7514 La Corte Costituzionale boccia il Lodo Alfano. Berlusconi contro Napolitano e Magistratura

20091008 15:31:00 redazione-IT

[b]Berlusconi: «Vado avanti, la corte è di sinistra»
Blindato il quartier generale del premier
E’ scontro con il Presidente Napolitano che difende la Carta
Levata di scudi a difesa di Napolitano[/b]

di ma.ge.
Una serie di attacchi diretti al Capo dello Stato. Ieri sera a Porta a Porta: «Aveva garantito con la sua firma che la legge sarebbe stata approvata dalla Consulta, posta la sua nota influenza sui giudici di sinistra». Questa mattina al Giornale radio Rai: «È stato eletto da una maggioranza che non è più tale nel paese». Così Berlusconi reagisce alla bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale. E quanto ai processi che ora lo attendono dice: sono una «farsa», metterò in «ridicolo i miei accusatori», anche in tv e sui giornali.

Il presidente della Camera Fini prova a farlo ragionare: «L’incontestabile diritto politico di Silvio Berlusconi di governare, conferitogli dagli elettori, e di riformare il Paese, non può fare venir meno il suo preciso dovere costituzionale di rispettare la Corte Costituzionale e il capo dello Stato», lo ammonisce la terza carica dello Stato.

«Giudici di sinistra? E che devono essere di destra, o celestiali?», sobbalza il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura: «La Corte Costituzionale ha svolto il suo ruolo. La sentenza sul lodo Alfano va rispettati. Dire che i giudici politicizzano le questioni al loro esame è un ritornello». Ma ciò che preoccupa di più il numero due del Csm è l’intenzione proclamata dal premier di procedere spianati sulle riforme della giustizia. «C’è bisogno di rasserenare il clima e di proposte di riforma che non siano nè dispettose nè minatorie», avverte Mancino, che prova a bloccare sul nascere l’assalto.

Un Berlusconi ferito, così appare il premier il giorno dopo la decisione della Consulta che ha dichiarato incostituzionale il Lodo Alfano. Un capo del governo che di fronte alla decisione dei supremi giufici cerca il consenso del popolo e fa di tutto per provocare la crisi istituzionale, aprendo uno scontro senza precedenti con il Quirinale.

Questo Esecutivo «si sente assolutamente necessario alla democrazia, alla libertà e al benessere del Paese», fa sapere, di buon mattino ai microfoni del Giornale Radio Rai. Promette battaglia: «Vedrete di che pasta sono fatto». Prova persiono a ostentare una serenità che nei fatti sembra totalmente smarrita: «Vado avanti tranquillamente e serenamente, possibilmente con più grinta», promette. I processi? Come la manifestazione per la libertà di stampa. Anche quelli: una «farsa», replica Berlusconi che chiama il popolo italiano a giudicarlo e promette di difendersi non solo in tribunale ma sulle televisioni, alla radio, sui giornali. Come per altro ha già iniziato a fare. I processi – dice – li illustrerà lui agli italiani esponendo al «ridicolo» gli accusatori.

Ma la vera linea di difesa è l’attacco. Contro la sinistra, i magistrati, i giornali, le tv. Contro la Consulta: «Non è uorgano di garanzia ma un organo politico». E soprattutto contro il Capo dello Stato: «Eletto da una maggioranza che non è più maggioranza nel paese, una maggioranza di sinistra, ha radici totalmente di sinistra. Anche l’ultimo atto di nomina di un giudice costituzionale dimostra da che parte sta, tutto qui». Tutto per concludere: «Meno male che Silvio C’è – afferma – altrimenti saremmo completamente nelle mani di questi signori della sinistra».

L’ATTACCO A CALDO, ALL’USCITA DI PALAZZO GRAZIOLI
Una rabbia che dura a placarsi e che si è scatenata subito, appena si è diffusa la notizia dche la Consulta aveva bocciato il Lodo Alfano. Il primo tutti Silvio contro tutti va in scena davanti a Palazzo Grazioli. Berlusconi ostenta sicurezza: «A me queste cose mi caricano». «Noi andiamo avanti. I processi che mi scaglieranno sul piatto sono autentiche farse: io sottrarrò qualche ora alla cura della cosa pubblica per andare là e sbugiardarli tutti». «Meno male che Silvio c’è…queste cose mi caricano, mi fanno un baffo, agli italiani li caricano, viva gli italiani, viva l’Italia, via Berlusconi». Ma non è così. Il premier tracima come un fiume in piena. Nel mirino, la «minoranza di magistrati rossi organizzatissima, che usa la giustizia a fini di lotta politica». La stampa: «per il 72% della stampa di sinistra». Gli spettacoli di approfondimento della tv pubblica: «di sinistra e ci prendono in giro anche con gli spettacoli comici». E, ultimo, il capo dello stato «che sapete da che parte sta». Sembra un’uscita a caldo, ma non è così. Ci sono già tutti i temi che il premier ripeterà a notte fonda, facendo irruzione con una telefonata rabbiosa nello studio di Porta a Porta.

LA TELEFONATA A PORTA A PORTA
Sono le unidici, l’una di notte per gli spettatori, visto che la puntata è trasmessa in differita, quando il premier telefona a Bruno Vespa e irrompe con la sua collera nello studio di Porta a Porta. Le sue parole fanno chiarire benissimo che non c’è nulla di estemporaneo nell’attacco al Capo dello Stato: «Il presidente della Repubblica aveva garantito con la sua firma che la legge sarebbe stata approvata dalla Consulta, posta la sua nota influenza sui giudici di sinistra della Corte», insiste, mentre Rosy Bindi, in studio, prova a farlo riflettere sulla gravità delle sue affermazioni. «Ravviso che lei è sempre più bella che intelligente», gli ribatte il premier: «Comunque, non mi interessa nulla di quello che lei eccepisce».«Qui c’è una donna che non è a sua disposizione, capisco che sia irritato», ribatte lei.

La gravità delle parole di Berlusconi però appare chiarissma a tutti. Il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini prova a spiegarlo al premier dandogli del tu. Berlusconi insiste: «Non accuso il capo dello Stato, prendo atto di una situazione in cui c’erano certi suoi comportamenti e sappiamo tutti quali relazioni intercorrano tra i capi dello Stato e i membri della Consulta. Sono da anni in politica, so quali siano i rapporti che intercorrono». Anche a Vepsa che all’inizio della puntata aveva parlato di «piccola crisi istituzionale» non resta che constatare che «la crisi non sarà facile da ricucire».

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Blindato il quartier generale del premier

Misure di sicurezza straordinarie e grande mobilitazione delle forze dell’ordine attorno a Palazzo Grazioli, residenza romana del premier. La strada è transennata alle auto e circondata da poliziotti in tenuta antisommossa e persino le ambulanze e le auto di servizio sono costrette a deviare e cambiare direzione.

A Palazzo Grazioli, intanto, è riunita una "unità di crisi" del centrodestra: sono presenti La Russa, Matteoli, Ghedini, Gasparri, Quagliariello e Rossella. Decine di turisti incuriositi, calca di giornalisti italiani e stranieri (la tv tedesca e francese, le principali agenzia di stampa internazionali), tutti assieme hanno da stamani atteso la sentenza sul lodo Alfano davanti alla Consulta. Molti gli stranieri in viaggio a Roma che, incuriositi dalle telecamere, hanno iniziato a fare delle foto ai giornalisti mentre qualcuno ha cercato di capire cosa stesse succedendo di così importante in Italia.

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E’ scontro con il Colle che difende la Carta

di Marcella Ciarnelli

Fare buon viso a cattivo gioco è l’ordine di scuderia rispettato solo nei primi minuti del dopo sentenza. Poi il premier per primo ha provvedetu a farlo saltare reagendo come un fiume in piena e senza più argini alla decisione della Corte Costituzionale che lo riporterà davanti ai giudici.

Attacca tutti il presidente del Consiglio. I giudici «rossi» della Consulta, l’opposizione, i giornali e il presidente della Repubblica che «si sa da che parte sta». E da che parte stia, il Capo dello Stato glielo precisa a stretto giro, con un gelida nota ufficiale: «Tutti sanno da che parte sta il presidente della Repubblica, sta dalla parte della Costituzione, esercitando le sue funzioni con assoluta imparzialità e in uno spirito di leale collaborazione istituzionale». La replica ha aumentato la distanza tra i due: «Non mi interessa cosa ha detto il Capo dello stato, mi sento preso in giro».

L’atteggiamento di Berlusconi, nella sera in cui si è trovato a fare i conti con l’amara prospettiva di dover riaprire i conti con la giustizia, ancora una volta mettono in evidenza lo stato del confronto politico in Italia in cui ormai sembra non esserci più alcuno spazio. L’amarezza del presidente della Repubblica, quando anche di recente, a Matera qualche giorno fa, l’altro giorno rivolgendosi ai volontari, ha espresso il suo rimpianto per la «bella politica», quella fatta di contrapposizioni anche dura ma sempre nel rispetto dell’avversario, ieri ha avuto un’altra ragione per essere confermata.

L’attacco di Berlusconi è stato duro. Lo scontro inevitabile davanti a chi ha scelto di ignorare del tutto l’azione improntata sempre al massimo dell’equilibrio portata avanti dal presidente della Repubblica, nonostante le pressioni ed anche le critiche di chi ha voluto interpretare a modo suo il dettato costituzionale sulle prerogative del presidente. Che sul Lodo Alfano, nel momento in cui ne ha autorizzato la presentazione e poi lo ha controfirmato non ha mai espresso alcun giudizio di costituzionalità che, è noto a tutti, non spetta a lui esprimere. Ma, com’è avvenuto ieri, spetta proprio a quella Corte Costituzionale che lo ha fatto con una consistente maggioranza.

E la cui decisione è stata accolta «con rispetto» dall’inquilino del Colle. Sempre dal Quirinale viene ricordato che, al momento della promulgazione della legge in materia di sospensione del processo penale per le alte cariche dello Stato come si evince dalla nota diramata il 23 luglio 2008, si era rilevato che la sentenza della Corte Costituzionale n.24 del 2004, non aveva sancito che la norma di sospensione del processo dovesse essere adottata con legge costituzionale. Quando sul tavolo del presidente arriveranno le motivazioni della sentenza della Corte, queste saranno valutate «serenamente», con la tranquillità di chi non si sente toccato in alcun modo dalle polemiche.

Elezioni e piazza. Sono state evocate da Berlusconi e dai suoi. Ipotesi accantonate entrambe. La piazza non sembra più una buona idea. Per quanto riguarda possibili elezioni anticipate è bene ricordare che ci sono precise regole che sorreggono l’istituto della democrazia rappresentativa. Eventuali dimissioni dovrebbero passare al vaglio di un voto di fiducia in Parlamento in cui una maggioranza c’è o è possibile. E poi… l’itinerario è lungo.

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Levata di scudi a difesa di Napolitano

Dal presidente della Camera Gianfranco Fini al vicepresidente del Csm Nicola Mancino. E poi il segretario del Pd, Franceschini, quello della Cgil, Epifani. E’ un coro vastissimo quello che si alza in difesa del presidente della Repubblica. E che prova a bloccare l’offensiva di Silvio Berlusconi.

Il primo a intervenire è Gianfranco Fini: «L’incontestabile diritto politico di Silvio Berlusconi di governare, conferitogli dagli elettori, e di riformare il Paese, non può fare venir meno il suo preciso dovere costituzionale di rispettare la Corte Costituzionale e il capo dello Stato», avverte.

Quasi contemporaneamente Nicola Mancino, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura tuona: «Contro Napolitano una rozzezza senza limite. La Corte Costituzionale ha svolto il suo ruolo. La sentenza sul lodo Alfano va rispettata».

Le accuse del presidente del Consiglio alla Consulta e al Capo dello Stato sono di una «gravita straordinaria» e aprono quello che da un punto di vista tecnico e giuridico è «un processo rivoluzionario» e dunque «eversivo», avverte Massimo Cacciari.

«Chi è stato legittimamente nominato presidente del Consiglio (non eletto direttamente) ha il diritto di governare, e tutti i doveri che derivano dalla sua funzione e che sono stabiliti dalla nostra Costituzione», osserva Anna Finocchiaro, presidente dei senatori Pd: «Berlusconi invece ritiene di avere solo diritti e questo suo modo di concepire il ruolo di presidente del Consiglio è fuori dai limiti previsti dalla nostra Carta». Anche la presidente dei deputati Pd parla di «attacco eversivo al presidente della Repubblica e alla Corte costituzionale che in nessun Paese democratico sarebbe consentito e che noi non consentiremo»

«È evidente che il presidente del Consiglio è in preda ad una crisi di nervi», attacca il presidente dei deputati Pd Antonello Soro: «Qualcuno dovrebbe ricordare a Berlusconi che la sovranità appartiene al popolo, ma questa si esercita nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione e che le Regole non sono una sua proprietà. L’Italia oggi più che mai ha bisogno di certezze e Napolitano rappresenta la certezza che la Repubblica è forte e stabile».

Basta attacchi al Capo dello Stato, invoca il segretario della Cgil Guglielmo Epifani. Il Governo «affronti con la sua maggioranza parlamentare i problemi del paese».

E anche Orlando (Idv) fa arrivare «la nostra solidarietà e vicinanza al Presidente della Repubblica per le inaccettabili espressioni rivolte verso di lui dal presidente del Consiglio».

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Ecco perché la Consulta ha bocciato il Lodo Alfano

di Claudia Fusanitutti

È come se avessero preso una pianta e l’avessero sradicata dalle radici. Il lodo Alfano è stato smontato dopo nove ore di camera di consiglio da 9 alti giudici della Consulta contro 6 che erano invece favorevoli. Un voto a maggioranza netta che spazza via ogni ipotesi di salvezza parziale dello scudo giudiziario per le quattro più alte cariche dello Stato e che ha dilaniato l’ambiente per solito rarefatto dell’alta Corte. Un voto che appena rimbalza fuori dal palazzo settecentesco sul colle del Quirinale scatena l’inferno politico e mediatico e che dice con chiarezza che l’immunità parlamentare, abolita nel 1993, non può essere ristabilita con legge ordinaria.

Il lodo Alfano è stato bocciato nel metodo e nel merito perché viola due principi cardine della Carta, l’articolo 3 che stabilisce il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alle legge e l’articolo 138 che fissa l’iter di approvazione delle leggi che correggono le norme della Carta. È l’abc di ogni buon legislatore. E invece per quindici mesi il Lodo è stato legge dello Stato e ha consentito al premier di non farsi processare.

L’illegittimità costituzionale era l’ipotesi peggiore per i legali del premier che martedì nell’udienza pubblica avevano tirato ancora di più per la giacca la Costituzione sostenendo che «la legge è uguale per tutti ma non per tutti si applica allo stesso modo» (Ghedini) e che il premier «con la nuova legge elettorale non è più primus inter pares ma primus super pares»(Pecorella). Forzature, specie la prima, che devono aver irritato i guardiani della Costituzione.

Le conseguenze pratiche e politiche della bocciatura sono infinite. Prima di tutto i processi. «Vorrà dire che d’ora in poi il premier toglierà tempo al governo del paese per essere presente a processi evanescenti» dice un irritato Ghedini che, pessimista dalla mattina, ha atteso la pronuncia della Corte tra Montecitorio e palazzo Grazioli. Il processo per la compravendita per i diritti tv e cinematografici riprenderà già la prossima settimana dal punto dove era stato interrotto un anno fa. Il premier è imputato per falso in bilancio e appropriazione indebita. Più complessa invece la situazione per il processo Mills che è già arrivato alla sentenza di primo grado.

Questo procedimento dovrà ricominciare da capo ed è a rischio prescrizione (l’ipotesi di reato è corruzione in atti giudiziari) entro pochi mesi. Per il Presidente del Consiglio esiste il rischio di altri due procedimenti: il primo, sempre a Milano, riguarda la vicenda Agrama (diritti tv) e i pm devono chiedere il rinvio a giudizio per appropriazione indebita. Deve decidere cosa fare anche il gip di Roma a cui l’accusa ha chiesto l’archiviazione per la compravendita dei senatori.

Tensione tra i giudici Dai processi alla politica, passando per l’attacco alle istituzioni come la Consulta. «I giudici hanno voluto alzare i cavalli di Frisia davanti ad ogni ipotesi di compromesso che pure era stata loro indicata» osserva amaro Gaetano Pecorella. I giudici si sono spaccati. Si racconta che quando i 15 hanno comunicato il verdetto avevano «facce contrariate», «umori neri», segno che nella camera di consiglio la contrapposizione è stata durissima e che i favorevoli al Lodo – sei erano e sei sono rimasti – non sono riusciti in alcun modo a convincere i tre colleghi indecisi che poi hanno fatto la differenza.
Mentre la notizia usciva dal portone della Consulta e rotolava per Roma e nel mondo – tutti i canali news hanno interrotto i notiziari – la prima a finire sotto accusa è stata proprio la Consulta.

«Sentenza politica» ha tuonato il Pdl. «La Corte è di sinistra, ben undici su quindici» ha fatto i conti il premier. «Si è contraddetta» ha osservato il ministro Alfano che ha annunciato: «non ci sarà una riforma costituzionale» (del resto, non arriverebbe in tempo per i processi). La Corte nel 2004, quando bocciò il lodo Schifani, non aveva messo nero su bianco che per quella modifica serviva una legge costituzionale. Anche allora ci fu una spaccatura. Amirante, oggi presidente, era allora relatore. E per lui, allora come oggi, non c’era dubbio che quella era da bocciare. La Corte ha scritto, non è certo la prima volta, una pagina di storia ma non ha fatto politica. Ha custodito la Carta di cui è garante e guardiana.

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EmiNews 2009

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