600 IL RAPPORTO 2005 DEL CENSIS

20051213 19:55:00 rod

Per il Censis l’economia italiana mostra segnali di ripresa, con il made in Italy che evidenzia ”schegge di vitalità economica” soprattutto nei suoi settori di punta. Si legge nel 39mo rapporto dell’Istituto sull’Italia che di ”conclamata crisi di competitività e di bassa crescita” soffre solo una parte minoritaria dei settori produttivi. In ogni caso, all’interno di molti comparti il ruolo di driver dello sviluppo ”è esercitato solo da nuclei ristretti di imprese, dunque schegge isolate, scintille di vitalità economica”. Per l’istituto di ricerca una spinta alla ripresa dell’economia arriva anche dall’area dei servizi che, ”nell’ultimo quadriennio, ha registrato un significativo balzo in avanti”.

Negli ultimi tre anni, osserva il Censis, alcuni comparti del made in Italy e più in generale del manifatturiero registrano ”un confortante incremento del valore aggiunto, della produzione e dell’occupazione, pur in un contesto difficile e di progressivo rallentamento della produzione industriale”. In questo trend positivo rientrano ”molte imprese del comparto alimentare e delle bevande, della lavorazione del legno, della gomma, della ceramica e materiali per l’edilizia, dei prodotti in metallo e della farmaceutica e cosmetica e, non ultimo, il vasto comparto delle costruzioni”. L’insieme dei settori per i quali fra il 2000 ed il 2004 si è registrata contemporaneamente una crescita del valore aggiunto, del valore della produzione e dell’occupazione ”realizzano il 49% dell’intero valore aggiunto di tutti i settori produttivi (esclusa la pubblica amministrazione, la difesa e la sanità) ed assorbono il 52,3% dell’occupazione totale”.
Gli italiani e il lavoro: più ombre che luci
Il 33,8% degli italiani – si evince dal Rapporto – lavora abitualmente in orari disagiati, ovvero di sera, di notte, nei week-end oppure a casa oltre l’orario abituale. A questi se ne aggiunge un altro 19,8% cui capita, invece, saltuariamente di dover lavorare in orari ‘pesanti’, per un totale di circa 8 milioni 638 mila lavoratori, vale a dire 53 su 100. L’orario ‘atipico’ più diffuso è il lavoro di sabato, che interessa ben il 29,5% dei lavoratori italiani, seguito dall’attività serale (11% degli occupati), domenicale (6,5%) e da quello notturno, che coinvolge complessivamente ben il 5,6% degli occupati dipendenti.
Il mercato del lavoro – secondo l’istituto – è in una fase di rallentamento generale. Anzi, sembra essere in caduta libera, senza cioè un adeguato presidio dei processi in atto e della loro intensità. Ma è in attesa, un’attesa che non potrà essere però molto lunga, pena l’affievolimento delle possibilità di accelerazione economica senza risorse umane che la rendano possibile. ”Non abbiamo ancora finito di assimilare nelle pieghe del sistema produttivo – osserva il Censis- le opportunità e le fatiche collegate all’introduzione di modalità flessibili di impiego, che dall’esterno sembra arrivare un vento di maggiore impegno sulle tutele e sul sostegno alla continuità e alla stabilità del lavoro”. Non solo. ”Ci potremmo ritrovare persino impreparati, dopo tanto tempo trascorso ad esorcizzare il lavoro dipendente, a doverlo riesumare – sottolinea il Censis- come valore e addirittura come obiettivo, poichè il vento spira esattamente in questa direzione”.
Aumenta il divario tra ricchi e poveri
Si fa sempre più ampia la forbice tra i nuovi ricchi e chi invece deve fare dei veri e propri ‘miracoli’ per arrivare a fine mese. Negli ultimi anni, afferma il Censis, è infatti aumentato il grado di concentrazione della ricchezza e si sono acuite le distanze tra i piu’ agiati e i meno abbienti. Il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi la metà (45,1%) dell’intero ammontare della ricchezza netta. Negli ultimi dieci anni la quota di ricchezza posseduta dal 5% delle famiglie agiate è passata dal 27% al 32% e quella posseduta dall’1% dei più ricchi è cresciuta dal 9% al 13%. La crescita dei differenziali di reddito non sembrerebbe destinata ad esaurirsi nel breve periodo: solo il 3,5% dei nuclei familiari che allo stato attuale hanno introiti mensili che non superano i 1.000 euro pensano che nel prossimo anno i propri redditi aumenteranno, mentre il 16,7% è convinto che diminuiranno ulteriormente. Di contro, il 22,5% di quanti dichiarano di avere redditi superiori ai 3.100 euro mensili pensa che i propri guadagni siano destinati a crescere mentre il 9% crede che si ridurranno.
Anche per questo la maggioranza degli italiani (il 65%) esprime una valutazione negativa del sistema di welfare. Per il Censis occorre guardare nelle pieghe della mobilità reddituale, in particolare di quella delle classi di reddito medio e medio-alto. Tra il 2000 e il 2002 il 5,4% (era stato il 3,7% nel biennio ’89-’91) delle famiglie della classe di reddito medio ha registrato un calo di reddito tale da collocarle nella classe a basso reddito; in termini assoluti significa che circa 240 mila famiglie a reddito medio in due anni sono scese tra le famiglie a basso reddito. Tra le famiglie della classe di reddito medio-alto, invece, ben l’8,2% (era stato 6,8% nel biennio ’89-’91) pari a circa 360 mila famiglie ha avuto nello stesso biennio un calo di reddito tale da non riuscire a collocarsi nemmeno nella classe di reddito adiacente. E’, quindi, l’impatto delle quasi 600 mila famiglie a reddito medio e medio-alto che in un biennio hanno vissuto un ridimensionamento economico a diffondere nel corpo sociale la percezione del pericolo, piuttosto che processi più ampi di impoverimento.
E aumentano la partecipazione e la voglia di sociale
Secondo l’istituto gli italiani sono sempre più orientati verso il sociale. Aumenta infatti la partecipazione alle manifestazioni di piazza e cresce la solidarietà sociale. La partecipazione ai cortei è passata dalle 3.576 manifestazioni del 2000 alle 7.022 del 2004, con un incremento già nel primo semestre 2005 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Per il 64% dei partecipanti, queste manifestazioni costituiscono un’occasione per ritrovarsi con altri che condividono le stesse idee più che uno strumento di pressione politica. Aumenta la galassia della solidarietà sociale: in Italia a fine 2003 c’erano circa 200 organizzazioni non governative (ong) a fronte di 170 nel 1999, 2.165 sono i progetti avviati in Italia e 544 all’estero dalle ong appartenenti all’Associazione delle Ong italiane, 3.445 (di cui 1.315 volontari) gli operatori impegnati. Le organizzazioni di volontariato sono 21.021, con un incremento del 14,9% rispetto al 2001. Sono 88 le Fondazioni Bancarie per un totale di proventi, al 31 dicembre 2003, pari a 2.127 milioni di euro, un importo complessivo erogato di 1.143 milioni di euro (con una variazione percentuale rispetto al 2002 del +9,5%) ed un numero di iniziative finanziate pari a 22.804 (+11,6%); e sono circa 7.100 in Italia le cooperative sociali (erano 5.515 nel 2001), 267.000 i soci, 223.000 le persone remunerate (173.348 nel 2001) e 31.000 i volontari. Le banche del tempo, infine, nel 2004 erano 240.

 

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