7539 'Pensare la societa nel XXI secolo. Soggetti, istituzioni, formazioni sociali per il rinnovamento

20091016 12:37:00 redazione-IT

Italian-American Conference, 15, 16 e 17 ottobre 2009 tra Pisa e Santa Croce sull’Arno.
L’iniziativa che ha per titolo ‘Pensare la societa nel XXI secolo. Soggetti, istituzioni, formazioni sociali per un rinnovamento democratico’, è organizzata dal Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pisa in collaborazione con l’Università del Salento.

Al convegno partecipano studiosi italiani e americani (statunitensi e latinoamericani) che approfondiranno i temi insieme con politici e rappresentanti istituzionali. Il 15 è prevista la presenza degli onorevoli Carlo Casini e Fausto Bertinotti, mentre il 16 il presidente della Camera Fini terrà un intervento su ‘Democrazia, le sfide del XXI secolo’. Questa edizione dell”Italian-American Conference’, la sesta, offrirà anche una tribuna per i giovani studiosi di scienze sociali e politiche, che saranno autori di diverse comunicazioni scientifiche, e si aprirà al territorio coinvolgendo, nell’ultima giornata, una delle aree più vivaci della provincia, quella di Santa Croce sull’Arno.

Pubblichiamo di seguito la relazione del prof Orlando Lentini dell’Università Federico II° di Napoli
dal titolo: "Una prospettiva liberal per il mondo". Orlando Lentini è anche autore di un interessante recente libro, " La sinistra americana pensa il mondo", Milano, Angeli 2008

Una prospettiva liberal per il mondo

Orlando Lentini (Università di Napoli)

Nonostante il suo successo, il termine liberal appare ancora piuttosto ambiguo. Nella tradizione politica americana da cui proviene, liberal è considerato chi sulla base dei Federalist Papers, della Costituzione americana e del Bill of Rights, ha adottato una prospettiva di liberalismo sociale che si sovrappone senza grandi difficoltà alla prospettiva socialdemocratica.

Se dalla storia delle dottrine o del pensiero politico ci spostiamo verso la storia della produzione di sistemi di norme e valori e di aspettative condivise, possiamo osservare come questa prospettiva liberal si sia definita attraverso l’elaborazione politologica della complessiva esperienza del New Deal. Il New Deal, muovendo da una crisi epocale, produce un modello di intervento sociale e una mentalità, definita liberal, che porta ad una nuova sintesi il tipo di uomo che dovrebbe operare in una società capitalista temperata da solidarietà e welfare. Il liberal è, o dovebbe essere, il cittadino attivo di un ordine politico democratico1.

La parola tuttavia assume il suo valore soltanto se connessa all’esperienza che l’ha prodotta e utilizzata. Così liberal si connette a liberalism e American liberalism, cioè ad una tradizione che ha un corrispettivo europeo, ma che negli Stati Uniti specie dopo la Grande guerra ha subito una radicale trasformazione, a causa di quella che possiamo chiamare una metamorfosi corporata del capitalismo americano, cioè la sua trasformazione in un capitalismo dominato dalle società per azioni giganti (giant corporations).

La metamorfosi corporata del capitalismo americano, che avrebbe poi plasmato a sua immagine il capitalismo mondiale del XX secolo, produsse anche il suo liberalismo, che la storiografia progressista ha denominato liberalismo corporato (corporate liberalism). Il corporate liberalism ha convissuto col liberalismo progressista, ed ha combattuto insieme ad esso e a tutte le forze democratiche la guerra contro il nazifascismo, per poi mostrare apertamente il suo volto ‘corporate’ dando vita alla guerra fredda e alla costruzione del mondo secondo i bisogni del sistema delle giant corporations2.

La sinistra americana ha vissuto tutte le ambiguità della prospettiva liberal fino a che, dando un nome al sistema come corporate capitalism, non ha incominciato a prenderne le distanze. Al liberalismo fomale si contrappone ora una prospettiva liberal sostanziale. Questa è stata l’esperienza degli anni sessanta, delle varie nuove sinistre e dei loro clamorosi fallimenti, nonostante lotte che hanno trasformato l’immaginario e la realtà virtuale che stavano alla base della formazione delle nuove generazioni.

Che l’immaginario e la realtà virtuale con cui il mondo ha vissuto il XX secolo siano stati plasmati dal corporate liberalism e dalla sua versione liberal o progressista è dimostrato dal ruolo che proprio la prospettiva liberal del New Deal ha avuto nella formazione di una istituzione unomondista [traduzione italiana di one worldism] come l’ONU, che nel disegno di F. D. Roosevelt e di Truman aveva di certo una sua visione di ‘New Deal per il mondo’.

La guerra fredda e il conseguente bimondismo USA-URSS hanno di fatto segnato il dominio del corporate liberalism. Tuttavia, grazie all’ONU, l’unificazione ideologica del mondo ha fatto un passo straordinario con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, fortemente voluta da Truman, anch’egli uomo delle corporations, e accettata sul piano formale da tutti gli stati aderenti. Nonostante tutti i compromessi e le mediazioni con il resto del mondo, l’ONU, la sua Carta e la sua Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, costituiscono il lascito più significativo e più duraturo del ‘New Deal per il mondo’ e della prospettiva liberal3.

Se l’unomondismo fu messo in mora dalla guerra fredda e dal prevalere del corporate liberalism, la caduta del secondo polo, il sistema del cosiddetto socialismo reale, ha riportato in auge il programma di unificazione ideologica dell’umanità, che per la prima volta era stato istituzionalizzato dagli Stati Uniti nella fase della loro egemonia, subito dopo la seconda guerra mondiale.

Quel che molti attribuiscono alla cosiddetta globalizzazione, un’integrazione dei mercati senza residui, è in realtà un processo costitutivo in corso da secoli con la formazione di una divisione tendenzialmente mondiale del lavoro, che per l’Occidente può farsi risalire almeno al XV secolo. La divisione fra i blocchi non aveva certo interrotto il processo secolare di formazione di una divisione mondiale del lavoro, che implicava anche la formazione di una realtà virtuale conseguente, cioè un sistema di norme e valori e quindi un sistema di aspettative condiviso.

Il sistema di norme e valori e di aspettative condiviso, e più in generale il modo standard di pensare e vivere il mondo, era stato impostato e definito nelle sue linee essenziali durante l’egemonia britannica, nel XIX secolo, e possiamo sinteticamente chiamarlo liberal-marxismo.

Si tratterà di una sorta di geocultura del sistema mondiale, derivante da una sintesi dell’immagine del mondo prodotta da Adam Smith, col concorso del pensiero politico e sociale scozzese e inglese, delle ‘rivoluzioni’ americana e francese, delle scienze dello stato tedesche e infine del quadro critico elaborato da Marx4.

Il liberal-marxismo ha dominato l’immaginario del XIX e XX secolo ed ha fornito la realtà virtuale con cui si è pensato il mondo durante tutte le fasi di un processo costitutivo attraversato da guerre, crisi economiche, mutamenti istituzionali radicali, movimenti epocali di emancipazione. Tutto ciò fino a quando questa realtà virtuale non ha mostrato tutta la sua inadeguatezza, di fronte ad un mutamento della configurazione della divisione mondiale del lavoro, cui stiamo assistendo oggi con tanto più stupore quanto più consideravamo scontata la realtà virtuale liberal-marxista.

Se invece di guardare con angoscia o con nostalgia alla realtà virtuale del passato ormai obsoleta, ci concentriamo sulla costruzione o elaborazione di una nuova realtà virtuale per vivere il XXI secolo, vediamo che questa nuova realtà virtuale si può costruire soltanto se si fa tesoro del meglio della tradizione precedente, ma senza feticismi.

La prospettiva liberal appare, come già nel 1948, la più unificante fra le sintesi, una buona base di coesistenza e di convivenza, grazie al livello a cui gli Stati Uniti, attraverso l’alleanza contro il nazismo, hanno portato le nazioni vincitrici (le cosiddette nazioni unite) e le nazioni sconfitte, in materia di valori e di diritti. Questa origine liberal della prima istituzione unomondista della storia dell’umanità, ci dovrebbe far riflettere su quali basi sarebbe opportuno fondare l’attuale irreversibile multipolarismo.

L’attuale processo di ridefinizione della divisione mondiale del lavoro rende obsoleta ogni prospettiva di tipo ‘occidentale’, e pone il problema di una nuova immagine condivisa del mondo, un processo che sembra riproporsi per l’ennesima volta, nonostante l’apparenza di durata delle nostre immagini del mondo.

Il mutamento ora appare più drammatico, visto il nostro attaccamento alla vecchia realtà virtuale, ma lo viviamo ogni giorno senza esserne consapevoli, attraverso il sorgere di sempre più influenti nuove fonti di elaborazione della realtà virtuale per pensare il mondo. I nuovi modi di pensare il mondo in fase di elaborazione in Asia, ad esempio nel caso della Cina e dell’India, saranno sempre più vincolanti per la nuova ideologia mondiale in formazione, la nuova geocultura per il XXI secolo.

In ogni caso, sarà sulle vecchie basi liberal-marxiste che potremo costruire la prospettiva liberal per il mondo. Questa sarà la tendenza più probabile grazie al sistema di norme e valori e di aspettative condivise elaborate nel corso di epiche lotte per la riduzione degli effetti perversi del sistema, che hanno prodotto democrazie avanzate e sistemi di welfare.

Questa prospettiva ci appare oggi quasi ovvia e scontata: occorre portare il maggior numero di persone a gradi di sviluppo umano e di diritti sociali, politici etc. considerati come un requisito minimo dell’umanità.

La lunga crisi del liberal-marxismo, dopo la fine del cosiddetto ‘socialismo reale’, aveva portato in Europa a un profondo trauma ideologico, che sembrava riaccreditare la prospettiva liberal di matrice americana. I laburisti britannici hanno anticipato e percorso una strategia post-trauma che è stata definita la ‘terza via’, un vero e proprio esperimento di rifondazione dello spirito socialdemocratico5, nonostante l’ostracismo a cui è sottoposto questo termine.

Fra le tante innovazioni politologiche della terza via, oltre all’aggiornamento dei valori socialdemocratici, figurava con evidenza il bisogno di nazioni cosmopolite e di un futuro ‘governo globale’. I liberal americani e quelli che possiamo chiamare i ‘nuovi socialdemocratici’ europei, sembrano muoversi comunque nella stessa direzione.

Certo è che i problemi oggi di fronte ai cittadini di tutto il mondo presentano tratti comuni che richiedono una Carta aggiornata dei diritti da istituzionalizzare, riassumibili nella parola d’ordine dello sviluppo come libertà. Non si tratta più di puntare soltanto sulla crescita del PIL, ma di orientarsi in direzione dello ‘sviluppo umano’ inteso come effettiva capacitazione di tutti gli esseri umani6.

Noi oggi siamo finalmente consapevoli che la libertà è possibile solo con la democrazia sostanziale, e consiste in un sistema di diritti disponibili, la cui costruzione è sempre storica, pragmatica e non speculativa. L’insieme dei diritti istituzionalizzati che formano la libertà del cittadino, sono alla base della democrazia.

Inoltre la prospettiva liberal, pur avendo diverse sorgenti, soprattutto europee, continua a trarre la sua linfa da molteplici movimenti di emancipazione, quindi è sempre in movimento e si ottimizza senza frontiere, siano esse politiche, economiche, culturali o meramente geografiche.

Ciò che va sottolineato è il carattere negoziale della prospettiva, che si costruisce attraverso il confronto fra posizioni diverse, ma che tende ad attestarsi in linea con le compatibilità del momento. Tuttavia abbiamo a disposizione una sorta di traguardo intermedio da raggiungere, un idealtipo temporaneo, che viene fissato dalla comunità internazionale nel suo insieme, come comunità politica, economica, ma anche comunità epistemica e morale. E’ stata questa comunità ‘umana’ a postulare l’idealtipo di libertà e democrazia che noi chiamiamo oggi prospettiva liberal.

Breve cenno su declino e riorientamento degli USA

Permettetemi ora di fare un breve cenno su declino e riorientamento degli USA. Gli Stati Uniti hanno attraversato il lungo periodo che va dall’egemonia al declino egemonico, affrontando prove davvero drammatiche, guidati da una nozione di interesse nazionale che non lasciava spazio agli interessi terzi. L’unilateralismo comunque, soft o duro, non aveva più una reale base di forza politica già ai tempi di Regan.

La graduale consapevolezza del declino e le strategie dell’America post-egemonica hanno dapprima creato con Bush l’illusione di un nuovo secolo americano, e poi la resipiscenza degli elettori di Obama, che hanno preso atto del declino irreversibile del loro paese e hanno posto il problema di una prospettiva liberal sostantiva. Qui si può sottolineare come la sconfitta dei corporate democrats, fra i quali veniva annoverato in un primo tempo anche Obama, segna l’inizio di una nuova colorazione dell’ordine politico democratico creato dal New Deal.

Obama può ora tentare di andare oltre il darwinismo sociale e il corporate welfare, e dotare il suo paese di quei sistemi di sicurezza sociale che hanno fatto il vanto delle democrazie europee nelle loro varie configurazioni politiche. La forza del suo tentativo sta nel radicamento profondo dei valori democratici fra i cittadini del suo paese. La debolezza sta nel persistere di un potere economico corporato, che tiene ancora in ostaggio la democrazia americana e anche molti dei suoi rappresentanti democrat. Sembra tuttavia che la grande epopea dei diritti civili, e con essa la democrazia liberal americana, stia per fare oggi un grande passo in avanti.

Italia, anomalia esemplare al bivio

Quanto all’Italia, la democrazia vi torna dopo il fascismo, con le varie componenti della resistenza e con le truppe alleate. Un caso di nuovo inizio molto diverso da quelli tedesco e giapponese, in cui la democrazia viene imposta con la forza e modellata da esperti delle scienze sociali americane. Ma, nel secondo dopoguerra, le basi della democrazia italiana sono fragili a causa del sostanziale ademocratismo delle ‘masse’ e, cosa ancora più grave, del sostanziale ademocratismo delle forze economiche e dei ceti medi. Ademocratico è chi è sostanzialmente indifferente, e talvolta insofferente, alla democrazia, ma non necessariamente antidemocratico.

La costruzione dell’ordine politico democratico nel nostro paese, segue comunque modelli e suggestioni provenienti dal New Deal, e poi dal corporate liberalism, che imporrà in Italia un modello di guerra fredda del tutto subalterno agli interessi delle giant corporations americane. Nonostante questa subalternità, la nostra repubblica si è rafforzata anche nelle sue istituzioni democratiche, grazie alla sostanziale coesistenza pacifica fra le forze politiche di ispirazione cristiana, quelle laiche e quelle di ispirazione social-comunista.

La repubblica democratica italiana crea una sua identità e porta avanti un processo di democratizzazione fondamentale fino al definitivo crollo del socialismo reale. In seguito, a partire dagli anni novanta, il conflitto politico si svolgerà in forme nuove, non più nel confronto fra democrazia cristiana e democrazia social-comunista, ma nello scontro fra forze politiche laiche e cattoliche di sostanziale ispirazione socialdemocratica e nuove forme organizzate (attraverso i mass media) di pulsioni ademocratiche.

L’ademocratismo sia delle ‘masse’ che delle forze economiche, che aveva favorito l’ascesa del fascismo, viene ora risvegliato e artificialmente alimentato attraverso una politica mediatica di riaccreditamento del qualunquismo, col concorso di politiche di liquidazione di ogni senso civico. La fondazione di un partito ademocratico, Forza Italia, contribuisce a ridare legittimità a corruzione e illegalità, portando avanti quella che Machiavelli non avrebbe esitato a definire ‘la corruzione della repubblica’.

Il lungo confronto fra socialdemocratici e ademocratici è giunto ora ad una fase di scontro radicale non per ragioni legate a temi politici, ma per i livelli di corruzione e di impresentabilità del leader degli ademocratici del nostro paese, che sembra intenzionato ad avvelenare tutte le istituzioni create dalla repubblica, al solo scopo di mantenere il potere economico della sua famiglia e del sistema di potere creato intorno alle sue imprese economiche e politiche.

Dopo essersi comprato il carisma con i suoi soldi e le sue tv, [un caso di potere carismatico non previsto da Max Weber], il leader degli ademocratici italiani sembra voler riportare indietro il paese ai tempi del maccartismo, questa volta non per favorire la guerra fredda delle giant corporations, ma più modestamente per favorire i suoi interessi materiali familistici. A questo scopo, perfino la politica estera del paese sembra merce di scambio.

La salvaguardia in Italia della prospettiva liberal non solo sul piano teorico, richiede dunque la liberazione del paese dalla metastasi ademocratica, perchè nessun processo di democratizzazione è irreversibile. Come ai tempi di Machiavelli i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio miravano a sostenere le ragioni della repubblica contro i processi di rimonarchizzazione7, così oggi è necessario reagire alla rimonarchizzazione della coscienza pubblica indotta attraverso mass media e corruzione. Si tratta di ristabilire la machiavelliana ‘arte del vivere civile’, quotidianamente calpestata dalle pulsioni ademocratiche.

I ‘paesi nuovi’ e le prospettive liberal

Mentre in occidente si combatte per difendere la democrazia, i sistemi di welfare e tutte le conquiste ottenute dai cittadini attraverso lotte ormai secolari, fino ai ‘diritti umani’ promulgati dall’ONU, in molti paesi nuovi o non occidentali i problemi sono di natura ben diversa. Si tratta di conseguire e istituzionalizzare complessi di diritti e libertà riconosciuti come primari, ma ancora difficili da affermare, in gran parte per ragioni storiche, ma anche per le resistenze di forze che difendono i loro privilegi negando i principi di eguaglianza, libertà, democrazia.

La prospettiva liberal, ormai accreditata dagli organismi internazionali come prospettiva standard per l’umanità del XXI secolo, avrà enormi difficoltà ad affermarsi in molti paesi, se non matureranno le condizioni materiali e ideali del mutamento democratico. Inoltre, come abbiamo visto nel caso italiano, perfino i paesi occidentali rischiano di essere risucchiati da questa diffusa indifferenza o anche ostilità verso le procedure e le pratiche della democrazia, cedendo alla sirena del qualunquismo ademocratico.

Tuttavia, nell’auspicare con forza un processo mondiale di democratizzazione fondamentale, dobbiamo ricordare che l’ispirazione mannheimiana e razionalista o illuminista di questo processo, dovrà cedere il passo ad un’ispirazione multiculturale in cui ogni paese e ogni tradizione definiscono autonomamente i termini della loro specifica multiculturalità e del loro ‘essere democratici’ . Non più modelli occidentali di modernizzazione, ma idealtipi specifici, che costituiranno la ricchezza dell’umanità del XXI secolo.

Nonostante le ‘sacre differenze’, tuttavia, vi sarà anche un processo di uniformazione negoziata, il vero segreto della coesistenza umana. Il confronto e lo scontro continueranno e le ‘repubbliche armate’ continueranno a guardarsi con ostilità, ma sarà inevitabile trovare forme di convivenza. Al loro interno, i paesi dovranno dare risposte sempre più convincenti ai loro cittadini, che per una sorta di demonstration effect vorranno sempre più democrazia e sempre più diritti.

Avremo dunque un doppio movimento politico, da un lato per la maggioranza dei cittadini del mondo, in Asia, Africa, Russia, America Latina, di lottare per l’affermazione della prospettiva liberal, e dall’altro per una parte minore nel mondo occidentale, di resistere alle pulsioni ademocratiche sempre latenti, anche se a farle riemergere è un personaggio di assoluta mediocrità, che però può contare su una storica ansia di servilismo di buona parte della popolazione. Il caso Italia sembra ancora una volta, come lo fu col fascismo, un’anomalia esemplare.

 
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EmiNews 2009

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