Rapporto Immigrazione: la presenza straniera in Italia

Rapporto Immigrazione: la presenza straniera in Italia   –   I dati diffusi dall’ISTAT sulla popolazione residente mostrano che al 1° gennaio 2016 risiedevano in Italia 60.665.551 persone, di cui 5.026.153 di cittadinanza straniera (8,3%). Le donne straniere sono 2.644.666 (52,6%). La popolazione complessiva è diminuita rispetto all’anno precedente di 130.061 unità (-0,2%). Sono alcuni dati contenuti nel rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, presentato oggi a Roma.

A inizio 2016, il 58,6% degli stranieri vive nel Nord, mentre questa percentuale scende al 25,4% nel Centro, con un ulteriore calo nel Mezzogiorno (15,9%). Entrando nel dettaglio regionale, in tre regioni del Nord ed una del Centro è concentrata più della metà dell’intera popolazione straniera presente in Italia (56,2%). In particolare, si tratta della Lombardia (22,9%), del Lazio (12,8%), dell’Emilia Romagna (10,6%) e del Veneto (9,9%). Al 1° gennaio 2016, in Italia sono presenti 198 nazionalità, su un totale mondiale di 232 (fonte ONU), e dei cittadini stranieri presenti in Italia, oltre il 50% (oltre 2,6 milioni di individui) sono cittadini di un paese europeo. In particolare, poco più del 30% degli stranieri residenti (1,5 milioni) sono cittadini di un paese dell’Unione. La restante parte proviene dagli Stati dell’Europa Centro-Orientale non appartenenti all’UE (1,1 milioni).
I gruppi, le cui quote sono più consistenti, sono i romeni (22,9%), gli albanesi (9,3%) e i marocchini (8,7%): nel complesso, queste tre nazionalità rappresentano il 40,9% del totale degli stranieri residenti.

 

Rapporto Immigrazione: i nuovi italiani

Al 31 dicembre 2015 su un totale di 178.035 acquisizioni di cittadinanza di stranieri residenti, 158.891 riguardano non comunitari residenti e 19.144 comunitari, con un aumento, rispetto alla stessa data del 2014, del 37,1%. E’quanto si legge nel rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, presentato questa mattina a Roma.
Coloro che acquisiscono la cittadinanza per trasmissione dai genitori e coloro che, nati nel nostro Paese al compimento del diciottesimo anno di età, scelgono la cittadinanza italiana sono passati da circa 10 mila nel 2011 a oltre 66 mila nel 2015, con una crescita costante e molto sostenuta. A questo proposito, si evidenzia un dato rilevante nel numero di acquisizioni di cittadinanza da parte di diciottenni: sono il 10% dei residenti della stessa età (la classe di età prevalente, 0-17 anni, fa registrare una propensione del 5%), mentre le classi di età centrali, mature ed anziane, si attestano su valori più modesti compresi tra il 3% e l’1% circa.
Con riferimento al genere, si osserva una prevalenza delle acquisizioni della cittadinanza italiana da parte di donne nella classe di età 25-39 (quasi 56%). In questo caso incide probabilmente un certo numero di acquisizioni per matrimonio. Prevalgono leggermente gli uomini in tutte le altre classi di età, fatta eccezione per le età più avanzate.
Tra coloro che acquisiscono la cittadinanza italiana i maschi sono uno su due (52%). Le modalità di accesso alla cittadinanza restano differenti tra uomini e donne, anche se nell’ultimo anno si registra una tendenza alla convergenza. Per gli uomini la modalità più frequente di accesso alla cittadinanza è la residenza (56% dei casi nel 2015), mentre il matrimonio è una modalità residuale (meno del 3%). Nel 2015, diversamente da quanto avveniva in passato, anche per le donne le acquisizioni di cittadinanza per residenza sono state le più numerose (42%), superando, seppur di poco, le acquisizioni per trasmissione/elezione (41%). Si riduce ulteriormente, anche per le donne, la quota di procedimenti avviati a seguito del matrimonio: nel 2015 si attesta intorno al 16% dal 25% nel 2014. Si tratta di un segnale importante: anche per le donne l’acquisizione di cittadinanza è sempre più il frutto di un lungo percorso di integrazione; ciò conferma la trasformazione del nostro Paese in terra di insediamento stabile anche per le donne migranti.

 

Rapporto Immigrazione: la scuola multietnica e l’università

Nell’anno scolastico 2015/2016, gli alunni con cittadinanza non italiana nelle scuole italiane sono 814.851, il 9,2% del totale degli alunni. Rispetto al 2013/2014, vi è stato un aumento di 664 unità (+0,1%). Gli alunni con cittadinanza non italiana nati in Italia sono il 58,7% del totale degli alunni stranieri (erano il 34,7% nell’anno scolastico 2007/2008). Il dato è contenuto nel Rapporto Immigrazione di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes presentato oggi a Roma.
L’incidenza degli alunni stranieri sul totale della popolazione scolastica varia in modo molto significativo a seconda delle ripartizioni territoriali italiane. Le maggiori incidenze si riscontrano, nelle regioni del Nord con il valore massimo in Emilia Romagna (15,6%) significativamente più alto della media nazionale (9,2%), seguita da Lombardia (14,5%) e Umbria (13,8%). L’unica eccezione è costituita dalla Val d’Aosta che presenta un’incidenza inferiore alla media italiana (7,6%). Nelle regioni del Centro-Nord, invece, il valore non scende al di sotto del 10%, con la sola eccezione del Lazio (9,3%). Decisamente inferiori i dati relativi alle regioni del Sud.
Nell’anno scolastico 2015/2016, confermando il dato dell’anno scolastico precedente, la scuola primaria accoglie la maggiore quota di alunni stranieri: 297.285 che corrisponde al 36,5% del totale degli alunni con cittadinanza non italiana. Secondo i dati forniti dall’Anagrafe nazionale degli studenti del MIUR, nell’anno accademico 2014/15, su un totale di immatricolazioni pari a 270.173 studenti, risultano iscritti, nelle università italiane, 257.100 studenti di nazionalità italiana (il 95,2%), 9.891 studenti non-UE (il 3,7%) e 3.165 studenti UE (l’1,2%). Si tratta quindi complessivamente di 13.156 studenti di cittadinanza non italiana. Fra gli studenti non-UE, 5.063 (il 51%) hanno conseguito la maturità in Italia, segnando quindi un sorpasso rispetto agli studenti stranieri in possesso di un titolo di studio ottenuto all’estero. Come per gli studenti italiani, anche per gli stranieri, la componente femminile nelle immatricolazioni all’università supera quella maschile: fra i 5.640 studenti stranieri UE e non-UE diplomati nel 2014, le femmine iscritte al primo anno sono il 62%. Gli stranieri diplomati in Italia, sia UE sia non UE, pro vengono soprattutto, come gli italiani, dai licei, tuttavia in percentuale minore (il 42,9% e il 34,2% rispetto al 73,8% degli italiani), proprio perché fra gli stranieri è alta anche la percentuale di provenienza dalla maturità tecnica (rispettivamente il 29,6% e il 32,7%) e professionale (rispettivamente il 6,4% e il 13,4%, dove invece gli italiani registrano solo un 4%). Nella scelta della facoltà, gli stranieri diplomati in Italia tendono a privilegiare soprattutto economia, ingegneria, le aree linguistica e politico-sociale. Nell’anno accademico 2015/16, su un totale di immatricolazioni pari a 271.000 studenti, gli immatricolati sono per il 5% di nazionalità non italiana e sono soprattutto rumeni (14,7%), albanesi (12,6%), cinesi (9,2%).
Negli ultimi anni, varie università in Italia hanno sviluppato misure di accoglienza e di sostegno per gli studenti stranieri, tuttavia sarebbe opportuna una maggiore attenzione a quella parte di studenti stranieri che hanno conseguito il diploma nel nostro Paese e sovente vi sono nati: per loro, diventa importante sia un’azione di supporto alla scelta universitaria, sia un monitoraggio degli sbocchi professionali.

Leggi la sintesi del Rapporto

 

Rapporto Immigrazione: l’intervento di Delfina Licata, coordinatrice del Rapporto

La presentazione del XXVI Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes capita in un momento storico importante e particolarmente significativo caratterizzato da un lato dal dibattito forte e particolarmente sentito sulla modifica della legge sulla cittadinanza legata allo ius culturae e dall’altro dalla giornata mondiale dei rifugiati.
Detto in altri termini non è importante il quanto ma il chi perché la presenza ha cambiato le sue caratteristiche ma è anche vero che, a seguito di una serie di elementi sociali, culturali, economici, nazionali, europei e internazionali, è la stessa Italia ad essere cambiata anche grazie a chi ha scelto di fermarsi sul nostro territorio e anche a seguito delle nuove partenze degli italiani.
E allora lo scorso anno lo studio ci ha portato a dare voce a quei luoghi in cui l’incontro avviene, cosa non scontata, ma che ha stupito noi per primi. Abbiamo trovato e descritto tante e diverse occasioni in cui prende vita quella che abbiamo definito la “cultura dell’incontro” e portando avanti quel ragionamento ci siamo accorti che ogniqualvolta l’incontro avviene ci troviamo di fronte, nella stragrande maggioranza dei casi, un giovane. L’immigrazione ha il volto giovane.
Quest’anno, quindi, l’attenzione, in modo naturale, si è rivolta alle “nuove generazioni”, universo semantico ampio e complesso in quanto comprende giovani e giovani adulti, nati in Italia o no, con o senza cittadinanza italiana, occupati o non occupati, che studiano o meno, un “mondo nuovo” da cui deve essere prodotto il nuovo, la nuova Italia, un nuovo presente da cui ripartire e far ripartire il nostro Paese.
Nuove generazioni a confronto
L’Italia di oggi e di domani o riuscirà ad essere diversa, capace di nuovi incontri e relazioni, o rischierà di non avere futuro. L’incontro è la parola chiave che deve guidare le nostre comunità.
Un incontro da cui deve originarsi non la tolleranza, non l’ospitalità, ma un dialogo tra pari che permetta la convivenza tra pari
E queste “nuove famiglie” di “ nuovi italiani” sono linfa vitale per un Paese che ha seri problemi, allarmanti fragilità dovute a sbilanci demografici che vanno corretti con urgenza, ma siamo ancora purtroppo fermi al riconoscimento di tali fragilità.
Lo diciamo nel volume: il divario negativo crescente tra nascite e decessi, la progressiva riduzione del numero delle potenziali madri, l’aumento della longevità e l’inesorabile invecchiamento della popolazione.
Anche all’interno della presenza immigrata stiamo assistendo a una progressiva riduzione della capacità compensativa degli squilibri tipicamente italiani: arrivi sempre più contenuti, crescita interna dovuta alle nascite e ai ricongiungimenti, ma le stesse nascite tra gli stranieri sono oggi molto più contenute (69 mila, erano 72 nel 2015, ma 80 mila nel 2012) per cui il calo demografico generale (-86 mila unità) non riesce più ad essere compensato dalla sola componente straniera.
Andare oltre il numero significa riconoscere un’altra Italia, quella che non traspare immediatamente … i volti
Una presenza che è sempre più femminile, delocalizzata sul territorio anche se alcune regioni sono strutturalmente più attrattive di altre.
Emerge da fonti non statistiche, ma più qualitative (ricordo che il volume deriva da esperienze e lavori sui territori diocesani) un’attrazione dovuta a cause diverse. Non è più soltanto il lavoro a trattenere, ma in alcune regioni del Sud emergono sempre più fattori altri, quali la maggiore capacità di sentirsi parte di un territorio, una ospitalità più sentita, una condivisione più effettiva.
E vi sono comunità etniche più numerose di altre per una serie di elementi (storici, economici, di prossimità geografica, linguistica e culturale) più volte richiamati.
Ma l’Italia di oggi è anche una presenza di normalità costante… abbiamo voluto porre in risalto 4 elementi.
La scuola, l’università e quindi la formazione all’adultità che poi porta a una partecipazione sentita e quindi la cittadinanza, tema caldo di questi giorni, e alla costituzione di nuovi nuclei familiari in questo Paese
Perché si viene in Italia. Non siamo ancora abituati a “parlare” di presenza di origine non italiana, parliamo ancora di immigrazione come fenomeno legato alla straordinarietà e la realtà ci sorprende perché dopo 40 anni di storia di immigrazione in Italia, oggi la questione ha cambiato pelle diventando richiesta di protezione e asilo. Su oltre 3,9 permessi di soggiorni rilasciati la motivazione del lavoro e i motivi familiari, al terzo posto troviamo la richiesta di asilo che ha superato lo studio.
In Italia manca un decreto flussi per lavoro da diversi anni. Gli occupati stranieri sono 2,4 milioni.
Il lavoro è un tema portante, lo è sempre stato sia per descrivere il contributo che viene dato all’Italia in termini di mera ricchezza prodotta, facilmente riconoscibile anche dagli stessi dati (oltre 350 mila imprese di cittadini non–UE, forte presenza degli stranieri nel settore industriale e in quello dei servizi alla persona, nelle imprese di pulizia, nell’edilizia, ecc.).
Più scarsa è l’attenzione e il risalto al tema lavoro quale luogo in cui avviene l’incontro felice o meno ritornando al tema di partenza. Noi le abbiamo chiamate “pietre di inciampo”. È dove la presenza straniera fa corto circuito, dove si presentano dei problemi.
Nel lavoro queste pietre sono: la segregazione occupazionale, la dequalificazione e la retribuzione differente tra italiani e stranieri.
Un’altra pietra di inciampo è l’accesso all’università provenendo da un liceo (il 34% dei non-UE, il 43% dei UE e il 73,8% degli italiani provenienti dai licei verso l’università).
Collegato a questo, l’abbandono scolastico
E poi la questione giustizia. Quelle stesse comunità che sono le più numerose e che sono presenti sul nostro territorio da più tempo sono quelle che delinquono di più e tale caratteristica la riscontriamo anche tra i minori che delinquono. È questo un luogo nel quale agire, un segnale sul quale porre attenzione e cercare di operare.
Ma ci sono elementi positivi di una Italia che non ti aspetti, di una Italia da riconoscere nelle sue positività. Abbiamo voluto individuare 3 di questi aspetti.
Dal 2014 (610) al 2016 (3.247) +532% delle domande presentate da stranieri aventi requisiti per partecipare al Servizio Civile (soprattutto nei settori ambiente e protezione civile; assistenza; educazione-istruzione) quindi legati fortemente e strettamente alle realtà territoriali.
Il tasso di overeducation ovvero l’impego in occupazioni di livello inferiore rispetto alla preparazione e formazione.
Il vicino di casa. Uso dell’innovazione per generare socialità di prossimità inclusiva e gratuita. Social Street del quartiere Sarpi a Milano come caso concreto di cittadinanza attiva, interetnica e interculturale (bookcrossing, social-pulizia)
Se siamo chiamati a un compito in quanto persone è quello di impegnarci sempre a essere migliori domani rispetto a ciò che siamo oggi.
Aderire a una campagna come L’Italia sono anche io non solo come gesto di civiltà, ma perché crediamo in un futuro diverso, dove nessuno deve essere escluso per il semplice motivo che ne è già parte integrante, protagonista di diritto, cittadino senza cittadinanza appunto.
Purtroppo questo non sta avvenendo per quanto riguarda la legge sulla cittadinanza, da troppo tempo attesa, messa in discussione, uno ius culturae di cui troppo pochi parlano correttamente sottolineando lo ius soli e sbagliando perché non c’è nessun automatismo.
È consuetudine terminare per carpire l’attenzione di chi ascolta con una frase ad effetto presa da grandi personaggi della storia o dell’attualità. Io voglio soffermarmi su un piccolo grande personaggio:
Basim 9 anni nato a Roma da genitori marocchini che, intervistato da Giulia Santerini, alla domanda “Lo sai che lo Stato italiano non vi riconosce come italiani?” risponde per me “io sono cittadino italiano. Non importa la cittadinanza. Io sono italiano, voglio solo che lo capite”.
In altri termini, la cittadinanza è una invenzione dell’uomo, ciò che conta è ciò che siamo, ciò che sentiamo di essere, ciò che riconosciamo di essere prima noi stessi e poi agli altri.
I bambini in questo sono degli insegnanti importanti per noi adulti perché riescono a vedere il mondo con occhi disincantati. Vi racconto un episodio personale. Ho una nipote di 8 anni che vive a oltre 600 chilometri da Roma la sento ogni giorno e mi racconta della sua vita, delle sue giornate a scuola e, da settembre scorso, ha iniziato a raccontarmi della sua nuova compagna di scuola, quella che è diventata la sua migliore amica, la compagna di giochi insostituibile, Sofia. Un weekend sono andata a prenderla da scuola all’uscita pomeridiana e l’accordo era di andare a mangiare un gelato in tre con la famosa Sofia così me la faceva conoscere. All’uscita mia nipote è corsa da me, ma io non sapevo chi fosse Sofia e gliel’ho chiesto e mia nipote mi ha risposto “Eccola!!! ha la maglia rosa!” Io ne vedevo almeno 5 di maglie rosa. Una insegnante avvisata da mia sorella che sarei andata io a prenderle mi si avvicina e mi dice: forse non le avevano detto che Sofia è una bimba di colore? Nel frattempo Sofia si era avvicinata e risponde alla maestra: Io non sono di colore! Miriam (cioè mia nipote) sì. Guardatela è tutta rossa!
Questa storia ci dice proprio quanto i bambini non abbiano costrutti mentali, preconcetti finchè noi adulti non li trasmettiamo anche a loro e quanta responsabilità abbiamo su questo! Per Miriam, Sofia ha la maglia rosa non la pelle scura. Per Sofia, Miriam ha la pelle bianca, talmente bianca che diventa subito rossa!
Se imparassimo dai bambini, saremmo probabilmente davvero persone migliori!

 

Rapporto Immigrazione: l’intervento di Mons. Di Tora

Solo pochi giorni fa sono stato, insieme al card. Montenegro, a un convegno internazionale ad Agrigento dal titolo “La sfida migratoria. Politiche e modelli di accoglienza a confronto”.
Anche oggi in questo tempo insieme è emerso che ci troviamo davanti a un tempo straordinario, un tempo di sfida di fronte alla quale dobbiamo reagire e agire, come Chiesa certamente, ma prima come singole persone, cittadini, capaci di pensare e pensarsi parti di un progetto comune, di una casa comune, di una nazione in difficoltà da tempo.
Lo ha detto lo stesso Santo Padre al Presidente Mattarella qualche giorno fa: viviamo un tempo nel quale l’Italia e l’Europa sono chiamate a confrontarsi con problemi di varia natura, quali il terrorismo internazionale, la recessione economica, la crisi occupazionale e, non da ultimo, il fenomeno migratorio, accresciuto dalle guerre e dai gravi e persistenti squilibri sociali ed economici di molte aree del mondo.
Un momento storico complesso, che contribuisce ad aumentare la sfiducia nel futuro non favorendo la nascita di nuove famiglie e di figli.
Demograficamente, e lo abbiamo sentito, la situazione italiana è seriamente preoccupante: sempre più anziani, sempre più morti, sempre meno nascite, sempre meno giovani, sempre più partenze, sempre meno ritorni … un paese “destinato a morire”, lo leggiamo ormai quotidianamente sui giornali o lo ascoltiamo in televisione.
Eppure gli studi, e questo nostro Rapporto Immigrazione di oggi in particolare, ci restituiscono gli elementi dai quali ripartire.
Quali sono questi elementi?
In un momento storico in cui il fenomeno migratorio deve essere definito epocale, esso ha il volto del giovane.
I migranti sono giovani e se i giovani sono i più colpiti da questo tempo essi, loro malgrado, ne continuano ad essere i protagonisti indiscussi.
Gli immigrati che risiedono stabilmente sul nostro territorio hanno scelto di restare in Italia. Sono giovani prevalentemente che vogliono impegnarsi a ri-costruire la casa comune, a partecipare alla costruzione del bene comune.
Lo sentiamo e lo vediamo attraverso le richieste di modificare la legge sulla cittadinanza, da tanto troppo tempo ferma, e poi il sollecitare di essere sempre più presenti negli spazi di decisione pubblica, nazionale e locale.
E dai territori ricevono risposte più o meno positive, più o meno accoglienza, più o meno aperture alla partecipazione e alla piena e incondizionata condivisione.
Mi fermo un momento su quanto sta capitando a proposito dello Ius Soli. Qui non si tratta di aprire a realtà nuove, ma di riconoscere una situazione che già esiste.
Si tratta di riconoscere la cittadinanza a coloro che di fatto sono già italiani: figli di genitori da tempo in regola nel nostro Paese o giovani che studiano qui e, anche se non nati in Italia, sono integrati.
L’Italia sta rispondendo bene a livello nazionale e internazionale. Ne è prova l’accoglienza e il primo soccorso di chi sbarca o è vicino alle coste italiane. Ne è prova l’impegno della capillare rete diocesana, ma certamente si potrebbe e si deve fare di più senza dimenticare chi sul territorio italiano ha scelto di restare da tempo, chi ha fatto nascere i propri figli, chi produce ricchezza economica attraverso il suo lavoro, ma dobbiamo andare oltre e pensare alla ricchezza immateriale, quella linguistica e culturale che da sempre rendono l’Italia crogiuolo di diversità, riferimento di raffinatezza, humus intellettuale estremamente fertile.
Spesso questa produzione non direttamente visibile, ma per la quale occorre particolare riflessione, viene dimenticata sia negli studi sia nelle riflessioni che seguono gli studi.
Purtroppo oggi si parla di popoli, non più di persone; di numeri, non di individui. E così l’essere umano, creato ad immagine di Dio, passa in secondo piano.
Dobbiamo impegnarci, ciascuno di noi presenti qui oggi, nel proprio campo di lavoro e di impegno, a non mettere in secondo piano l’individuo, a dare un volto a colui di chi parliamo.
E se lo scorso anno attraverso il Rapporto Immigrazione la riflessione comune di Caritas se Migrantes sollecitava a riconoscere gli incontri che normalmente avvengono nel nostro presente per poi farli diventare la normalità del vivere quotidiano, la cultura caratterizzante dei nostri territori, lo stile dell’Italia, una sorta di italian style, quest’anno la nostra proposta è quella di mettere al centro del nostro pensiero e della nostra azione il giovane, in tutte le sue “esistenze” e “declinazioni”, di cittadinanza non italiana per lo specifico studio qui oggi presentato, ma non di certo escludendo i giovani italiani.
Le nuove generazioni appunto, che comprendono un mondo variegato. Li abbiamo visti a scuola, nelle università, nelle culle, sui posti di lavoro, nelle chiese, ma anche nelle moschee e nei templi più diversi; li leggiamo descritti nelle mansioni occupazionali più diverse, oppure completamente sfiduciati nel fare (la generazione dei NEET): li troviamo descritti come richiedenti asilo o rifugiati, bambini soli, non accompagnati, volontari del Servizio Civile, vicini di casa.
Un mondo così complesso e diverso che io stesso ne sono rimasto affascinato. Mi rallegra pensare a quanto lo stesso mondo del volontariato sia arricchito dalla presenza di giovani di nazionalità non italiana, quel volontariato che tanto dà gratuitamente, sostituendosi in molti aspetti a uno Stato che arranca faticosamente.
Ma sarebbe ingrato non sottolineare l’impegno delle istituzioni e di quanti – cittadini di nazionalità italiana o no, – si adoperano, mediante solerte generosità e facendo appello alle loro risorse spirituali, per trasformare le sfide incontrate in occasioni di crescita e in nuove opportunità.
Migrano i giovani, italiani e di ogni nazionalità, e continueranno a farlo, spinti dalla sete di futuro, dal desiderio di sentirsi vivi. Lo raccontano nelle nostre ricerche sulla immigrazione e sull’emigrazione. Lo raccontano nei nostri incontri. Lo testimoniano nei nostri progetti diocesani. Migrano con maggiori conoscenze e capacità, spinti dalla difficoltà di accedere a un lavoro stabile e dignitoso, in un tempo in cui tutto si muove con maggiore facilità, ma spetta a noi raccogliere anche la naturale nostalgia umana che il migrante avverte lontano da “casa” accompagnandolo nella scelta, ponderata ed entusiasta, non per forza di cose limitata al nostro paese, di un nuovo luogo in cui sentirsi non accolto, ma nuovamente “a casa”.

 

Rapporto Immigrazione: l’intervento del Card. Francesco Montenegro

 

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