608 LA LEGGE 30 E LA DIGNITÀ DI CHI LAVORA

20051213 20:05:00 rod

Chi lavora in Italia oggi lo fa in condizioni peggiori di ieri, la vita per troppi è diventata precaria, le retribuzioni sono troppo basse, i diritti si sono ridotti e gli orari sono peggiorati: questa non è solo una convinzione ma l’esperienza diretta di un numero grandissimo di italiani. Quando sfugge al lavoro nero e alla disoccupazione, un’intera generazione sembra destinata a lavorare in condizioni peggiori di quelle riservate ai propri genitori. È sufficiente partecipare a una delle tante assemblee di lavoratori precari (moltissime donne!) per capire la distanza fra quell’esperienza di vita e la politica che frequentiamo tutti i giorni. “La nostra rivendicazione non è solo economica ma umana: la nostra dignità è stata abbondantemente calpestata”, scrive all’Unità Walter Altieri, professore precario di 35 anni.

Non sono sicura che si sia colto, a casa nostra, che la partita elettorale e, ancor di più, la durata di un governo di centrosinistra in Italia si giocherà proprio sui problemi del lavoro e sulle politiche sociali. Anche in Europa le cose vanno in questa direzione: le elezioni svoltesi in molti paesi europei sono state segnate in questo senso. In Francia la costituzione europea è stata bocciata per paura di una politica liberista che affida alla concorrenza tra lavoratori il destino di larghi strati popolari. Qui da noi mandare a casa Berlusconi ma soprattutto invertire la sua politica di svilimento del lavoro è la sfida decisiva. Il problema è che il centrosinistra fatica a indicare con forza e chiarezza la sua ricetta per il lavoro, che poi significa anche il modello sociale che si persegue. Ci si impegna giustamente a segnalare le politiche (non tutte univoche) contro il declino e per lo sviluppo ma non si dice fino in fondo come sarà trattato il lavoro, che pure è l’esperienza centrale che condiziona la vita di gran parte dei cittadini. La verità è che non siamo d’accordo tra di noi perché nel centrosinistra convivono un’ispirazione liberale che punta sulle privatizzazioni e la flessibilità del lavoro (il cui impatto – secondo questa impostazione – andrebbe corretto con l’intervento degli ammortizzatori sociali) e un’ispirazione che scommette su un nuovo forte intervento pubblico e la riduzione della flessibilità. Non c’è nulla di vergognoso in questa dialettica a patto di riconoscerla e fare una scelta che parta dai bisogni e dalle opinioni dei diretti interessati. Dubito che l’esperienza della partecipazione democratica sia pienamente soddisfatta solo dalle primarie e scommetto che almeno altrettanti elettori vorrebbero dire la loro sulla legge 30…
Ad oggi non è ancora chiaro cosa faremo di queste norme se vinceremo le elezioni. Nei Ds, ad esempio, convivono posizioni diverse. Fassino ha dichiarato in questi giorni che la flessibilità è un “dato strutturale” e che “la legge 30 va migliorata”, incassando così il plauso del Sole 24ore. Io ed altri siamo invece convinti che la legge 30 vada tolta di mezzo perché non solo ha moltiplicato le tipologie contrattuali, spianando la strada ad una precarizzazione generalizzata, ma ha anche favorito lo spezzettamento delle imprese e proposto un ruolo improprio al sindacato. La flessibilità italiana, lungi dall’essere conseguenza della rivoluzione tecnologica, è in gran parte il frutto di rapporti di forza che hanno puntato tutto sul basso costo del lavoro, con gli esiti economici fallimentari che sono sotto i nostri occhi.
Ho citato volutamente la differenza di posizioni nei Ds a testimoniare che non c’è da una parte qualche partito massimalista e dall’altra il campo riformista, incarnato da Ds e Margherita, ma le posizioni diverse sono trasversali agli stessi partiti. D’altronde nell’ultima tornata congressuale dei Ds l’ordine del giorno sull’abolizione della legge30 è stato approvato a maggioranza in molti congressi regionali… Vorrei che fosse chiaro che qui non si vuole agitare una bandiera ma entrare nel merito e ragionare di politica. Nel merito, ad esempio, sarebbe interessante capire cosa impedisce al centrosinistra di mandare il messaggio semplice ed efficace della cancellazione della “controriforma” del lavoro voluta da questo governo: quali sarebbero le parti della legge 30 che i contrari alla cancellazione considerano progressive?
Nicola Rossi, nel suo articolo, non lo specifica: non facendolo rafforza l’idea che questa posizione "migliorista" sia ideologica, ovvero che si voglia mandare all’imprese il segnale che il centrosinistra sulle regole del mercato del lavoro non compirà una svolta a 180 gradi. Invece, una volta al governo, occorrerà non solo svoltare rispetto ai cinque anni di Berlusconi ma anche fare una politica diversa da quella attuata dal centrosinistra tra il 1996 e il 2001 che troppi varchi ha aperto alla flessibilità. Chi scrive naturalmente si fa carico di avanzare delle proposte: la campagna "Precariare Stanca" (www.precariarestanca.it) che punta a raccogliere le firme per una legge di iniziativa popolare che contrasti il precariato, si fonda sull’idea che il lavoro flessibile debba costare più dell’altro, non solo in termini previdenziali; che i contratti a termine non siano ripetibili; che il codice civile debba distinguere i lavoratori unicamente in economicamente dipendenti ed autonomi; che si possa procedere a una stabilizzazione del lavoro precario che nella pubblica amministrazione manda avanti ospedali, scuole, università, ricerca… Siamo d’accordo? In questo modo si cancellerebbe già il 90 % della legge 30…
Naturalmente il merito va a braccetto con la politica. Bombassei a nome di Confindustria ha chiesto maggiore flessibilità e allungamento dell’orario di lavoro. Il contratto dei metalmeccanici non si fa esattamente perché, a fronte di 105 euro di aumento richiesto, la Finmeccanica vuole mano libera sull’orario (il che vuol dire che poi la contrattazione non servirebbe più a niente).
Cosa hanno da dire il centrosinistra, e i Ds in particolare, a questo proposito? La Confindustria non avanza una richiesta solo ai sindacati ma propone una linea economica e sociale fondata sulla riduzione del costo del lavoro. È ora di uscire dal vago. Sostenere "flessibilità non deve significare precarietà", di fronte alle richieste di Bombassei, o non vuol dire nulla o vuol dire che si accetta quell’impostazione.
Questa legge 30 la miglioriamo, come ha detto Fassino, la superiamo come chiede il documento per la conferenza programmatica dei Ds, o la aboliamo come vorrebbe la maggioranza di chi vive nel mondo del lavoro?
Alle elezioni non mancano due anni, è ora di avere parole chiare nei documenti, nelle interviste, con tutti gli interlocutori.
(Gloria Buffo – l’Unità)

 

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