12001 RINO GIULIANI: CGIE PARTITI E ASSOCIAZIONISMO

20160330 19:43:00 redazione-IT

Gianluigi Ferretti, consigliere CGIE, nominato dal sottosegretario Giro in quota associazioni ancorchè su indicazione di un partito politico, il MAIE, del quale è coordinatore europeo, lamenta una discriminazione partitica ad opera del PD, avvenuta nella fase di rinnovo degli organismi dello stesso CGIE (osservo che l’aver fatto passare per associazione un partito politico è una fra altre "anomalie" nei criteri usati dal sottosegretario Giro.

In molti è prevalso un silenzio conformistico e, in alcuni, quel modus operandi meglio noto come "fotti e chiagne").
Il PD, partito, ben presente nel CGIE con consiglieri che vi aderiscono, sarebbe stato intenzionato ad accaparrarsi il maggior numero di cariche e per questo, malgrado pressanti appelli dei giorni antecedenti, alla fine, diversamente da precedente consolidata prassi, non avrebbe convenuto per un accordo spartitorio fra partiti. Nella circostanza con il Maie.
È Ferretti stesso che ne ha dato notizia, l’altro ieri, su "L’italiano" on line: "sì, è vero, tutte le cariche degli altri CGIE erano state frutto di accordi fra partiti. E quindi c’è chi ha pensato che anche questa volta sia successo qualcosa di simile. Ma così non è stato. Questa volta i partiti organizzati all’estero erano il PD e il MAIE e non c’è stato alcun accordo".
Nella realtà il PD, aldilà delle sue intenzioni, poteva addivenire, in via di massima, a un accordo che presupponeva la commistione dei voti presuntivamente attribuibili al PD con gli 11 raccolti dal Maie per la vicepresidenza di nomina governativa, peraltro non bastanti da soli a garantirla (ci sarebbe anche da aggiungere che i voti ricevuti da Mariano Gazzola per la vicesegreteria Sud America e da Nello Collevecchio nella commissione "Sistema Italia", dimostrano che è stato anche seguito un metodo di garanzia per le minoranze – MAIE – perché sono stati votati anche da molti non appartenenti alla destra).
Impossibile sarebbe stata la subordinazione a questo accordo di molte legittime aspirazioni a veder rappresentate nell’Ufficio di presidenza istanze di area continentale, del mondo associativo, di sindacati e patronati. Oggettivamente improponibile il vecchio schema consociativo, pena la frantumazione della faticosa, ricercata possibile maggioranza di consensi alla segreteria generale.
C’è tuttavia anche da osservare che per un organismo alla cui composizione, normativamente (DL del 24.4.2014), partecipano anche associazionismo, sindacati e patronati e rappresentanti dei Comites, la riconduzione a unità, "a cascata", di un mondo plurale, attuata attraverso le convenienze di due partiti che si fossero accordati fra di loro sulla testa di tutti gli altri sarebbe apparsa, davvero, politicamente come una pretesa non governabile. Un "inciucio" a prescindere da contenuti programmatici, una operazione il cui collante sarebbe stato la prosecuzione del vecchio consociativismo senza principi.
Il possibile accordo spartitorio, già praticato per la nomina del precedente CGIE, era uno scenario eventuale rispetto al quale il Forum delle associazioni degli italiani nel mondo, nei giorni antecedenti l’inizio della Assemblea generale del CGIE, aveva messo sull’avviso con un comunicato nel quale si paventava il ritorno del "CGIE dei partiti".
Si avvertiva: "Sembra tornare in pista un "CGIE a trazione partitica" con il rischio di approcci spartitori e di logiche consociative".
È sembrato che dall’interno del PD questa preoccupazione del Forum sia stata colta non tanto o soltanto per il vincolo numerico negativo che ne sarebbe disceso, ma soprattutto in quanto preoccupazione da condividere in sé e perchè raccordata ad un sempre più vasto comune sentire. Poteva sembrare solo erroneamente questa presa di posizione del Forum come una immotivata critica al PD quando invece era il segnale del forte timore che un approccio ed una prassi siffatti, se reiterati, sarebbero stati incongrui e contradditorii rispetto ai cambiamenti che pur nelle difficoltà erano avvenuti.
Vi era pur stato, con le elezioni dei Comites, anche nella scarsissima loro rappresentatività (solo il 6,5 % degli aventi diritto iscritti nei registri elettorali), un consistente rinnovamento di questi organismi ed evidenti erano alcuni cambiamenti nella composizione dei consiglieri, una consistente parte dei quali, provenienti dalle diverse aree continentali e dall’Italia, sono parte integrante del mondo delle associazioni. Senza le associazioni non vi sarebbero i Comites. Senza i Comites non esisterebbe il CGIE e neanche il voto all’estero. I partiti nominati dal governo nel CGIE non possono e, si spera non facciano più, il bello e il cattivo tempo sulla testa delle associazioni.
I partiti che nel tempo si sono alternati in ruoli e responsabilità di governo devono trarre una valutazione degli inesistenti risultati della loro azione rispetto ai diritti e alle aspettative degli italiani all’estero. La Circoscrizione dell’estero con una normativa elettorale che abbiamo visto essere dalle maglie troppo larghe ha aggiunto parlamentari che seguitano a largamente occuparsi delle dinamiche partitiche della madrepatria piuttosto che svolgere in parlamento una proficua rappresentanza diretta di quei diritti e di quelle aspettative. L’assenza di vincolo di mandato ha alla fine prodotto il paradosso di vedere eletti all’estero che hanno votato con il governo quasi permanentemente singoli provvedimenti e voti di fiducia.
Una sovraordinazione dei partiti rispetto alle altre componenti, già poco accettabile e subita nel CGIE quando il ruolo dei partiti era totalizzante, non ha oggi alcuna legittimazione etica o primazia sociale.
In un certo qual modo, a me pare, che di questo nel suo saluto d’inizio si sia ricordato Michele Schiavone laddove ha detto: c’è la "volontà di rendere protagonisti tutti, indipendentemente da chi ha votato Schiavone, indipendentemente dalla storia politica di ognuno".
Non era scontato che lo dicesse, ha fatto bene a dirlo ed è stato apprezzabile che lo abbia detto di fronte a tutta l’Assemblea Generale immediatamente dopo l’avvenuta sua elezione a Segretario Generale. L’affermazione appare non arrivata a caso e dovrebbe essere intesa come rivolta in primo luogo a salvaguardare l’autonomia di giudizio del CGIE rispetto ai partiti di opposizione e di governo e quindi rispetto alla stessa burocrazia governativa che ne attua le decisioni.
Il mondo della nostra emigrazione, abbandonato a se stesso, nella indifferenza dei governi e nella irrilevanza della propria rappresentanza parlamentare, nella Assemblea Generale del CGIE tra istanze settoriali , volontà di sopravvivenza e ansia di rinnovamento alla fine si è dato un assetto che maggiormente e meglio rispecchia l’articolato mondo di cui oggi sono espressione i diversi consiglieri. Quella intesa che non c’è stata, lo hanno alla fine capito in molti, avrebbe definitivamente affossato ogni non scontata residua possibilità di rinnovare il CGIE.
Forse oggi c’è una speranza che le cose possano cambiare. Ed è un auspicio più che una certezza.

* vicepresidente dell’Istituto Fernando Santi e componente del Coordinamento del Forum delle associazioni degli italiani nel mondo (FAIM)

 

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