n°15 – 13/04/24 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – Sen. Francesca La Marca(PD): La Senatrice La Marca interviene in Aula in ricordo del Segretario Generale CGIE, Michele Schiavone
02 – Andrea Colombo*: Un voto tra confusione e opportunismo. UE-MIGRANTI. La destra si spacca, il Pd ci ripensa. Il voto sul patto migranti, a ridosso delle elezioni europee, mette a nudo la confusione e l’opportunismo di quasi tutte le forze […]
03 – Andrea Valdambrini*: Aborto diritto fondamentale, l’Euro camera sta con le donne – SULL’ONDA FRANCESE. Ok del parlamento Ue alla risoluzione dall’alto valore simbolico, ma dalla difficile attuazione
04 – Andrea Valdambrini*: Guai per von der Leyen, il parlamento Ue contro il caso Pieper – EUROPA. Dopo il Pfizergate un altro scandalo sulla strada per la rielezione della
05 – Paolo Mossetti*: Addio Russia, avanti Azerbaijan: da chi compra il gas adesso l’Europa
I flussi da Mosca non sono mai stati così bassi, ma c’è un problema: IL REGIME DI ALIYEV È BRUTALE ALMENO QUANTO QUELLO PUTINIANO.
06 – Barbara Weisz*: DEF senza politiche economiche: aumenta il debito, si riduce la crescita.
07 – No all’elezione diretta del Presidente del Consiglio – No all’autonomia regionale differenziata di Calderoli (*) martedì 23 aprile, ore 15.00 Roma
08 – Par condicio, il governo dilaga, «no alla deriva orbaniana» – VERSO LE EUROPEE DI GIUGNO. Approvato martedì sul fare della notte, il regolamento della commissione parlamentare di vigilanza sulla par condicio per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno scatena per tutto il giorno le opposizioni. (*)
09 – Luca Manes*: fossili e clima, da 50 anni l’ENI sapeva – ENI era a conoscenza degli effetti negativi sul clima derivanti dalla combustione dei combustibili fossili. È quanto emerge dal rapporto Eni sapeva, redatto da Greenpeace Italia e recommon, basato su […]
10 – Linda Maggiori*: Fossili, Italia quinta del G20 per sussidi al comparto con oltre 2 miliardi.

 

01 – Sen. Francesca La Marca(PD): LA SENATRICE LA MARCA INTERVIENE IN AULA IN RICORDO DEL SEGRETARIO GENERALE CGIE, MICHELE SCHIAVONE

Martedì 9 aprile, la Senatrice La Marca è intervenuta in Aula per ricordare il Segretario Generale del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, Michele Schiavone, scomparso a causa di una grave malattia.
La Senatrice, nel corso del suo intervento, ha ribadito il grande valore umano e il profondo impegno del Segretario Schiavone nella valorizzazione della comunità degli italiani all’estero

 

02 – Andrea Colombo*: UN VOTO TRA CONFUSIONE E OPPORTUNISMO. UE-MIGRANTI. LA DESTRA SI SPACCA, IL PD CI RIPENSA. IL VOTO SUL PATTO MIGRANTI, A RIDOSSO DELLE ELEZIONI EUROPEE, METTE A NUDO LA CONFUSIONE E L’OPPORTUNISMO DI QUASI TUTTE LE FORZE […]

La destra si spacca, il Pd ci ripensa. Il voto sul patto migranti, a ridosso delle elezioni europee, mette a nudo la confusione e l’opportunismo di quasi tutte le forze politiche, non solo per il voto in sé ma anche per le dichiarazioni che lo hanno accompagnato ieri. È una vittoria politica e culturale della destra, in Italia e in Europa, non solo per il testo in sé ma perché lo scontro è tutto sbilanciato sull’efficacia delle norme adottate nel fermare, espellere, controllare, respingere.
Le voci favorevoli all’accoglienza sono ridotte a un sussurro quasi irrilevante. FdI sino alla vigilia del voto era a favore del Patto, lo aveva rivendicato e sbandierato. Poi si è trovata messa all’angolo, incalzata dall’offensiva dei duri non solo del gruppo Identità e Democrazia ma anche di una parte rilevante dei Conservatori da un lato, nell’impossibilità di rimangiarsi del tutto i precedenti entusiasmi e di entrare in conflitto con la sua sponda privilegiata nel Ppe, quella di von der Leyen, Weber e Metsola dall’altro.
Se l’è cavata votando a favore 7 punti su 10 e apertamente contraria solo al passaggio sul ricollocamento obbligatorio, pena una multa di 20mila euro per migrante rifiutato da uno Stato membro.
Quel no la mette al riparo dalla rottura aperta con polacchi e ungheresi, che proprio su quel capitolo hanno già dichiarato guerra ma la lascia esposta agli attacchi corsari della Lega. Salvini non intende certo perdere l’occasione per mettere in difficoltà l’amica sul fronte più identitario che ci sia per la destra. «È un patto deludente che non risolve il problema dei flussi irregolari e clandestini, lasciando ancora una volta sola l’Italia», azzanna sui social.
Se la Lega tuona e disprezza, il ministro degli Interni in quota Carroccio Piantedosi brinda e applaude: «Il patto tiene conto delle esigenze dell’Italia. Dopo anni di stallo Dublino è finalmente superata». Vicino a via Bellerio, più vicino al governo.
Opposta e allineata alla posizione tripudiante del Ppe è Forza Italia: «È un passo importante che supera Dublino», assicura Tajani anche se non è affatto vero. In soccorso dell’amica Giorgia corrono sia la presidentessa della Commissione von der Leyen che quella dell’Europarlamento Metsola. Si sbracciano per assicurare che l’Italia non sarà mai più sola e i controlli impediranno ai trafficanti di decidere loro chi entra e chi no. La durezza, fanno capire nemmeno troppo tra le righe, ci sta tutta. Hanno tutti torto e tutti ragione, a destra. Il Patto naviga vigorosamente nella direzione che auspicano. Rende tutto più duro e difficile per i migranti. Mette concettualmente al bando l’accoglienza. Poi, complici l’interesse elettorale e il posizionamento propagandistico qualcuno esalta il passo avanti, altri fanno l’opposto. Ma nessuno intende accontentarsi e fermarsi qui.
Sull’altra sponda il Pd ha votato a favore solo della norma bocciata da FdI. Decisione encomiabile e lo sarebbe ancora di più se in Commissione la posizione non fosse stata opposta.
Con la sola eccezione di Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa contrario dall’inizio al Patto: caso più unico che raro tra i socialisti europei. Ora, per fortuna, il Pd si è accorto che quel testo presenta «gravi e inaccettabili manchevolezze sui diritti umani» e non va oltre Dublino.
Patto Migrazione, Bartolo: «Forniamo veste giuridica a quello che oggi è illegale»
*(Fonte: Il Manifesto. Andrea Colombo, è un giornalista, scrittore e commentatore politico italiano)


03 – Andrea Valdambrini*: ABORTO DIRITTO FONDAMENTALE, L’EURO CAMERA STA CON LE DONNE – SULL’ONDA FRANCESE. OK DEL PARLAMENTO UE ALLA RISOLUZIONE DALL’ALTO VALORE SIMBOLICO, MA DALLA DIFFICILE ATTUAZIONE

Il Parlamento europeo ha approvato ieri una risoluzione per inserire l’aborto “sicuro e legale” nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Il testo prende tra l’altro di mira l’Italia per l’erosione del diritto all’aborto a causa dei medici obiettori e chiede che vengano fermati i finanziamenti alle associazioni anti-abortiste.
IL SÌ, ESPRESSO da un’ampia maggioranza (336 a favore, 163 contrari e 39 astensioni), arriva a meno di 20 giorni dallo scioglimento dell’Eurocamera in vista delle elezioni europee di giugno. Votano a favore tutti i gruppi della sinistra, ma la maggioranza è stata raggiunta grazie al 40% circa dei democratici-cristiani (Ppe) presenti. Tra loro anche la forzista Alessandra Mussolini, mentre il resto della delegazione Fi vota contrario.
Quello dell’Eurocamera è un pronunciamento dal sapore più che altro simbolico e probabilmente pre-elettorale, anche perché la modifica della Carta per includere l’aborto dovrebbe essere approvata all’unanimità dai governi dei 27 riuniti nel Consiglio Ue. È pur vero che si inserisce con perfetto tempismo in un ampio dibattito che ha riportato l’interruzione di gravidanza al centro delle cronache europee e non solo. Il 4 marzo, la Francia era stato il primo paese al mondo a inserire l’aborto nella propria Costituzione, mentre al contrario solo lunedì scorso il Vaticano è tornato a ribadire la sua condanna nel documento dal titolo Dignitas infinita. Sempre lunedì, è toccato all’ex presidente e probabile candidato repubblicano Donald Trump, che ha lasciato interdette le associazioni antiabortiste comunicando: se sarò rieletto, lascerò ai singoli Stati Usa la possibilità di legiferare in materia.
Complessivamente la risoluzione dell’Eurocamera ha un impianto progressista in materia di diritti delle donne. Il focus generale riguarda la salute sessuale femminile e riproduttiva. Gli eurodeputati chiedono quindi di modificare l’articolo 3 della Carta in modo da affermare che «ognuno ha il diritto all’autonomia decisionale sul proprio corpo, all’accesso libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi servizi sanitari senza discriminazioni, compreso l’accesso all’aborto sicuro e legale». Il testo dell’Eurocamera dedica attenzione al contesto sociale che genera ostacoli alla salute femminile e condanna il regresso sui diritti sia nell’Ue che a livello globale.
IL TESTO ESPRIME poi una posizione chiara quando sollecita i paesi Ue a depenalizzare completamente l’aborto secondo le linee guida stilate dall’Oms nel 2022. Fuori ormai dagli osservati speciali l’Irlanda, che nel 2018 ha approvato una legge per porre fine a un bando durato quasi 160 anni. Il riferimento esplicito è alla Polonia, dove è vietato in ogni caso, anche se con il nuovo governo Tusk è in corso di approvazione una riforma (ieri il parlamento ha iniziato a esaminare le quattro proposte in materia), ma soprattutto a Malta, dove formalmente non è permesso se non in casi estremi. Gelo dalla presidentessa dell’Eurocamera Roberta Metsola – maltese, Ppe e nota per le sue posizioni anti-abortiste – che si è astenuta dai commenti social di cui solitamente è prodiga.
Ma anche dove un problema strettamente legale non c’è, può essercene uno materiale non meno grave. Per questo la risoluzione tocca anche il caso italiano dei medici obiettori. Così gli eurodeputati denunciano, citando esplicitamente l’Italia, casi in cui l’aborto viene di fatto negato dalle istituzioni sanitarie sulla base di clausole di coscienza. Il duplice effetto – si legge nel testo – è quello di erodere progressivamente l’acquisizione di un diritto nel momento in cui la maggior parte dei medici fa professione di obiettore, cosa che accade ormai in diverse regioni italiane, come anche quello di creare situazioni di pericolo per la salute delle pazienti.
L’ULTIMO CAPITOLO, non certo per importanza, riguarda le associazioni cosiddette anti-scelta o pro-vita. Preoccupati per l’aumento dei finanziamenti in loro favore, gli eurodeputati rivolgono un invito, questa volta all’esecutivo Ue. La richiesta è che vengano esclusi dai finanziamenti di Bruxelles tutti i gruppi che operano contro parità di genere e diritti delle donne, a partire da quelli riproduttivi.
*(Fonte: Il Manifesto. Andrea Valdambrini giornalista, si occupo di Esteri e Unione europea)

 

04 – Andrea Valdambrini*: GUAI PER VON DER LEYEN, IL PARLAMENTO UE CONTRO IL CASO PIEPER – EUROPA. DOPO IL PFIZERGATE UN ALTRO SCANDALO SULLA STRADA PER LA RIELEZIONE DELLA PRESIDENTE

Altro grosso guaio per Ursula von der Leyen. La auto-ricandidata presidente della Commissione Ue è protagonista di un nuovo scivolone dopo essere stata sfiorata nei giorni scorsi dal riemergere dello scandalo Pfizergate.
Il caso questa volta è legato alla nomina a fine gennaio di Markus Pieper, eurodeputato popolare ed esponente della Cdu tedesca, come inviato Ue per la Piccola e media impresa. La presidentessa è stata accusata di aver scelto senza alcuna trasparenza e in base non al merito ma dell’affiliazione politica, come emerso inizialmente da un’inchiesta della newsletter Il Mattinale europeo, firmata dai giornalisti David Carretta e Christian Spillman.
Von der Leyen è stata da subito oggetto di critiche all’interno dello stesso esecutivo europeo, fino ad arrivare a una lettera di contestazione della nomina firmata da quattro commissari.
Impronte e dati biometrici dai 6 anni, la nuova barriera si chiama Eurodac
Ieri la palla è passata agli eurodeputati. Tra i voti dell’intensa due giorni di plenaria dell’Europarlamento a Bruxelles, il deputato tedesco dei Verdi Daniel Freund è riuscito ad inserire un emendamento per la revoca dell’incarico a Pieper. Nel testo, avversato dal gruppo Ppe ma approvato con 382 voti favorevoli, 144 contrari e 80 astensioni, si sottolinea la preoccupazione per il fatto che «il candidato prescelto è un deputato dello stesso partito tedesco» di von der Leyen, e si invita l’esecutivo Ue a porre rimedio.
Per tutta risposta, il portavoce della Commissione dichiara che nella nomina è stata seguita la «procedura appropriata», ma soprattutto ricorda al Parlamento che la Commissione «è autonoma per quanto riguarda la scelta del proprio staff».
Al di là delle ragioni e dei torti, il Piepergate è un nuovo tassello delle difficoltà che Von der Leyen sta incontrando nella corsa bis al Berlaymont, sempre più zoppicante e solitaria.
*(Fonte: Il Manifesto. Andrea Valdambrini, si occupo di Esteri e Unione europea.)

 

05 – Paolo Mossetti*: ADDIO RUSSIA, AVANTI AZERBAIJAN: DA CHI COMPRA IL GAS ADESSO L’EUROPA, I FLUSSI DA MOSCA NON SONO MAI STATI COSÌ BASSI, MA C’È UN PROBLEMA: IL REGIME DI ALIYEV È BRUTALE ALMENO QUANTO QUELLO PUTINIANO.

Addio, Russia. Nel 2023 le importazioni di gas russo in Europa sono crollate: dal 42% del totale nel 2021 al 14% due anni più tardi. In Italia, si è passati da più di 30 miliardi di metri cubi di gas naturale l’anno a meno del 3 miliardi di metri cubi nel 2023, il valore più basso dal 1975. Non solo: l’Europa si avvicina alla fine della stagione del riscaldamento con un record storico delle riserve di gas stoccate. I depositi sono pieni al 59%. Queste condizioni, dicono diversi analisti potrebbero far scendere il prezzo in primavera. Insomma, per il secondo anno di guerra consecutivo in Ucraina gli europei non moriranno di freddo.
Stappiamo uno champagne? Non proprio. Bisogna fare un salto indietro nel tempo, al 2010, e vedere Al Bano Carrisi intonare Felicità nella città di Vank, allora parte della repubblica caucasica de facto autonoma di Artsakh, per capire a chi ci siamo vincolati come europei per sostituire Mosca. Il cantante si esibisce su un palco modesto, che aveva come sfondo le targhe di auto abbandonate. Sono dalla popolazione azera, sfollata durante la prima guerra del Nagorno-Karabakh (1992-1994) quando l’esercito armeno aveva occupato l’enclave all’interno dell’Azerbaijan tradizionalmente abitato dagli armeni.
Oggi la repubblica di Artsakh, detta anche territorio del Nagorno Karabakh, non esiste più, soppressa nel settembre scorso dall’Azerbaijan, in un’operazione di pulizia etnica in piena regola che ha portato all’espulsione di oltre 100mila armeni, proprio mentre le personalità più rilevanti della Commissione europea elevavano lo status dell’Azerbaijan a quello di “partner affidabile”. Baku invia armi all’Ucraina ed è diventata una fonte energetica cruciale per la diplomazia di Bruxelles, impegnata in un percorso di transizione verso fonti rinnovabili che sta portando in piazza i trattori reazionari, ma resta un regime oppressivo senza libertà d’espressione, tanto quanto la Russia del presidente Vladimir Putin.

UN ALLEATO IMBARAZZANTE
Il bisogno di diversificazione dal gas russo e la ricerca frenetica di nuovi partner per l’import hanno reso il gas azero uno strumento diplomatico di enorme valore, scrive Francesco Sassi, ricercatore dell’Ispi (Istituto per gli studi di esperto in questioni energetiche e geopolitiche. Per l’Azerbaigian, il congelamento nei prossimi decenni del gas russo è un vero fortuna, che gli ha permesso di investire in notevoli attività di lobbying culturale anche in Italia, dove non mancano intellettuali ed editori disponibili a elogiare il riformismo dell’autoritario presidente azero Ilham Aliyev.
In questo contesto, Baku ha stabilito un rapporto sempre più intrecciato non solo con l’Italia, principale partner commerciale dell’Azerbaijan, ma anche con alcuni Paesi dell’Europa orientale, tra cui Bulgaria, Romania e Ungheria, nell’ottica di diversificazione degli approvvigionamenti russi.
Ma l’Azerbaijan resta una dittatura brutale dove numerosi gruppi politici e artistici hanno sospeso tutte le attività in seguito alle pressioni subite, come riportano gli studi di Cesare Figari Barberis, esperto di Azerbaijan e Georgia al Graduate Institute di Ginevra. L’obiettivo di Baku entro il 2027 è quello di raddoppiare le forniture all’Europa, aumentando i flussi del Southern Gas Corridor, e sostituendo al gas russo avvelenato quello azero, reso presentabile dalla postura geopolitica del suo presidente. Grazie a questa dinamicità diplomatica dell’Azerbaijan, la Cop29, la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico dell’anno prossimo, si terrà a Baku, scelta dopo mesi di battibecchi e veti, in particolare dalla Russia. L’impasse è stata risolta grazie a un accordo tra Azerbaijan e Armenia, che fino a poco tempo fa erano rivali a causa del conflitto nel Nagorno Karabakh.
Il fronte euro-atlantico non sembra turbato né dall fatto che l’Azerbaijan sia un esportatore incallito di combustibili fossili (che costituiscono il 90% dell’export) né che abbia gravissime restrizioni sulla libertà d’espressione, come dimostrato dall’arresto di un ricercatore critico nei confronti dell’industria petrolifera locale. Vedere il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che ha deriso la quinta vittoria alle presidenziali di Vladimir Putin a metà marzo, avere una cordiale conversazione telefonica con il presidente Ilham Aliyev per la sua ennesima vittoria in elezioni-farsa (certificate da quelli che delle ong hanno definito “fake observers”) e leggere il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, congratularsi con Aliyev nella stessa occasione, sono tutti duri colpi alla retorica sull'”ordine liberale”.
A preoccupare gli osservatori c’è piuttosto la minaccia, da parte di Baku, di complicare il processo di pace con l’Armenia e addirittura di impossessarsi di ulteriori porzioni di territorio armeno dove risiedono degli azeri. La logica vorrebbe che l’Azerbaijan non scherzi troppo col fuoco, considerato il buon momento del suo rapporto con l’Unione europea, che ha preso a cuore l’Armenia in chiave anti-russa. Tuttavia, l’appoggio a Baku della Turchia e il ruolo di mediatore della Russia, interessata a spingere il Caucaso lontano dall’Occidente, potrebbero rendere in futuro la posizione di Aliyev sempre più imprevedibile. Una forza regionale capace di ricattare l’Europa come una Turchia in miniatura?

LE AMBIZIONI DI BAKU
L’Azerbaijan si sta godendo per ora il suo ruolo di alleato-chiave, approfittando di quella realpolitik che porta l’Unione europea a rivolgersi a chiunque le possa servire a riscaldarsi. Non va dimenticato come una quota rilevante di transito del gas russo verso l’Europa dell’est e centrale passi ancora attraverso l’Ucraina, a un ritmo di 35-40 milioni di metri cubi al giorno, anche se i volumi sono stati ridotti a circa un terzo dei livelli prebellici. Il mero fatto che questi flussi di transito persistano durante la guerra, e possano essere tagliati da Mosca come vendetta per gli attacchi ucraini alle raffinerie russe, costringe i leader europei a non dormire sugli allori.
Intanto gli introiti accresciuti regalano a Baku anche il lusso presentarsi come un Paese con ambizioni green: ha ratificato l’Accordo di Parigi nel 2016, impegnandosi a ridurre le emissioni del 30% entro il 2030, e sta investendo significativamente nelle energie rinnovabili, inclusi parchi eolici nel Caspio e idrogeno verde. Nel lungo termine, l’Azerbaijan ambisce a diventare un hub cruciale sia per le forniture di elettricità e gas naturale verso l’Unione europea, con progetti come la costruzione di un cavo sottomarino nel Mar Nero, supportato anche dalla presidentessa della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Se tutto questo sia compatibile con gli slogan su diritti umani e stato di diritto di cui si è riempita la bocca l’Europa negli ultimi due anni, sembra al momento secondario.
*(Fonte: Wired – Paolo Mossetti. Scrittore che ha lavorato nel marketing editoriale e collabora con testate italiane e internazionali.)

 

06 – Barbara Weisz*: DEF SENZA POLITICHE ECONOMICHE: AUMENTA IL DEBITO, SI RIDUCE LA CRESCITA
Il Governo presenta il DEF 2024(**), al lordo delle politiche economiche:
• crescita all’1%, debito in salita, deficit in linea con le previsioni.
Il Governo punta a riproporre nel 2025 sia la decontribuzione del cuneo fiscale in busta paga sia con la riduzione a tre scaglioni IRPEF ma per le decisioni programmatiche se ne parla a settembre, mentre per il DEF 2024, approvato il 9 aprile in Consiglio dei Ministri, l’Esecutivo si concentra sul contenimento del debito pubblico, che torna a salire rispetto al PIL.
Il Documento di Economia e Finanza è stato però approvato in versione light, basato su scenari tendenziali e non su quelli programmatici. Vediamo cosa prevede.

• Il DEF 2024 si ferma ai numeri tendenziali
• Politiche economiche all’insegna della prudenza
• Deficit Debito pubblico: il DEF tiene ma servono tagli
Il PIL è visto all’1% per quest’anno, quindi in ribasso rispetto a quello stimato nell’autunno scorso ma comunque migliore di quanto non misurino altri istituti (l’ultimo aggiornamento della Banca d’Italia vede una crescita dello 0,6%). Il deficit è in linea con i numeri già preventivati nella NaDEF nell’autunno scorso: 4,3% nel 2024.

Non viene incamerato l’impatto sui conti pubblici delle misure di politica economica che il Governo Meloni intende intraprendere per l’anno in corso e per quelli successivi. In dettaglio:

• per quanto riguarda la crescita, il PIL è fissato all’1% nel 2024, 1,2% nel 2025, 1,1% nel 2026 e 0,9% nel 2027;
• per quanto riguarda il deficit, il DEF lo stima al 4,3% del PIL per quest’anno (dal 7,2% del 2023, anno su cui si sono concentrati gli effetti negativi del Super bonus), co riduzione al 3,7% nel 2025, al 3% nel 2026 e al 2,2%;
• per quanto riguarda il debito, infine, viene visto al 137,8% per quest’anno (in salita da 137,3% del 2023) ed in aumento al 138,9% nel 2025 e al 139,8% nel 2026.
• Politiche economiche all’insegna della prudenza
Il motivo per cui non sono state fornite stime programmatiche dovrebbe essere riconducibile all’attesa per le nuove regole UE sul Patto di Stabilità.

Giorgetti, dopo il Consiglio dei Ministeri, si è limitato a dire che «le previsioni di tipo macroeconomico sono complicate in un quadro di carattere internazionale e geopolitico complicato».
In realtà, sul bilancio di quest’anno pesano due grosse incognite:
• l’esatta quantificazione dei costi del Super bonus e delle altre cessioni di crediti edilizi (in tutto, si parla di 200 miliardi di euro), con un impatto certo sul deficit e ancora da capire sul debito (la classificazione di queste poste è cambiata lo scorso anno, e potrebbe ulteriormente subire modifiche quest’anno);
• le entrate che arriveranno nell’anno in cui sta entrando in vigore alla riforma fiscale, ad esempio tramite il concordato preventivo biennale, che potrebbe far emergere gettito.
Un contesto contrassegnato da diverse incertezze, che possono essere destinate a cambiare gli scenari macroeconomici, che di conseguenza vengono presentati solo in base alle politiche già in atto.
*(Fonte: PMI.it – Barbara Weisz – Giornalista professionista, scrive di economia, politica e finanza per la stampa specializzata, tra testate online quotidiani e riviste a diffusione nazionale)

**(Ndr. Comunque con il Def non facciamoci prendere in giro Quale investimento si ripaga in 5 anni? Il superbonus, questa è la verità. Costo 112 miliardi, rientrati subito per maggiori tasse, IVA contributi 68 miliardi. Risparmio energetico 10 miliardi l’anno. Conclusione 112 meno 68 = 44 miliardi.10 miliardi l’anno di risparmio energetico, in 5 anni il superbonus si ripaga e gli altri anni sono gratis.)

 

07 – NO ALL’ELEZIONE DIRETTA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO – NO ALL’AUTONOMIA REGIONALE DIFFERENZIATA DI CALDEROLI (*) MARTEDÌ 23 APRILE, ORE 15.00 ROMA

SALA CAPITOLARE DEL SENATO, PIAZZA DELLA MINERVA 38, CHIOSTRO CONVENTO DI S. MARIA SOPRA MINERVASU INIZIATIVA DEL SENATORE GIUSEPPE DE CRISTOFARO E DEL COORDINAMENTO PER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE

MARTEDI’ 23 aprile, alle ore 15.00, a Roma, nella sala Capitolare del Senato in Piazza della Minerva 38, presso il Chiostro del Convento di S. Maria sopra Minerva, si svolgerà il convegno “No all’elezione diretta del Presidente del Consiglio, No all’autonomia regionale differenziata di Calderoli”.
Apertura lavori ore 15: Domenico Gallo, Presidenza Coordinamento Democrazia Costituzionale
Ore 15.10 Tavola rotonda sul tema: “L’Italia è una Repubblica, una e indivisibile, fondata sul lavoro”
Coordina Massimo Villone, costituzionalista, presidente CDC. Partecipano: Rosy Bindi, già Ministro; Enzo Cheli, presidente emerito Corte Costituzionale; Giovanna De Minico, costituzionalista; Giovanni Maria Flick, Presidente emerito Corte Costituzionale; Francesco Pallante, costituzionalista.
Ore 16,40, interventi di: Avv. Pietro Adami, Giuristi Democratici; Silvia Albano, Presidente ANM; Vera Buonomo, segreteria confederale Uil; Maria Agostina Cabiddu, costituzionalista; Roberta Calvano, costituzionalista; Marina Calamo Specchia, costituzionalista; senatore Giuseppe De Cristofaro; Marco Esposito, giornalista e saggista; Avv. Anna Falcone, direttivo Cdc; Adriano Giannola, Presidente Svimez; senatore Andrea Giorgis; Betti Leone, presidenza nazionale Anpi; senatrice Alessandra Maiorino; Giulio Marcon, presidente Sbilanciamoci e coordinamento La Via Maestra; Eugenio Mazzarella, emerito filosofia teoretica; Daniela Padoan, presidente Libertà e Giustizia; Gianfranco Viesti, economista; Mauro Volpi, costituzionalista.
Ore19,15 conclusioni di Alfiero Grandi, vice presidente Coordinamento democrazia Costituzionale
Le opinioni e i contenuti espressi nell’ambito dell’iniziativa sono nell’esclusiva responsabilità dei proponenti e dei relatori, e non sono riconducibili in alcun modo al Senato della Repubblica o ad organi del Senato medesimo.
L’accesso alla sala è consentito fino al raggiungimento della capienza massima.
Ai presenti è richiesto un abbigliamento consono, per gli uomini obbligo di giacca e cravatta.
Al fine di consentire un ordinato svolgimento dei lavori, i giornalisti e gli ospiti devono accreditarsi scrivendo a organizzazione.com.referendum@gmail.com
I lavori saranno trasmessi in streaming da un canale della Tv web del Senato.
*(Ufficio stampa CDC: Andreina Albano, tel.3483419402 – andreinaalbano@gmail.com)

 

08 – Par condicio, il governo dilaga, «no alla deriva orbaniana» – VERSO LE EUROPEE DI GIUGNO. APPROVATO MARTEDÌ SUL FARE DELLA NOTTE, IL REGOLAMENTO DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE DI VIGILANZA SULLA PAR CONDICIO PER LE ELEZIONI EUROPEE DELL’8 E 9 GIUGNO SCATENA PER TUTTO IL GIORNO LE OPPOSIZIONI. (*)

Approvato martedì sul fare della notte, il regolamento della commissione parlamentare di vigilanza sulla par condicio per le elezioni europee dell’8 e 9 giugno scatena per tutto il giorno le proteste delle opposizioni che hanno votato contro un testo che in campagna elettorale varrà per la Rai, ma probabilmente non per le emittenti private. Il consiglio dell’Agcom – l’Autorità delle comunicazioni – ora dovrà infatti decidere se recepire le modifiche al regolamento introdotte dalla vigilanza Rai estendendole al privato.
Oggetto del contendere, la presenza praticamente illimitata degli esponenti del governo nei talk show. Dopo varie riformulazioni di due emendamenti è passata infatti la proposta di modifica firmata da Filini (Fdi), Bergesio (Lega) e Lupi (Noi moderati), il cosiddetto «lodo Fazzolari» dal nome del suo ispiratore, il sottosegretario alla presidenza del consiglio. Proposta invece non firmata dal forzista Maurizio Gasparri nell’inedita veste di pompiere (in passato il partito di Sua emittenza si è reso protagonista di molteplici forzature sui regolamenti) perché inizialmente temeva che dall’emendamento avrebbero tratto vantaggio soprattutto gli alleati. Il testo ora prevede che nei programmi di approfondimento l’applicazione della par condicio «faccia in ogni caso salvo il principio e la necessità di garantire ai cittadini il diritto a una puntuale informazione sulle attività istituzionali e governative». Il premier e i ministri potranno insomma «puntualmente» magnificare le loro «attività» senza essere imbrigliati nelle regole che valgono per gli altri esponenti politici.
Una «deriva orbaniana» secondo il dem Francesco Boccia e Angelo Bonelli di Avs. «La maggioranza ha inserito spazi supplementari, e ultronei, della voce del governo in contesti che riguardano esplicitamente il dibattito politico-elettorale», spiega un altro esponente del Pd, Antonio Nicita. «Un atteggiamento inaccettabile», quello della maggioranza, che «ha rifiutando qualsiasi tentativo di mediazione», attacca il 5S Dario Carotenuto.
Ma il fatto che la presidentessa della commissione, la 5 Stelle Barbara Floridia, non abbia dichiarato inammissibili gli emendamenti del contendere ha fatto nascere qualche sospetto, anche se dalle parti della presidentessa negano atteggiamenti morbidi. Sul fronte Rai però M5S e Pd non viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda (come dimostrano le votazioni in cda). E la presenza di Giuseppe Conte, sabato scorso, alla festa del melonianissimo direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci ha fatto drizzare le antenne. Le ultimissime voci su una possibile intesa tra lo stesso Conte e i meloniani sulle prossime nomine al vertice della tv pubblica, intesa grazie alla quale alla direzione del Tg3 andrebbe a un/una giornalista di gradimento pentastellato (si fanno tra gli altri i nomi di Giuseppe Carboni e Simona Sala) agitano ulteriormente i dem. E proprio in un periodo in cui le quotazioni del campo largo sono assai basse.
*(redazione Da Il Manifesto)

 

09 – Luca Manes*: FOSSILI E CLIMA, DA 50 ANNI L’ENI SAPEVA – ENI ERA A CONOSCENZA DEGLI EFFETTI NEGATIVI SUL CLIMA DERIVANTI DALLA COMBUSTIONE DEI COMBUSTIBILI FOSSILI. È QUANTO EMERGE DAL RAPPORTO ENI SAPEVA, REDATTO DA GREENPEACE ITALIA E RECOMMON, BASATO SU […]

Eni era a conoscenza degli effetti negativi sul clima derivanti dalla combustione dei combustibili fossili. È quanto emerge dal rapporto Eni sapeva, redatto da Greenpeace Italia e ReCommon, basato su ricerche condotte per mesi presso biblioteche, archivi (compreso quello della stessa Eni) o di istituzioni scientifiche come il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), per capire quanto Eni sapesse sugli effetti destabilizzanti dello sfruttamento delle fonti fossili fossili fra gli anni Settanta e i primi anni Novanta. Ovvero quando il gigante petrolifero italiano era interamente controllato dallo Stato. Nonostante la conoscenza di questi possibili rischi per il clima del Pianeta l’azienda ha proseguito e continua ancora oggi a investire principalmente sull’estrazione e lo sfruttamento di petrolio e gas.
Inoltre sin dalla prima metà degli anni Settanta il Cane a sei zampe ha fatto parte dell’Ipieca, un’organizzazione fondata da diverse compagnie petrolifere internazionali che, secondo recenti studi, a partire dagli anni Ottanta avrebbe consentito al gigante petrolifero statunitense Exxon di coordinare «una campagna internazionale per contestare la scienza del clima e indebolire le politiche internazionali sul clima». Lo studio, basato anche su recenti analisi simili riguardanti altre compagnie come la francese TotalEnergies, riporta inoltre i contributi di storici della scienza come Ben Franta, ricercatore senior in Climate Litigation presso l’Oxford Sustainable Law Programme, tra i maggiori esperti del tema a livello mondiale, e Christophe Bonneuil, attualmente direttore di ricerca presso il più grande ente pubblico di ricerca francese, il Centre national de la recherche scientifique (Cnrs).
«La nostra indagine dimostra come Eni possa essere aggiunta al lungo elenco di compagnie fossili che, come è emerso da numerose inchieste condotte negli ultimi anni, erano consapevoli almeno dai primi anni Settanta dell’effetto destabilizzante che lo sfruttamento di carbone, gas e petrolio esercita sugli equilibri climatici globali, a causa delle emissioni di gas serra», ha dichiarato Felice Moramarco, che ha coordinato la ricerca per Greenpeace Italia e ReCommon.
Lo scorso 9 maggio Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadine e cittadini italiani hanno presentato una causa civile nei confronti di Eni per i danni subiti e futuri, di natura patrimoniale e non, derivanti dai cambiamenti climatici a cui la compagnia avrebbe significativamente contribuito con la sua condotta negli ultimi decenni, pur essendo consapevole degli impatti sul clima delle proprie attività. La causa mira a costringere Eni a rivedere la sua strategia industriale e a ridurre le sue emissioni del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2020, come raccomandato dalla comunità scientifica internazionale per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. La causa è stata presentata anche contro il Ministero dell’Economia e delle Finanze e contro Cassa Depositi e Prestiti S.p.A., in quanto azionisti rilevanti di Eni.
*(*(Luca Manes – Responsabile della comunicazione dell’associazione ReCommon)

 

10 – Linda Maggiori*: FOSSILI, ITALIA QUINTA DEL G20 PER SUSSIDI AL COMPARTO CON OLTRE 2 MILIARDI.

BRUXELLES. IN BASE AL RAPPORTO «NEMICI PUBBLICI» CI SUPERANO SOLO CINA, GIAPPONE, COREA DEL SUD E CANADA. L’UE, ORMAI ALLA VIGILIA DELLE ELEZIONI EUROPEE, STA PREPARANDO UNA COMUNICAZIONE AI GOVERNI: BASTA CON LE SOVVENZIONI
Con le europee sempre più vicine, si torna a ragionare sulla fine dei sussidi pubblici al fossile: «In linea con le recenti conclusioni della Cop e con la proposta della Commissione di revisione della direttiva sulla tassazione dell’energia, gli Stati membri devono adottare misure che eliminino le sovvenzioni per l’utilizzo di combustibili fossili, anche sotto forma di esenzioni fiscali o aliquote ridotte» così si legge nella bozza di comunicazione che fa il punto sui dialoghi relativi al Green Deal, ieri sul tavolo del Collegio dei commissari.
Sussidi miliardari, come confermato dal recente rapporto «Nemici pubblici» di Oil Change International, Friends of the Earth Stati Uniti e ReCommon, che fa luce proprio sul diluvio di denaro pubblico, elargito tra il 2020 e il 2022, dai paesi più ricchi del mondo (G20) al comparto fossile: complessivamente 846 miliardi di dollari all’anno attraverso finanziamenti internazionali, sussidi diretti e indiretti, investimenti delle imprese pubbliche. Solo prendendo in considerazione i finanziamenti dati dalle istituzioni finanziarie pubbliche e dalle banche multilaterali di sviluppo, si parla di 142 miliardi di dollari, un dato peraltro sottostimato. L’Italia, per quanto riguarda finanziamenti e garanzie pubbliche ai comparti del gas, occupa il quinto posto in classifica con 2 miliardi e 569 milioni di dollari all’anno (tramite Sace e Cassa depositi e prestiti) addirittura più degli Stati Uniti (che finanzia il fossile con 2 miliardi e 253 milioni di dollari all’anno). Ci superano solo Cina, Giappone, Corea del Sud e, prima in classifica, Canada (con oltre 10 miliardi di dollari annui).
Secondo la Commissione Ue, in Italia i sussidi totali ai combustibili fossili ammontano a quasi 1,4% del Pil, poco meno della metà di questi sussidi ha una data di fine dopo il 2030 o non ha una data di fine, mentre i rimanenti dovrebbero finire prima del 2025. Nei nostri territori stanno procedendo costosissimi e impattanti cantieri, finanziati da fondi pubblici, tra rigassificatori e metanodotti. A Ravenna la diga frangiflutti, necessaria al rigassificatore, costerà all’Autorità portuale 270 milioni di euro garantiti da Cdp. «Con il calo costante della domanda di gas in Italia, è ora che il governo smetta di utilizzare la scusa della sicurezza energetica e implementi seriamente la Dichiarazione di Glasgow con una politica adeguata, altrimenti è chiaro che ci troviamo dinanzi all’ennesimo regalo alle multinazionali energetiche», conclude il campaigner Simone Vengo di ReCommon.
Le contraddizioni sono anche europee: nonostante la promessa pre-elettorale di eliminare i sussidi al fossile, la Commissione Ue (a novembre 2023) e il Parlamento europeo (a marzo 2024) avevano approvato la sesta Pci list, un elenco di progetti prioritari che comprendeva anche due contestati gasdotti, il Melita tra Malta e la Sicilia, ed Eastmed, per portare il gas dai giacimenti di Israele e Cipro fino alla Grecia. Progetti dannosi per l’ambiente e per la pace, in luoghi di conflitto, che però godranno di una valutazione di impatto ambientale semplificata, autorizzazioni accelerate e accesso ai sussidi da parte della Banca europea degli investimenti (Bei) e della Banca europea ricerca e sviluppo (Bers). Nella sesta Pci list ci sono anche numerosi progetti di idrogenodotti (per idrogeno di origine fossile) e di Ccs (stoccaggio e cattura del carbonio) molto contestati dalle associazioni ambientaliste per la loro pericolosità e perché così facendo si prolunga la dipendenza dai fossili.
*(Linda Maggiori · Giornalista presso il manifesto · giornalista free lance presso Altreconomia)

 

 

 

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