625 La riscossa dell’altra America. La Bolivia ha un presidente indio

20051219 13:00:00 rod

di Leonardo Sacchetti (da l’Unità)

«Compañeras y compañeros, abbiamo vinto». Era un raggiante Evo Morales quello che nella notte di Cochabamba si è presentato davanti ai suoi sostenitori per dichiararsi presidente della Bolivia. Il primo presidente indio nella storia del paese andino, a stragrande maggioranza indigena. Un risultato che ha sconfessato i sondaggi (che indicavano una sua vittoria ma al di sotto del 50%).

I dati ufficiali tardano ancora a uscire, ma la vittoria – per adesso “virtuale” – di Morales e del suo Mas (Movimento al Socialismo) è stata confermata anche dallo sfidante, il conservatore Jorge “Tuto” Quiroga, l’uomo indicato dalla borghesia boliviana per sbarrare la strada ai cocaleros (i raccoglitori di coca) guidati da Morales. Se il Consiglio Nazionale Elettorale confermerà gli exit poll di stanotte (quasi il 58% per Morales), il nuovo Parlamento boliviano si riunirà a metà gennaio per ratificare il suo mandato. Un mandato che si annuncia difficile, visto che in cinque anni la Bolivia ha cambiato (e scacciato) cinque differenti presidenti (tra cui lo stesso Quiroga, nel 2001). Morales potrà contare di una maggioranza nei due rami del Parlamento. Una maggioranza relativa, a un passo da quella assoluta, che dovrà dimostrarsi compatta per far avanzare il programma dell’indio del Chaparé.

Il leader del Mas ha infatti promesso tanto agli elettori. Non ha promesso il “tutto” che parte dei boliviani più poveri chiedevano: l’esproprio delle miniere e dei giacimenti di gas che fanno la Bolivia un paese ricchissimo. E i boliviani, i latinoamericani più poveri del continente.

Morales potrà avviare la riforma delle concessioni di estrazione del gas, rivedendo i molti contratti capestro che le multinazionali statunitensi ed europee hanno arraffato negli ultimi anni. L’obiettivo è quello di placare le proteste degli abitanti de Los Altos (la città satellite di La Paz), senza spaventare i ricchi imprenditori di Santa Cruz (il centro più popolato della Bolivia), che in più di un’occasione avevano gridato alla secessione. Una secessione fatta su misura per togliersi dalle spalle (e dai bilanci) tutti i disgraziati boliviani che sì lottano per nazionalizzare il gas, ma che non hanno né luce né acqua nelle loro case.

Come in altre occasioni, i timori espressi dall’Ambasciata Usa hanno avuto un peso determinante: i timori di Washington verso l’ex sindacalista boliviano hanno convinto gli indecisi a fidarsi di lui. Un contrappasso molto latinoamericano. Quando gli Usa gridano “al lupo, al lupo”, nel continente latino gli elettori spingono ancor più forte in quella direzione. Certo è che il lavoro di Morales non sarà una passeggiata. «Da oggi – ha detto Morales – inizia una nuova storia per la Bolivia, alla ricerca di uguaglianza, giustizia, equità e giustizia sociale». Per risolvere i problemi di povertà estrema, il nuovo presidente dovrà appoggiarsi a quel +3,7% di crescita economica. Una crescita stretta nelle mani degli industriali di Santa Cruz e delle multinazionali. Una crescita che, fino ad oggi, non si è tradotta di sviluppo per tutti i boliviani.

Al suo fianco, Morales avrà l’appoggio del suo vicepresidente: Alvaro Garcia Linera, matematico e sociologo che ha assaggiato le galere boliviani per via della sua partecipazione al gruppo guerrigliero Tupac Katari. Ma oltre il suo passato, in questa campagna elettorale Linera si è dimostrato capace di trasformarsi in mediatore tra il radicalismo di Morales e le richieste provenienti dal mondo economico. Nel 2006, la Bolivia avrà anche un’Assemblea Costituente, chiamata proprio a sbrogliare la questione dello sfruttamento del sottosuolo. E in quell’occasione, Morales e il Mas dovranno dimostrarsi capaci di negoziare una soluzione che accontenti tutti e non scontenti nessuno. Un’impresa titanica, certo. Ma il nuovo presidente potrà contare su alcuni alleati strategici: dal presidente venezuelano Hugo Chavez, a quello brasiliano Lula. Altri spauracchi di Washington (il primo), ma anche garanzie diplomatiche (il secondo).

Intanto, appena le agenzie hanno battuto i risultati parziali, le borse europee hanno vacillato. A Madrid, il titolo della Repsol (gigante dell’energia, con ingenti investimenti in Bolivia) ha perso l’1,2% in pochi minuti.

 

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