6983 CRISI: Non c’è lavoro, si torna a emigrare

20090330 15:04:00 redazione-IT

[b]In Puglia gli anni dell’aumento dell’occupazione e dello sviluppo sembrano finiti. Un’emergenza che induce molti a cercare fortuna altrove. 14 mila lavoratori in cig. Oltre 70 crisi aziendali dichiarate. Grave la situazione nel tessile e nella chimica[/b]

Crisi nera. Senza troppi giri di parole, e con buona pace di Berlusconi, Sacconi o Tremonti, che parlano di disfattismo sindacale. Per descrivere la recessione vista dalla Puglia, i dirigenti della Cgil ricorrono in coro allo stesso aggettivo: drammatica. Che siedano nella confederazione regionale o nelle Camere del lavoro territoriali. E le parole nemmeno bastano quando si tratta di commentare il gesto di uomo di 52 anni, che lo scorso 18 marzo a Gravina di Puglia, preso dallo sconforto per le difficoltà economiche, licenziato dieci mesi fa e da allora senza occupazione, ha pensato per sé alla più tragica delle soluzioni. Una crisi che si è abbattuta su una regione che da due anni registrava tassi di crescita occupazionale e produttiva tra i più alti del Mezzogiorno; un ritorno al passato che rischia di compromettere gli sforzi programmatici compiuti dagli attori locali per attrarre nuovi investimenti imprenditoriali, per la realizzazione di infrastrutture, per il sostegno alla ricerca e all’innovazione, per il contrasto al lavoro nero.

Dal 2005 al 2007 l’occupazione era salita di 60.000 unità, con un media del più 2,7 per cento annuo, mentre il tasso di disoccupazione, benché tra i più alti d’Italia, era sceso dal 15,5 all’11,2 per cento.Tirava anche l’export, che nel 2007 aveva registrato un più 3,5 per cento, trascinato proprio da quei settori – meccanica, siderurgia, manifatturiero – che oggi ricorrono maggiormente alla cassa integrazione, ai contratti di solidarietà, alla mobilità, ai licenziamenti.

La mappa della crisi. Secondo le stime della Cgil pugliese, le imprese che stanno ricorrendo agli ammortizzatori sociali nella regione sono 213, per oltre 14.000 lavoratori interessati. Per 73 casi si tratta di crisi aziendali dichiarate, in 14 realtà sono stati attivati i contratti di solidarietà, per 76 siti produttivi si è dovuti ricorrere a licenziamenti collettivi e mobilità. I settori più colpiti, quello metalmeccanico e del tessile, con 40 aziende percomparto; in 33 casi si tratta di aziende del settore chimico, 23 quelle dell’agroalimentare, così come dei servizi, 21 nel comparto delle costruzioni, 10 nei trasporti. Senza distinzione tra piccole e grandi imprese, anche se i casi più eclatanti sono quelli dell’Ilva a Taranto, oltre 5.000 addetti in cig, della Natuzzi, 1.200 dipendenti su 3.200 in cassa integrazione per 24 mesi, e della Bosch, 1.600 su 2.400 addetti complessivi, in provincia di Bari, della Fiat Iveco, in provincia di Foggia, oltre 1.800 lavoratori che da gennaio a maggio 2009 avranno accumulato poco più di sette settimane di lavoro, della Termoraggi e della coop L’Ancora, in provincia di Brindisi, 300 addetti (la totalità) a casa con procedure di mobilità avviate. Con l’Inps che rispetto al 2008 ha già registrato nei primi due mesi dell’anno un aumento del 58 per cento delle domande di disoccupazione. Un’ecatombe del lavoro che si somma alle debolezze strutturali del contesto pugliese: un Pil procapite di 17.000 euro, sotto anche la media del Mezzogiorno. Con una perdita del potere d’acquisto dei redditi rispetto al ’99 del 5,9 per cento. Con un tasso d’occupazione femminile con il poco invidiabile primato di essere il più basso tra tutte le regione dell’Unione europea, fermo al 27 per cento, e con quello della disoccupazione giovanile (31,8 per cento) che contende la maglia nera alla Sicilia e alle regioni francesi d’oltremare. Con un indebitamento crescente delle famiglie tramite ricorso a finanziarie (Taranto, più 102 per cento rispetto al 2002; Brindisi, più 91,5 per cento; Foggia, più 83,5 per cento; Bari, più 80,7 per cento; Lecce, più 60 per cento), per una media di 10.000 euro per nucleo familiare. A fare da cornice, l’altissimo ricorso al lavoro nero, che drena, secondo stime non lontane dal reale, il 30 per cento della ricchezza prodotta in Puglia, con agricoltura, edilizia, servizi tra i settori più colpiti. E che investe soprattutto i lavoratori migranti, spesso costretti a condizioni di sfruttamento e riduzione in schiavitù. Tanto da far dire a qualche economista che in Puglia il lavoro è un’emergenza in tutti i sensi: sia quello che non c’è, sia quello che c’è. Perché al quadro tratteggiato tutto con sfumature di grigio, vanno aggiunte le sacche di precariato e le migliaia di lavoratori che il posto lo perderanno a breve: siano atipici della pubblica amministrazione (e qui le stime diventano difficili) o addetti alle pulizie nelle scuole (circa 3.000 in tutta la Regione), per finire con i docenti e il personale Ata: ne rimarranno a casa nel prossimo triennio, secondo previsioni della Flc, 5.000.

L’allarme dei territori. Per tutte queste ragioni, la Puglia è tornata a essere terra d’emigrazione. Anche se per alcuni non ha mai smesso di esserlo, in particolare per i giovani laureati, che dal ’95 al 2004 hanno lasciato la regione in 121.000 unità. Un esodo che in parte ha attenuato la pressione dei disoccupati, ma ha sottratto alla Puglia i cosiddetti “cervelli”. Un piano anticrisi è stato approvato dal governo della Regione, con un miliardo di investimenti programmati a sostegno del sistema produttivo, per la formazione e il reinserimento lavorativo di chi è rimasto senza occupazione, per il sostegno alle famiglie in difficoltà con i mutui e fidi a garanzie dei prestiti alle aziende, per incentivare attività imprenditoriali nei settori innovativi come le energie rinnovabili. Sempre l’ente regionale ha provveduto a stabilizzare 4.000 precari della sanità pugliese.“Uno sforzo importante, ma inutile, se non cambiano le politiche del governo nazionale, che vanno in tutt’altra direzione – commenta Pietro Colonna, segretario generale della Cgil di Bari -. C’erano impegni per un miliardo e 100 milioni per la nostra regione, 247 milioni interessavano la provincia di Bari. Fino a ora nei territori sono arrivate solo elemosine”.

Un allarme sociale che risuona forte anche dal Salento.“La situazione se non governata rischia davvero di diventare esplosiva, anche per l’ordine pubblico – denuncia Salvatore Arnesano, che guida la Camera del lavoro di Lecce –.Abbiamo chiesto al prefetto un impegno istituzionale per affrontare complessivamente la situazione, che nella nostra provincia non risparmia alcun settore”. Sul tavolo, una proposta unitaria di Cgil, Cisl e Uil per l’adozione dei contratti di solidarietà nelle aziende che ricorrono alla cig e l’integrazione dello stipendio con contributi da parte degli enti pubblici, un bonus proveniente dalla Regione e dalla Provincia,“che potrebbe arrivare anche al 20 per cento. Senza risposte la situazione diverrebbe ingestibile”.Ad Arnesano fa eco Leo Caroli, segretario Cgil di Brindisi:“Senza risposte serie si alimenterà quel circuito delle economie illegali che combattiamo ogni giorno. Il rischio è che passi l’idea che il lavoro nero funzioni da ammortizzatore sociale in periodi di recessione, una deriva culturale che farebbe più danni della stessa crisi”.A Brindisi finora si è salvato solo il petrolchimico, ma se continua lo stallo delle aziende chimiche, se crolla tutta la filiera, finirà che la crisi travolgerà anche la più importante risorsa occupazionale ed economica del territorio.“Allora – commenta Caroli – potremo dire che è crollata l’intera economia brindisina”. Che intanto segnala i tagli a finanziamenti già ottenuti per il distretto aerospaziale, 30 imprese piccole e grandi, e lo stop alle risorse per la bonifica dell’area del petrolchimico, dove erano previsti 31 insediamenti produttivi, per 700 nuovi posti di lavoro. Non va meglio in provincia di Foggia, dove la crisi mette a serio rischio i programmi d’investimento di aziende che hanno concorso a 100 milioni di finanziamenti pubblici per un protocollo aggiuntivo del contratto d’area di Manfredonia, dove dal ’99 a oggi si sono insediate oltre 80 aziende, per 2.000 occupati.“Gli sforzi compiuti dal territorio in questi anni – afferma Nicola Affatato, segretario della Camera del lavoro dauna – sono riusciti a far lavorare fianco a fianco sindacati, sistema delle imprese, istituzioni pubbliche. E gli obiettivi raggiunti, se non esaustivi, hanno dato risposte importanti sul piano occupazionale. Ma è difficile lavorare per creare sviluppo economico e sociale in una provincia che vive negatività di contesto storiche, mentre c’è un governo che gioca a mettere in contrapposizione Nord e Sud del paese”. Le comunicazioni di cassa integrazione, i licenziamenti, “rappresentano uno stillicidio oramai quotidiano. Il dramma di chi resta senza reddito e di chi vive con pensioni al di sotto dei mille euro, rischia d’incrementare il ricorso all’usura, per le famiglie, ma anche per piccole e medie imprese che hanno difficoltà nell’accesso al credito”.

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EmiNews 2009

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