6796 Battisti, il Brasile e l’Italia : principi

20090224 19:09:00 redazione-IT

di Bernard-Henri

[b]Questo editoriale di Bernard-Henri Lévy, uscito in Francia su Le Point giovedì 19 febbraio, doveva essere pubblicato dal Corriere della Sera, giornale con cui B.-H. Lévy collabora. Il Corriere lo ha rifiutato. L’articolo è stato pubblicato oggi dall’Unità, tradotto da Beppe Sebaste. Il rifiuto di pubblicare un’opinione garantista da parte di un giornale come il Corriere è emblematica del clima che si respira oggi in Italia. In Appendice, altri due articoli usciti sulla stampa francese e brasiliana.[/b]

Occorre ripeterlo ancora una volta?
La persona di Cesare Battisti non è qui in questione. Ignoro se abbia commesso o no i crimini che gli sono imputati, e che lui nega strenuamente dall’inizio. E odio in generale tutto quel terrorismo di cui egli si fece propagandista e per il quale non trovo, né mai troverò, circostanze attenuanti.

Detto questo, vedo le reazioni della stampa da quando il ministro brasiliano della Giustizia, Tarso Genro, ha deciso di accordargli l’asilo politico nel suo Paese.
Osservo, in Italia, uno strano clima d’isteria all’idea di veder fuggire un uomo che abbracciò, come migliaia di altri, la tesi imbecille della «lotta armata», ma di cui si sta facendo – sic – il peggior criminale degli anni di piombo, l’incarnazione del loro orrore, la personificazione del male, il diavolo.
[b]

E credo che occorra riaffermare ancora una volta – a qualunque costo, e anche se la faccenda sembra marginale o secondaria rispetto alla crisi sociale, alla povertà in aumento o all’esplosione in Guadalupe – un certo numero di principi.

1. L’Italia è, senza possibile dubbio, une grande democrazia. Ma anche alle più incontestabili democrazie accade di nascondere punti d’imperfezione e zone d’ombra. Gli Stati Uniti e la pena di morte… La tortura, in Francia, all’epoca della guerra d’Algeria… L’Inghilterra minata, per decenni, da una guerra civile irlandese che sembrava non potesse risolversi se non nel sangue e nelle leggi d’eccezione… Ebbene, proprio allo stesso modo l’Italia, nell’urgenza della lotta antiterrorista degli anni 1970, si è dotata di un arsenale legislativo in cui figurava, in particolare, una legge sui pentiti capace di far acquistare a un uomo tutta o parte della sua impunità caricandone il peso su qualcun altro. E’ quanto è accaduto a Cesare Battisti. E’ sulla parola di pentiti (tra cui il capo del suo gruppo, il torbido Pietro Mutti) che è stato condannato vent’anni fa al carcere a vita. E a distanza, ora che si è usciti dallo stato d’emergenza ed è giunto il momento di lenire le ferite, vi è qui qualcosa di inaccettabile.

2. Tra i punti critici della democrazia italiana c’è un’altra stranezza, quella legge sulla contumacia che fa che un imputato, condannato in sua assenza e poi catturato dalla giustizia, vedrà applicarsi meccanicamente la pena pronunciata allora senza avere la possibilità, come in Francia o in Brasile, di essere giudicato di nuovo. Fu Battisti, durante quel processo in contumacia, rappresentato da un avvocato che avesse egli stesso, dal suo esilio messicano, doverosamente incaricato a tale scopo? No, dice giustamente Fred Vargas, che con l’ausilio di perizie grafologiche ha mostrato ai Brasiliani che sussiste più di un dubbio sull’autenticità di quel mandato. E, soprattutto, la difesa di un avvocato non potrà mai sostituire completamente la comparizione davanti a un giudice – faccia a faccia, parola contro parola – di un uomo su cui pesano presunzioni di crimini così terribili. Qualsiasi cosa abbia fatto o potuto fare, trent’anni fa, il futuro autore di Cargo sentimentale, aveva anche lui diritto, almeno una volta, di incontrare i propri giudici. Ed è perché quel diritto non gli era stato offerto, e che il codice penale italiano stabilisce che egli sarebbe andato, in caso di estradizione, direttamente alla casella “prigione a vita”, che sarebbe stato giusto accordargli – anche se il termine sembra improprio, anche se può apparire scioccante – lo statuto di «rifugiato politico».

3. Non si affronta un problema così enorme come quello degli anni di piombo italiani fabbricando un mostro, incollandogli sulla schiena la totalità dei crimini della sua organizzazione, cucendogli addosso, sulla pelle, l’intero ammasso dei peccati di un’epoca di cui fu solo una pallida comparsa, producendo insomma un capro espiatorio la cui esecuzione giudiziaria darebbe il sentimento di essersi sdebitati e assolti, con poca spesa, dal lavoro di rimemorazione e di lutto. Tuttavia è ciò che ha fatto Silvio Berlusconi facendo uscire dal cappello, cinque anni fa, quel nome di Battisti che tutti o quasi avevano dimenticato. E’ ciò che fa quella parte dell’opinione pubblica italiana che preferisce cancellare, accusando il solo Battisti, la terrificante complessità di un’epoca storica in cui si affrontarono i terrorismi di estrema sinistra, i terrorismi di estrema destra, e gli intrighi mafiosi di uno Stato che strumentalizzava gli uni e gli altri (si veda il film Il Divo, che Paolo Sorrentino ha appena consacrato all’inossidabile Presidente del Consiglio di quelli e degli anni successivi, Giulio Andreotti). Tutto questo non fa bene né all’Italia di oggi né alla lotta contro il terrorismo di domani, né, infine, alle vittime che non hanno niente da guadagnare, niente, a veder gettare in pasto, a saldo di ogni conto, dei colpevoli incerti.

Non so se sia questo a essersi detto, e in questi termini, il ministro della Giustizia del Presidente Lula. Ma credo che la sua decisione sia stata saggia. Credo che sia irragionevole scatenarsi contro un Brasile trasformato (e con quale disprezzo!) in una repubblica delle banane più nota «per le sue ballerine che per i suoi giuristi». Perché la verità di ciò che non sarebbe mai dovuto diventare «l’affare Battisti» è questa: poco importano, in questo ambito, le persone; poco importa che abbiano un bell’aspetto, buona stampa, buona reputazione, e che ispirino o no simpatia; i princìpi sono i princìpi solo se non ammettono eccezioni.

Ancora sul caso-Battisti:

Fred Vargas : Défendre Battisti, ce n’est pas ignorer les victimes, su Le Monde del 20 febbraio 2009
Giuseppe Cocco: Battisti e… Obama!, sul Folha de S. Paulo del 20 febbraio 2009

__________________

Fred Vargas : "défendre Battisti, ce n’est pas ignorer les victimes"

[img]http://medias.lemonde.fr/mmpub/edt/ill/2009/02/20/h_9_ill_1157933_76dc_vargas.jpg[/img]

Cesare Battisti est l’un de ces militants de l’extrême gauche italienne passée à la lutte armée dans les années 1970, qui se sont réfugiés en France, forts de la promesse faite en 1985 par le président de la République, François Mitterrand, de refuser de les extrader. Mais en février 2004, sous la présidence de Jacques Chirac, l’Italie a demandé plusieurs extraditions, donc celle de Battisti, condamné à perpétuité pour homicides. La France a autorisé l’extradition, mais avant que le décret soit signé, Battisti s’est enfui, le 24 août 2004. Il a été arrêté le 18 mars 2007 au Brésil, qui lui a accordé, le 13 janvier, le statut de réfugié politique.

Vous êtes une romancière très discrète, mais dans la défense de Cesare Battisti, vous êtes en première ligne. Pourquoi un tel engagement ?

Certainement pas parce que c’était un ami, car je ne le connaissais pas. Pas parce que c’était un confrère, car je n’ai pas de réflexe corporatiste. J’ai étudié son cas avant de signer la première pétition, et je fus l’une des dernières à le faire. Mais l’injustice était patente, et j’en ai découvert l’étendue peu à peu. Il n’était pas possible de l’accepter. J’ai cru que l’affaire durerait un mois ou deux. Cela fait cinq ans à présent… Mais vous savez comment sont les archéologues : ils cherchent la vérité, et ils ne s’arrêtent de fouiller les profondeurs de la terre que lorsque c’est chose faite. C’est mon métier, que la vérité soit du Moyen Age ou d’aujourd’hui. Je le fais.

L’Italie est un pays démocratique, la justice italienne a jugé Battisti, et, au nom des victimes, elle lui demande réparation. Cela ne semble pas illogique…

Bien sûr que c’est une démocratie, qui le nie ? Mais démocratie n’a jamais signifié "pays parfait". L’histoire de la France en témoigne. Toute démocratie peut hélas connaître des dérives, à tel moment brûlant de son histoire. Ce fut le cas de la justice italienne pendant les années de plomb, instruisant plus de 4 000 procès contre l’extrême gauche. Pas un historien sérieux ne peut dire que ces procès furent tous "réguliers". Pas un ne peut nier l’existence des tortures : pendant le premier procès où figurait Battisti, treize cas de torture furent déclarés. Et pas un seul de ces torturés n’a d’ailleurs prononcé le nom de Battisti.

Je n’ai jamais défendu la lutte armée, de quelque bord que ce soit, et il est offensant d’entendre dire que défendre Battisti, c’est ignorer les victimes. Mais on ne peut pas soutenir que ces procès ont été exemplaires. Le cas du procès d’Adriano Sofri, avec repenti, en est une triste et célèbre illustration. Je soutiens Battisti parce que son procès fut faussé du début à la fin. Cela n’aiderait pas les victimes d’emprisonner de faux coupables.

Sur quoi s’appuie la justice brésilienne pour contredire la décision française, refuser d’extrader Battisti et lui accorder l’asile politique ?

Pour la première fois depuis cinq ans, un ministre de la justice, celui du Brésil, a pris le temps d’examiner des documents, irréfutables, et en a conclu que le procès italien qui avait condamné Battisti avait été vicié. Ce qui est exact. Il a aussi estimé que beaucoup d’éléments permettaient de douter de la culpabilité de Battisti : absence de preuve matérielle, absence de témoin oculaire fiable, usage exclusif des "témoignages" de repentis et de dissociés, gagnant des réductions de peine, parfois considérables, en accusant Battisti dans un bel ensemble. Et surtout : Battisti, qui avait été pendant deux ans membre du petit groupe armé des PAC (Prolétaires armés pour le communisme), eut d’abord un premier procès en Italie, où il ne fut jamais accusé des quatre homicides commis par son groupe.

En 1981, il a été condamné à douze ans de prison pour "subversion et participation à bande armée", ce qu’il n’a jamais nié. Comme il n’a jamais nié sa "responsabilité collective" dans les terribles événements des années de plomb. En revanche, il était absent quand a commencé, avec l’arrestation du chef du groupe, un deuxième procès collectif : ce chef se constitua "repenti" et, curieusement, Battisti fut alors "représenté", tout au long de ce procès, avec des "mandats", des procurations, qui sont des faux. Avec comme résultat d’être le seul à avoir une peine de perpétuité, en 1988. N’est-ce pas très étrange ? Que diriez-vous si cela vous arrivait ? N’auriez-vous pas l’impression d’avoir été terriblement utilisé ? Le Conseil d’Etat français et la Cour européenne ont été informés en 2005 de la fausseté de ces mandats (avec expertise), ce qui rendait l’extradition légalement impossible. Mais ces cours ont choisi de les ignorer et ont accordé l’extradition… sur la base de ces "mandats" ! Le Brésil, lui, a travaillé différemment : il a examiné ces pièces, et, pour la première fois depuis cette affaire, ce pays a accompli un travail de justice véritable, en déclarant le procès vicié.

Comment expliquez-vous que, de tous les acteurs de cette période historique troublée, Battisti semble aujourd’hui presque l’unique symbole ?

Le mécanisme est simple. Battisti n’était rien pendant les années de plomb. Juste un jeune homme exalté parmi des dizaines de milliers d’autres et qui, comme il le dit lui-même, a commis la monumentale erreur de passer le cap des armes. Il n’était même pas "chef" de son petit groupe (il y eut environ 200 groupes armés durant cette période). Personne ne connaissait son nom avant que Berlusconi n’ait l’idée – électorale – de réclamer en 2004 une vingtaine de réfugiés à Jacques Chirac. Battisti (car écrivain) figurait en tête de liste. Mais, et c’était inattendu, une vigoureuse protestation s’est déclenchée en France. Qui a entraîné aussitôt une réaction italienne : une propagande médiatique violente a été lancée d’Italie pour éteindre le mouvement de soutien français. Selon une technique historiquement éprouvée, les médias ont fait de Battisti un "monstre", tout simplement, tout bonnement, et cela a parfaitement fonctionné. Mais ensuite, comment arrêter le train de l’opinion publique convertie ? Si un autre nom avait été en haut de la liste, cela aurait fonctionné de la même façon.

Un des arguments les plus efficaces de l’offensive italienne, puis française (aujourd’hui au Brésil), a été de faire croire que, lors de l’attaque des PAC contre le bijoutier Pierluigi Torregiani, tué en pleine rue en 1979, Battisti aurait tiré sur son fils de 14 ans, Alberto, devenu paraplégique. Tout le monde en est encore aujourd’hui convaincu. Battisti ? Un tueur d’enfant.

Comment défendre un homme dans ces conditions ? Impossible ! Or la justice italienne elle-même a admis que Battisti ne faisait pas partie du commando contre Torregiani ! Qu’il n’était pas sur les lieux, et que le garçon fut touché par une balle perdue de son propre père. C’est dans les actes du procès. Si l’Italie réagit avec une violence si disproportionnée, c’est que le procès qui a condamné Battisti est exemplaire des déviances de la justice de cette époque : tortures – dont le supplice médiéval de l’eau salée injectée en force dans l’estomac -, faux mandats, avocats emprisonnés et repentis sous pression… Un secret de polichinelle, certes, mais un secret que l’histoire italienne ne veut pas reconnaître. Il faut donc à tout prix effacer le procès Battisti et, pour cela, enfouir l’homme Battisti au plus profond d’une cellule. C’est une terrible logique politique que le Brésil a interrompue avec objectivité, sagesse et courage.

Si le Brésil se tient à sa décision, que va faire Battisti, que souhaite-t-il ?

Redevenir l’homme normal qu’il était avant. Ne plus entendre parler du personnage qu’on a construit autour de lui. Ecrire des romans, voir ses filles. Ne rêvons pas, ce sera très difficile, car on peut tout craindre, quand une "affaire" a atteint ce stade. Comment Battisti va-t-il pouvoir marcher dans une rue de Rio ? C’est bien ce qu’il se demande. Dans un siècle, justice sera faite. Mais maintenant ?

__________________

Battisti e… Obama!
di GIUSEPPE COCCO

Fechar feridas dos anos 70, reconhecer a sua dimensão política e, portanto, a do caso Battisti é essencial para o futuro da democracia

OS CRIMES atribuídos a Cesare Battisti datam de mais de 30 anos. Mas são tratados como se tivessem acontecido ontem. Apareceu até um pequeno pelotão de supostos finos conhecedores da realidade italiana para sustentar que seus "crimes" não seriam políticos, pois a Itália seria então, como hoje é, uma democracia; que a repressão à luta armada da década de 1970, esquerdista ou direitista, teria sido feita dentro do marco da Constituição, sem leis especiais.

A vasta literatura de crítica às leis de "emergência" desenvolvida por juristas de porte internacional -como Luigi Ferrajoli e Alessandro Baratta- é simplesmente ignorada. Mas o que mais impressiona é a mistura de "palpites" sobre a história italiana e as definições policialescas do conceito de democracia.

"Depois de 20 anos de fascismo, os italianos, em 1948, elegeram o modelo republicano. A partir daí a Itália passou a viver democraticamente", escreveu Wálter Maierovitch nesta Folha (7/2/2009). Ora, o referendo que escolheu a república data de 2 de junho de 1946. Ao mesmo tempo, antes do fascismo, a Itália já era uma democracia (monarquia constitucional), e Mussolini -aliás, como Hitler- chegou ao poder pelas vias e mecanismos daquela democracia.

Mais importante: o "depois do fascismo" não foi fruto de eleições; foi uma conquista que passou pela guerra e pela luta armada. A data de referência na Itália é justamente o 25 de abril de 1945, "festa da libertação do fascismo", quando a Resistência e a população insurrecta ocuparam a cidade de Milão.

Cabe aqui perguntar: uma luta armada contra as ameaças do fascismo, na democracia dos anos 1920, não teria sido legítima? Não poderia ter conseguido evitar 20 anos de ditadura, os lutos da guerra e a vergonha das leis raciais e da deportação dos judeus italianos? Não teria faltado, na democracia italiana dos anos 1920, uma luta capaz de barrar o fascismo e assim consolidar a democracia mediante a sua renovação?

Também nesta Folha (12/2/2009) podemos ler que, em 1948, a nova Carta Constitucional entrou em vigor e, a partir de então, "a Itália é uma República democrática". Pedro Del Picchia parece não saber que 1948 é também o ano do atentado contra Togliatti, líder do Partido Comunista.

Por dois dias, quase toda a Itália do norte esteve sob controle das forças comunistas e da população insurrecta, à beira de uma guerra civil que só foi evitada pelos apelos do próprio Togliatti. Del Picchia ignora também que a Constituição democrática italiana sempre co-habitou com um emaranhado de leis e instituições fascistas: o Código Penal Rocco, o "concordato" entre Estado e Vaticano, o seguro-desemprego não-universal.

Já com esses poucos elementos, podemos ver que as dimensões formais da democracia italiana foram consolidadas pelas lutas dos que as conquistaram, defenderam e renovaram, com risco da própria vida -fosse contra os fascistas, os ocupantes nazistas ou as forças de polícia dos governos da Democracia Cristiana que não hesitavam em usar, nos anos 1950, as milícias mafiosas (o "bandido" Giuliano) para massacrar camponeses sem terra.

E, nos anos 1960 e 1970, os atentados "de Estado", bem no estilo do que no Brasil foi feito no Riocentro e foi tentado no Gasômetro do Rio. O Brasil era uma ditadura; a Itália, uma democracia. A Guerra Fria, no entanto, era uma só! A potência da democracia -nos ensinam os grandes constitucionalistas- não está na obediência, mas no direito à revolta. Para afirmar a Constituição, "foram necessários protestos e luta, nas ruas e nos tribunais, por meio de uma guerra civil e da desobediência civil". Não é um slogan de Battisti, mas um discurso Barack Obama na Filadélfia (18/3/2007), na trilha de Thomas Jefferson.

Hoje mesmo, os direitos dos trabalhadores estrangeiros na Itália não são protegidos pela Constituição formal, mas dependem das ruas, quer dizer, da capacidade de mobilização social, por exemplo, contra ou a favor a nova lei que obriga os médicos italianos a denunciar os imigrantes ilegais. Os erros políticos da luta armada na Itália dos anos 1970 não cancelam a evidência de que o conteúdo democrático da democracia dependia e depende da vitalidade dos movimentos. A repressão dos movimentos significou o enfraquecimento da democracia italiana e o desaparecimento da esquerda: a xenofobia no poder!

Fechar as feridas da década de 1970, reconhecer a dimensão política daqueles eventos e, portanto, a do caso Battisti é fundamental para o futuro da democracia, na Itália e alhures.

_____________________

GIUSEPPE COCCO , 53, cientista político, doutor em história social pela Universidade de Paris, é professor titular da Universidade Federal do Rio de Janeiro. Entre outras obras, escreveu, com Antonio Negri, o livro "Glob(AL): Biopoder e Luta em uma América Latina Globalizada".

 
6796-battisti-il-brasile-e-litalia-principi

7529
EmiNews 2009

Views: 1

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.