana, sorpresa, correttezza politico-istituzionale e basso profilo dalla sponda opposta è una prima lettura mediatica del «caso Battisti». Tuttavia l’interrogativo per noi più stuzzicante è il seguente: per quale motivo e su quali basi il ministro Genro, storico esponente del Partido dos trabalhadores (Pt) e amico di Lula di lunghissima data, ha concesso lo status di rifugiato politico a Battisti? A nostro parere è molto sincera e chiarificatrice una delle dichiarazioni a caldo dello stesso Genro, rilasciata subito dopo l’ormai storica decisione: la valutazione è stata esclusivamente politico-istituzionale, non «politico-partitica».

É infatti vero che l’ex militante dei Pac, una volta giunto in Brasile – lo ha raccontato egli stesso in un’intervista al settimanale "Istoé" – ha beneficiato del sostegno di Fernando Gabeira, storico esponente della sinistra brasiliana ed ex guerrigliero. É altrettanto vero che tra i suoi difensori figura il potente ex deputato e fondatore del Pt, Luiz Eduardo Greenhalgh, secondo alcuni vera eminenza grigia del lulismo al potere. Come è anche vero che, una volta rinchiuso nel carcere di Papuda, Battisti è subito entrato nelle grazie sia della sinistra antagonista sia di illustri esponenti di quella riformista, a cominciare dal senatore Eduardo Suplicy.

Siamo tuttavia convinti che il governo verdeoro (anche in Brasile l’operato dei singoli ministri é indirizzato e coordinato dal capo dell’Esecutivo) abbia seguito logiche diverse, rispetto a quelle unicamente ideologiche. Al di là della tradizionale riottosità a dare seguito alle richieste di estradizione – talvolta intese come virtuali e sottili aggressioni alla propria sovranità territoriale – ha sopra tutto pesato la differente percezione nei confronti non soltanto dei turbolenti Anni Settanta, ma del passato tout court.

A questo proposito risultano chiarificatrici le parole di Genro: «Se il Brasile sta vivendo un processo di pacificazione politica, l’Italia é ancora segnata dagli anni di piombo. E mentre l’Italia é ancora sepolta negli anni di piombo – ha proseguito durante il Forum sociale mondiale celebratosi a Belém – qui da noi stiamo discutendo una legge d’amnistia».

In Brasile tanto la classe politica quanto la pubblica opinione percepiscono gli Anni Settanta come un’epoca remota, durante la quale in America latina imperversavano le più lugubri dittature militari, le cui vittime si contarono a decine di migliaia. Un’epoca da consegnare agli storici, che non può ostacolare una nazione giovane e poco ideologica nella sua determinata lotta per affermarsi come il «Paese del futuro».

Altro fattore determinante per la decisione di Genro è stato l’ottimo lavoro del collegio difensivo, che godendo di una situazione ambientale certamente più serena rispetto a quella italiana ha messo bene in evidenza il clima politico-giudiziario che si viveva trenta anni fa nel Belpaese: dalle leggi speciali ed emergenziali alla discutibile normativa sui pentiti, dai metodi violenti per ottenere le confessioni degli indagati sino ai casi giudiziari più noti e controversi (le dolorose vicende che hanno visto protagonisti Enzo Tortora ed Adriano Sofri sono ben note anche oltreoceano). Preso atto che Battisti sia stato condannato in contumacia – e soltanto in base alle dichiarazioni dei pentiti – e evidenziate certe lacune della fase istruttoria, tutto ciò al governo brasiliano è bastato.

La vicenda, per la quale è difficile intravedere il lieto fine – indipendentemente dall’esito, gli strascichi saranno gravissimi – può avere pessime conseguenze sotto molteplici aspetti, a cominciare da quello economico-commerciale. In tempi di grave crisi e di riduzione consistente della ricchezza nazionale, é miope e autolesionista incrinare i rapporti diplomatici con la decima potenza mondiale.

É da principianti non sfruttare appieno le grandi potenzialità offerte dai suoi settori economici, in primis quello infrastrutturale. Il Paese sudamericano sta resistendo meglio del previsto alle turbolenze finanziarie globali e sta attuando un grandioso piano di investimenti pubblici (il Programa de aceleração do crescimento), che dovrebbe rappresentare una grande opportunità per molte aziende italiane alle prese con un mercato interno sempre più depresso.

Nessun dubbio, beninteso, sulla legittimità giuridica della richiesta di estradizione promossa dall’Italia e neppure sul successivo ricorso al Tribunale supremo federale. Nessun dubbio neppure sulla doverosa tutela delle vittime del terrorismo pur nutrendo il sospetto che le stesse, dopo oltre trenta anni, preferiscano guardare avanti anziché farsi coinvolgere da politici che si abbandonano a demagogiche dichiarazioni di stampo forcaiolo.

Pensiamo tuttavia che la stessa determinazione mostrata dal governo in queste settimane avrebbe dovuto essere posta anche al servizio di coloro che hanno a che fare col sistema Brasile, affinché i loro interessi e diritti non vengano pregiudicati. Non dovrebbero dovuto essere lasciati al loro destino gli imprenditori italiani in loco, quelli che dall’Italia operano con beni e servizi brasiliani, i nostri connazionali che vivono in quel Paese, chi opera nel settore della cooperazione oppure chi lotta contro ogni burocrazia nell’ambito di vicende delicate come le adozioni internazionali, chi è rinchiuso nelle carceri locali.

Anziché aizzare a strampalati boicottaggi, gli onorevoli De Corato e Divina hanno la responsabilità politica di occuparsi anche di questi cittadini italiani: se si sputa sangue per gli uni, lo si faccia anche per gli altri. Che a guidare la sproporzionata reazione dei nostri rappresentanti sia più l’odio rancoroso che il legittimo desiderio di giustizia, lo dimostrano anche altri aspetti di questa brutta storia. Perché i "patrioti" di casa nostra, tanto solerti nel voler assicurare Battisti alla giustizia e tanto indignati col governo Lula, non muovono un dito per le decine di nostri connazionali rinchiusi in condizioni inumane – e spesso ingiustamente – nelle carceri brasiliane?

Gli unici interventi concreti di cui abbiamo conoscenza sono stati quelli dei parlamentari Fabio Porta, Massimo Donadi e Fabio Borghesi, mentre il personale diplomatico – fatta salva la buona volontà messa in campo dal console d’Italia a Recife, Massimiliano Lagi – non si è certo distinto per particolare impegno. Con sgomento siamo costretti ad annotare che per la classe politica nostrana l’ansia di vedere il colpevole dietro le sbarre prevalga di gran lunga sull’indignazione per l’arresto di innocenti.

Impressiona e ferisce altresì che al di là dell’aspetto giudiziario della vicenda dall’Italia non si levino mai dichiarazioni improntate a senso di pietà e di umanità che bisogna invece cercare oltreoceano. È possibile che a nessuno, neppure dalle macerie della ormai defunta «sinistra radicale», scappi detto che scontare una pena dopo oltre trenta anni dai fatti commessi rappresenta, per il fatto in sé, un’ingiustizia? Nessuno che si azzardi a dire che un 54enne non è più la stessa persona rispetto a un ventenne?

A sorprendere è sopra tutto il diverso trattamento riservato al Brasile rispetto ad altri paesi che ospitano latitanti italiani. Non risulta infatti che una simile gazzarra sia mai stata inscenata contro la Francia, al di là delle dichiarazioni di pessimo gusto indirizzate contro la first lady Carla Bruni, da parte del sottosegretario agli Affari esteri, Alfredo Mantica. Oltralpe continuano a rifugiarsi molti ex militanti, e sino a pochi anni fa vi viveva in libertà lo stesso Battisti. Alcuni di essi, magari per ragioni diverse – si pensi a Giorgio Pietrostefani – erano, e continuano ad essere, notissimi alla pubblica opinione. Nonostante la fine dell’arcinota «dottrina Mitterand», continuano a soggiornare in Francia figure di primo piano della lotta armata, tra cui Simonetta Giorgieri ed Enrico Villemburgo, quest’ultimo condannato all’ergastolo nel processo Moro-ter.

La politica dei due pesi e due misure è stata esercitata anche nel caso dell’ex brigatista Marina Petrella, cui il presidente francese Nicolas Sarkozy ha concesso l’asilo per ragioni umanitarie. Ma nei confronti della Francia si è praticato un rispettoso silenzio. Nessuno straccio é volato neppure all’indirizzo di Tokyo per Delfo Zorzi, ex militante del gruppo neofascista Ordine nuovo, che oggi vive in Giappone come latitante dopo essere stato rinviato a giudizio per la strage di Piazza della Loggia. E divenuto cittadino giapponese (e come tale non estradabile), anche se molti giuristi sono convinti dell’illegittimità della sua condizione, ottenuta in violazione delle leggi nipponiche.

Altro interrogativo stuzzicante: quale l’intima ratio di questo accanimento antibrasiliano? Secondo alcuni osservatori, il caso Battisti rappresenterebbe soltanto il pretesto per alcuni politici per sfogare un criptofascismo a lungo represso contro un Paese progressista guidato da un ex operaio. Se tale interpretazione avesse fondamento, bisognerebbe ricordare a costoro che il Brasile continua a essere, ad onta delle toppe cucite qua e là dal governo Lula, ai vertici di tutte le classifiche che misurano l’iniquità della ripartizione delle ricchezze. Dell’egualitarismo tanto avversato dai nostri balilla in doppiopetto, nel Paese sudamericano non si sente neppure l’odore.

Ci hanno poi deluso le parole del citato Mantica dedicate all’«assordante silenzio» sul caso della comunità italiana. Agli italiani in Brasile, ed è sorprendente non se ne colgano le ragioni, anziché la reclusione di Battisti interessa e preoccupa sopra ogni cosa proprio il pasticcio diplomatico di cui essi stessi, per primi, subiranno le conseguenze. Sotto il profilo economico e non solo, considerato lo stato di abbandono in cui versano le rappresentanze diplomatiche e consolari. E le difficoltà che queste incontrano persino a rimpatriare i cadaveri dei nostri connazionali troppo spesso vittime, nel più totale disinteresse della nostra classe politica, di assassini più o meno efferati. Ci piacerebbe chiedere al ministro degli Affari esteri Franco Frattini perché non convoca anche il nostro capomissione a Teheran «per consultazioni» sui rischi d’impiccagione cui incorrono i turisti italiani gay in loco.

Chi ha a cuore l’interscambio culturale e economico tra Italia e Brasile è intristito per il modo in cui il qualunquismo e il linguaggio da osteria ormai connaturati nella politica nazionale sono giunti a guastare i rapporti tra i due Paesi. Così come non può che amareggiare che una nazione amica sia coinvolta in quella guerra civile strisciante che da anni, bloccando il nostro Paese, é responsabile del suo immobilismo e del suo declino, riservando quanto di più nefasto si possa offrire alle future generazioni.

10.2.2009

http://musibrasil.net/articolo.php?id=2531

 
6714-caso-battisti-e-cattiva-coscienza

7447
EmiNews 2009

Views: 1

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.