7068 Brasile "presta" 4,5 miliardi al FMI – Debutto del sub-imperialismo carioca

20090414 15:04:00 redazione-IT

[b]Il Brasile stacca un assegno di 4,5 miliardi di dollari ed entra come socio nel "club degli occhi azzurri".[/b]

Tito Pulsinelli

[b]Prima del G20, il presidente Lula aveva detto a muso duro -al Primo ministro inglese Brown- che la responsabilità della debacle economica mondiale era da addebitare interamente a "gente con gli occhi azzurri, non a un negro o un indio".
Dopo una settimana, e dopo lo storico esborso a favore del FMI, il ministro G. Mantega ripete con orgoglio "siamo entrati nel club dei creditori". E’ vero, quel che stona è la giustificazione della repentina giravolta: "queste risorse possono salvare sia i Paesi emergenti che quelli più poveri, per sopravvivere in questo mondo in crisi….perchè gli altri hanno la macchinetta per stampare dollari".[/b]

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Sorge spontanea una domanda ingenua: perchè il Brasile non finanzia direttamente i Paesi periferici senza la "mediazione" del FMI? (1) Soprattutto senza le condizioni "usuraie" che il FMI ha sempre imposto? Compreso al Brasile, quando era debitore e il FMI disegnava dall’esterno la politica finanziaria, commerciale e monetaria che doveva applicare.
Dopo il G20, un "altro" Lula si vantava con i giornalisti brasiliani dicendo "non vi sembra chic che il Brasile presti al FMI?"

Certo, è chic poter incassare quei "Diritti Speciali di Giro" che saranno interessi che si potranno estorcere ai Paesi indebitati quando sottoscrivono le condizioni leonine del FMI. Le stesse che Lula aveva criticato fino all’altro ieri, e che non sono state modificate. Nè è dato sapere chi e come le modificherà.
Gli Stati Uniti continueranno a indebitarsi, stampare liberamente dollari ed avere il 16,8% dei voti nel FMI. Lula, pertanto, sogna la rifondazione del sistema collassato, facendone propri errori, orrori, illusioni e rischi.

Dai 210 miliardi di dollari di riserve monetarie, il Brasile ne sacrifica 4 e mezzo, rispondendo
immediatamente "signorsì" all’ingiunzione di Washington e Londra, mentre ha trascinato per quattro anni una risposta affermativa o definitiva al Banco del sur.
Forse non è sufficientemente chic costruire la banca del blocco sudamericano autonoma e alternativa ai centri finanziari internazionali?

Mentre Lula era a Londra, Chávez ha visitato Teheran, Pechino e Tokio, firmando accordi importanti e riaffermando l’autonomia geopolitica del Venezuela. I suoi 100 miliardi di dollari di attivo, Caracas preferisce utilizzarli direttamente nei Fondi sovrani o banche binazionali con gli alleati strategici.

Con la Cina si rafforza la capitalizzazione del Fondo comune a 6 miliardi di dollari (Pechino 4 e Caracas 2), e a Teheran è stata inaugurata la Banca iraniana-venezuelana con 1,2 miliardi di dollari. Dinamizzeranno grandi progetti comuni in vari settori. A Tokio, si annodano per la prima volta relazioni economiche rilevanti, ed il Giappone si aggiudica l’assegnazione di un’area petrolifera nella Faja dell’Orinoco. L’obiettivo è l’approvigionamento di 1 milione di barili di petrolio in 5 anni, e a tal fine investirà 33 miliardi di dollari. Pechino sta già ricevendo 300mila barili e punta ad 1 milione per il 2011. L’intercambio commeciale tra di due Paesi ha già raggiunto i 10 miliardi di dollari. Caracas includerà gli yen nella propria riserva monetaria.

La linea di Obama per l’America latina è quella di utilizzare il Brasile ed il Messico come punti di riferimento e di mediazione costante, entrambi invitati al G20, uno come creditore e l’altro come gran debitore. Quando ci sarà da dire e fare cose sgradevoli, dovranno incaricarsene loro. In tal modo punta a tendere un cordone sanitario per delimitare lo spazio di manovra -o la visibilità- del Venezuela e dei suoi alleati più stretti dell’ALBA (Bolivia, Euador, Cuba, Nicaragua, Honduras). Il viaggio di Chávez è stato la risposta preventiva a questa manovra e al vertice londinese, e conferma che l’isolamento del Venezuela, fallito con le manovre brutali di Bush, è impossibile anche con quelle soft di Obama.

Caracas ha preservato la tradizionale influenza nell’area dei Caraibi, l’ha estesa in Centroamerica dove ha scalzato il Messico ed ha diminuito quella degli Stati Uniti. Nel sub-continente continua a mantenere iniziativa e progettualità geopolitica perchè gioca a tutto campo sullo scacchiere mondiale, come interlocutore diretto della Russia, Cina, Iran e degli altri emegenti. Costituisce anche un riferimento con il suo modello di economia mista, blocco cambiario e welfare robusto. Lo Stato preserva un ruolo decisivo con il controllo dei settori strategici dell’economia e come avversario dei monopoli, interni o internazionali.

L’integrazione sudamericana non può ridursi all’annessione allo spazio economico e alle condizioni dettate dalla borghesia di Sao Paulo, nè ad ampliazione dei mercati per le multinazionali della soya che prosperano in Brasile ed Argentina. Finora non hanno concesso il visto d’entrata del Venezuela al Mercosur perchè si rendono conto che non si tratta di un mero mercato da intasare. Sarebbe un patner spigoloso, non un vassallo.
Gli ultimi passi di Lula sono un cedimento vistoso alle forze interne del "subimperialismo carioca", che vuole inserirsi ad ogni costo nella "architettura finanziaria" esistente.

Chávez prende il rischio di contribuire a strutturarne una nuova. Almeno parzialmente, ma già da ora nella concreta direzione di una nuova moneta internazionale -alternativa al dollaro- e che non sia il segno monetario di nessuna nazione.

Lula, a parole condivide la proposta dei russi e dei cinesi, nella pratica no. Ora spera di poter incassare un successo nella sonnambola "ronda di Doha" che gli permetta di collocare i prodotti agro-alimentari negli Stati Uniti e nell’Unione Europea.

Però Doha è invisa ai Paesi indebitati ed ai movimenti sociali internazionali perchè rappresenta la fase culminante della globalizzazione liberista, contro cui hanno lottato finora con caparbietà, riuscendo a bloccarla. Il Brasile sembra pronto anche a sacrificare la leadership del fronte delle nazioni più povere che si oppongono alla "ronda di Doha".[/b]

(1) Ha donato 4,7 milioni di dollari al Benin, Burkina Faso, Mali e Chad, per le coltivazioni di cotone di questi quattro Paesi africani. Milioni contro miliardi.

 
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EmiNews 2009

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