6824 Il fallimento del Superphenix. Le avventure perdenti dell’ENEL

20090227 10:25:00 redazione-IT

di Giorgio Nebbia – nebbia@quipo.it

Non è ancora bastato all’ENEL di imbarcarsi in avventure perdenti, i cui alti costi sono stati pagati dai cittadini italiani. Adesso l’ENEL ci riprova con un accordo con la società elettrica francese, l’EdF, per costruire quattro centrali nucleari di terza generazione, del tipo EPR, in Italia. A quelli che hanno la memoria corta vorrei ricordare le precedenti sventurate avventure nucleari targate ENEL: siamo negli anni settanta, ai tempi della prima crisi petrolifera e l’EdF sta costruendo una centrale autofertilizzante da 1200 megawatt, raffreddata a sodio metallico, col promettente nome di Superphenix, capace di ottenere, come la mitica Fenice, nuovo combustibile nucleare dalle proprie “ceneri”, in altre parole plutonio fissile dall’uranio-238 non fissile caricato nel reattore. Era un evidente errore tecnologico ed economico, ma l’ENEL finanziò lo stesso, con un terzo dell’ingente investimento, la costruzione del reattore francese, con la promessa di avere in cambio un terzo dell’elettricità che il reattore avrebbe prodotto.

Va bene che il reattore autofertilizzante ha bisogno di meno uranio arricchito, ma la Francia aveva costruito un proprio impianto Eurodif di arricchimento dell’uranio e anche qui l’Italia entrò col 25 % del capitale con la promessa di avere in cambio l’uranio arricchito che sarebbe stato richiesto dalle diecine di centrali nucleari previste dal piano energetico del 1975. E, per non restare indietro, fu prevista anche la costruzione in Italia di un altro impianto di arricchimento dell’uranio, Coredif, alimentato da quattro centrali nucleari da 1000 megawatt ciascuno, da localizzare nell’isola di Pianosa, o a San Pietro Vernotico vicino Brindisi. La protesta per l’impatto ambientale e per l’assurdità tecnico-economica dell’impresa si manifestò subito e pochi mesi dopo il progetto fu accantonato. Nel frattempo, nel marzo 1979, si verificò l’incidente al reattore americano di Harrisburg, la tanto conclamata sicurezza del nucleare fu messa in discussione e nel novembre 1980 venne elaborato un nuovo piano energetico che prevedeva un numero limitato di centrali nucleari, la diminuzione dal 25 al 16,5 % della partecipazione italiana all’impianto Eurodif e la svendita di parte dell’uranio arricchito per il cui acquisto l’Italia si era già impegnata e di cui non aveva più bisogno in seguito al ridimensionamento dei programmi nucleari. Quando si dice la fatalità: trentasei giorni prima della catastrofe di Chernobyl del 26 aprile 1986 venne approvato un nuovo piano energetico nazionale che prevedeva la costruzione “soltanto” di quattro centrali nucleari da 2000 megawatt ciascuna; il fabbisogno elettrico sarebbe però stato soddisfatto anche con l’acquisizione della quota italiana (400megawatt) dell’energia elettrica prodotta dalla centrale Superphenix (1200 megawatt) la cui entrata in funzione era avvenuta nel 1985 e il primo collegamento in parallelo sarebbe avvenuto nel gennaio 1986. L’8-9 novembre 1987 si svolsero i tre referendum sulle centrali nucleari e uno di questi vietava all’ENEL di gestire impianti nucleari all’estero, divieto rimosso con disprezzo del voto popolare e con lungimiranza dalla “legge Marzano” del 2004 del II governo Berlusconi. Sempre ingoiando soldi anche italiani il famoso reattore Superphenx fu chiuso e abbandonato anche dalla Francia pochi anni dopo, nel 1996, dopo appena undici anni di travagliato e alterno funzionamento. Forse pochi ricordano che i soldi dissipati in queste avventure sbagliate sono stati pagati per decenni dai cittadini italiani come sovrapprezzo dell’elettricità. Adesso l’ENEL ci riprova. Il reattore EPR in costruzione in Francia è lontano dal completamento per non dire dall’entrata in funzione, ma l’ENEL ha fretta. Dove metterà poi i quattro reattori da 1600 megawatt ciascuno che vuole costruire in Italia ? I reattori EPR sono basati sul solito ciclo uranio-plutonio, anche se sono dichiarati più sicuri grazie a grossi rivestimenti di protezione del reattore e a sistemi per trattenere all’interno della centrale i materiali radioattivi che eventualmente fuoriuscissero dal reattore. Una centrale EPR deve essere installata in una zona dove è disponibile molta acqua di raffreddamento (dato lo stato e la portata dei nostri fiumi, l’unica soluzione è data dall’uso dell’acqua di mare), su suolo geologicamente stabile e senza rischi di terremoti: il reattore francese è su un promontorio di rocce granitiche in riva al mare. Qui comincia il lavoro degli analisti del territorio; si tratta di percorrere le coste italiane e vedere se si trova qualche zona adatta per le quattro centrali annunciate. Ci sono naturalmente molti altri vincoli; intorno alle centrali deve esistere una zona di rispetto del raggio di circa 15 chilometri nella quale non devono trovarsi città o paesi, strade di grande comunicazione e ferrovie, impianti industriali, depositi di esplosivi, installazioni militari. Anche se la, o le, localizzazioni delle nuove centrali dovessero essere coperte dal segreto di Stato, ci sarà pure un giorno in cui i cittadini di una qualche zona d’Italia — il fiammifero acceso toccherà ancora una volta al Mezzogiorno ? — vedranno arrivare sonde e geologi e ruspe e recinzioni e gli amministratori locali dovranno fare i conti con autorizzazioni e espropri. Sarà quello il tempo in cui gli abitanti delle zone interessate vorranno interrogarsi su quello che sta succedendo, sulla propria sicurezza futura, sul destino delle acque sotterranee e delle spiagge e coste. Non sarà il segreto o il controllo militare a impedire ai cittadini di informarsi, di leggere le carte geologiche e la frequenza dei terremoti, le norme internazionali di sicurezza delle centrali. A parte il fatto che le centrali nucleari non producono energia a costi competitivi e che è irrisolto il problema dello smaltimento delle scorie radioattive, apparirà allora anche che non c’è nessun posto in cui insediarle, nel rispetto dell’ambiente, in un paese come il nostro geologicamente fragile, esposto a terremoti, alluvioni e frane, con coste già sovraffollate, spiagge erose e mari inquinati.

(da Liberazione del 25 febbraio 2009)

 
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EmiNews 2009

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