7549 Addio a Vassalli, giurista partigiano

20091024 08:26:00 redazione-IT

di Bruno Gravagnuolo

Antifascista assoluto. Giurista sottile, avvocato di grido, partigiano, uomo mite e coraggioso. Ma soprattutto «un socialista e da sempre, almeno da quando giovanissimo in pieno regime entrò in contatto con il gruppo romano di Iniziativa socialista, con Zagari e Matteotti». Così, Mauro Ferri, antico compagno d’arme e di «dottrina», non solo giuridica, descrive a caldo la figura di Giuliano Vassalli, più volte ministro e presidente dal 1999 al 2000 della Corte Costituzionale. Un’amicizia robusta quella di Ferri e Vassalli, entrambi giudici costituzionali, rinsaldata dalle battaglie parlamentari e politiche. Nonché dalla comune milizia prima nel Psi, poi nel Psu e poi di nuovo nel Psi dopo la scissione.

Ma chi era Vassalli, scomparso il 21 ottobre a Roma, e che incidenza ha avuto nella politica italiana? Nasce nel 1915 a Perugia, figlio di un illustre civilista, Filippo Vassalli. Precocissimo studioso di diritto è ben presto docente di diritto penale, e da cospiratore passa alla Resistenza romana, all’ombra delle due grandi figure socialiste di quel momento, Nenni e Saragat.

Da resistente compie una mirabolante impresa, durante l’occupazione nazista. Libera sette reclusi socialisti da Regina Coeli tra i quali Saragat e Pertini, grazie a falsi documenti per un finto trasferimento di detenuti. Era il gennaio 1944, e Vassalli fa già parte della giunta centrale del Cln. Poi nell’aprile viene catturato e sottoposto a torture in Via tasso dalle Ss, fino alla liberazione alla vigilia del 4 giugno, data dell’ingresso degli americani nella capitale, per intercessione di Pio XII.

Una vicenda splendida, di coraggio e di passione, commista anche a riflessioni sul modo migliore di condurre la lotta clandestina, delle quali v’è nota in un memoriale letto dallo stesso Vassalli l’anno passato alla Fondazione Nenni: Tra cuore e ragione. E in discussione, a distanza con Nenni a Milano, v’era il quesito: attentati agli occupanti, o singole azioni mirate contro gli aguzzini per evitare rappresaglie? Ma il dopoguerra incalza, e Vassalli collabora dall’esterno ai lavori della Costituente, partecipando da «saragattiano di sinistra» alla scissione di Palazzo Barberini del 1947. Esce poi dal Psdi su una questione capitale: la rottura dell’unità sindacale. E si immerge fino al 1959 nell’attività professionale, che da penalista lo vedrà protagonista per la difesa di processi celebri. Il caso Montesi e l’omicidio Bebawi.

Dopo il 1959 riprende l’attività politica, nel Psi che s’avvia al centrosinistra. Diventa consigliere comunale, deputato, senatore, e Ministro di Grazia e Giustizia con Goria, De Mita e Andreotti. Fu anche candidato nel 1992 alla Presidenza della repubblica, quando venne eletto Scalfaro, e fa parte di tutte le commissioni insediate per la riforma dei codici di procedura penale e civile. Da ultimo la Corte Costituzionale dove troverà come giudici, antichi allievi del calibro di Capotosti, «incapaci- dice sempre Ferri- di dare del tu al prestigioso maestro universitario di un tempo» (si accordarono sul tu, «con Capotosti che continuava a chiamarlo però Professore»…).

Garantista, critico del protagonismo di certi Pm, ma «inflessibile difensore dell’obbligatorietà dell’azione penale, come elemento di salvaguardia dell’autonomia dei giudici, che intendeva preservare da coazioni del potere esecutivo». Altro punto: i diritti umani. Come elemento di raccordo con la legislazione e le convezioni internazionali. E la Costituzione? Da difendere integralmente, salvo il bicameralismo ridondante e da riformare. Quanto al presidenzialismo a Vassalli non piaceva, malgrado fosse fortemente sponsorizzato da Craxi, nel quadro della cosiddetta «grande riforma». Infine, le idee politiche. Socialista da sempre, s’è detto. E in bilico tra Saragat e Nenni, spiega Ferri, «vicino con la mente al primo, ma col cuore al secondo». E socialista in che senso? Riformista, laico, convinto che le idee socialiste fossero il veicolo dell’emancipazione dei ceti subalterni, attraverso il diritto. E i diritti: civili, sociali, economici. E attraverso la redistribuzione, saggia e da coniugare con un’economia in crescita.

Resta un piccolo giallo. Perché tanta discrezione nel diffondere la notizia della morte a decesso avvenuto due giorni dopo? Ferri, che lo aveva visto il 12 ottobre – «vivacissimo e desideroso di altri incontri» – fa un’ipotesi. Era profondamente deluso di un’Italia, quella berlusconiana che non amava e che anzi detestava: «un’Italia in decadenza e regredita». Sentiva la scomparsa del suo mondo, della sinistra e del suo influsso etico, come una ferita. Ecco, in quel suo modo di andarsene non c’è stata solo eleganza e signorilità. Ma anche una specie di protesta.

http://www.unita.it/news/culture/90215/addio_a_vassalli_giurista_partigiano

 
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EmiNews 2009

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