7081 Bolivia, è iniziata la corsa al litio: il minerale del futuro

20090416 12:32:00 redazione-IT

Le Corporations giapponesi e francesi puntano al minerale strategico per le auto elettriche. Ma fanno anticamera da Morales. La Bolivia possiede il 50% delle riserve di litio. I lavoratori locali presentano un progetto per regolare la produzione

di Claudia Ortu

Sarà che da questa crisi non si sa come uscire, sarà che il futuro del petrolio è in forse,oppure che l’egemonia Usa non è ancora finita. Sta di fatto che, da quando Obama ha imposto la svolta verde alla General Motors in cambio di consistenti aiuti di Stato, tutti hanno improvvisamente scoperto il litio boliviano. In queste ultime settimane svariate testate internazionali, dal New York Times alle radio norvegesi, all’agenzia di stampa cinese Xinhua, si sono interessate a questo materiale sconosciuto ai più, che sembra dover diventare il petrolio del futuro trasformando di conseguenza la Bolivia nell’“Arabia Saudita del litio”, come ha titolato il Nyt. Il litio è infatti l’elemento indispensabile per le auto elettriche, per le batterie dei telefoni cellulari e per gli schermi a cristalli liquidi.

Un elemento che, quando serviva solo come componente di farmaci, costava 350 dollari a tonnellata, mentre nel giro di 5 anni è passato a circa 3 mila. Secondo molti geologi le scorte della sola Bolivia,che ammonterebbero a circa 5,4 milioni di tonnellate – il 50 per cento di tutto il minerale disponibile sulla terra –, potrebbero foraggiare la produzione di auto elettriche per decenni. Il litio sarebbe custodito anche in Cile e Argentina. In breve i paesi dell’America Latina potrebbero controllare circa l’80 percento delle scorte, mentre il restante 20 per cento sarebbe diviso tra Australia, Cina e Stati Uniti. A Uyuni,la zona al sud del paese andino nella quale,nascosto sotto un suggestivo deserto di sale di 10 mila chilometri quadrati, si trova il giacimento più importante del minerale,i mezzi di informazione sono arrivati solo molto dopo le multinazionali che vorrebbero fare affari con il governo boliviano. La Mitsubishi e la Sumitomo dal Giappone, la coreana Lg e la Bollorè francese sono arrivate molti mesi fa in Bolivia per trattare con il governo lo sfruttamento dei giacimenti, ma si trovano costrette a fare anticamera.

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Il presidente Evo Morales, d’accordo con i responsabili dell’azienda di Stato che si occupa delle miniere del paese, Comibol, non esclude di sottoscrivere dei patti con partner stranieri, ma vuole imporre condizioni allo sfruttamento dei giacimenti. L’idea è che chi estrae la materia prima deve impiantare le fabbriche per la sua trasformazione nelle aree adiacenti.In questo modo La Paz vuole evitare la sorte tipica delle economie dipendenti: lo sfruttamento delle materie prime da parte di capitali stranieri che lascia solo disastri ambientali e lavori mal pagati e non qualificati. Il governo boliviano è talmente convinto di questa strategia che, con Comibol,ha già investito per creare un progetto pilota nella città di Rio Grande. Con circa 6 milioni di dollari di investimento iniziale il governo si aspetta un ricavo mensile di 300 mila dollari, attraverso la trasformazione del litio in batterie da cellulare. Morales e i lavoratori della zona si stanno impegnando perché la fabbrica possa iniziare la produzione entro dicembre. Nel frattempo, a febbraio, il presidente boliviano ha sottoscritto con Sarkozy un accordo per un programma di investimenti francesi nell’industria boliviana del litio. Morales deve però curare le sue alleanze. I lavoratori della zona, raccolti nella Federazione regionale unica dei lavoratori dell’Altopiano del Sud (Frutcas),vogliono essere gli unici a sfruttare questa ricchezza naturale. Non a caso, il progetto di lancio industriale è frutto di una proposta avanzata dagli abitanti della zona di Uyuni, per la maggior parte indigeni, approvata solo successivamente dal governo. Dopo aver combattuto nel 1992 contro la concessione per lo sfruttamento del giacimento alla multinazionale Usa Litco, i lavoratori hanno presentato il progetto che ora sta prendendo forma sotto i loro occhi, e grazie alle loro braccia. La fabbrica pilota dovrebbe garantire occupazione a 95 lavoratori in maniera diretta e a circa altri 130 nell’indotto.Non è tantissimo se si pensa che intorno al lago salato vivono circa 60 mila persone, ma è solo l’inizio. L’importante, afferma Francisco Quisbert della Frutcas, è che la ricchezza prodotta sia controllata da un’“impresa sociale pubblica” e che “serva per la regione, il dipartimento e il paese intero”.

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EmiNews 2009

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