7536 MANAUS: La missione impossibile di Don Ruvoletto

20091016 09:54:00 redazione-IT

[b]di Annalisa Dolzan[/b]

Don Ruggero, o padre Rogéiro come veniva chiamato nella sua parrocchia di Manaus, è stato assassinato il 19 settembre nella periferia della capitale dell’Amazonas dove operava da gennaio 2008. Il lancio di agenzia è rimbalzato alle testate italiane e brasiliane. La masticazione veloce delle notizie tende a stordire. Apparentemente non c’è molto da capire. Una manciata di fatti: un omicidio a sangue freddo in parrocchia. Alcuni colpi di pistola, un furto di una cinquantina di real (circa19 euro) forse collegato al narcotraffico. Il rientro della salma e i funerali in Italia.

Nato a Galta di Vigonovo (Venezia) il 23 maggio 1957, don Ruvoletto è ordinato nel 1982 dal vescovo F. Franceschi, e ne è il segretario dal 1982 al 1988. Poi studia ecclesiologia a Roma; rientrato in diocesi nel 1994 si occupa di pastorale sociale e fa il delegato vescovile; dal 1995 al 2003 è direttore del centro missionario diocesano.

La sua partenza per il Brasile risale al 6 luglio 2003, come missionario fidei donum, cioè nominato direttamente dalla curia. I fidei donum padovani vi operano da oltre quarant’anni, in particolare nella periferia di Rio de Janeiro, (diocesi di Petropolis e Duque de Caxias). Nel 2008 a Manaus è stato avviato il progetto Igrejas irmãs (chiese sorelle) che coinvolge Padova, Pesqueira (nord est brasiliano) e Manaus. Don Ruvoletto è il primo fidei donum padovano nella nuova missione, dopo essere stato alla diocesi di Itaguaì a Mangaratiba e di Pesqueira.

Zona di confine tra foresta e città, quella di Manaus; infestata da una criminalità aggressiva, anche verso la chiesa: un vescovo è stato rapito dai banditi, cinque case di religiosi assaltate in poco tempo. Si organizzano manifestazioni per chiedere maggiore sicurezza e don Ruggero partecipa. Ma l’inserimento nell’ambiente brasiliano degradato è complesso. La questione della sicurezza è un problema al punto che la chiesa locale invoca le autorità perché rafforzino i controlli.

Non risultano fonti che analizzino i motivi degli assalti ai religiosi in Brasile. Fra le ipotesi possibili si va dall’opposizione religiosa alla rapina comune, magari dettata dalla convinzione che siano prede benestanti. L’esatto contrario di ciò che avviene in Europa, dove la veste religiosa è quasi intoccabile.

In un’intervista del 2006 prima dell’esperienza a Manaus, del suo Brasile don Ruvoletto dice essere «una zona di sopraffazione e fragilità dei diritti delle persone, dove la democrazia deve ancora maturare. Ho trovato grave il problema della terra, del lavoro, dei diritti; ho visto fatica nella partecipazione, padroni che comandano, fazenda di tipo patriarcale. I giovani devono emigrare per sopravvivere, la violenza è diffusa. Alcolismo, droga e prostituzione sono piaghe sociali. In tutto questo la chiesa cattolica ha avuto negli anni passati un forte coinvolgimento, che successivamente si è indebolito. In questa zona, come in tutto il Brasile, fioriscono nuove chiese e sette. In tale contesto emerge la fragilità della chiesa cattolica. Comunque oggi la missione è la stessa vita della chiesa, è accogliere lo straniero, è fare un cammino educativo, è favorire la promozione umana. Non è più una questione di chilometri, spazi, oceani, culture».

Poche righe, ma tanta carne al fuoco. Presupposti che rinfocolano dibattiti storici e politici. Interpretazioni dottrinali controverse. "Musibrasil" ha raccolto una testimonianza coinvolta, quella della diocesi di Padova. La stessa di don Ruvoletto. A don Valentino Sguotti, direttore del Centro missionario della diocesi, abbiamo chiesto una panoramica storica sui cambiamenti del missionariato. «Se il compito prioritario della missione rimane l’evangelizzazione – spiega il sacerdote – la dimensione globale in cui viviamo e le tecnologie di cui disponiamo hanno permesso di accorciare le distanze e favorire una comunicazione più fluida e tempestiva, via email e ancor più con l’ausilio di Skype, che permette di comunicare anche quotidianamente con i nostri missionari nel mondo. E così pure è molto più semplice spostarsi e sono aumentati i viaggi nei luoghi di missione. Tutto ciò ha permesso un avvicinamento e una vicinanza un tempo sconosciuti e anche una maggiore conoscenza dei luoghi e delle realtà. E anche i missionari si sentono più accompagnati».

Se è inutile negare che in passato i missionari cristiani sono stati parte del colonialismo e della distruzione di intere culture arcaiche, incuriosisce che il sinonimo di missione, la parola "reduções", compaia solo in testi brasiliani; il significato dal radicele ‘ridurre’ è immediato: riduzione di spazi, libertà, espressione culturale, linguistica, religiosa o rituale. Sarà un caso?

Ma se indipendentemente da posizioni laiche o religiose, dalla vita e dalla morte attribuiamo un significato all’assassinio di don Ruvoletto è necessario indagare tra file e libri di storia. La città di Manaus, infatti, sintetizza tante vicende coloniali ed evangelizzatrici che hanno segnato il Sudamerica. Il nome viene dalla tribù Manáos, (che significa mãe dos deuses, madre degli dei), l’etnia indios un tempo più numerosa della regione.

I manáos vivevano sulle rive del Rio Negro e si calcola che nel XVII secolo fossero circa 10mila. Prima dell’arrivo degli europei l’Amazzonia proliferava di indigeni di diverse etnie, lingue e culture, ma il ‘700 è segnato dal dominio portoghese. E tra i colonizzatori sbarcano i missionari. Secondo fonti storiche, solo nella regione del Rio Negro lo sterminio degli indigeni ha mietuto circa 2 milioni di vittime. Tre secoli dopo Manaus è una delle prime città brasiliane a ricevere l’elettricità, un sistema di drenaggio dell’acqua piovana e un sistema fognario. Oggi è la maggiore città dello stato amazzonico, porto importante e centro di snodo per il sistema fluviale, e naturalmente il punto da cui i turisti partono per visitare la foresta amazzonica.

Può affiorare il dubbio che la morte di Ruvoletto sia legata a opposizioni religiose. Ancora nel messaggio lanciato nella giornata missionaria mondiale 2009 il papa predica al «popolo di dio» l’evangelizzazione: «La missione della Chiesa, perciò, è quella di chiamare tutti i popoli alla salvezza operata da Dio. È necessario pertanto rinnovare l’impegno di annunciare il Vangelo, che è fermento di libertà e di progresso, di fraternità, di unità e di pace esortando ciascuno a ravvivare in sé la consapevolezza del mandato missionario di Cristo di fare "discepoli tutti i popoli"».

Non è tuttavia dato a sapersi se tutti i popoli desiderano diventare discepoli. Non è detto che essere evangelizzati sia un desiderio dilagante. Lentamente la storia ha portato alla messa in discussione di certi metodi missionari "perentori". Approfittiamo del nostro interlocutore veneto per chiedergli come è cambiata la percezione della società verso i missionari e il loro operato e come sono i rapporti con le componenti laiche della cooperazione internazionale. Don Sguotti informa diplomaticamente che «c’è sempre un alto grado di "rispetto" quando si parla di missionari, perché si sa di aver di fronte persone che dedicano la loro vita in maniera totale e che vivono a stretto contatto con la povertà. La collaborazione è ampia con diverse realtà a seconda delle situazioni e dei progetti» .

Ma per quanto riguarda la tragedia che ha colpito don Ruvoletto sappiamo che non si può considerarla un fatto isolato. Sia in Brasile che altrove ci sono "zone calde" per gli esponenti della chiesa cattolica. Vogliamo cercare di capire a che rischi vanno incontro, oggi, i missionari in Brasile, «Ci sono i rischi di stare all’interno di una società violenta – prosegue don Sguotti – dove c’è corruzione diffusa e dove stare dalla parte della gente e non del potere comporta alcuni pericoli: può significare mettersi contro qualcuno. Ma è anche vero che in molte di queste zone i missionari sono conosciuti e rispettati».

Esiste una fonte ufficiale che monitora annualmente il numero degli operatori pastorali uccisi nel mondo in modo violento: nel rapporto della Fides (agenzia per l’evangelizzazione dei popoli) si legge che nel 2008 sono stati uccisi 20 operatori pastorali. Uno solo in Brasile. Due in Messico, uno in Venezuela e uno in Colombia. Tutti trucidati in casa o in parrocchia. Spesso per rapina. La situazione sudamericana è meno violenta di quella asiatica. Ventuno gli operatori ecclesiastici uccisi nel 2007; 24 nel 2006. Un andamento quasi costante, tranne nel 1994, (anno in cui inizia il monitoraggio Fidei), quando i numeri sono da capogiro: 26 omicidi in vari paesi e 248 vittime in Rwanda.

Non per vocazione ecclesiastica, ma per desiderio di comprendere l’essere umano, ci si chiede se non abbiano paura, questi operatori che vanno in zone pericolose. Chi glielo fa fare? E come fanno ad aiutarli, da casa? Qual è il quadro della situazione missionaria in Brasile, quale preparazione si riceve prima di partire e che supporto dà la diocesi da lontano?

«Prima di partire i missionari partecipano sempre al corso del Centro unitario missionario – chiarisce don Sguotti -. Quanto ai fidei donum, durante la missione sono supportati da accompagnamento personale, corsi e dalla presenza periodica di rappresentanti della diocesi che vanno a tenere dei momenti di aggiornamento. C’è poi il contatto continuo con il direttore del Centro missionario diocesano, oltre al sostegno economico».

«Ogni volta che viene ucciso un innocente anche Dio piange». Così diceva don Ruvoletto. Chissà se sapeva che la durata media della vita a Manaus é superiore a 63 anni. Forse immaginava che la sua sarebbe stata più breve. L’ex direttore del centro missionario diocesano è morto a 52 anni e non c’è più, né a Manaus né a Padova, così chiediamo a don Sguotti se il suo omicidio cambia l’approccio della diocesi padovana nei confronti del Brasile.

«In questa triste occasione abbiamo sentito attorno a noi l’affetto di una chiesa, quella del Brasile, che ha saputo farsi vicina con intensità e rispetto, fedele a una lunga tradizione di condivisione dello sforzo missionario – precisa -. Da tutti i vescovi e i sacerdoti che abbiamo incontrato in questi giorni ci è giunto un messaggio chiaro: non lasciateci soli. Quanto è successo non cambia nulla, almeno nell’ispirazione di fondo di un servizio che nasce dalla nostra stessa vocazione sacerdotale e dà concretezza a quella sollecitudine verso tutti e verso tutte le chiese che non deve essere propria solo dei vescovi ma di ciascun prete. Certo una simile tragedia ci stimola come chiesa diocesana e ci chiede anche di lasciarci guidare dallo spirito nel nostro discernimento. L’America Latina chiede ancora una nostra presenza».

Quanto a chi prenderà il posto di Ruvoletto, Sguozzi afferma che «la sua opera non terminerà con la sua morte, anche se dobbiamo capire in quali forme la chiesa padovana potrà continuare a essere presente. Al momento siamo determinati a proseguire nel sostegno economico e progettuale le iniziative intraprese, mentre per quel che riguarda la presenza di personale apostolico dovremo fare una riflessione attenta, che guardi anche al progetto missionario diocesano nella sua complessità e sia pienamente condivisa dalla nostra chiesa padovana».

Nel marzo di quest’anno con alcuni amici
Una dichiarazione che tradisce poche titubanze insieme alla volontà di dare un messaggio finale ai lettori: «Vorrei usare le parole stesse di don Ruggero Ruvoletto, scritte in occasione dell’ultima quaresima – conclude don Sguotti -: "Il mio cuore è colmo di gioia, gratitudine, fiducia e trepidazione, perché l’orizzonte ricco e variopinto di questa terra mi rivela la bellezza di Dio, il suo amore per la creazione e l’umanità, ma anche perché, attraverso il grido dei piccoli e dei poveri, ci è chiesto di cambiare il nostro modo di essere missionari: ascoltare, rispettare, contemplare, custodire ogni vita, con dignità e facendo della comunità cristiana un luogo di comunione e speranza.

«Bisogna aprire le finestre lasciando passare aria e luce vitali, aprendo al nuovo, di cui non si deve aver paura. La diversità è dono e ricchezza, non minaccia. È ora di prendere posizione in favore della vita, in ogni sua manifestazione e fase. Con il dialogo interreligioso e l’ecumenismo, col farsi prossimi e compagni nelle grandi battaglie per i diritti fondamentali: casa, terra, lavoro, salute per tutti, scuola ed educazione, rispetto dell’ambiente naturale e spazi di spiritualità. I popoli dell’Amazzonia ci stanno insegnando una strada nuova, spronandoci a rivedere i nostri stili di vita, a stringere relazioni fraterne, a intraprendere cammini di evangelizzazione inculturata».

Fonte:

Home

http://s2ew.diocesipadova.chiesacattolica.it/pls/s2ewdiocesipadova/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=1683

http://musibrasil.net/articolo.php?id=2773

 
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EmiNews 2009

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