7544 L'integrazione non è un piatto di kebab

20091018 13:26:00 redazione-IT

[b]di Aboubakar Soumahoro[/b]

Oggi scendiamo in piazza perché in Italia la promozione della multiculturalità si è ormai ridotta alla mera condivisione di un piatto di Kebab, mentre il razzismo e le politiche di esclusione rappresentate dalle leggi sulla sicurezza (sic!) e Bossi-Fini continuano a mietere vittime.
Il 24 agosto del 1989 a Villa Literno, in provincia di Caserta, veniva ucciso Jerry Essan Masslo un rifugiato sudafricano. Sono passati vent’anni. Ma il razzismo continua ad avvelenare i rapporti umani e le relazioni tra le persone. E’ diventato un tratto culturale tanto nelle istituzioni che nella società. Sto parlando del dramma quotidiano che vivono milioni di persone. Un dramma che, però, rimane confinato nei laboratori di ricerca, di analisi, dello pseudo-solidarismo. Noi vorremmo, invece, che le conseguenze delle politiche razziste del governo diventino visibili, per come hanno stravolto la vita di ciascuno.
La crisi economica, ad esempio.

E i suoi effetti devastanti che non risparmiano nessuno – ad eccezione dei veri responsabili e speculatori – e che stanno minacciando i posti di lavoro, la famiglia, la casa, il mutuo. Insomma, la possibilità di progettare un futuro migliore. I migranti subiscono oggi la crisi due volte. In primo luogo con la perdita del posto di lavoro. L’ultimo rapporto del Censis rivela che le imprese italiane hanno ridimensionato le previsioni di assunzioni di personale immigrato: 92.500 nuove assunzioni per il 2009, contro le 171.900 previste per il 2008. Per i lavoratori immigrati questo significa la sicura perdita del permesso di soggiorno. E’ un dato di fatto, determinato dalla legge Bossi-Fini (e in parte dalla Turco-Napolitano del 1998) che subordina il contratto di lavoro al permesso di soggiorno e viceversa. Insomma, un cane che si morde la coda. E chi perde il permesso guadagna la certezza di finire in un Centro di Identificazione ed Espulsione (Cie). Non sto parlando di alberghi a due, tre, quattro o cinque stelle, ma di vere prigioni che vanno chiuse tout court.
La situazione economica è drammatica e terribile. La risposta è stata classica e altrettanto terribile. Scatenare la caccia ai migranti, ai rifugiati, ai rom, ai gay, alle lesbiche, ai transgender e ai precari. A tutte quelle persone, cioè, che per ragioni legate alla loro "diversità" vengono presi come bersaglio o capro-espiatorio. Questa politica di "caccia al diverso" è diventata cavallo vincente per qualcuno, e qualche forza politica – almeno per ora – si garantisce un posto in parlamento, nel governo e nel consiglio comunale. Stessa ambizione per quei comitati e cittadini gestori e promotori della vergogna delle ronde. Senza dimenticare quei sindaci di centro destra/sinistra, che con altrettante delibere/ordinanze anti-lavavetri, anti-rom, anti-ambulanti hanno abbracciato questo razzismo istituzionale diventato fonte di legge.
Ma non dimentichiamo che la "caccia" avviene addirittura in alto mare. I respingimenti dei richiedenti asilo e gli accordi che li prevedono, la trasformazione del canale di Sicilia, ormai diventato un vero e proprio cimitero marino, l’introduzione del reato di "clandestinità", condanna i migranti per il proprio "status" sociale. Appunto essere chiamato migrante. In questo contesto non possiamo non rimarcare il fallimento della regolarizzazione solo per colf e badanti. Un fallimento prevedibile: la stragrande maggioranza dei migranti è impiegato in agricoltura, nell’edilizia, nel commercio (anche ambulante) ed infine nell’industria. Per questo la riapertura dei termini, estendendo la regolarizzazione a tutte le figure lavorative non può che essere nell’agenda di tutte le rivendicazioni.
Il proliferare del razzismo, della discriminazione e dell’omofobia tanto vivo nella società che nelle sue istituzioni, richiede una presa di posizione e parola – non più limitate ai vari comunicati o dichiarazioni d’intenti a mezzo stampa – con atti concreti.
La manifestazione nazionale antirazzista di oggi a Roma alla quale invitiamo tutti/e, parte da questa premessa e consapevolezza. Dalla voglia di affermare l’antirazzismo come principio di vita sociale, per la concessione della cittadinanza per gli oltre mezzo milione di minori figli di migranti in Italia e per chi ne fa richiesta in base alla residenza, per un modello sociale basato sulla coesione, la sicurezza dei/sui posti di lavoro, la valorizzazione e promozione delle diversità socioculturali.

www.ilmanifesto.it

 
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EmiNews 2009

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