6781 Caudillo lui o razzisti noi

20090222 11:58:00 redazione-IT

di Luciana Castellina (da il Manifesto)

C’è un documentario girato tempo fa per conto della Bbc (la revolucion no serà transmetida n.d.r.) che racconta del golpe intentato contro il capo di stato, democraticamente eletto del Venezuela, Hugo Chavez, e pochi giorni dopo smantellato da una folla scesa dalle favelas di Caracas, che ha liberato, a furor di popolo, dal carcere dove era stato già rinchiuso, il «suo presidente».
Prima di parlare di questo paese bisognerebbe che i giornalisti nostrani guardassero quel film che meglio di ogni discorso dà conto di quale sia la natura dello scontro che da un decennio divide senza mediazioni la società venezolana. Da un lato i poveri, dall’altra un’oligarchia gretta, arrogante, abituata da sempre a approfittare in esclusiva dei privilegi ingenti offerti dalla grande risorsa nazionale: il petrolio. E abituata a ricorrere alle peggiori dittature, così come a leadership truffaldine, ogniqualvolta si profila un mutamento sostanziale. Giunta persino a denunciare come pericoloso estremista Jimmy Carter – bisognava vedere le scritte sui muri della capitale!

– solo perché, nella successiva elezione, a nome della commissione internazionale di controllo aveva suggellato la regolarità del voto. Le immagini del documentario evocano l’affresco di Diego Rivera a Città del Messico, tanto appaiono stilizzati e ideologici i saloni del palazzo presidenziale dove si festeggia l’estromissione di Chavez – grassi capitalisti, signore incappellate, il vescovo e i generali – e poi le strade di Caracas che protesta, gremite di una moltitudine di diseredati.

Chavez populista senza attenuanti perché ai bisogni di quei diseredati ha cercato di dare una risposta, condividendo con loro, e con i più sfortunati abitanti dei paesi del centro e del sud America che di quella risorsa sono privi, la ricchezza dei pozzi? Si può discutere dei limiti, delle ingenuità, degli errori della sua politica economica, ma a condizione di riconoscere che uno sforzo straordinario è stato fatto per rimettere in discussione un’oppressione e un’ingiustizia secolari. A condizione di smettere di accusare di populismo chi si propone, più semplicemente, di dare rappresentanza al popolo.

Chavez ribelle ed eversivo, perché ha osato unirsi al subcontinente americano in un’alleanza politica ed economica, il Mercosur, che lo sottraesse all’oppressione del potente vicino del nord? Basterebbe solo questo illuminato e generoso tentativo a salutare l’operato del presidente venezolano: tutti sanno cosa ha significato e significa l’annessione subalterna agli Stati uniti dei paesi dell’America Latina.

Chavez golpista, non perché ha reso perenne il suo mandato, ma solo perché ha ottenuto la possibilità di ricandidarsi, salvo il sacrosanto diritto degli elettori di non rieleggerlo? Si può discutere anche di questa norma, ma è difficile che una simile accusa venga lanciata da chi non batte ciglio di fronte a re e regine, con scettri, ermellini e troni, mai passati al vaglio popolare, che pure sono a capo di tanti moderni e democratici stati europei. L’Inghilterra o la Svezia sono certamente democratiche, e infatti le loro monarchie non ci irritano più di tanto, ma se è così è perché ne conosciamo le ragioni storiche. Non sarebbe forse il caso di sforzarci di capire le ragioni storiche del Venezuela, tanto diverse dalle nostre? E inoltre: c’è poi tanta differenza fra la possibilità per un presidente di essere rieletto più di due volte e le norme che rendono possibile, in Italia e altrove, di restare per decenni presidente del consiglio?

La verità più profonda che risulta dal modo come in occidente si parla di Hugo Chavez sta altrove: in un rigurgito di razzismo che fa arricciare il naso ai nostri raffinati cultori della democrazia di fronte al fatto che protagonista di una pagina importane della storia latinoamericana sia oggi un rozzo indio venuto dal profondo dell’Amazzonia.Come il suo amico boliviano Evo Morales, come l’operaio brasiliano Lula.

Quel che impaurisce sono i cinque presidenti latino americani che insieme si sono presentati alle migliaia affluite da ogni continente a Belem per il settimo Forum sociale mondiale e che hanno accettato il confronto sulla grande sfida del nostro tempo: rendere possibile un mondo diverso da quello in cui viviamo. Un obiettivo che dalle nostre parti nessuno ha più nemmeno voglia di porsi. Quale capo di governo europeo potrebbe aprire un analogo dialogo con i giovani con la certezza di non essere fischiato?

Per tutte queste ragioni siamo contenti che Chavez abbia vinto il suo referendum e non ci imbarazza di apparire eccessivamente entusiasti. Per una riflessione critica, se deve esserci, il voto venezolano è comunque una necessaria premessa.

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Stralci del documentario citato da Luciana Castellina sono visibili nel documentario della FILEF: "Venezuela dopo la tempesta" (2006), di R.Ricci e F. Galli, realizzato in collaborazione con italiani residenti nel paese sudamericano.

LINK: [url]http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Unique&id=6248[/url]

http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Unique&id=6248

 
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EmiNews 2009

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