19 04 06 NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL ESTERO ED ALTRE COMUNICAZIONI.

01 – Terremoto L’Aquila: dieci anni fa la tragedia, oggi la speranza. Dieci anni fa il terremoto dell’Aquila. Una scossa di magnitudo 6.3 che ha provocato la morte di 309 persone e oltre mille feriti. Erano le 3:32 della notte tra il 5 e il 6 aprile 2009 quando la terra a L’Aquila ha iniziato a tremare
02 – Terremoto dell’Aquila 10 anni dopo, la ricostruzione “tradita”, cronaca.
03 – Schirò e Ungaro (PD): velocizzare rimborsi fiscali ai pensionati INPS in svizzera.
04 – La Marca (PD): ho chiesto al ministro Salvini un incontro sulla questione dell’attestazione dell’italiano per coloro che richiedono la cittadinanza per matrimonio
05 – Schirò (PD): la diminuzione degli eletti all’estero lede i diritti dell’emigrazione e danneggia gli interessi del paese.
06 – La Marca (PD): nell’audizione del Cgie sulla riduzione del numero dei parlamentari ho ribadito la contrarietà dei gruppi parlamentari e degli eletti all’estero del PD
07 – Ottomila auto blu mettono in imbarazzo Di Maio facebook35 Twitter Consip pubblica due bandi per l’acquisto di oltre ottomila auto blu.
08 – Salvini è un pericolo per la nostra Costituzione. Guardare in faccia la realtà, comprenderla, reagire all’altezza delle sfide è una regola aurea, purtroppo ora largamente in disuso a sinistra.
09 – Alcuni numeri per raccontare attività e composizione delle istituzioni europee. Leggi il report “Infrazioni europee
10 – Incredibile. Commemorare oggi la dittatura brasiliana? Una giudice lo proibisce. 1964-2019. Sul proposito di Bolsonaro interviene la giustizia federale
11 – Disuguaglianze economiche e partiti populisti: legame da scindere. Scenari. Dal voto del 4 marzo: dove i «collegi» erano più poveri, è stato premiato il M5S; dove le classi medio-basse erano più presenti, ad essere premiata è stata la Lega.
12 – L’anno che verrà, sotto il parametro del debito pubblico. Nuova finanza pubblica. La fragilità economica di un Paese è certamente legata anche al livello del suo indebitamento, ma occorrerebbe fare riferimento al debito complessivo di tutti gli attori che operano nel sistema economico: oltre allo Stato, le famiglie, le imprese e le banche.

01 – TERREMOTO L’AQUILA: DIECI ANNI FA LA TRAGEDIA, OGGI LA SPERANZA. DIECI ANNI FA IL TERREMOTO DELL’AQUILA. UNA SCOSSA DI MAGNITUDO 6.3 CHE HA PROVOCATO LA MORTE DI 309 PERSONE E OLTRE MILLE FERITI. ERANO LE 3:32 DELLA NOTTE TRA IL 5 E IL 6 APRILE 2009 QUANDO LA TERRA A L’AQUILA HA INIZIATO A TREMARE. Sono passati dieci anni da quella tragedia che ha segnato non solo un’intera regione ma anche l’Italia visto che si è mobilitata immediatamente per aiutare tutti i paesi colpiti da questo sisma di magnitudo 6.3. Terremoto L’Aquila 6 aprile 2009 Doveva essere una notte come le altre quella del 6 aprile 2009. Ma alle 3:32 l’Abruzzo e L’Aquila si fermano e vengono messe in ginocchio dal terremoto. Una scossa di magnitudo 6.3 che solo qualche ora dopo è stata abbassata a 5.9 della scala Richter. La terra trema, i palazzi iniziano a crollare, le strade a spaccarsi. Un inferno che diverse persone dopo dieci anni ancora fanno fatica a raccontare. Terremoto L’Aquila 20009: L’Aquila è il simbolo di questo terremoto con l’orologio sul campanile che è stato fermo alle 3:32 del 6 aprile per diverso tempo e la casa degli studenti crollata che ha spezzato la vita di molti giovani universitari. Una tragedia che ha sconvolto l’intera Italia che si è alzata con la notizia del terremoto ma soprattutto con la conta delle vittime che saliva di ora in ora. Un evento che nessuno mai riuscirà a scordare con l’intero Abruzzo che ci ha messo diverso tempo per rialzarsi e ripartire. Fonte foto: https://www.facebook.com/pg/LAquila- Terremoto L’Aquila 2009, le vittime La scossa, i palazzi che crollano e le urla di diverse persone. Queste sono le prime immagini dei sopravvissuti. Ma il bilancio di quel terremoto parla di 309 morti oltre 1000 feriti ma soprattutto gli sfollati hanno raggiunto quota 80 mila. Vittime italiane ma anche palestinesi, greci, francesi, argentini, macedoni, cechi, argentini e peruviani. Un sisma che non ha risparmiato nessuno: giovani, anziani e adulti. Tra le tante storie anche quella di Giovanna Berardini, una donna che il giorno dopo avrebbe dovuto mettere al mondo la piccola Giorgia ma la sua casa è crollata e con lei sono deceduti il marito e l’altro figlio. Ma ci sono state anche tante persone salvate dagli eroi della protezione civile e dei vigili del fuoco. Tra queste Marta Valente ed Eleonora Caselini che sono state estratte rispettivamente dopo 23 e 42 ore. Ma anche la signora Maria D’Antuono che all’epoca aveva 98 anni. Un salvataggio avvenuto dopo 30 ore con la donna che ha dichiarato di aver trascorso il tempo lavorando all’uncinetto. L’Aquila oggi Una storia che nessuno mai si scorderà. L’Aquila e l’Abruzzo messi in ginocchio il 6 aprile 2009 da un terremoto che ha fatto paura a tutta l’Italia. Oggi L’Aquila presenta ancora i segni evidenti della tragedia ma anche il coraggio di una città che vuole risorgere più forte di prima
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02 – TERREMOTO DELL’AQUILA 10 ANNI DOPO, LA RICOSTRUZIONE “TRADITA”, CRONACA. DIECI ANNI DOPO, UNA PORTA SI APRE ANCORA SU UN SOGGIORNO, COPERTO DI MACERIE. E UN MOBILETTO DA BAGNO RESISTE SU UN BRANDELLO DI MURO. Dieci anni dopo, superate altre transenne, si torna indietro alla notte del 6 aprile 2009. A quella devastante scossa, che alle 3.32 schiacciò 309 vite, lasciò 80mila persone senza casa e rase al suo interi borghi dell’Abruzzo. Dieci anni dopo, il ritorno a L’Aquila è un viaggio in un’emergenza ancora aperta e in una ricostruzione a velocità diverse. Da un lato quella privata, dall’ altro quella pubblica; da un lato il centro storico, dall’altro vicoli e frazioni. Così palazzi restaurati, splendidi nei loro ritrovati decori barocchi, convivono con edifici, ancora ingabbiati in corazze di tubi, o con case, ancora pregne delle loro macerie. E 6.300 persone ancora vivono nelle casette d’emergenza e il centro fatica a ritrovare la sua anima. Dieci anni dopo.
LA RICOSTRUZIONE
«Noi camminiamo con la torcia in borsa e gli stivali da cantiere». Dopo un’estenuante lotta con la burocrazia insieme al suo consorzio di residenti, Roberta Gargano è tornata nella sua casa dagli stucchi azzurri. Di fronte a quel Palazzo del Governo, che con la sua scritta spezzata divenne il simbolo della ferita. Ora è anche il più avanzato cantiere di una ricostruzione pubblica, che arranca più della privata (per la prima, sono stati erogati 2 miliardi; per la seconda, 5 miliardi e mezzo: 8.264 i cantieri conclusi su 24.947 pratiche).
FONDI TERREMOTO, UN MILIARDO L’ANNO PER LA RICOSTRUZIONE
Accanto c’è un agglomerato ancora fermo nei suoi ponteggi ad un decennio qua. E questa diventa l’immagine a più facce di L’Aquila oggi. Ma quando a sera, si interrompe il rumore di gru e scavatrici, il silenzio avvolge tutto. È la voce dell’assenza. Anche se i numeri dell’anagrafe non lo registrano del tutto, perché molti hanno conservato la residenza, per non perdere finanziamenti, in tanti non sono mai più tornati dalla costa. Così una successione di “vendesi” e “affittasi” pende dalle facciate rimesse a nuovo, con soldi pubblici. Nella voragine di quella che fu la Casa dello Studente, dove morirono 9 studenti, presto sorgerà un memoriale, progettato da studenti dell’ateneo cittadino
ONNA E LE FRAZIONI
Ad Onna, le macerie di 10 anni fa sono ancora quasi tutte qui. In questo borgo, raso al suolo dal terremoto, la ricostruzione è per ora solo una via. E il futuro non sta tanto nei bracci delle poche gru in azione, quanto nei banchi dell’asilo, che tutti sono mobilitati a difendere dal rischio chiusura. Perché «altrimenti- sospira Antonella Foresta – ci resta solo il dolore». Il dolore delle case diroccate, delle macerie ancora ferme e del piccolo cippo funerario lasciato nel vuoto di un’abitazione demolita, a ricordare a tutti i 40 morti, su 350 abitanti. Seduta davanti alla sua casetta provvisoria, un’anziana fissa quel che resta della vecchia frazione e denuncia: «È il colmo che non siano stati ancora approvati neanche i progetti». È stata invece ricostruita, col supporto della Germania, la chiesetta del paese. Ma anche in altre frazioni de L’Aquila, da Paganica, a San Gregorio, a Bazzano, non sembrano passati due lustri: la ricostruzione procede con lentezza, così Lucia e Cristina vivono ancora in quelle che qui chiamano «le casette di Berlusconi», le residenze d’emergenza. «Ma da quando è andata via la protezione civile – denuncia la giovane parrucchiera- siamo abbandonati. Ci sono infiltrazioni, immondizia, topi, ma a nessuno importa». Ognuno ormai, dopo il terremoto, sembra vivere chiuso nel suo piccolo circuito. E intorno a L’Aquila si è creata come una galassia di piccoli nuclei sparsi. Che al massimo si ricompongono in qualche centro commerciale, mentre nel centro si raccolgono firme contro l’apertura di una nuova area periferica di vendite.
LE ATTIVITÀ ECONOMICHE
«Il centro storico è deserto, resistere qui è dura», concordano due pensionati a spasso sull’asse centrale del centro storico. Le vie con i palazzi più belli, restaurate, aristocratiche, ma vuote. Come quei negozi, che sono tornati all’interno della mura civiche. Dove i clienti sono la merce più rara, tranne che per i locali della movida che nel weekend si riempiono di studenti, una voce importante della vita e dell’economia cittadina. Le altre botteghe invece fanno fatica e per questo molte sono restie a rientrare nella sede originale. Per ora l’hanno fatto 87 su mille, per ora, calcola Confcommercio. «Il tessuto commerciale ormai è strappato e molte botteghe sono restie a tornare nelle loro sedi storiche, perché – spiega il direttore di Confcommercio Abruzzo, Celso Cioni – nel frattempo si sono ricreate un circuito e poi in centro sono venuti a mancare quegli attrattori, che portavano migliaia di persone ogni giorno intorno al mercato». Ossia scuole, uffici, poste, tuttora sparsi su un territorio «più ampio del racconto anulare, oltre 32 km», calcola Cioni.
ALLA SCOPERTA DELL’ABRUZZO, LA TERRA DEI castelli
E sulle imprese incombono anche le preoccupazioni della vertenza, ancora aperta con l’Europa, che ha considerato aiuti di Stato la quota di tasse non pagate nel 2009, in base alla norma che tutti qui chiamano legge Letta. Questione ancora aperta, che se si dovesse concludere nel modo più negativo per le imprese aquilane, «significherebbe la perdita di almeno un migliaio di posti di lavoro, nelle aziende più piccole», stima Ezio Rainaldi, delegato Confindustria per la ricostruzione. E gli enti locali sono ora impegnati ad evitare che questo non accasa. Per reclamare più attenzione, il sindaco a marzo ha riconsegnato la fascia, per poi ritirare le dimissioni davanti alla garanzia di 10 mln, per il bilancio di previsione. «Ma servono norme speciali, per questioni ordinarie», sintetizza il primo cittadino Pier Luigi Biondi, secondo cui è stato «un errore la fine dello stato d’emergenza». E con le vie ordinarie e con lo scarso personale per una mole di pratiche, la ricostruzione pubblica ne risente.
I BENI CULTURALI
La ricostruzione de L’Aquila è anche quella del suo grande patrimonio culturale: 2mila immobili di interesse, per cui fin da subito è stato chiaro che «ricostruire il patrimonio culturale volesse dire ricostruire L’Aquila», sintetizza la sovrintendente alle Belle Arti, Alessandra Vittorini.
E dieci anni dopo, è innanzitutto la visita del centro storico, con le facciate cinquecentesche, i decori e gli stemmi barocchi, di nuovo splendidi, e poi la riapertura di alcune basiliche simbolo – da San Bernardino, a Collemaggio – dove sono stati ricostruiti 6 dei 14 pilastri con tecniche da scavo archeologico – alle Anime Sante – a confermare quello che i numeri dicono: 25 i monumenti restaurati in città, 320 gli agglomerati approvati, per un totale di 1.300 mln di euro. Ed entro fine anno è attesa la riapertura anche di S.Maria del Soccorso, S.Silvestro, S.Pietro Coppito, S.Filippo e Palazzo Ardinghelli. Un lavoro titanico, portato avanti con un numero a volte risibile di esperti. Tra tanta distruzione, il terremoto ha anche portato dei piccoli preziosi doni: la riscoperta di affreschi, di dorature originarie, di volte che nei secoli erano state coperte. Sorprese, tra le macerie. ( da Il Sole24ore di Raffaella Calandra

 

03 — SCHIRÒ E UNGARO (PD): VELOCIZZARE RIMBORSI FISCALI AI PENSIONATI INPS IN SVIZZERA. Viste l’inerzia delle autorità fiscali e previdenziali italiane e l’indisponibilità di quelle svizzere abbiamo presentato una interrogazione in Commissione Affari sociali della Camera ai ministri del Lavoro e dell’Economia per chiedere una soluzione al grave problema della complessità delle procedure che i nostri pensionati Inps residenti in Svizzera devono affrontare per ottenere il rimborso da parte dell’Agenzia delle Entrate delle ritenute fiscali trattenute dall’Inps sulle loro pensioni.
Nonostante l’esistenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni fiscali tra Italia e Svizzera i nostri pensionati residenti in Svizzera vengono tassati due volte: una volta in Svizzera così come stabilisce la Convenzione e un’altra volta in Italia dall’Inps che come sostituto di imposta effettua le ritenute alla fonte fino a quando i pensionati interessati non inviano all’Istituto previdenziale italiano un formulario di domanda di esenzione dell’imposta italiana.

Questa operazione troppo spesso impiega tempi lunghi (anche anni) e così l’Inps nel frattempo trattiene ai fini fiscali somme che invece andrebbero erogate al lordo di imposte considerato che i pensionati in virtù della Convenzione dovrebbero pagare le tasse solo in Svizzera.

Per ottenere il rimborso di queste somme “arretrate” – impropriamente trattenute dall’Inps e riferite ad anni precedenti – è previsto che i pensionati interessati redigano una apposita domanda, contenente l’attestazione di residenza fiscale in Svizzera, da indirizzare al Centro Operativo dell’Agenzia delle Entrate di Pescara. Purtroppo le autorità fiscali svizzere, adducendo il fatto che il formulario di domanda per il rimborso delle somme trattenute dall’Inps non è contemplato nella Convenzione contro le doppie imposizioni fiscali, si rifiutano di produrre e attestare alcun tipo di documentazione (modelli, formulari, etc.) che i pensionati interessati possano inviare all’Agenzia delle Entrate di Pescara per ottenere i rimborsi per la tassazione concorrente effettuata dall’Istituto previdenziale italiano.

I nostri pensionati dell’Inps residenti in Svizzera, quindi, rischiano ora di pagare le tasse sulle loro pensioni due volte, in Italia e in Svizzera, nonostante l’esistenza della Convenzione contro le doppie imposizioni fiscali e per una deficienza burocratica degli enti preposti all’attuazione della convenzione.

Con la nostra interrogazione oltre ad esporre il problema abbiamo sollecitato i ministeri competenti a trovare una sua urgente ed adeguata soluzione e a mettere i nostri pensionati in Svizzera nelle condizioni di richiedere e ottenere il rimborso delle tasse trattenute dall’Inps.
On. Angela Schirò – Camera dei Deputati – Piazza Campo Marzio, 42 – 00186 ROMA – Tel. 06 6760 3193

 

04 – LA MARCA (PD): HO CHIESTO AL MINISTRO SALVINI UN INCONTRO SULLA QUESTIONE DELL’ATTESTAZIONE DELL’ITALIANO PER COLORO CHE RICHIEDONO LA CITTADINANZA PER MATRIMONIO. “Sulla questione delle modifiche introdotte dalla legge di ratifica del Decreto Sicurezza alla normativa prevista per coloro che richiedono la cittadinanza per matrimonio, ho chiesto al Ministro Matteo Salvini un incontro per discutere i problemi interpretativi e amministrativi che ne sono derivati per gli italiani all’estero. ROMA, 4 APRILE 2019

Non diminuiscono di numero e di intensità, infatti, le sollecitazioni e le proteste provenienti da ogni parte del mondo da parte di quanti, in procinto di condividere con il coniuge e spesso con i figli un elemento forte quale la cittadinanza, si sono vista vanificare una documentazione complessa e dispendiosa o si sono trovati di fronte ad un percorso non previsto e di difficile compimento per il fatto che, senza alcun preavviso, sia stato introdotto l’obbligo di attestazione del possesso della lingua italiana al difficile livello B1 del Quadro europeo delle lingue.

Al Ministro Salvini, assieme alla collega Angela Schirò, ho già rivolto una lettera aperta, chiedendo di sospendere il provvedimento, e poi indirizzato un’interrogazione urgente in commissione Affari costituzionali, che ha ricevuto purtroppo una risposta non soddisfacente.

Poiché i giusti interessi degli italiani all’estero vengono prima di ogni altra cosa, non intendo fermarmi nel rivendicare, a nome di tante persone che vogliono legarsi legittimamente al nostro Paese, un trattamento equo e in linea con quello riservato agli altri che chiedono la cittadinanza italiana.
Voglio sperare che il Ministro Salvini si renda conto delle positive opportunità che tante coppie miste presenti nelle diverse aree del mondo offrono all’Italia sul piano della sua proiezione internazionale e provveda di conseguenza”. On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America

 

05 -SCHIRÒ (PD): LA DIMINUZIONE DEGLI ELETTI ALL’ESTERO LEDE I DIRITTI DELL’EMIGRAZIONE E DANNEGGIA GLI INTERESSI DEL PAESE. Due ragioni mi hanno indotta a intervenire all’audizione della delegazione del CGIE, guidata dal Segretario generale Michele Schiavone, che si è svolta il 3 aprile nella commissione Affari costituzionali della Camera sulla proposta di legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari, compresi quelli eletti all’estero.
La prima è di completa solidarietà con l’organismo di rappresentanza degli italiani all’estero e di condivisione delle ragioni giuridiche, istituzionali ed etiche che hanno indotto il CGIE a dichiarare una netta contrarietà, a nome del mondo che rappresenta, che è anche il mio mondo, all’ipotesi di riduzione da 18 a 12 dei parlamentari eletti nella circoscrizione Estero.
La seconda è legata alla consapevolezza della lesione che si compie ai danni della realtà, vecchia e nuova, dell’emigrazione e al danno che si arreca agli interessi reali del nostro Paese, soprattutto in un momento di difficoltà come questo.

In sostanza, in qualità di italiana di seconda generazione nata in Germania, ho chiesto nel mio intervento di riflettere sul fatto che a tanti come me una decisione come questa viene vissuta come una diminuzione di cittadinanza, una specie di etichettatura di cittadino di serie B, che costituisce una vera e propria lesione dei principi della nostra Costituzione.

La riduzione della rappresentanza ad una dimensione puramente simbolica, inoltre, priva le nostre comunità e i protagonisti delle nuove emigrazioni di un essenziale strumento di partecipazione e dialogo. Chi rappresenterà al Governo e al Parlamento i problemi aperti e le istanze che provengono dai quattro angoli del mondo? Si fa un bel parlare di cervelli in fuga, ma nelle nostre comunità vi sono problemi seri da affrontare. Come sarà possibile farlo se non c’è nessuno che potrà porli nelle sedi opportune e agli interlocutori giusti?

La sordità di governo e maggioranza rispetto a queste domande legittima brutti pensieri, sospinti anche da una serie di provvedimenti punitivi nei confronti degli italiani all’estero che si sono succeduti in questa legislatura. Speriamo che non si tratti di un primo passo verso l’abolizione della circoscrizione estero, faticosamente conquistata grazie all’impegno della nostra emigrazione.
Un segnale come questo, poi, non farà altro che deprimere e deludere i protagonisti più attivi della molteplice presenza italiana nel mondo e questo proprio mentre il Paese si sta reimmergendo in una fase difficile. Per uscirne, come è già accaduto tante volte, anche di recente, sarà necessario contare su tutte le energie disponibili, soprattutto su quelle che all’estero potranno fare da ponte e da recettori degli interessi nazionali. Si fa ancora in tempo, dunque, a correggere un segnale sbagliato e dannoso”. On. Angela Schirò Camera dei Deputati

 

06 – LA MARCA (PD): NELL’AUDIZIONE DEL CGIE SULLA RIDUZIONE DEL NUMERO DEI PARLAMENTARI HO RIBADITO LA CONTRARIETÀ DEI GRUPPI PARLAMENTARI E DEGLI ELETTI ALL’ESTERO DEL PD. “Si è svolta oggi, mercoledì 3 aprile, presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera, l’audizione dei rappresentanti del CGIE, guidati dal Segretario generale Michele Schiavone, sulla proposta di legge costituzionale riguardante la riduzione del numero dei parlamentari, che prevede anche la contrazione degli eletti nella circoscrizione Estero, che scenderebbero da 18 a 12.
A conclusione dell’esposizione del Segretario Schiavone, ho avuto modo di esprimere, anche a nome degli altri eletti all’estero del Partito Democratico, la piena condivisione delle argomentazioni contrarie al provvedimento, che non soltanto non corregge lo squilibrio nel rapporto di rappresentanza che esiste fin dalla istituzione della circoscrizione Estero, ma addirittura l’aggrava pesantemente. Si verrebbe, in questo modo a creare una differenziazione tra cittadini della Repubblica italiana sulla base della residenza, una distinzione che non trova alcun possibile riferimento nelle Costituzione.
Ho anche ricordato che i gruppi parlamentari del Partito Democratico, gli unici ad averlo fatto, si sono dissociati formalmente da tale ipotesi, presentando al Senato emendamenti che ne prevedevano lo stralcio, e altrettanto si prefiggono di fare alla Camera. Essi, inoltre, hanno aderito e sostenuto una petizione online, che ha raccolto migliaia di firme in tutto il mondo e che mi auguro possa continuare a raccogliere la contrarietà e la protesta che tra le diverse componenti degli italiani all’estero si vanno manifestando”.
On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D.
Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America

 

07- OTTOMILA AUTO BLU METTONO IN IMBARAZZO DI MAIO FACEBOOK35 TWITTER CONSIP PUBBLICA DUE BANDI PER L’ACQUISTO DI OLTRE OTTOMILA AUTO BLU. LUIGI DI MAIO: NON NE ERO A CONOSCENZA, INDAGHEREMO. MA MONTA LA PROTESTA. Scoppia il caso auto blu nel mondo della politica dopo che il Messaggero ha scoperto e dato notizia dell’acquisto di circa ottomila automobili destinate ai politici e ai funzionari dello Stato. Un acquisto che evidentemente stride con la promessa del Movimento Cinque Stelle di tagliare i costi della politica. Fonte foto: https://www.facebook.com/pg/LuigiDiMaio Consip, due bandi per l’acquisto di oltre ottomila auto blu In realtà l’acquisto non sarebbe ancora stato effettuato, ma il governo avrebbe lanciato il bando per la fornitura di 8.250 auto blu. Il bando, anzi, i bandi visto che sono due, sono stati lanciati dal Consip e sono stati indetti alla fine del 2018. Uno prevede l’acquisto di 7.900 auto con cilindrata inferiore ai 1.600 cavalli, mentre il secondo prevede la formitura di 380 macchine con cilindrata superiore a 1.600. Di Maio al lavoro per un decreto per il taglio delle macchine ministeriali Immediata la reazione di Luigi Di Maio, volto e leader del Movimento Cinque Stelle, che ha fatto sapere di essere intenzionato a indagare sulla vicenda e di voler chiedere al premier Giuseppe Conte un decreto per tagliare l’acquisto delle tanto contestate automobili mantenute con i fondi pubblici e, come insegna la storia recente, non sempre usate per scopi lavorativi. Anzi. Fonte foto: https://www.facebook.com/DeVitoM5SLazio Pd e Fi all’attacco La notizia è stata accolta dalle critiche feroci delle opposizioni politiche. Duro il Partito democratico, che ha voluto sottolineare come durante la gestione dem il numero delle auto blu sia drasticamente calato rispetto agli anni precedenti (anche se hanno lasciato in eredità il Renzi Force One ormai abbandonato su una pista). Critiche anche da Forza Italia dove si chiedono come sia possibile che Di Maio non sia a conoscenza di una spesa milionaria. La versione della Consip A fare luce sulla vicenda ci ha pensato, o almeno provato, la Consip, che con una nota pubblicata sul proprio sito ha fatto sapere che l’acquisto e il noleggio delle auto è gestito dalle singole amministrazioni. La Consip di fatto, tramite i bandi, farebbe sapere ai diversi uffici quelle che sono le concessionarie convenzionate.
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08 – SALVINI È UN PERICOLO PER LA NOSTRA COSTITUZIONE. GUARDARE IN FACCIA LA REALTÀ, COMPRENDERLA, REAGIRE ALL’ALTEZZA DELLE SFIDE È UNA REGOLA AUREA, PURTROPPO ORA LARGAMENTE IN DISUSO A SINISTRA. Dalla Basilicata, come dalle altre regioni in cui si è votato prima, emerge un dato evidente, si tratta della crescita della Lega. In alcuni casi neppure si era presentata, eppure ha raggiunto risultati importanti, molto più alti di quelli delle politiche del 4 marzo. La Lega è un pericolo evidente per le strizzate d’occhio al fascismo, per atteggiamenti di prepotenza evidenti, per i flirt spregiudicati con posizioni apertamente reazionarie sui diritti civili, sulla famiglia, sulla concezione del rapporto tra persona e società. La lega ha orientamenti di vera e propria restaurazione ideologica, religiosa fino a dialogare con i settori della chiesa che non sopportano il magistero di papa Franesco, fa appello alle paure profonde e in una certa misura le suscita sollecitando reazioni da far west, che in questo caso non sono film ma vita reale, oggi. Eppure i toni gridati e i contenuti reazionari non impediscono alla Lega di conquistare voti. Inseguire o essere l’alternativa ? Essere l’alternativa. E’ vero che la destra politica e sociale ha sempre avuto in Italia una forza importante, ma ora si è spostata più a destra, si sente sulla cresta dell’onda e riconosce largamente nella Lega di Salvini il suo riferimento, con buona pace di Fratelli d’Italia e Berlusconi.
Neppure la sottrazione di 49 milioni pubblici è bastata a bloccarne i consensi. Questo reato è stato riconosciuto visto che la Lega si è impegnata a restituire in quasi 80 anni i soldi sottratti, ma non ha creato particolari imbarazzi.

SI STANNO LENTAMENTE CONSOLIDANDO I TENTATIVI DI COSTRUZIONE DI UN REGIME REAZIONARIO DI MASSA.
Il M5 Stelle, purtroppo, non è un argine a questa deriva, non ne comprende la pericolosità e anzi finisce con il portare acqua al consolidamento della Lega come dimostra l’approvazione della nuova legge sulla (il)legittima difesa e la copertura politica offerta sui migranti, fino al voto contrario alla richiesta del tribunale dei Ministri di Catania di processare Salvini perchè aveva agito non come attuatore delle leggi, ma eccedendo nell’uso dei suoi poteri bloccando lo sbarco da una nave militare che è territorio italiano a tutti gli effetti, fino a lambire lo spregio di diritti garantiti dalla Costituzione.
L’avvocato-Ministro Buongiorno ha capito bene il rischio che correva Salvini se il processo fosse andato avanti e gli ha consigliato un’inversione di rotta decisa, dal “processatemi” non ho paura, al “dovete respingere” la richiesta stessa del processo, costringendo il M5Stelle ad una ridicola giravolta di 180°, ancora una volta hanno subito il diktat. E’ questo che fa perdere voti e che conferma che il Movimento 5 Stelle non è un argine, ma è purtroppo una copertura di atteggiamenti reazionari, pur di fare stare in piedi il governo.

La sinistra, intesa nel suo insieme, senza andare troppo per il sottile, sembra non rendersi conto della gravità e dell’urgenza della situazione. Oppure se ne rende conto ma non ritiene possibile opporsi perchè condizionata da troppi lacci del passato. Certo per opporsi a questa deriva reazionaria il Pd – ad esempio – dovrebbe fare alcune svolte decise, come, ad esempio, prendere le distanze dalle scelte di Minniti sui migranti e in particolare sull’appalto ai libici del lavoro sporco. Oppure sulla Costituzione della Repubblica.

Si è già detto della delusione per le parole di Zingaretti che hanno attribuito alla vittoria del No parte delle ragioni della situazione attuale. E’ un grave errore insistere sulle posizioni del Si, sconfitte senza appello nel referendum costituzionale il 4 dicembre 2016 e neppure la spiegazione tutta interna ai rapporti di forza del Pd è convincente. La conseguenza più seria di questa posizione è che non consente di individuare la gravità dei rischi che corre oggi la Costituzione e rende difficile costruire una reazione perchè non prendendo le distanze dalle scelte del periodo renziano la credibilità delle posizioni sulla Costituzione è meno forte, come è ovvio.

Eppure è del tutto evidente che la Lega punta apertamente non solo a prendere voti ma sogna un regime politico e istituzionale a sua immagine e somiglianza. La controprova sta nella legge elettorale che l’esperienza di Calderoli ha fatto approvare al Senato strettamente agganciata al taglio dei parlamentari con un tempismo sospetto.

La legge elettorale perpetua i principi del rosatellum attuale, semplicemente riducendo il numero degli eletti, con effetti grotteschi: in Calabria verrebbero eletti 2 senatori con collegi di quasi un milione di abitanti. Alla Lega interessa avere gruppi parlamentari fedeli al capo Salvini, il resto molto meno.

Questa ed altre scelte puntano a creare le condizioni per calare l’asso fondamentale: l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, che sarebbe del tutto compatibile, per non dire coerente con l’autonomia differenziata di Lombardia e Veneto che sognano di diventare simili alle regioni a statuto speciale. Un sistema di governatori e Presidente eletto direttamente possono dare una risposta alle ambizioni della Lega.

La sinistra e il Pd in particolare farebbero bene a prendere seriamente in considerazione la sfida che si profila. E’ vero: tra i presidenti delle regioni ci sono anche alcuni del Pd, cosa facciano in questa compagnia è un mistero, o almeno ragione di confusione. E’ vero altresì che il primo firmatario di una proposta di legge per il presidenzialismo è Ceccanti del Pd, sarebbe bene prendere le distanze come è accaduto con la proposta di Zanda.

Resta il fatto fondamentale che occorre chiarire al paese la natura di fondo della sfida che è anzitutto difendere le radici antifasciste della Costituzione ma ancora di più evitare la deriva politico istituzionale di un presidenzialismo, che vorrebbe dire avere un parlamento di mero supporto al potere del governo e del suo capo e un accentramento del potere che finirebbe con erodere l’autonomia della magistratura, metterebbe il bavaglio alla stampa che dovrebbe solo esaltare il regime.
Del resto gli amici polacchi e ungheresi di Salvini si sono già mossi in questa direzione, quindi perfino gli esempi sono pronti. Il M5Stelle vuole coprire anche questa deriva costituzionale ?

COSA SI ASPETTA ANCORA PER REAGIRE DA OGNI SETTORE CHE HA SENSIBILITÀ COSTITUZIONALE ? di Alfiero Grandi

 

09 – ALCUNI NUMERI PER RACCONTARE ATTIVITÀ E COMPOSIZIONE DELLE ISTITUZIONI EUROPEE. LEGGI IL REPORT “INFRAZIONI EUROPEE.
– 119 PROCEDURE D’INFRAZIONE VENGONO APERTE IN MEDIA ALL’ANNO . Quando si parla d’Europa non si può ignorare il tema delle procedure d’infrazione. Parliamo del meccanismo messo in piedi dalla commissione europea per intervenire in situazioni in cui gli stati membri non rispettano il diritto Ue. Ogni anno in media ne vengono aperte più di 100.
– 73 LE PROCEDURE APERTE NEI CONFRONTI DELL’ITALIA. A fine febbraio erano pendenti 73 procedure a carico del nostro paese, dato più alto da 2 anni a questa parte. Al suo insediamento il governo Conte ne ha ereditate 59, dato basso per gli standard italiani, ma con i mesi i numeri sono costantemente saliti.
– 10% DELLE INFRAZIONI SONO APERTE DA PIÙ DI 10 ANNI. Alcune delle infrazioni attualmente in essere hanno accompagnato la vita politica del nostro paese per anni. Per 1/3 dei casi l’avvio risale a più di 5 anni fa, elemento non da poco se si considera persino che alcune infrazioni (poco meno del 10%) sono state avviate addirittura più di 10 anni fa.
– €547mln VERSATI DALL’ITALIA DAL 2012 A CAUSA DI INFRAZIONI . Come certificato dalla Corte dei conti sono 5 le infrazioni che ad oggi hanno costretto il nostro paese a pagare sanzioni pecuniarie. Tre riguardano l’ambiente e 2 aiuti di stato a imprese. In particolare quella sulle discariche abusive è costata all’Italia oltre 200 milioni di euro.
– €148mln, SONO STATI VERSATI NEL 2018, ANNO RECORD. La cattiva gestione delle procedure d’infrazione sta avendo un costo sempre crescente sulle casse dello stato. Proprio l’anno appena concluso è stato quello più negativo da questo punto di vista. L’Italia ha dovuto versare 148 milioni di euro, 31 in più rispetto all’anno precedente.

 

10 – INCREDIBILE. COMMEMORARE OGGI LA DITTATURA BRASILIANA? UNA GIUDICE LO PROIBISCE. 1964-2019. SUL PROPOSITO DI BOLSONARO INTERVIENE LA GIUSTIZIA FEDERALE. Cerimonia di fine corso e commemorazione del golpe militare del 1964, ieri, in una caserma di San Paolo In Brasile ricorre oggi il 55mo anniversario dell’avvento dei militari al potere, con il rovesciamento del presidente João Goulart e l’inizio della dittatura che durerà per i successivi 21 anni (1964-1985). Il presidente Jair Bolsonaro, noto fan incondizionato di quel regime, sognava celebrazioni in pompa magna e aveva dato indicazioni al ministero della Difesa in tal senso.
Ma l’idea ovviamente ha sollevato un’ondata di indignazione delle forze democratiche brasiliane. E venerdì è arrivata anche la bocciatura da parte della giustizia e in particolare della Defensoria Pública da União (Dpu), che ha tra i suoi compiti quello di orientamento giuridico: la giudice federale Ivani Silva da Luz ha proibito commemorazioni ufficiali della ricorrenza chiedendo di astenersi dall’ordine del giorno emenato dal ministero della Difesa e dai comandanti delle Forze armate – su impulso del presidente Bolsonaro – che fa riferimento alla data del 31 marzo 1964. Nelle nove pagine in cui illustra la sua decisione la magistrata reitera tra l’altro la raccomandazione di «serenità ed equilibrio da parte delle istituzioni».
Bolsonaro è previsto che oggi partecipi alla cerimonia dell’alza bandiera nel Palácio da Alvorada. Sulla decisione della giudice Silva da Luz si è limitato a pecisare che la sua intenzione non era quella di «commemorare» ma di «ricordare»

 

11 – DISUGUAGLIANZE ECONOMICHE E PARTITI POPULISTI: LEGAME DA SCINDERE. SCENARI. DAL VOTO DEL 4 MARZO: DOVE I «COLLEGI» ERANO PIÙ POVERI, È STATO PREMIATO IL M5S; DOVE LE CLASSI MEDIO-BASSE ERANO PIÙ PRESENTI, AD ESSERE PREMIATA È STATA LA LEGA. È un populismo che è sbocciato dove la sinistra progressista, più della destra conservatrice, avrebbe dovuto prendere il testimone di «difendere il 99%»,
L’Italia non è ancora uscita dalla crisi iniziata nel 2008 e la lunga stagnazione ha finito col coincidere con l’aumento del consenso dei populisti.
Il successo dei partiti populisti, in Italia come in Europa, è stato interpretato come reazione dei «perdenti della modernizzazione», non solo quelli per i quali essa ha portato salari fermi, mobilità sociale verso il basso, precarizzazione del lavoro e tutti gli svantaggi della rivoluzione tecnologica, ma anche i «perdenti culturali», disorientati dai cambiamenti nei valori portati da nuove ondate migratorie potenzialmente minacciose.
A ciò si è aggiunta l’Unione Europea, con le sue politiche di bilancio e di tagli della spesa sociale che ha consentito ai sovranisti di ergere il vessillo della perdita della sovranità nazionale verso l’Ue a difesa dei ceti indifesi.
SE ESAMINIAMO da vicino l’ascesa dei partiti populisti, possiamo concludere che è l’aumento della disuguaglianza – misurata dalla distribuzione del reddito – ad esserne stata la grande incubatrice.
I risultati delle elezioni del 4 marzo 2018 per collegio elettorale sembrano rispecchiare molto da vicino i dati sulla distribuzione del reddito. La Lega, ad esempio, appare raccogliere preferenze elettorali diverse nelle varie aree italiane: nelle regioni settentrionali ottiene il voto delle classi a basso e medio reddito; nel Centro e nel Sud, essa raccoglie le preferenze dalle classi a basso reddito in un voto anti-establishment. Tuttavia, in quelle stesse regioni, la Lega è in concorrenza con il partito M5S, che generalmente ottiene le preferenze delle classi di reddito medio e medio-basso.

IL VOTO PER LA LEGA nelle regioni settentrionali è più un voto anti-immigrazione (e antieuropeo), mentre nel Meridione sembra essere un voto più «sovranista». Il voto per il M5S è un voto anti-establishment da parte dell’elettorato medio-basso e piccolo-borghese del Nord, mentre nel Sud raccoglie i voti delle classi più povere e quelle a reddito basso e medio basso, minacciate dalla globalizzazione e dalla crisi dello stato sociale.

Le correlazioni tra distribuzione del reddito e voto sembrano confermare queste interpretazioni. In sintesi, le semplici correlazioni tra le percentuali di voto e la concentrazione relativa della popolazione per classi di reddito mostrano che le classi di reddito medio-basso tendono a favorire i due principali partiti populisti. Dove la concentrazione è superiore alla media – dove i collegi sono più poveri – il M5S viene premiato; dove invece le classi medio-basse sono più presenti, è la Lega ad essere premiata. Per il Pd e il Centro-sinistra, invece, le correlazioni positive più alte sono tra le classi ad alto reddito, in particolare al Nord, dove le percentuali di voto sono più alte. E le correlazioni negative maggiori sono con le classi a basso reddito nei collegi dove le percentuali di voto a sinistra sono più alte.

LA SINISTRA, da tempo, sembra aver rinunciato al suo mandato originario e non è riuscita a dare risposte ai suoi elettori «naturali» colpiti da crescenti disuguaglianze economiche: ciò ha lasciato al populismo anti-establishment l’opportunità di prendere il centro della scena. Il M5S ha riempito parte di quel vuoto, fornendo risposte, almeno nominalmente, a tali richieste. La Lega, nata come una frangia locale della destra ora moderata, ha ripreso il discorso populista delle destre radicali, cavalcando i temi dell’immigrazione e della sicurezza più sensibili per le classi più svantaggiate. Quindi, in entrambi i casi, la disuguaglianza è stata il motore che ha alimentato l’ascesa populista.

CIÒ SEMBRA confermare il legame tra disuguaglianza e populismo: le risposte alla perdita di fiducia, alla scarsa mobilità sociale, alle politiche di consolidamento fiscale che hanno messo ai margini classi a reddito basso e medio sono state fornite dai populisti, non da quelli che avevano ricevuto quel mandato, per tradizione.

È UN POPULISMO che è sbocciato dove la sinistra progressista, più della destra conservatrice, avrebbe dovuto prendere il testimone di «difendere il 99%» Le élite economiche, come quelle progressiste, hanno perso di vista l’aumento delle disuguaglianze e sono state considerate insensibili ai valori dello stato sociale e dell’uguaglianza. Gli abbienti e i non abbienti sono venuti allo scontro e i non abbienti si sono (elettoralmente) vendicati.

Semplici correlazioni tra dati statistici non fanno una prova, ma sono un indizio pesante. Ciò che è chiaro è che la disuguaglianza è all’origine del consenso populista e finché le sue determinanti non verranno attaccate alle radici esso non potrà che perdurare. ( da Il Manifesto. Pier Giorgio Ardeni, Mauro Gallegati)

 

12 – L’ANNO CHE VERRÀ, SOTTO IL PARAMETRO DEL DEBITO PUBBLICO. NUOVA FINANZA PUBBLICA. LA FRAGILITÀ ECONOMICA DI UN PAESE È CERTAMENTE LEGATA ANCHE AL LIVELLO DEL SUO INDEBITAMENTO, MA OCCORREREBBE FARE RIFERIMENTO AL DEBITO COMPLESSIVO DI TUTTI GLI ATTORI CHE OPERANO NEL SISTEMA ECONOMICO: OLTRE ALLO STATO, LE FAMIGLIE, LE IMPRESE E LE BANCHE. «Sarà un anno bellissimo» aveva annunciato ad inizio febbraio il Presidente del Consiglio Conte. Sarà perché “nemo propheta in patria”, ma i conti di Conte sembrano tutt’altro che intenzionati a tornare.
Le previsioni di un Pil al +1,5% nel 2019 fanno ormai parte delle favole che si raccontano nelle sere d’inverno ai nipotini, mentre la vorticosa discesa verso la recessione (Pil negativo) sembra imboccata con determinazione.
INTANTO, IL DEBITO PUBBLICO, RISPETTANDO IL VERO COPIONE DELLA DOTTRINA NEOLIBERALE, AUMENTA CON PASSO COSTANTE, E LA GABBIA PER LA POPOLAZIONE ITALIANA, RIVERNICIATA DI GIALLO-VERDE, È DI NUOVO CHIUSA CON DOPPIO MANDATO.
Strano esito per un governo che aveva annunciato fuoco e fiamme contro i parametri finanziari dell’Unione Europea, e che, guardandosi bene dal toccarne alcuno, secondo la narrazione grillina ha già abolito la precarietà, la povertà e la corruzione. Mentre con molto più realismo, l’uomo delle felpe – gli manca quella dei finanzieri, forse per una vecchia questione di 49 milioni – sa che, se non si mettono in discussione i vincoli, l’unica possibilità è quella di dar sfogo alla frustrazione, distribuendo armi agli italiani e invitandoli a sparare, meglio se contro i migranti o i bambini rom.
Tuttavia, pur sapendo che proprio non si cava il sangue dalle rape, il governo potrebbe fare da subito qualcosa. Per esempio, ponendo con forza un quesito all’Unione Europea: perché per determinare lo stato di salute finanziaria di un Paese, si ricorre al solo parametro del debito pubblico?
La fragilità economica di un Paese è certamente legata anche al livello del suo indebitamento, ma occorrerebbe fare riferimento al debito complessivo di tutti gli attori che operano nel sistema economico: oltre allo Stato, le famiglie, le imprese e le banche.
Se lo si facesse, si scoprirebbero dati sorprendenti: secondo uno studio del McKinsey Global Institute, sulla base dei dati della Banca dei regolamenti internazionali, riferiti al 2017, l’Italia, con il suo indebitamento complessivo pari al 265% del Pil, è uno dei Paesi più virtuosi, con valori appena superiori a quelli della Germania, e decisamente migliori di Francia (304%) e Gran Bretagna (281%).
Porre questo quesito renderebbe manifesto il fatto che si utilizza il solo debito pubblico, come parametro, perché l’obiettivo dell’oligarchia europea non è la stabilità finanziaria dei Paesi, bensì impedire agli stessi di adottare politiche di spesa che contrastino l’ideologia dell’austerità, e imbrigliarne le scelte per favorire la deregolamentazione del lavoro, la mercificazione dei beni comuni, la privatizzazione dei servizi pubblici e, alla fine, l’espropriazione di democrazia.
D’altronde, dopo aver costruito per anni la narrazione del debito secondo la doppia metafora della catastrofe naturale che colpisce tutti, e che tutti devono assumere su di sé, da una parte, e, dall’altra, della grave malattia, la cura della quale va affidata agli esperti, diventa molto difficile rendere il re nudo e dire chiaramente come la trappola del debito sia funzionale alla nuova accumulazione finanziaria che investe la società, la natura e la vita stessa delle persone.
Meglio cantarsela e suonarsela, con il sorriso del vice-premier Di Maio stampato sulla faccia, nell’illusione di stare producendo un cambiamento epocale, o urlare a destra e a manca, con il ghigno di Salvini, mentre si pone l’occhio sul mirino.
E, mentre le cosiddette opposizioni vestono i panni del rigore eurocentrico, una domanda investe ciascuno di noi: è questa la società in cui vogliamo vivere?
Possiamo lasciare soli gli studenti di Global Strike for Future o il quindicenne che a Torre Maura ha sfidato gli orchi? ( da Il Manifesto, Marco Bersani edizione del 06.04.2019)

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