7299 Amnesty International: dietro la crisi economica si cela una crisi di diritti umani

20090528 11:40:00 redazione-IT

[b]Rapporto 2009 sulla situazione in 157 Paesi. Weise: ‘’Il rischio è che la recessione porti con sé maggiore repressione. Il mondo è seduto sopra una bomba a orologeria sociale, politica ed economica”

– Pacchetto sicurezza pericoloso per i diritti umani
– Respingimenti forzati in mare sono un nuovo tipo di violazione dei diritti umani
– In 81 Paesi non c’è libertà di espressione. 2390 prigionieri messi a morte
– Dal Kenya alla guerra di Gaza, nel 2008 diritti umani calpestati ovunque[/b]

ROMA – "Il mondo è seduto sopra una bomba a orologeria sociale, politica ed economica, innescata da una crisi dei diritti umani”. Questa la fotografia scattata da Amnesty International, che presenta a Londra, Roma e in altre capitali il proprio Rapporto annuale 2009. Il volume analizza la situazione dei diritti umani in 157 paesi e territori nell’anno precedente.
“Dietro alla crisi economica si cela un"esplosiva crisi dei diritti umani – ha affermato Christine Weise, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International nel corso della conferenza stampa di Roma -. La recessione ha aggravato le violazioni dei diritti umani, distolto l’attenzione da esse e creato nuovi problemi. Prima, i diritti umani erano messi in secondo piano in nome della sicurezza, ora in nome della crisi economica”.

E ha sottolineato: “Il mondo ha bisogno di un nuovo tipo di leadership, di un new deal dedicato ai diritti umani: ha bisogno non di promesse di carta ma di azioni e impegni concreti per disinnescare la bomba a orologeria, di investire nei diritti umani quanto s’investe nell’economia. Miliardi di persone sono private di sicurezza, giustizia e dignità. La crisi che le colpisce ha a che fare con la mancanza di cibo, di lavoro, di acqua potabile, di terra e di alloggio ma anche con l’aumento di disuguaglianza, xenofobia, razzismo, violenza e repressione”.

Tra gli esempi più evidenti di questa crisi, la Weise ha citato: “la negazione alle comunità indigene del diritto fondamentale a una vita dignitosa, nonostante la crescita economica in paesi come Brasile, Messico e India; gli sgomberi forzati di centinaia di migliaia di persone da insediamenti abitativi precari o terreni agricoli, in nome dello sviluppo economico; il vertiginoso aumento dei prezzi, che ha provocato altra fame e altre malattie e, in paesi come Corea del Nord, Myanmar e Zimbabwe, l’uso del cibo come arma politica; il persistere della violenza e della discriminazione nei confronti delle donne; la reazione alla pressione migratoria da parte dei paesi di destinazione e di transito, che hanno adottato politiche ancora più restrittive, con l’Europa a indicare il cammino in collusione con governi come Mauritania, Marocco e Libia”.

Pericolo rivolte. Ha aggiunto la Weise: “Osserviamo nel mondo crescenti segnali di rivolta e violenza politica. Il rischio è che la recessione porti con sé maggiore repressione. Lo abbiamo già visto in Tunisia, Egitto, Camerun e altri paesi africani, quando i governi hanno stroncato duramente le proteste contro la situazione economica, sociale e politica. L’impunità della polizia e delle forze di sicurezza è risultata dominante. La Cina e la Russia sono la prova che all’apertura dei mercati non è corrisposta l’apertura delle società. Attivisti per i diritti umani, giornalisti, avvocati, sindacalisti sono stati intimiditi, minacciati, aggrediti, incriminati o uccisi in ogni parte del mondo”.

Mentre si concentrano sui tentativi di rianimare l’economia globale, i leader del mondo trascurano quei conflitti mortali che producono violazioni dei diritti umani di massa. Ha puntualizzato la Weise: “Da Gaza al Darfur, dall’est della Repubblica Democratica del Congo al nord dello Sri Lanka, il costo umano dei conflitti è risultato orrendo e la blanda risposta della comunità internazionale è stata scioccante. Le operazioni militari in Afghanistan e Pakistan sono aumentate, tenendo in scarso conto le implicazioni dal punto di vista dei diritti umani. Le crisi sono interconnesse tra loro: ignorarne una per concentrarsi su un’altra non fa altro che aggravarle entrambe. La ripresa dell’economia non sarà equa e non durerà a lungo se i governi non porranno fine alle violazioni dei diritti umani che creano e acuiscono la povertà e se non fermeranno i conflitti armati che generano nuove violazioni”.

Nuovi attori, vecchi approcci. Per il presidente della Sezione Italiana di Amnesty International, “i paesi del G20 si stanno presentando alla ribalta internazionale come un soggetto nuovo, portatore di istanze e soluzioni e che rivendica un peso politico maggiore. Tuttavia, in tema di diritti umani, questo gruppo dimostra di avere un approccio vecchio e fallimentare fatto di violazioni, retorica priva di azione, promozione dei diritti all’estero e negazione in casa propria, copertura politica degli alleati. Il new deal che abbiamo in mente deve evitare tanto gli approcci selettivi quanto i doppi standard in materia di diritti umani”. Quanto agli Stati Uniti, “abbiamo apprezzato la decisione del presidente Obama di chiudere Guantánamo e denunciare la tortura. Assumere la responsabilità per quanto accaduto nella ‘guerra al terrore’ e chiamare a rispondere i responsabili delle violazioni dei diritti umani commesse nel suo contesto, accrescerà tanto la sicurezza globale quanto l’autorità morale degli Stati Uniti”.

Nuova campagna. Sottolineando come la crisi economica abbia creato un urgente bisogno di cambiamento, la Weise ha annunciato il lancio di una nuova campagna globale di Amnesty International, che intende affrontare e fermare le violazioni dei diritti umani che creano e acuiscono la povertà. In Italia, la campagna si chiamerà “Io pretendo dignità”.

“La povertà è caratterizzata da privazione, disuguaglianza, ingiustizia, insicurezza e oppressione, cioè da una serie di fattori che insieme erodono il primo dei diritti umani: la dignità di ogni essere umano – ha concluso la Weise -. Per questo, la dignità è al centro di questa nuova campagna. Non è una semplice coincidenza il fatto che la maggior parte dei poveri del mondo siano donne, migranti e appartenenti a minoranze etniche o religiose. Quasi 50 anni fa, Amnesty International venne creata per chiedere il rilascio dei prigionieri di coscienza. Oggi noi pretendiamo dignità per i prigionieri della povertà, affinché possano cambiare la loro vita”.

——————

Amnesty: ”Pacchetto sicurezza pericoloso per i diritti umani”

Sotto la lente di ingrandimento del rapporto annuale realizzato dall’ong, anche le nuove norme sull’immigrazione e gli sgomberi dei rom. ”In Italia criminalizzati i gruppi minoritari”

ROMA – "Le norme contenute nel pacchetto sicurezza hanno un impatto pericoloso sui diritti umani e producono maggiore insicurezza”. È l’analisi fatta da Amnesty International alla presentazione del rapporto annuale 2009 sulla situazione dei diritti umani nel mondo, in cui viene dedicata un"ampia pagina alla realtà italiana. Il reato di ingresso e permanenza irregolare sul territorio dello Stato, considerato tra l’altro un’aggravante generica con conseguente incremenento della pena, “è una norma palesemente discriminatoria”, secondo l’Ong, e, se confermata al Senato, produrrà una serie di “conseguenze allarmanti sui diritti umani dei migranti irregolari”. Temendo la denuncia, i migrantisenza permesso di soggiorno, prevede Amnesty, “sarebbero indotti a sottrarsi all’incontro con ogni tipo di istituzione e di ufficio pubblico, tenendosi alla larga da ospedali, scuole, con immaginabili conseguenze sul diritto alla salute, all’istruzione per i figli, alla registrazione dei nuovi nati”.

Più in generale, l’Ong lancia l’allarme sulla “china razzista” presa dall’Italia con “l’accanimento discriminatorio contro i gruppi deboli nell’approccio che privilegia la sicurezza ai diritti umani”. Secondo la presidente della sezione italiana Christine Weise “il Paese è precipitato nell’insicurezza, gli attacchi contro i rom sono stati solo l’inizio, ora il fenomeno si è allargato”. Secondo Weise sono forti le responsabilità della politica perché “la criminalizzazione dei gruppi minoritari continua a essere elemento di ogni campagna elettorale”.

Sugli sgomberi forzati dei rom e la legislazione d’emergenza, la Weise ricorda che si devono rispettare regole ben precise: “consultare le persone quando si decide lo spostametno dell’insediamento abitativo precario, offrire loro un’alternativa, garantire il diritto di contestare questi provvedimenti per via giudiziaria”.

Amnesty lancia anche un appello per l’istituzione del reato di tortura, che permetterebbe di perseguire “gli atti di tortura e maltrattamenti commessi da pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni”. Tra i casi citati, il G8 di genova per le violenze contro i manifestanti detenuti enlla caserma di Bolzaneto e per quelli alloggiati alla scuola Armando Diaz. Ma anche il processo Abu Omar, le rendition e i rimpatri di persone “sospette” in paesi come la Tunisia in cui potrebbero essere a rischio di torture e maltrattamenti. (rc)

——————

DIRITTI 09.3428/05/2009
In 81 Paesi non c’è libertà di espressione. 2390 prigionieri messi a morte

Rapporto Amnesty International. Torture e altre forme di maltrattamento sono state compiute, nel corso degli interrogatori, in circa 80 paesi. Rinvii forzati di richiedenti asilo, 27 gli Stati autori di respingimenti

ROMA – Ecco, in estrema sintesi, i dati principali dati del rapporto annuale 2009. Nel 2008 le limitazioni alla libertà di espressione sono state imposte in almeno 81 paesi. Quanto alla pena di morte, secondo il rapporto di Amnesty International almeno 2390 prigionieri sono stati messi a morte in 25 paesi. Il 78% delle esecuzioni ha avuto luogo nei paesi del G20.
Esecuzioni extragiudiziali od omicidi illegali sono stati commessi in oltre 50 paesi. Il 47% di questi crimini è stato riscontrato nei paesi del G20. Non solo: torture e altre forme di maltrattamento sono state compiute, nel corso degli interrogatori, in circa 80 paesi. Il 79% delle torture e dei maltrattamenti si è registrato nei paesi del G20. Per non parlare dei processi iniqui, che sono stati celebrati in circa 50 paesi. Anche in questo caso il 47% di essi si è svolto nei paesi del G20.

Detenzioni illegali: prigionieri sono stati sottoposti a periodi di detenzione prolungata, spesso senza accusa né processo, in circa 90 paesi. Il 74% di queste detenzioni ha avuto luogo nei paesi del G20.
Quanto ai rinvii forzati di richiedenti asilo, il rapporto evidenzia che persone che chiedevano asilo politico sono state respinte da almeno 27 paesi verso stati in cui sono andate incontro ad arresti, torture e morte. In almeno 50 Paesi, inoltre, sono stati messi in carcere prigionieri di coscienza Infine, sgomberi forzati sono stati eseguiti in almeno 24 paesi.

——————

Amnesty: ”Respingimenti forzati in mare sono un nuovo tipo di violazione dei diritti umani”

Violazioni del governo italiano anche con i ritardi nei soccorsi nel caso ”Pinar” e per la detenzione nei Cie. La presidente Weise: ”L’Italia è responsabile di ciò che accadrà a ognuna delle persone riportate in Libia”

ROMA – “Un nuovo tipo di violazione dei diritti umani è il respingimento in mare verso la Libia dei barconi di migranti”. Sono parole di dura condanna verso le nuove azioni intraprese dal governo Berlusconi nei confronti dei migranti che arrivano sui barconi, pronunciate dal neopresidente della sezione italiana di Amnesty International, Christine Weise a margine della presentazione del rapporto annuale 2009 sui diritti umani nel mondo. “L’Italia è responsabile di ciò che accadrà a ognuna delle persone riportate in Libia”, ha affermato Weise nel corso della conferenza stampa. “Tra il 7 e l’11 maggio 2009, con una decisione senza precedenti, l’Italia ha condotto forzatamente in Libia circa 500 tra migranti e richiedenti asilo”, scrive Amnesty, “senza alcuna valutazione sul possibile bisogno di protezione internazionale degli stessi e quindi violando i propri obblighi in materia di diritto internazionale d’asilo e dei diritti umani”.

Secodno l’Ong, in questo modo, i richiedenti asilo, il cui dovere di protezione è sancito dalle convenzioni internazionali firmate anche dal nostro Paese, sono a rischio di “persecuzioni, torture e altre gravi violazioni dei diritti umani”, visto che “La Libia non ha una procedura d’asilo e non offre protezione a migranti e rifugiati”. “Queste azioni”, ha affermato Christine Weise, “sono il frutto di anni di cooperazione con la Libia in cui non si sono mai poste condizioni sul rispetto dei diritti umani a Tripoli e che hanno visto la mediazione, nei loro ruoli istituzionali di ministri, degli onorevoli massimo D’Alema, Piero Fassino, Giuseppe Pisanu e Giuliano Amato, culminata con l’accordo di “Amicizia, partenariato e cooperazione concluso dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ad agosto 2008, ratificato dal Parlamento a febbraio 2009”.

Amnesty torna anche sul caso della nave cargo turca “Pinar” che lo scorso 16 aprile salvò 140 migranti dal naufragio.

“Il governo italiano è responsabile di violazioni dei diritti umani nel Mar Mediterraneo sia per il rinvio forzato dei migranti in Libia, sia per il ritardo nei soccorsi”. La disputa con il governo maltese è stata anteposta al salvataggio delle vite umane, “che in quel contesto rappresenta invece la priorità assoluta”, ha detto Weise.

Tra le nuove norme sull’asilo, viene giudicato un segnale di speranza quanto deliberato dalle Camere il 26 giugno 2008, che hanno confermato il meccanismo per cui il richiedente asilo ha diritto alla sospensione dell’espulsione durante il tempo necessario al ricorso contro il rigetto della domanda di asilo in prima istanza (effetto sospensivo del ricorso). Tuttavia i diritti umani dei richiedenti asilo politico non sono comunque rispettati visto che “durante il primo periodo di permanenza nei centri dopo l’arrivo in Italia, sono sottoposti a una detenzione de facto priva di basi legali certe e di controllo giudiziario”, sottolinea Amnesty, che aggiunge: “I richidenti asilo giunti via mare sono stati detenuti anche per settimane prima di avere la possibilità di formalizzare la propria domanda”.

“Forte allerta per i diritti umani” anche per l’istituzione dei centri di identificazione ed espulsione (Cie). Con il Cie, afferma l’Ong, “è stata ribaltata la politica adottata sino a quel momento che considerava Lampedusa come luogo di soccorso, dove svolgere soltanto una primissima identificazione”. Secondo Amnesty “La nuova prassi ha avuto un grave impatto sui diritti umani di migranti e richiedenti asilo, che sono dovuti rimanere all’interno del centro di contrada “Imbriacola” per lungo tempo”. Di qui le violazioni legate al sovraffollamento: “Tale centro che all’epoca poteva ospitare sino 804 persone, è arrivato a contenerne anche 2000”. (rc)

——————

Amnesty: ”Dal Kenya alla guerra di Gaza, nel 2008 diritti umani calpestati ovunque”

Rivolte per fame nell’Africa sub-sahariana, povertà in America Latina, sgomberi, repressioni, abusi e violenze documentati nell’ultimo rapporto annuale

Roma – Nel 60esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, con le relative solenni celebrazioni, i dirtti umani sono stati traditi ovunque nel mondo e messi in secondo piano, a causa della crisi economica che, nel 2008, ha scalzato l’emergenza terrorismo dall’agenda internazionale. Un’analisi amara, con cifre e fatti, contenuta nell’ultimo rapporto annuale di Amnesty International che tiene il polso della situazione delle violazioni dei diritti umani in tutto il pianeta. Il volume suddivide i paesi in cinque regioni geografiche: Africa sub-sahariana, Americhe, Asia e Pacifico, Europa e Asia centrale, medio Oriente e Africa del Nord. All’interno di ogni sezione si trovano le schede di tutti gli Stati.

Il 2008 si è aperto con la crisi in Kenya e si è chiuso con l’offensiva israeliana “piombo fuso” su Gaza. In entrambi i casi, i civili uccisi sono stati oltre un migliaio. In mezzo a questi due eventi drammatici, in tutto il mondo ci sono state violazioni, abusi e soprusi, che, in genere, hanno colpito soprattutto i poveri. La crisi alimentare che ha caratterizzato l’Africa per l’intero anno ha portato alle “rivolte per fame”, con gli abitanti del continente che si sono riversati nelle strade per protestare contro il forte aumento del costo della vita in Benin, Burkina Faso, Camerun, Costa d’Avorio, Repubblica di Guinea, Mali, Mozambico, Senegal, Somalia e Zimbawe. Le manifestazioni sono degenerate in violenze e repressioni. Migliaia di persone hanno continuato a migrare mettendosi nelle mani dei trafficanti o finendo in carceri dove sono trattenuti in condizioni disumane. Molti africani vivono nelle baraccopoli delle grandi città. In Ciad, le autorità hanno demolito le baracche a N’Djamena, lasciando senza tetto decine di migliaia di persone. Conflitti armati dimenticati pewrdurano in Sudan (Darfur), Ciad, Somalia e nella Repubblica Democratica del Congo (Nord Kivu).

“Gli embarghi sulla vendita di armi imposti dall’Onu non sono stati efficaci”, si legge nel rapporto,“La comunità internazionale ha mobilitato una quantità di risorse senza precedenti per combattere la pirateria al largo delle coste della Somalia e proteggere i propri interessi commerciali. Non ha compiuto, invece, alcuno sforzo per fermare il flusso di armi da fuoco diretto verso la Somalia, a dispetto dell’embargo”. Da gennaio 2007, gli scontri a Mogadiscio hanno causato la morte di 16.000 civili. In Congo continuano i rapimenti di civili, gli stupri e l’impiego di bambini-soldato. In Sudafrica ci sono quasi sei milioni di persone sieropositive al virus dell’Hiv, ma le donne delle zone rurali non possono curarsi a causa delle distanze da percorrere per raggiungere gli ospedali e del costo dei trasporti. In tantissimi paesi non c’è libertà di stampa e di opinione.

In Camerun, Gambia, Nigeria, Rwanda, Senegal e Uganda i cittadini sono perseguitati per l’orientamento sessuale. I poveri non riescono ad avere un processo equo. “Le oltre 700 persone nel braccio della morte in Nigeria nel 2008 avevano tutte iuna cosa in comune: la povertà”, scrive Amnesty. La maggiorparte dei 30 milioni di abitanti del Delta del Niger vive in estrema povertà, sottoposta anche all’inquinamento e ai danni ambientali dovuti allo sfruttamento del petrolio da parte delle multinazionali (tra cui l’italiana Agip). Amnesty chiede al governo nigeriano di regolamentare con un organismo indipendente lo sfruttamento dell’oro nero e di pubblicare i dati sull’impatto ambientale dell’estrazione.

L’America Latina si conferma il continente con le maggiori diseguaglianze sociali: più di 70 milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno. In Bolivia vengono uccisi i “campesinos” e in Colombia le violenze hanno lo scopo di sfollare le popolazioni dalle zone di interesse strategico. Sono diffusi gli abusi sulle donne. In Nicaragua e ad Haitipiù del 50 % delle vittime che riportano abusi sessuali hanno al massino 18 anni. (rc)

http://www.redattoresociale.it/

 
7299-amnesty-international-dietro-la-crisi-economica-si-cela-una-crisi-di-diritti-umani

8029
EmiNews 2009

Views: 1

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.