6982 CRISI: tocca al movimento del general intellect

20090330 10:54:00 redazione-IT

Dieci anni dopo Seattle il castello della globalizzazione e’ in rovina. Non certo le strutture tecniche della globalizzazione che permangono. Non certo le competenze e i saperi della globalizzazione, che restano intatti per il
momento (anche se l’attacco furioso contro la scuola e l’universita’ mira a distruggere l’intelligenza collettiva). Ma il governo politico della globalizzazione e’ in rovina. Lo avevamo gia’ capito da anni, da quando la forsennata politica di guerra aveva bloccato l’alleanza tra capitale
ricombinante e lavoro cognitivo su cui fondo’ il grande balzo hightech degli anni ’90. Lo avevamo capito quando le potenze petroliere e guerrafondaie della old economy si erano impadronite della Casa Bianca avviando la loro guerra e la rottamazione del general intellect. Lo avevamo
capito a Sapporo, quando i grandi del mondo si erano incontrati per riconoscere la loro impotenza di fronte alla tempesta che si stava preparando. Poi la tempesta e’ arrivata, il presidente della war economy ha lasciato il passo al presidente della cognitive class. Ma adesso e’ troppo tardi.
Obama prova generosamente a salvare il capitalismo americano con l’iniezione di dosi di keynesismo, ma non ce la fara’, non ce la puo’ fare.

Si incontrano a Londra per fare il punto, ma e’ facile prevedere che non ne
verra’ fuori niente.
Tocca a noi, tocca ai movimenti, tocca al lavoro cognitivo interconnesso e
alla potenza sociale dei lavoratori, salvare quel che ci serve e ci piace
della globalita’ tecnica cognitiva ed economica.
Paul Krugman ha scritto recentemente che pur essendo la crisi finanziaria
meno severa in Europa che negli USA, la situazione europea e’ preoccupante
perche’ qui manca la possibilita’ di una decisione finanziaria unificata. A
questo occorre aggiungere che il protezionismo tende a dilaniare l’Unione, e
che l’aggressivita’ e il razzismo stanno diventando dovunque il surrogato
dell’intelligenza.
Dobbiamo ragionare sul modo in cui salvare la civilta’ e la pace sul
continente europeo. Dobbiamo ragionare sul modo in cui salvare l’esperienza
poltiica dell’unita’ europea. E’ un compito che tocca al movimento, perche’
nessuna forza politica del novecento sapra’ farla, ne’ lo faranno i residui
della sinistra novecentesca, che sono sempre stati culturalmente refrattari
all’internazionalsmo europeo, ne’ lo faranno i cascami neoliberisti che
difendono solo il loro privilegio, ne’ certamente potranno farlo i fanatici
delle identita’ locali, nazionali o razziali, che purtroppo sono al governo
in Italia come in vari altri stati europei.
Ma cosa vuol dire oggi difendere l’unione, salvarne l’esperienza ed il
progetto? Una cosa vuol dire essenzialmente: reddito di cittadinanza,
sganciamento del reddito dal lavoro.
E’ questo il tema che dobbiamo mettere al centro della campagna culturale
per l’unione e la pace in Europa.
Il collasso economico in corso non e’ soltanto l’effetto di una crisi
finanziaria epocale, ma e’ soprattutto il segno dell’esaurimento della
crescita, e il segno della fine della relazine tra lavoro e reddito. La
forma del salario, che nell’epoca passata misuro’ il rapporto tra tempo di
lavoro e reddito e’ oggi fuori uso. Non abbiamo a che fare soltanto con una
bolla dell’immobiliare o una bolla dell’indebitamento. Abbiamo a che fare
soprattutto con l’esplosione della bolla lavorativa. Abbiamo lavorato e
prodotto troppo, siamo stati costretti a rinchiudere l’enorme potenza
produttiva entro le gabbie del consumo privato, e questo ha impoverito la
vita sociale, affettiva, culturale. Nell’interesse della societa’ e’
necessario avviare oggi un processo di risocializzazione della vita
quotidiana. Il tempo di lavoro deve tendenzialmente essere dimezzato perche’
la societa’ si riappropri del proprio tempo e riapprenda l’affetto per
la’trlo, la cura di se’, l’insegnamento e la terapia. Queste funzioni della
vita quotidiana, che il capitalismo ha commercializzato debbono riacquistare
la propria relazione organica con la vita. Ma per far questo occorre
riconoscere che non si puo’ piu’ pagare salario in cambio di prestazione di
tempo.
Il reddito non puo’ continuare ad essere finzione di una impossibile misura
del lavoro. Ogni essere umano ha diritto a ricevere quel che gli serve per
la sua vita. Milleduecento euro per ogni persona che ha compiuto
diciott’anni, indipendentemente dal fatto che possa o non possa trovare un
impiego. La fine della relazione salariale e’ gia’ nei fatti. Ora si tratta
di trasformarla in consapevolezza in programma, in reddito di cittadinanza.
Questa e’ la campagna culturale che occorre lanciare in Europa. Questa e’ la
campagna che ci permettera’ di salvare l’unione europea. Questo ci
permettera’ di salvare quel che della globalizzazione non vogliamo perdere:
la ricchezza e la connessione dell’intelletto generale.

www.rekombinant.org

 
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EmiNews 2009

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