7139 Pieno riconoscimento alle donne coniugate con stranieri di trasmettere la cittadinanza italiana

20090427 21:58:00 redazione-IT

Discussa alla Camera l’interpellanza urgente sul pieno riconoscimento alle donne coniugate con stranieri di trasmettere la cittadinanza italiana

Gli interventi degli onorevoli Bucchino e Fedi e la risposta del sottosegretario Nitto Paola.

Un numeroso gruppo di parlamentari di diverso orientamento politico nelle settimane scorse ha sottoscritto un’interrogazione urgente, presentata dall’on. Gino Bucchino e dagli altri eletti del PD all’estero Farina, Fedi, Garavini, Narducci, Porta, per sapere quali iniziative il Governo si accinga ad adottare per dare esecuzione alla sentenza della Corte di cassazione con la quale si riconosce alle donne italiane coniugate con stranieri prima dell’entrata in vigore della Costituzione la facoltà di trasmettere ai propri figli la cittadinanza italiana. Nella seduta del 23 aprile l’interpellanza è stata illustrata in aula dall’on. Bucchino ed ha avuto la risposta del sottosegretario per l’interno Nitto Francesco Paola, a cui ha replicato conclusivamente l’on. Marco Fedi.

Nella sua illustrazione, l’on. Bucchino ha prima di tutto sottolineato il grande valore civile della sentenza per il fatto che con essa si realizza finalmente la parità tra uomo e donna in un difficile contesto come quello emigratorio. Potranno così trovare soluzione le gravi e incomprensibili disparità che frequentemente si sono verificate all’interno di una stessa famiglia, in cui i figli della stessa madre hanno potuto avere o non avere la cittadinanza italiana secondo che fossero nati dopo o prima dell’entrata in vigore della Costituzione. Nel sollecitare l’adozione di misure amministrative in concerto tra il Ministero dell’Interno e quello degli Esteri per dare pratica attuazione a coloro che pensano di chiedere l’applicazione della sentenza, l’on Bucchino ha richiamato l’attenzione sui risvolti pratici della situazione. Nella condizione in cui sono ridotti i nostri consolati, è quanto mai importante prevedere l’impatto della sentenza e preparasi in tempo a farvi fronte. Il parlamentare proveniente dal Canada, infine, ha fatto riferimento al più complesso scenario riguardante la cittadinanza, auspicando la ripresa del confronto su una legge di riforma che in questo campo dia certezza di diritto tanto agli italiani all’estero quanto agli stranieri che vengono a insediarsi e a vivere in Italia.

Per il Governo, il sottosegretario Nitto Paola ha condiviso l’apprezzamento per la valenza culturale e civile della sentenza, ricordando anche i precedenti di ordine costituzionale che l’hanno preparata. Egli, tuttavia, è stato quanto mai conciso e reticente nell’indicazione delle iniziative di ordine organizzativo che il Governo è chiamato ad assumere, limitandosi ad annunciare l’apertura di una fase di collaborazione con il MAE per individuare le soluzioni più adeguate.

L’on. Marco Fedi, nella replica fatta a nome dei firmatari, ha dichiarato una sostanziale insoddisfazione per il modo sbrigativo con cui il sottosegretario ha richiamato il tema della riforma della legge sulla cittadinanza, anche se ha preso atto della disponibilità a trovare al più presto le soluzioni operative a seguito della sentenza. L’on. Fedi, in particolare, si è soffermato sulla necessità di rimettere mano alla riforma per arrivare ad una soluzione organica e condivisa della cruciale questione della cittadinanza. Non vi sono più ragioni per tardare, tanto più che questa volta i percorsi per affrontare gli aspetti riguardanti gli italiani all’estero e gli stranieri in Italia sono distinti. Procedendo con determinazione, non solo si può consentire di riacquistare la cittadinanza a chi, nato in Italia, ha dovuto rinunciarvi per ragioni di lavoro, ma si possono anche porre le basi perché in parallelo si diano risposte a chi i diritti di cittadinanza è venuto a cercarli e a realizzarli nel nostro Paese, ad iniziare dai ragazzi che affollano da anni le nostre scuole, ai quali, come ha detto di recente lo stesso Presidente Napolitano, è tempo di guardare ormai come ai “nuovi italiani”.

Atto Camera

Interpellanza urgente 2-00333

presentata da

GINO BUCCHINO

mercoledì 11 marzo 2009, seduta n.144

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell’interno, il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:

la Corte Suprema di Cassazione, a sezioni unite, con sentenza n. 4466 del 25 febbraio 2009 ha stabilito che anche ai figli nati da donne italiane coniugate con cittadini stranieri prima dell’entrata in vigore della Costituzione (1o gennaio 1948) debba essere riconosciuta la cittadinanza italiana;

con tale sentenza non solo si risponde positivamente ai richiami della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (New York 18 dicembre 1979), ma si compie anche il percorso avviato dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983, affermando in modo compiuto il principio di parità tra uomo e donna;

il pronunciamento della Corte di Cassazione, oltre a consentire il pieno riconoscimento del diritto della donna a essere soggetto di trasmissione di cittadinanza ai propri discendenti, risponde all’attesa di un numero consistente di cittadini italiani all’estero di potere sanare stridenti contraddizioni, come quella che ha portato a riconoscere la cittadinanza al figlio nato dopo il 1o gennaio 1948 e a negarla al figlio della stessa madre nato prima di tale data -:

se il Ministro dell’interno, non ritenga di indicare al più presto superando precedenti orientamenti, le procedure di ordine amministrativo che consentano di rendere operante il disposto della Corte di Cassazione anche al di là dell’ambito giurisdizionale nel quale si è espresso;

se non consideri il Ministro dell’interno opportuno ed urgente promuovere con il Ministero degli Affari Esteri gli indispensabili accordi volti a predisporre le soluzioni organizzative più efficaci per far fronte alle domande di riconoscimento della cittadinanza che prevedibilmente saranno presentate agli uffici consolari deputati a tale scopo;

se, in tale prospettiva, non ritenga il Ministro dell’interno di concorrere con il Ministero degli Affari Esteri a individuare le risorse finanziarie, umane ed organizzative necessarie a rafforzare le attività amministrative che si svolgono nei consolati, in particolare per quanto riguarda le richieste di cittadinanza;

se non ritenga il Ministro dell’interno di disporre nell’espletamento delle pratiche di riconoscimento della cittadinanza, d’intesa con il Ministero degli Affari Esteri, una priorità diretta a superare le situazioni di difformità esistenti in una stessa famiglia tra figli nati da una stessa madre.

(2-00333)

«Bucchino, Bossa, Sbrollini, Murer, Argentin, Fedi, Porta, Pollastrini, Concia, Angeli, Razzi, Ceccacci Rubino, Paglia, Di Biagio, Picchi, Luongo, Bratti, Garavini, Narducci, Calgaro, De Torre, D’Incecco, De Pasquale, De Micheli, Bordo, Cuomo, Cuperlo, Laganà Fortugno, Rampi, Colombo, Pistelli, Schirru, Rugghia, Antonino Russo, Boniver, Bergamini, Nirenstein, Speciale, Capano, Ferranti, Mosella, Motta, D’Antoni, Giovanelli, Ginoble, Santagata, Oliverio, Arturo Mario Luigi Parisi, Servodio, Siragusa».

Camera dei deputati.

23 aprile 2009 (ore 16,50).

Svolgimento di interpellanze urgenti

PRESIDENTE. L’onorevole Bucchino ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00333, concernente iniziative conseguenti alla recente sentenza della Corte di cassazione relativa al riconoscimento della cittadinanza italiana anche ai figli nati da donne italiane coniugate con cittadini stranieri prima dell’entrata in vigore della Costituzione.

GINO BUCCHINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, il 26 febbraio di quest’anno la Corte di cassazione ha riconosciuto alle donne italiane coniugate con cittadini stranieri prima dell’entrata in vigore della nostra Carta costituzionale il diritto di trasmettere la cittadinanza ai propri discendenti.

La sentenza rappresenta un evento di grandissimo rilievo sia in termini di principio

Pag. 58sia per le conseguenze di ordine pratico che comporta. Per questo i colleghi di diverso schieramento che hanno sottoscritto l’interpellanza urgente in esame, oltre a sollecitare il Governo a preparare le condizioni per la concreta applicabilità della sentenza, hanno inteso richiamare l’attenzione di tutti i parlamentari sul valore del pronunciamento. Esso infatti fa cadere l’ultimo diaframma opposto al riconoscimento della donna italiana come un soggetto di pieno diritto, anche quando le vicissitudini della vita l’hanno portata a realizzare la sua esistenza al di fuori dei confini nazionali.

Forse tra noi solo pochi sanno che la facoltà di trasmettere la cittadinanza ai propri figli o discendenti nel nostro ordinamento è stata riconosciuta alle donne che l’avessero perduta, come la legge del 1912 disponeva, per il solo fatto di aver sposato un cittadino straniero, solo a partire dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Questa situazione non solo ha costituito per oltre sessant’anni una lesione profonda del principio di parità fra i cittadini, ma ha anche prodotto l’aberrante conseguenza che, in un numero non limitato di casi nella stessa famiglia, i figli di una stessa madre sono l’uno cittadino italiano se nato dopo il primo gennaio 1948, l’altro straniero se nato prima di quella data.

Purtroppo, la memoria di questa esperienza storica tende ad essere rimossa o addirittura travolta dalla cieca reazione contro le conseguenze delle attuali migrazioni a livello planetario, in particolare contro il crescente ingresso di stranieri a casa nostra. Nella migliore delle ipotesi, si guarda ancora a queste vicende sulla base di vecchi stereotipi, che portano a vedere nell’emigrato e nel suo discendente i custodi di modelli di vita anacronistici e marginali, ignorando il fatto che ormai siamo di fronte a persone profondamente integrate, che concorrono incisivamente alle dinamiche dei Paesi di residenza.

In questo modo, soprattutto, si trascurano le potenzialità di relazione e di irradiazione internazionale che all’Italia si offrono, per la presenza in tanti crocevia del mondo di alcuni milioni di cittadini italiani e di comunità d’origine articolate e riconosciute. Non vi è dubbio che la cittadinanza non possa essere l’unica chiave nei rapporti con queste realtà e forse nemmeno quella prevalente, ma sarebbe banale pensare che essa non sia più un elemento di radicamento della nostra diaspora nei confronti del Paese di origine.

Per questo, la sentenza della Corte di cassazione, oltre ad affermare finalmente con pienezza un principio di parità, rafforza la prospettiva di un più ampio e diretto riferimento alla platea degli italiani all’estero, in un momento in cui la crisi mondiale sembra spingere in senso opposto, cioè a rinchiudersi nel proprio orticello, mentre sarebbe il caso di cercare, in un orizzonte più ampio, tutte le opportunità di proiezione internazionale che siano praticabili.

All’esito dell’atto della suprema Corte si è giunti non all’improvviso, ma a seguito di un complesso e articolato cammino che si è snodato in diverse tappe. La legge del 1912 cancellava la cittadinanza alle donne che avessero sposato cittadini stranieri – caso peraltro diffusissimo in una popolazione di storica emigrazione come quella italiana – norma palesemente incostituzionale dopo l’entrata in vigore della Carta, perché fortemente discriminatoria e contrastante con il principio della parità dei sessi e dell’uguaglianza giuridica e morale dei coniugi.

La Corte costituzionale, in una duplice occasione – con le sentenze n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983 – è ritornata su di essa affermandone, senza equivoci, l’incostituzionalità.

Il recente pronunciamento della Cassazione ha finalmente e definitivamente consentito di togliere di mezzo gli effetti lesivi di una legge ingiusta, riconoscendo che la cittadinanza è uno status permanente e imprescrittibile, affermando che, a decorrere dal 1o gennaio 1948, la cittadinanza deve ritenersi automaticamente recuperata per coloro che l’hanno perduta o non l’hanno riacquistata.

Gli aspetti giuridici ci sembrano, dunque, chiari. Per questo ci auguriamo che il Ministero dell’interno, che ha avuto parte attiva nel pronunciamento negativo in occasione dei primi due gradi di giudizio, questa volta prenda atto con linearità e immediatezza della situazione, impegnandosi a trasferire sul piano amministrativo quello che, ormai, è sancito sul piano giurisdizionale.

Se posso essere più esplicito, mi attendo – e con me i cofirmatari di questa interpellanza urgente – che il Governo non dia la sensazione di subire la soluzione configurata dalla sentenza della Cassazione, ma si dimostri capace di gestire in termini operativi una grande conquista di principio, consentendo di sanare ferite del passato che spesso hanno creato insopportabili contraddizioni all’interno di una stessa famiglia e di affrontare positivamente le situazioni che nasceranno su un terreno sempre delicato come quello della richiesta di cittadinanza.

Mi permetto di fare questo richiamo perché i segnali che sono venuti da qualche esponente della maggioranza sono equivoci, se non inquietanti.

L’onorevole Zacchera, ad esempio, che pure ha la delicata responsabilità di presiedere il Comitato della Camera per gli italiani nel mondo, forse avrebbe fatto bene, anche in ragione del suo ruolo particolare, ad usare maggior controllo e prudenza quando si è lasciato andare ad una dichiarazione – se sono vere le parole diffuse da una agenzia di informazione specializzata – nella quale giudica la sentenza della Cassazione come il preannuncio di una specie di tsunami che si abbatterebbe sulle nostre esangui strutture consolari.

Vorrei ricordare a tutti, peraltro, che la Cassazione, nelle motivazioni della sentenza, ha già messo le mani avanti, rispondendo anticipatamente a questo tipo di obiezione con queste testuali parole: «di certo non può costituire criterio ermeneutico in senso opposto degli effetti delle sentenze di incostituzionalità delle leggi la diffidenza della prassi amministrativa verso un’eccessiva espansione della retroattività che potrebbe dar luogo ad una moltiplicazione di richieste di cittadinanza dai discendenti dei cittadini italiani emigrati in altri Stati».

Non vi è dubbio, infatti che la sentenza può attivare un numero di richieste imprecisato, forse importante, anche se è mia convinzione che l’onda più alta delle domande, soprattutto in America latina, sospinta spesso da ragioni che poco hanno a che fare con la questione della cittadinanza in senso stretto, si sia già abbattuta sui nostri consolati. Le pratiche già giacenti da anni, in particolare in America latina, si aggirano intorno al milione e questo a prescindere dal recente pronunciamento della Cassazione.

Per rispondere ad una situazione che stava producendo situazioni drammatiche, il precedente Governo ha impegnato somme importanti per affrontare la questione delle giacenze e per costituire apposite task force che sono già entrate in funzione con risultati apprezzabili, anche se non risolutivi.

La cosa più sensata da fare, a noi sembra, è che il Ministero dell’interno, dopo aver al più presto emanato le disposizioni che traducono in termini amministrativi il contenuto della sentenza della Corte di cassazione, prenda immediatamente contatto con il Ministero degli affari esteri per individuare le azioni di rafforzamento strutturale ed operativo dei consolati, in modo che possano assolvere sufficientemente a questo e agli altri compiti istituzionali.

Per arrivare a tale risultato – è inutile girarci intorno – è necessario individuare risorse aggiuntive, sia pure in dimensioni molto ragionevoli, che possano consentire di invertire la tendenza allo svuotamento dei consolati.

Anche per questa strada, insomma, si ripresenta il problema del recupero di risorse volte a reintegrare gli interventi per le nostre comunità all’estero, prima che un sistema di relazioni consolidate e potenziali sia frantumato da scelte poco lucide e poco selettive, sostanzialmente punitive rispetto alle attese degli italiani all’estero e autolesionistiche rispetto agli stessi interessi dell’Italia in questo momento di crisi.

La questione della cittadinanza, in realtà, sta diventando la cartina di tornasole di molte delle contraddizioni e talvolta delle lacerazioni che si legano alla grande e attuale vicenda dell’emigrazione e, pur non potendo affrontare, in questa circostanza, in modo esaustivo, i complessi profili del tema della cittadinanza, non vorrei esimermi dal richiamare almeno gli aspetti che fanno più diretto riferimento al nostro lavoro parlamentare.

Il nostro sistema di cittadinanza, come è noto, è basato sul principio dello ius sanguinis, diversamente da quello di altre importanti democrazie, anche europee, fondate invece sullo ius soli. Esso è messo ormai quotidianamente alla prova dell’arrivo, nel nostro Paese, di stranieri che scelgono l’Italia come società di insediamento e come contesto di lavoro e di integrazione. Nello stesso tempo, la profondità della prospettiva storica dell’emigrazione degli italiani nel mondo, ci pone di fronte ad una sedimentazione di generazioni che, pur offrendo molte suggestioni sul piano storico e culturale, non può continuare a scaricarsi meccanicamente sulla dimensione della cittadinanza. Nessun Paese al mondo può pensare di sostenere un processo così lungo e complesso né tantomeno di poterlo governare, sia pure in un’ottica di ampio riconoscimento di diritti, senza inquadrarlo in regole e ambiti precisi.

Anche fermandosi ad una riflessione di semplice buonsenso, si evidenziano due esigenze alle quali ormai non è più possibile sfuggire: la prima è quella di ricercare un equilibrio tra l’impostazione ispirata allo ius sanguinis e quella sorretta dal principio dello ius soli, temperando le interpretazioni ideologiche più estreme e cercando forme di sperimentazione e di integrazione delle due dimensioni che consentano di corrispondere al retroterra di esperienza e di vissuto in cui ciascuna di queste sensibilità prende forma e si alimenta; la seconda – e mi avvio alla conclusione, signor Presidente – è quella di ricercare, con senso di responsabilità, regole che consentano di affrontare il problema del riconoscimento della cittadinanza per le persone di origine italiana, in modo realistico e vero, sapendo di non poter saltare un passaggio obbligato come quello di un rapporto convincente con la società italiana di oggi.

In sostanza, dunque, le questioni nodali intrecciate all’emigrazione potranno trovare risposte e una qualche efficacia e organicità, solo se affrontate in un’ottica riformatrice che abbracci i due fondamentali versanti in cui essa si sviluppa.

Non si tratta solo di volenterose intenzioni e di generici auspici: nella scorsa legislatura – diversi colleghi lo ricorderanno – su queste tematiche, proprio alla Camera, era stato intrapreso un proficuo lavoro che aveva raggiunto un buon grado di maturazione. Sulla proposta del Governo volta a stabilire regole più chiare e moderne per la concessione della cittadinanza agli stranieri che vivono in Italia, a partire da quelli che vi sono nati, si era innestata la vivace iniziativa di un certo numero di parlamentari, diretta a superare limiti e contraddizioni della normativa inerente la cittadinanza degli italiani all’estero.

In quella occasione si era pensato di affrontare anche le questioni di parità tra uomo e donna che oggi la sentenza della Cassazione ha risolto. Si era manifestato un trasversale orientamento per consentire il recupero della cittadinanza a chi, nato in Italia, l’aveva perduta per necessità di lavoro e si era arrivati anche ad ipotizzare il riconoscimento entro un limite definito di generazioni, non per negare il diritto a qualcuno ma per sottolineare l’esigenza di un legame ancora vivo e presente con il Paese di origine.

Come si vede, in forza di un atteggiamento di comune responsabilità e dialogo, si incominciavano a intravedere soluzioni concrete ed equilibrate, capaci di collocare la questione della cittadinanza oltre i confini della continua emergenza in cui essa, da anni, è racchiusa.

In questa legislatura alcune di quelle proposte sono state ripresentate ad opera di parlamentari di diversi gruppi e orientamento politico. Esse attendono di essere calendarizzate e discusse.

La sollecitazione che questa interpellanza ha voluto rivolgere al Governo, ma anche a tutti noi, è anche questa, anzi è soprattutto questa: se almeno intorno a questo impegno si riuscirà ricreare il clima di responsabilità e dialogo che non molti mesi fa si è avuto modo di verificare, forse si potrà trovare una risposta di reale riforma e innovazione a richieste tanto sentite e diffuse.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l’interno, Nitto Francesco Palma, ha facoltà di rispondere.

NITTO FRANCESCO PALMA, Sottosegretario di Stato per l’interno. Signor Presidente, onorevoli deputati, la questione sollevata dagli interpellanti trae origine, come è noto, da una innovativa e recente sentenza della Corte suprema di cassazione in materia di cittadinanza.

La Corte suprema di cassazione, con pronuncia n. 4466 del 25 febbraio 2009, ha affermato che, per effetto delle sentenze della Corte costituzionale n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983, deve essere riconosciuto lo status di cittadino italiano anche ai figli di donne che hanno perso la cittadinanza, secondo la normativa all’epoca vigente (legge 13 giugno 1912, n. 555), in conseguenza del matrimonio con cittadini stranieri, prima del 1o gennaio 1948.

La Corte di cassazione, con tale decisione, ha riconosciuto efficacia retroattiva ai principi dettati dalla giurisprudenza costituzionale.

In particolare, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 87, aveva dichiarato l’illegittimità dell’articolo 10, terzo comma, della citata legge del 1912, nella parte in cui prevedeva, per la donna italiana, la perdita della cittadinanza, indipendentemente dalla sua volontà, a seguito di matrimonio con uno straniero.

Successivamente, con la sentenza n. 30, la stessa Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità dell’articolo 1 della stessa legge del 1912, nella parte in cui non prevedeva l’acquisto della cittadinanza italiana da parte del figlio di madre cittadina.

Come ho richiamato in apertura, la Corte di cassazione relativamente agli effetti di tali sentenze, aveva affermato che l’illegittimità costituzionale di norme precedenti l’entrata in vigore della Costituzione non poteva avere effetti anteriormente al 1o gennaio 1948. Di conseguenza, la piena applicazione del principio di parità tra uomo e donna, per quanto riguarda la trasmissibilità della cittadinanza italiana ai figli da parte materna, aveva trovato attuazione solo a decorrere dall’entrata in vigore della Costituzione.

Con la sentenza del febbraio 2009, la Corte di cassazione ha dato compiuta attuazione ai principi contenuti nella Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, secondo cui alle donne spettano «diritti uguali a quelli degli uomini in materia di acquisto, mutamento e conservazione della cittadinanza».

Per la donna che, per effetto del matrimonio con uno straniero aveva perso la cittadinanza italiana, la sentenza individua un percorso giudiziale per un pieno e completo riconoscimento anche nei confronti dei figli e dei discendenti.

Le sezioni unite hanno precisato che in sede giudiziale il riconoscimento della cittadinanza non incontra vincoli particolari: è sufficiente dimostrare di essere nato da cittadina italiana che abbia perso la cittadinanza per effetto dell’articolo 10 della legge n. 555 del 1912 e che il Ministero non eccepisca e documenti l’esistenza di una rinuncia alla cittadinanza.

Le formalità previste dal legislatore (tra cui la dichiarazione finalizzata al riacquisto della cittadinanza, prevista dall’articolo 219 della legge n. 151 del 1975) non sarebbero necessarie per il riconoscimento giurisdizionale.

Al contrario, secondo la suprema Corte, la richiesta in via amministrativa incontra i vincoli procedimentali che, a legislazione vigente, sono rappresentati in primis dalla necessità della dichiarazione della donna (ascendente) ai sensi dell’articolo 219 citato.

La Corte, in tal modo, ha stabilito il seguente principio di diritto: «La titolarità della cittadinanza va riconosciuta in sede giudiziaria indipendentemente dalla dichiarazione resa dall’interessata ai sensi della legge n. 151 del 1975, articolo 219, alla donna che l’ha perduta per essere coniugata con un cittadino straniero anteriormente al 1° gennaio 1948 (…) ».

Per esaminare con maggiore compiutezza alcuni passaggi della sentenza il Ministero dell’interno e il Ministero degli affari esteri stanno collaborando anche per valutare ed individuare le soluzioni più adeguate per l’attuazione della pronuncia. Ciò anche in considerazione dell’impatto complessivo della sentenza indipendentemente dalla via scelta, giudiziale o amministrativa, su tutti gli uffici, non solo quelli consolari, ma anche quelli di stato civile dei comuni, le prefetture e gli uffici ministeriali.

La decisione, lo ribadisco, seppure presenti aspetti di rilevante complessità, costituisce in ogni caso un nuovo e importante traguardo per l’individuazione di un percorso che porti alla soluzione di situazioni di difformità di status per i figli della stessa madre.

In ogni caso, il Governo ribadisce la propria attenzione al problema, anche in occasione dell’esame congiunto delle proposte di legge in materia di cittadinanza da parte della I Commissione della Camera, i cui lavori sono iniziati il 16 dicembre 2008.

PRESIDENTE. L’onorevole Fedi, cofirmatario dell’interpellanza, ha facoltà di replicare.

MARCO FEDI. Signor Presidente, sottosegretario, la ringrazio per la sua risposta che contiene degli elementi di analisi e valutazione che erano presenti anche nell’illustrazione della nostra stessa interpellanza urgente.

Non possiamo dichiararci soddisfatti perché dai contenuti della sua risposta desumiamo che, ancora una volta, viene allontanata nel tempo la soluzione di un problema che, prima di arrivare nelle aule dei tribunali e quasi di costringere la politica a prendere atto di una palese discriminazione nei confronti delle donne che ancora oggi si perpetua (anche nei confronti dei figli e dei discendenti), avrebbe potuto essere individuata, come lei stesso ha citato, in una riforma organica di tutta la materia riguardante la cittadinanza.

Tuttavia, siamo moderatamente soddisfatti per l’impegno che lei ha assunto di accelerare, in sede di intesa tra Ministero degli interni e Ministero degli affari esteri, la soluzione a questo tema.

Sulla riforma le cose non sono andate così nella trascorsa legislatura come è stato ricordato. E ci impegneremo e dovremo impegnarci tutti per fare in modo che nella I Commissione (Affari costituzionali) la riforma della cittadinanza riprenda a camminare.

La sua risposta conferma la distanza su alcuni temi con il modo di sentire di questo Governo, quando parliamo di diritti di cittadinanza, di italiani all’estero, di lotta ad ogni forma di discriminazione e delle ragioni, oggi confermate anche dal diritto, dei più deboli, delle donne che ancora oggi aspirano ad una parità piena riconosciuta in tutte le sedi. Il sentire di questo Governo su alcune questioni allontana le certezze in materia di cittadinanza e allontana anche le riforme.

Credo che, a livello di maggioranza, un confronto su questi temi sia necessario perché in Commissione affari costituzionali il percorso sulle riforme non è così semplice come a volte il Governo vorrebbe far credere.

Nella trascorsa legislatura avevamo lavorato insieme (maggioranza e opposizione) verso questo obbiettivo con senso di responsabilità, convinti che la questione cittadinanza meritasse attenzione e dovesse essere posta tra le priorità di legislatura.

Oggi non è più così. Vorrei ricordarlo perché è utile farlo in un momento in cui in Commissione affari costituzionali si discutono proposte che vanno nella direzione di un definitivo superamento della discriminazione nei confronti delle donne italiane coniugate con cittadini stranieri che, come è stato ricordato dal collega Bucchino, prima dell’entrata in vigore della Costituzione, non hanno potuto trasmettere la cittadinanza ai figli e quindi ai propri discendenti.

In quelle proposte, sottosegretario, si cela un altro importante aspetto: non vi è, quindi, unicamente – glielo diciamo visto che lei è qui – il superamento di questi aspetti discriminanti, ma anche il riconoscimento del valore storico dell’emigrazione italiana nel mondo, delle opportunità che apre ancora oggi, come ad esempio il consentire il riacquisto a coloro che, per ragioni contingenti di allora e al di sopra della loro volontà, si trovarono a non essere più cittadini italiani e successivamente, dopo l’entrata in vigore della legge n. 91 del 1992 non poterono, per mancanza di tempo, utilizzare la norma transitoria per il riacquisto.

Tra quelle proposte quindi, signor sottosegretario, si cela un valore aggiunto per il nostro Paese: riconoscere una italianità modernamente ancorata alla richiesta di cittadinanza ed ai diritti e doveri di cittadinanza che ne derivano sia con il riconoscimento che con il riacquisto.

Riconoscere analoga aspirazione a una italianità solo vissuta nel quotidiano, ma fatta anche di cittadinanza (di diritti e di doveri) per gli immigrati che in questo Paese vivono e lavorano regolarmente rispettando le leggi della Repubblica.

Quale migliore spot pubblicitario, contro ogni forma di razzismo e xenofobia, del riconoscere che esiste una legittima aspirazione di chi emigra e di chi arriva in questo Paese a vivere l’esperienza dell’integrazione anche attraverso la cittadinanza e del favorire, anziché ostacolare, questi processi?

Riteniamo soddisfacente, in conclusione, il suo impegno per arrivare ad una applicazione in tempi brevi della sentenza; meno soddisfacente – lo diciamo con chiarezza – è l’impegno politico del Governo rispetto alla riforma della legge 5 febbraio 1992, n. 91, nella direzione dello ius soli, venendo meno alla necessità di una moderna concezione della cittadinanza legata ad un periodo di residenza ragionevole alla cittadinanza per chi nasce in Italia da genitori regolarmente residenti in questo Paese.

Si tratta di materia parlamentare, è vero, alla maggioranza chiediamo attenzione a questo tema affinché vi sia la calendarizzazione e la discussione su tale riforma con l’impegno, però, del Governo in questa importante e urgente riforma.

 
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EmiNews 2009

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