N°01 – 6/1/2024 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – «Presidente Mattarella, non in nostro nome». ISRAELE/PALESTINA. Lettera aperta al presidente della Repubblica dopo il discorso di fine anno sull’offensiva militare israeliana in corso contro Gaza (Per aderire: italiapalestina2024@gmail.com )
02 – Emiliano Brancaccio*: La «ragione» del capitalismo genera i mostri della guerra.
03 – Alfiero Grandi*: Il centrosinistra può fermare l’assalto alla Costituzione ma deve crederci.
04 – Carlotta Degl’innocenti*: Il diritto delle minoranze e la società del “tropo”: la moda del genderismo.
05 – Alfiero Grandi*: 2024: un anno cruciale per fermare la riforma costituzionale della destra.
Le destre hanno ottenuto nel 2022 il 59% dei deputati e dei senatori, con una maggioranza parlamentare che non ha eguali nella storia degli ultimi decenni: nel 2008 Berlusconi si era fermato al 54%. Ciò grazie alla legge elettorale in vigore che è maggioritaria, con un premio di maggioranza occulto che nel 2022 è arrivato al 15%, più del Porcellum.

 

01 – «Presidente Mattarella, NON IN NOSTRO NOME». ISRAELE/PALESTINA. LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA DOPO IL DISCORSO DI FINE ANNO SULL’OFFENSIVA MILITARE ISRAELIANA IN CORSO CONTRO GAZA.
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Sono oltre 1.500 le firme alla lettera diretta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, lanciata da Angelo d’Orsi, Fabio Marcelli e Andrea Catone, «Non in nostro nome»: si chiede conto al presidente del modo in cui nel discorso di fine anno ha affrontato l’attacco militare israeliana in corso a Gaza, con «30.000 vittime civili, 70.000 feriti, 90% degli edifici rasi al suolo…Una economia, una società, un paesaggio annichiliti» e con le dichiarazioni di esponenti del governo israeliano sulla «necessità di espellere da Gaza i palestinesi sopravvissuti».

I firmatari ritengono «grave che nel Suo messaggio riduca il genocidio in corso a “un’azione militare che provoca anche migliaia di vittime civili”»: «Ella evita di dare un nome al popolo vittima del massacro: nel Suo discorso sono “moltitudini di persone”. Non sono “moltitudini”: è il popolo palestinese che subisce da 75 anni l’occupazione di Israele». Tra i firmatari Alberto Bradanini, Luigi De Magistris, Ginevra Bompiani, Enrico Calamai, Mimmo Lucano, Maurizio Acerbo, Piergiorgio Ardeni, Paola Nugnes, Piero Bevilacqua, Enzo Scandurra, Eleonora Forenza.

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Signor Presidente,
noi sottoscritti cittadini e cittadine Suoi connazionali, lavoratori della città e della campagna, studenti e persone impegnate nel mondo della cultura, dell’insegnamento, dell’associazionismo, ci permettiamo di ricordarLe la situazione in atto in Palestina:
circa 30.000 vittime civili a Gaza, senza contare i presumibili 10.000 sotto le macerie.
70.000 feriti che non possono essere adeguatamente curati in ospedali distrutti da Israele.
1000 bambini che hanno perso uno o entrambi gli arti inferiori o superiori.
90% degli edifici rasi al suolo: “non è rimasto brandello di muro”, dichiarano i pochi osservatori ONU rimasti sul campo.
Una economia, una società, un paesaggio annichiliti.
Oltre 2 milioni di persone sono senza un tetto, né acqua, né cibo, né medicinali, né carburanti, e sono spinte dall’esercito israeliano in una piccola sacca a Gaza sud, che peraltro continua ad essere bombardata.

Intanto si susseguono dichiarazioni di governanti israeliani sulla necessità di espellere dal territorio di Gaza i palestinesi sopravvissuti, e sul progetto di ricolonizzazione di Gaza da parte dei coloni israeliani, mentre addirittura si pubblicano annunci di lussuosi villaggi turistici da costruire sulle macerie e sui corpi insepolti della popolazione palestinese.
In Cisgiordania (secondo l’ONU, “Territori Occupati”) gli oltre 700.000 coloni israeliani, che hanno occupato illegalmente il territorio e rendono molto problematica, per non dire impossibile, la soluzione “due popoli, due Stati”, spalleggiati dall’esercito di Israele attaccano quotidianamente e uccidono i contadini palestinesi, compresi donne, anziani, adolescenti.
Israele ha ucciso 138 funzionari dell’ONU e continua a bombardare i convogli dell’agenzia per i rifugiati dell’ONU. Colpisce le ambulanze che trasportano i feriti. Cattura, e umilia denudandoli e ingiuriandoli, centinaia di cittadini colpevoli semplicemente di essere palestinesi.
Israele ha trucidato un centinaio di giornalisti e fotografi nell’esercizio del loro lavoro.

Il segretario generale dell’ONU Guterres ha denunciato ripetutamente la “catastrofe umanitaria”, l’Assemblea generale dell’ONU approva la risoluzione che chiede l’immediato cessate il fuoco.
Alcuni stati, come il SudAfrica deferiscono Israele alla Corte Internazionale di Giustizia (dell’ONU) per genocidio e diversi altri Stati denunciano quella nazione per violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario di fronte alla Corte Penale Internazionale. Milioni di persone in tutto il mondo chiedono che venga perseguito Netanyahu e la cupola politico-militare israeliana per questi motivi. Altri Paesi della UE annunciano varie azioni contro Israele, mentre il nostro governo appare silente o complice dei crimini in corso.
Quando l’Armata Rossa sovietica liberò Auschwitz il 27 gennaio 1945 e vennero alla luce gli orrori della Shoah, alcuni giustificarono il loro silenzio e la loro inazione dicendo di ignorare cosa stesse accadendo nei lager nazisti. Oggi assistiamo in diretta alla pulizia etnica e all’olocausto del popolo palestinese. Nessuno può dire “non so”.
È per noi grave che Ella nel Suo messaggio riduca il genocidio in corso a “un’azione militare [di Israele] che provoca anche [evidenziazione nostra] migliaia di vittime civili e costringe, a Gaza, moltitudini di persone ad abbandonare le proprie case, respinti da tutti”. Nient’altro. Ella, Signor Presidente, avrebbe potuto, e riteniamo dovuto, riprendere le dichiarazioni del segretario dell’Onu, le risoluzioni dell’Assemblea generale e levare una voce per l’immediato cessate il fuoco in Palestina. Come anche alcuni leader europei hanno chiesto.
Ella, invece, ha taciuto, Signor Presidente.

Nelle sue parole il genocidio del popolo palestinese in corso (è la definizione dello storico israeliano Ilan Pappé, costretto ad abbandonare il suo paese e la sua università per le minacce di cui è stato oggetto) è stato ridotto alla reazione israeliana “che provoca anche migliaia di vittime civili”. Durante la Resistenza antifascista i massacri operati dai nazifascisti si chiamavano “rappresaglia”; alle Fosse Ardeatine i nazisti applicarono la formula del “10 italiani per un tedesco”. La rappresaglia di Israele (se di rappresaglia si può parlare e non di un piano preordinato di svuotare Gaza della popolazione palestinese e riportarla sotto il diretto controllo israeliano) supera di molto il criterio nazista delle Fosse Ardeatine.
Tra l’altro, Ella evita di dare un nome al popolo vittima del massacro: nel Suo discorso sono “moltitudini di persone”. NO, non sono “moltitudini”, “volgo disperso che nome non ha”: è il popolo palestinese che subisce da 75 anni l’occupazione di Israele, è il popolo che si oppone e resiste all’occupazione, come fecero i nostri patrioti nel Risorgimento e i partigiani nella Resistenza antinazifascista italiana.

Ella dice che i giovani vanno educati alla pace, ma non si educa se non si compie un’operazione di verità, e la verità non è solo non dire il falso, ma dare un quadro completo delle cose. Il Suo discorso – un discorso ufficiale, a reti televisive unificate a tutto il Paese – per quel che dice e per quello che NON dice, viola i principi cui pure Ella dichiara di ispirarsi, non educa alla verità, né alla giustizia, in difesa morale di ogni popolo oppresso.

La parte del Suo discorso dedicata al conflitto in Medio Oriente è in definitiva schiacciata sulla politica bellicistica e disumana del governo di Israele, che annuncia un 2024 di guerra. Legando mani e piedi il nostro Paese alla politica oltranzista di Israele, Ella rompe con quella politica mediterranea di apertura ed equilibrio con i paesi arabi e di riconoscimento delle ragioni del popolo palestinese, promossa tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso da statisti come Moro, Andreotti, Craxi, o da un sindaco eccezionale testimone di pace e costruttore di ponti fra i popoli, come Giorgio La Pira. Il Suo discorso, Signor Presidente, non è solo un inaccettabile silenzio sul genocidio palestinese in corso, è anche un tradimento della storia italiana, e un colpo ai nostri interessi nazionali.

Ebbene, in piena coscienza, e con il massimo rispetto per la carica che Ella riveste, noi sottoscritti ci permettiamo di osservare e di comunicarLe che Ella ha parlato non in nostro nome.

2 gennaio 2024
Angelo d’Orsi, Storico e giornalista, già Ordinario Univ. Di Torino – Direttore “Historia Magistra” e “Gramsciana”
Fabio Marcelli, Roma, dirigente di ricerca, Istituto di studi giuridici internazionali CNR
Andrea Catone, Bari, direttore editoriale edizioni MarxVentuno
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PRIMI FIRMATARI
Alberto Bradanini, Già Ambasciatore d’Italia a Pechino e Teheran
Luigi De Magistris
Ginevra Bompiani
Enrico Calamai, Roma
Domenico (Mimmo) Lucano
Elena Basile, già ambasciatrice in Belgio
Maurizio Acerbo, già deputato, segretario nazionale di Rifondazione comunista
Augusto Ponzio Università di Bari, emerito di semiotica
Marco Papacci Presidente Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba
Massimo Zucchetti Ordinario di Ingegneria Politecnico di Torino, già candidato Nobel
Piergiorgio Ardeni, economista, Univ. Bologna.
Domenico Finiguerra, Abbiategrasso
Paola Nugnes architetta ambientale già senatrice
Ezio Locatelli, ex deputato, giornalista.
Guido Liguori Roma Univ. Della Calabria, presidente International Gramsci Society
Laura Marchetti, antropologa, univ. Reggio Calabria, già sottosegretario all’ambiente.
Piero Bevilacqua, storico, univ. La Sapienza, Roma.
Fabio de Nardis, sociologo, Università di Lecce.
Enzo Scandurra, urbanista, Univ. La Sapienza di Roma
Roberto Musacchio, redattore di Transform, già parlamentare europeo.
Paolo Ferrero, pubblicista, già Ministro della solidarietà sociale.
Giorgio Cremaschi, dirigente sindacale.
Eleonora Forenza, insegnante, già Parlamentare europeo.
Doriana Sarli, già Deputata
Maria Lippiello, architetto, Univ. Federico II di Napoli.
Franco Bartolomei, giurista, Univ. Di Macerata.
Stefano Galieni, giornalista
Francesca Chiarotto Storica, Univ. di Torino, “Historia Magistra”, Istituto Piemontese Gramsci
Ruggero Giacomini Ancona Storico, Centro culturale marchigiano “la città futura”
Marina Boscaino Roma docente di italiano e latino al liceo classico
Virginia La Mura, già senatrice, Napoli.
Antonio Di Siena Bari direttore editoriale edizioni LAD
Alessandra Kersevan Udine Editore, KAPPAVU, coordinatrice di “Resistenza Storica”
Marco Pondrelli Bologna Direttore del sito marx21.it
Alexander Höbel Roma Storico, Università di Sassari
Antonio Di Stasi Ancona Avvocato e docente universitario. Comitato No guerra No Nato
Pietro Adamo, Ordinario di Storia pensiero politico, Univ. Di Torino
Salvatore Tiné Docente di Storia dell’Europa Univ. di Catania.
Francesco Galofaro docente di semiotica, Università IULM di Milano
Susan Petrilli Università di Bari, Prof. Ordinario di Semiotica
Giuseppe Amata già professore ordinario dell’Università di Catania
Matteo Carbonelli Roma docente di diritto internazionale
Francesco Violante Università di Bari – docente di Storia medievale
Nicoletta Manuzzato Milano giornalista
Eugenio Zaniboni Univ. di Foggia, Docente di Diritto internazionale
Giovanna Nigi Gubbio giornalista e scrittrice
Salvatore Vitale Nuzzo già Ordinario di Fisica Generale, Università di Bari
Mihaela Ciobanu Roma Dottora in scienza politica, Direttivo Associazione “Futura umanità”
Giuliano Velliscig Udine Editore – Associazione culturale Euritmica
Gaetano Colantuono Bari redazione Quaderni di Risorgimento socialista
Dario Rossi Genova avvocato, Associazione giuristi democratici Genova
Vito Micunco Bari Rete dei Comitati per la pace di Puglia
Pierfrancesco Semerari Bari Funzionario Regione Puglia
Giuseppe Aragno, storico, poeta, univ. Federico II di Napoli
Marina Penasso, documentalista, Torino
Loris Caruso, Sociologo, Univ. di Bergamo
Antonio Minaldi, Palermo
Eloisa d’Orsi, fotoreporter, Milano-Barcellona
Danila Ghigliano, artista, Torino
SEGUONO CIRCA ALTRE 1500 FIRME
Per aderire: italiapalestina2024@gmail.com
*(fonte: Il Manifesto)

 

02 – Emiliano Brancaccio*: LA «RAGIONE» DEL CAPITALISMO GENERA I MOSTRI DELLA GUERRA. OPINIONI. LA STORIA IN CORSO NON VEDE IL «DECLINO DELLA VIOLENZA» RISPETTO AL PASSATO, COME DICE IL PENSIERO OTTIMISTICO, MA IL SUO SVILUPPO, CON PIÙ CONFLITTI SANGUINOSI, ARMI PIÙ DISTRUTTIVE, PIÙ VITTIME

Quale futuro ci attende per gli anni a venire? Gli intellettuali di grido affrontano questo angoscioso interrogativo offrendo due tipi
di risposte. Quella mistica, che affida le nostre sorti all’imperscrutabile volontà di un dio o degli astri. E quella cinica, in fondo simile, che rigetta l’intera questione riducendo la storia umana a un misterioso ammasso di imprevedibili eventi accidentali.

Per dirla con György Lukács, il fatto che questo pigro genere di risposte oggi accontenti i più, è una prova che viviamo un’epoca di grottesco irrazionalismo.

Per fortuna esiste anche un modo più serio di affrontare i grandi interrogativi sulle prospettive dell’umanità. Consiste nel seguire un’indicazione dei modernizzatori del materialismo, secondo cui la storia può essere intesa come una sorta di «scienza del futuro». In parole semplici, pur tra sussulti e rovesciamenti, si tratta di tirar fuori dagli avvenimenti passati le possibili linee di tendenza per gli anni a venire.

PER CHIARIRE IL PUNTO, consideriamo il caso che più angustia le coscienze di questo tempo: la guerra. Le tendenze storiche di lungo periodo muovono verso il conflitto o verso la pace mondiale? Una risposta ottimista è venuta dal celebre scienziato cognitivo Stephen Pinker, secondo cui la storia umana tende verso un «declino della violenza»: dalle società primitive fino ai giorni nostri, i dati indicherebbero un calo consistente delle vittime di guerra in rapporto alla popolazione mondiale. Una magnifica sorte, secondo Pinker, che si spiegherebbe soprattutto con l’avvento del capitalismo liberale e democratico e con i moti di pace che tale illuminata civiltà porterebbe in dote. Tutto confortante, ma a ben vedere anche scientificamente fragile.

La rosea tesi di Pinker ha suscitato un’ampia discussione tra gli studiosi, da cui purtroppo non sono emersi molti riscontri favorevoli. Stando a ricerche più accurate che utilizzano archi temporali più definiti e termini di paragone più adeguati, robuste evidenze di un declino delle vittime di guerra non si trovano. Anzi, se si concentra l’attenzione su questo secolo e si rapporta il numero di vittime a indicatori maggiormente associati ai processi economici, i risultati sono inquietanti: i morti causati da conflitti militari aumentano sia in termini assoluti, sia in rapporto alla produzione di armi, sia in rapporto alla produzione totale di merci, con un incremento di oltre un terzo nell’arco di un ventennio. Come a dire, abbiamo a che fare con armamenti più distruttivi e con un capitalismo ancor più sanguinario che in passato.

ALTRO CHE DECLINO, dunque. Sarebbe piuttosto il caso di parlare di uno «sviluppo della violenza» militare nel tempo. Ma come spiegare un tale andamento? Una possibilità consiste nel collegarlo a una famigerata tesi marxiana, che di recente ha trovato conferme empiriche: è la tendenza verso la centralizzazione dei capitali nelle mani di un manipolo sempre più ristretto di grandi proprietari, avvalorata dal fatto che oltre l’ottanta percento del capitale azionario mondiale è ormai controllato da meno del due percento degli azionisti. Detto con una metafora, i dati indicano che il pesce grosso mangia il pesce piccolo e così diventa sempre più grosso. Ebbene, il guaio di questa tendenza è che porta alla formazione di imponenti blocchi monopolistici, i quali sono prima o poi destinati a scontrarsi sui mercati internazionali in una lotta non più solo economica ma anche militare. Ossia, una guerra imperialista.

Magari a pezzi, come si usa dire oggi. Se così stanno le cose, tocca pure correggere Goya. Non è il sonno della ragione ma è la stessa «ragione» capitalistica – la sua «legge» di movimento – che a quanto pare genera i mostri della guerra.
Il fiducioso Pinker replicherebbe che una tale angosciosa prospettiva trova un fiero ostacolo nello spirito pacifista delle democrazie liberali, a suo avviso poco inclini al conflitto militare. In realtà, l’ipotizzata riluttanza delle democrazie capitaliste verso la guerra trova riscontri modesti, soprattutto negli ultimi tempi.

ANCHE IN TAL CASO è probabile che giochi un ruolo la tendenza verso la centralizzazione dei capitali. Dopotutto, se il potere economico si concentra, presto o tardi tocca pure concentrare il potere politico in poche mani. Si spiegherebbe così pure l’odierna smania di «riforme» per rafforzare i poteri dei governi e ridurre le aule parlamentari all’irrilevanza. Con l’effetto, tra l’altro, di abbattere le residue difese democratiche contro le nuove fiammate di militarismo.

Lo scrittore di fantascienza Ray Bradbury diceva che una distopia non serve a descrivere un orrido futuro ma a prevenirlo. Iniziamo allora la prevenzione dicendo una verità. Le principali minacce alla democrazia e alla pace non vengono da qualche nemico esterno, ma dalle tendenze di fondo del capitalismo contemporaneo
*(Fonte Il Manifesto. Emiliano Brancaccio, è un economista e saggista italiano)

 

03 – Alfiero Grandi*: IL CENTROSINISTRA PUÒ FERMARE L’ASSALTO ALLA COSTITUZIONE MA DEVE CREDERCI- GIORGIA MELONI NELLA CONFERENZA STAMPA HA DIMOSTRATO DI NON AVERE STUDIATO.

Infatti ha continuato a sostenere che il cambiamento della Costituzione firmato dal Governo non toccherebbe i poteri del Presidente della Repubblica e il ruolo del parlamento. È una balla, come hanno già dimostrato tanti costituzionalisti.
Basta ragionarci sopra. Se il Presidente del Consiglio aumenta i suoi poteri è evidente che li sottrae a qualcun altro. È ora di smettere di fingere che le modifiche non cambiano il ruolo del Presidente della Repubblica perché perderebbe in pratica il potere di nominare il Presidente del Consiglio che viene eletto direttamente e non potrebbe tentare di risolvere crisi di governo con altre proposte. In pratica se salta l’eletto dal popolo salta la legislatura. Inoltre il Presidente della Repubblica non potrebbe più decidere di sciogliere le Camere perché solo le dimissioni dell’eletto possono portare a elezioni anticipate. Il Presidente della Repubblica verrebbe ridotto a un notaio.

IL PREMIERATO CAMBIA LA NATURA DEMOCRATICA E ANTIFASCISTA DELLA REPUBBLICA
Non a caso La Russa, rendendosi conto dell’enormità delle affermazioni che i poteri del Presidente della Repubblica non verrebbero toccati, si è arrampicato sugli specchi affermando che gli verrebbero tolti solo poteri non scritti (tesi quanto meno ardita) ammettendo implicitamente che verrebbe ridimensionato.
Il parlamento verrebbe ridotto ad un ruolo di mera approvazione dei provvedimenti del Governo dove verrebbero concentrati i poteri, ovviamente sottratti alle altre sedi istituzionali.
È rivelatrice la risposta di Giorgia Meloni sulla legge elettorale quando ha risposto ad una domanda dimostrando di essere preoccupata solo della percentuale di voti in grado di fare scattare il premio di maggioranza per arrivare al 55% dei parlamentari, visto come la garanzia per il Presidente del Consiglio eletto direttamente.
Nel frattempo la destra è già alacremente al lavoro per accrescere i poteri del Governo e in particolare del Presidente del Consiglio. Basta pensare alla legge sull’autonomia regionale differenziata che ha inglobato emendamenti di Fratelli d’Italia che affidano al Presidente del Consiglio la decisione finale sulle materie oggetto di decentramento alle Regioni, infatti può aggiungere o togliere senza dovere renderne conto. Ci sono altri esempi di un lavorio intenso per trasferire altri poteri al Presidente del Consiglio.
Dalle risposte di Giorgia Meloni è apparso chiaro che il modello di riferimento sono le Regioni, i cui Presidenti sono presi a riferimento, perfino invidiati.

IL SISTEMA ISTITUZIONALE RISCHIA DI RIMANERE SENZA CONTRAPPESI
È evidente che nascondere i contraccolpi delle modifiche costituzionali serve ad evitare di affrontare la delicatissima questione dei contrappesi di potere, della serie: se non ci sono sostanziali modifiche istituzionali non c’è bisogno di contrappesi. Questa finzione va denunciata e va chiarito che si tratta di una modifica di fondo della Costituzione del 1948, democratica (basata sulla separazione dei poteri) e antifascista, quindi contraria all’accentramento dei poteri in una persona, in questo caso il Presidente del Consiglio.
Perché una maggioranza che ha ottenuto un premio di maggioranza del 15%, grazie alla legge elettorale in vigore, con il quale ha ora una maggioranza schiacciante in parlamento del 59% vuole a tutti i costi cambiare la Costituzione? Ne ha bisogno, vuole cambiare la Costituzione per raccontare al paese la favoletta che la responsabilità degli scarsi risultati sarebbe della Costituzione e che un Presidente del Consiglio con maggiori poteri potrebbe ottenere ben altri risultati. Un rovesciamento della realtà.
I risultati del Governo sono scarsi o addirittura controproducenti perché questa destra non riesce ad affrontare la realtà con le sue parole d’ordine e quindi deve scaricare le colpe sulla Costituzione. Per di più ha oggi una maggioranza che le consentirebbe di fare scelte importanti ma non ne è capace o non vuole farle e quindi cerca una via di fuga, uno scaricabarile pericoloso sulla Costituzione. Per di più Fratelli d’Italia, anche per compensare i vuoti politici, cerca di compattare il suo mondo su parole d’ordine di accentramento dei poteri in una persona che da sempre sono un obiettivo della destra, prima con il presidenzialismo, ora con il premierato.
Infine Giorgia Meloni ha chiarito che il Governo procederà non solo con le modifiche della Costituzione ma anche con l’autonomia regionale differenziata voluta ad ogni costo dalla Lega.
Le opposizioni non debbono illudersi, la destra ha un obiettivo eversivo nei confronti della nostra Costituzione e quindi occorre cercare di bloccare in parlamento i progetti di legge sull’autonomia regionale differenziata e sulle modifiche della Costituzione, usando tutti i mezzi leciti a disposizione ma anche preparandosi al referendum costituzionale. Le opposizioni debbono respingere le proposte della destra senza sé e senza ma e prepararsi al referendum costituzionale.
Le destre non hanno i due terzi dei parlamentari per evitare il referendum popolare. Solo una frana nell’opposizione può consentire alle destre di evitare il referendum popolare. Se le opposizioni avranno al centro l’obiettivo di attuare e difendere la Costituzione troveranno in questo il fondamento per costruire uno schieramento alternativo alle destre, per un’alternativa di governo.
*(Alfiero Grandi

04 – Carlotta Degl’innocenti*: IL DI¬RIT¬TO DEL¬LE MI¬NO¬RAN¬ZE E LA SO¬CIE¬TÀ DEL “TRO¬PO”: LA MODA DEL GEN¬DE¬RI¬SMO.
IL SEN¬TI¬MEN¬TO COL¬LET¬TI¬VO E L’IM¬PO¬SI¬ZIO¬NE
È la so¬cie¬tà del “trop¬po” o del “tro¬po”? Se il tro¬po è ma¬schi¬le, per ar¬ri¬va¬re al trop¬po ci vuo¬le una “p” che è al fem¬mi¬ni¬le. E così an¬che in un’ot¬ti¬ca “de¬co¬strut¬ti¬va” del¬la pa¬ro¬la, il fem¬mi¬ni¬le in¬te¬gra e com¬ple¬ta il ma¬schi¬le e vi¬ce¬ver¬sa. Quan¬ti giri di pa¬ro¬le per in¬tra¬pren¬de¬re una ri¬fles¬sio¬ne. Al pari del “Can¬cre” di un poe¬ma di Jac¬ques Pré¬vert, che du¬ran¬te un’in¬ter¬ro¬ga¬zio¬ne fi¬ni¬sce per can¬cel¬la¬re sul¬la la¬va¬gna tut¬te le pa¬ro¬le, le let¬te¬re e i nu¬me¬ri, si de¬li¬nea un pa¬no¬ra¬ma ir¬rea¬le per cui vie¬ne vo-glia di get¬ta¬re in aria tut¬te le car¬te, strap¬pa¬re le pa¬gi¬ne dei li¬bri “inu¬ti¬li”, per co¬ro¬na¬re l’as¬so¬lu¬to dei tem¬pi at¬tua¬li, de¬fi¬ni¬ti con la pa¬ro¬la an¬glo¬fo¬na del¬la “can¬cel cul¬tu¬re” ov¬ve¬ro “can¬cel¬la¬zio-ne del¬la cul¬tu¬ra”.
Il pro¬ble¬ma è ben più pro¬fon¬do e lo si può de¬cli¬na¬re in ogni am¬bi¬to: so¬cie¬tà ci¬vi¬le, scien¬za, in¬di¬vi-duo, iden¬ti¬tà fino alla stes¬sa na¬tu¬ra uma¬na, ar¬ri¬van¬do alla sua com¬ple¬ta ne¬ga¬zio¬ne. Ol¬tre al tema del¬la “can¬cel cul¬tu¬re” po¬trem¬mo sen¬z’al¬tro as¬se¬ri¬re che il pro¬ble¬ma odier¬no è il ne¬ga¬zio¬ni¬smo, con sfac¬cet¬ta¬tu¬re piut¬to¬sto al¬lar¬man¬ti sia eti¬ca¬men¬te che da un pun¬to di vi¬sta cli¬ni¬co. In psi¬chia¬tria esi¬ste il ga¬s lighting: “una for¬ma di ma¬ni¬po¬la¬zio¬ne psi¬co¬lo¬gi¬ca vio¬len¬ta e sub¬do¬la nel¬la qua¬le ven-go¬no pre¬sen¬ta¬te alla vit¬ti¬ma fal¬se in¬for¬ma¬zio¬ni con l’in¬ten¬to di far¬la du¬bi¬ta¬re del¬la sua stes¬sa me-mo¬ria e per¬ce¬zio¬ne”.
Nel¬la fat¬ti¬spe¬cie, non si trat¬ta più di fi¬gu¬re re¬to¬ri¬che e al¬le¬go¬ri¬che per cui è una que¬stio¬ne di sti¬le let¬te¬ra¬rio, di nar¬ra¬ti¬va o sfu¬ma¬tu¬re. È la ca¬pa¬ci¬tà di far du¬bi¬ta¬re l’in¬di¬vi¬duo del¬la sua per¬ce¬zio¬ne del¬la real¬tà, ca¬po¬vol¬gen¬do e fa¬cen¬do slit¬ta¬re qual¬sia¬si con¬no¬ta¬to o pa¬ra¬me¬tro del rea¬le, cer¬tez¬ze e di con¬se¬guen¬ze “si¬cu¬rez¬ze”.
BI¬NO¬MIO MA¬SCHI¬LE/FEM¬MI¬NI¬LE: LA CUL¬TU¬RA DEL¬LA SE¬PA¬RA¬ZIO¬NE
Ad es¬se¬re col¬pi¬te non sono so¬la¬men¬te la cul¬tu¬ra e l’i¬den¬ti¬tà, quan¬to la na¬tu¬ra stes¬sa de¬gli es¬se¬ri vi-ven¬ti con l’av¬ven¬to del “gen¬de¬ri¬smo” im¬po¬sto alla col¬let¬ti¬vi¬tà. Dal gior¬no al¬l’in¬do¬ma¬ni, nel nome del¬la tu¬te¬la del¬le mi¬no¬ran¬ze, gli in¬di¬vi¬dui si sono vi¬sti im¬por¬re il fat¬to che una don¬na che era don-na sia de¬fi¬ni¬ta “per¬so¬na con ses¬so neu¬tro” e può au¬to¬de¬fi¬nir¬si “uomo”. Vi¬ce¬ver¬sa, per l’uo-mo. Quel¬lo che era un’ov¬vie¬tà or¬mai non lo è più e se qual¬cu¬no pro¬va a chie¬de¬re “in ogni es¬se¬re vi¬ven¬te mam¬mi¬fe¬ro che sia, vi sono il ma¬schio e la fem¬mi¬na e la ri¬pro¬du¬zio¬ne stes¬sa pas¬sa nel¬la loro unio¬ne, vie¬ne re¬pli¬ca¬to in mo¬da¬li¬tà in¬tel¬li¬gen¬za ar¬ti¬fi¬cia¬le, sti¬le chat GPT: mi de¬fi¬ni¬sca il con¬cet¬to di or¬ga¬ni¬smo vi¬ven¬te”. For¬se per¬ché sia¬mo del¬le ame¬be?
Una ne¬ga¬zio¬ne del¬la na¬tu¬ra ma¬ni¬po¬la¬to¬ria al¬lar¬man¬te che por¬ta ad¬di¬rit¬tu¬ra al¬l’ac¬cet¬ta¬zio¬ne del¬la gra¬vi¬dan¬za ma¬schi¬le (con il tra¬pian¬to del¬l’u¬te¬ro nel¬l’uo¬mo) op¬pu¬re al¬l’ec¬to¬ ge¬ne¬si, so¬ste¬nu¬ta tra l’al¬tro dal pro¬gram¬ma Ho¬ri¬zon 2020 del¬l’U¬nio¬ne eu¬ro¬pea per lo svi¬lup¬po di un pro¬to¬ti¬po di ute¬ro ar¬ti¬fi¬cia¬le per cui sono sta¬ti crea¬ti de¬gli in¬cu¬ba¬to¬ri dove far svi¬lup¬pa¬re un feto e far cre¬sce¬re un bam¬bi¬no in un am¬bien¬te ar¬ti¬fi¬cia¬le ester¬no al cor¬po ma¬ter¬no. Lo sco¬po non è quel¬lo di dare un con¬tri¬bu¬to al set¬to¬re del¬la pro¬crea¬zio¬ne as¬si¬sti¬ta. Nel¬la pro¬mo¬zio¬ne del pro¬get¬to, era spe¬ci¬fi¬ca¬to che que¬sto in¬cu¬ba¬to¬re of¬fri¬va pari op¬por¬tu¬ni¬tà di vi¬ve¬re la gra¬vi¬dan¬za sia al pa¬dre che alla ma¬dre e dava la pos¬si¬bi¬li¬tà alla don¬na di con¬ti¬nua¬re ad an¬da¬re al la¬vo¬ro du¬ran¬te “la gra¬vi¬dan¬za”. Ep¬pu¬re, mol¬te ri¬cer¬che in am¬bi¬to evo¬lu¬ti¬vo han¬no evi¬den¬zia¬to che lo svi¬lup¬po sano di un bam¬bi¬no e la sua at¬ti¬vi¬tà co¬no¬sci¬ti¬va, non¬ché gli aspet¬ti re¬la¬zio¬na¬li ini¬zia¬no pro¬prio dal¬la fase fe¬ta¬le nel ven¬tre ma-ter¬no. Do¬v’è la tu¬te¬la del mi¬no¬re? Dei bam¬bi¬ni?
Le don¬ne che si con¬si¬de¬ra¬no fem¬mi¬ni¬ste, in tal sen¬so avreb¬be¬ro do¬vu¬to in¬di¬gnar¬si, ri¬bel¬lar¬si, a que¬sto scip¬po del¬la pro¬pria iden¬ti¬tà fem¬mi¬ni¬le, al suo sna¬tu¬ra¬men¬to; il fur¬to di uno dei più bei doni che la na¬tu¬ra ab¬bia dato alla don¬na, ov¬ve¬ro quel¬lo del¬la pro¬crea¬zio¬ne, la ma¬ter¬ni¬tà, l’a¬mo¬re ma¬ter¬no che di¬fen¬de la sua pro¬le a ri¬schio del¬la pro¬pria vita. Sen¬ti¬men¬to uni¬ver¬sa¬le che tro¬via¬mo in ogni for¬ma di vita.
LA TEC¬NI¬CA È QUEL¬LA DEL¬LO SLIT¬TA¬MEN¬TO
Quel¬lo a cui stia¬mo as¬si¬sten¬do è ad una pro¬gres¬si¬va can¬cel¬la¬zio¬ne dei ter¬mi¬ni, del¬le ca¬te¬go¬rie, dei va¬lo¬ri, dei sim¬bo¬li, del¬la cul¬tu¬ra, del¬le no¬stre ra¬di¬ci ma an¬che del¬la no¬stra iden¬ti¬tà na¬tu¬ra¬le. Sa¬reb-be in¬ve¬ce suf¬fi¬cien¬te in¬se¬gna¬re il “ri¬spet¬to” che pas¬sa at¬tra¬ver¬so “la co¬no¬scen¬za di sé e del¬l’al¬tro” nel¬le sue di¬ver¬si¬tà an¬che tran¬sgen¬der, così come spie¬ga¬to da Ema¬nuel Le¬vi¬nas “Chi sono io da¬van-ti al¬l’al¬tro?”.
A par¬ti¬re dal¬la ri¬mo¬zio¬ne del¬le “cro¬ci” nel¬le scuo¬le, pas¬san¬do per la re¬gi¬stra¬zio¬ne ana¬gra¬fi¬ca e i do¬cu¬men¬ti d’i¬den¬ti¬tà, pro¬se¬guen¬do nei li¬bri per bam¬bi¬ni dove vie¬ne il¬lu¬stra¬ta la pos¬si¬bi¬li¬tà ad un bam¬bi¬no di es¬se¬re fem¬mi¬na e vi¬ce¬ver¬sa, in¬se¬gnan¬do l’e¬du¬ca¬zio¬ne ses¬sua¬le, fino al¬l’ob¬bli¬go im¬po-sto ai re¬gi¬sti ci¬ne¬ma¬to¬gra¬fi¬ci di in¬clu¬de¬re sem¬pre fi¬gu¬re omo¬ses¬sua¬li, gen¬der, di co¬lo¬re o con han-di¬cap nei loro film, al¬tri¬men¬ti ven¬go¬no esclu¬si dal¬le pre¬mia¬zio¬ni. Do¬v’è la spon¬ta¬nei¬tà? L’i¬po¬cri-sia è ar¬ri¬va¬ta al suo api¬ce, la can¬cel¬la¬zio¬ne e il rest del pen¬sie¬ro sono sta¬ti av¬via¬ti.
Dai di¬rit¬ti del¬le don¬ne si è pas¬sa¬ti alle quo¬te rose: l’ob¬bli¬go di rap¬pre¬sen¬tan¬za con quo¬te fem¬mi¬ni-le è in real¬tà un ele¬men¬to di di¬scri¬mi¬na¬to¬rio e non in¬clu¬si¬vo. Una don¬na non ha bi¬so¬gno di quo¬te, si rap¬pre¬sen¬ta da sola.
La ba¬na¬liz¬za¬zio¬ne di que¬sti ar¬go¬men¬ti sta por¬tan¬do a non¬sen¬si e dis¬so¬nan¬ze co¬gni¬ti¬ve, già gra¬va¬te nei gio¬va¬ni dal¬l’ul¬tra tec¬no¬lo¬giz¬za¬zio¬ne. Dare voce a per¬so¬ne che as¬se¬ri¬sco¬no che a tre anni i bam-bi¬ni non sono né ma¬schio né fem¬mi¬na, per as¬se¬con¬da¬re la teo¬ria del gen¬der, è eti¬ca¬men¬te e mo¬ral-men¬te scor¬ret¬to, si¬gni¬fi¬ca ne¬ga¬re la real¬tà ov¬ve¬ro che i bam¬bi¬ni in quel¬la fase sco¬pro¬no pro¬prio la loro iden¬ti¬tà ses¬sua¬le, il loro ses¬so at¬tra¬ver¬so l’ec¬ci¬ta¬zio¬ne, le dif¬fe¬ren¬ze e da là im¬pa¬ra¬no a re¬la-zio¬nar¬si al mon¬do. Vo¬glia¬mo uc¬ci¬de¬re an¬che l’in¬no¬cen¬za, il bri¬vi¬do del¬la sco¬per¬ta e ap¬piat¬ti¬re l’e-mo¬zio¬ne del¬la sor¬pre¬sa?
LE MI¬NO¬RAN¬ZE- La tu¬te¬la del¬le mi¬no¬ran¬ze e il tema del¬l’in¬clu¬si¬vi¬tà è ar¬ri¬va¬to ad estre¬mi¬smi im¬ba¬raz¬zan¬ti. Una stra¬te¬gia eu¬ro¬pea la “Gen¬der equa¬li¬ty stra¬te¬gy”, con tan¬to di pro¬gram¬ma e di azio¬ni chia¬ve, spe¬ci¬fi¬ca quan¬to se¬gue: “THE GOAL IS A UNION WHE¬RE WO¬MEN AND MEN, GIRLS AND BOYS, IN ALL THEIR DI¬VER¬SI¬TY, ARE FREE TO PUR¬SUE THEIR CHO¬SEN PATH IN LIFE, HAVE EQUAL OP¬POR¬TU¬NI¬TIES TO TH¬RI¬VE, and AND CAN EQUAL¬LY PAR¬TI¬CI¬PA¬TE IN AND LEAD OUR EU¬RO¬PEAN SO¬CIE¬TY.” (L’o¬biet¬ti¬vo è un’u¬nio¬ne dove uo¬mi¬ni e don¬ne, fem-mi¬ne e ma¬schi, in tut¬te le loro di¬ver¬si¬tà, sia¬no li¬be¬ri di per¬se¬gui¬re le loro scel¬te nel¬la vita, ab¬bia¬no le stes¬se op¬por¬tu¬ni¬tà di pro¬spe¬ra¬re, par¬te¬ci¬pa¬re e es¬se¬re at¬ti¬vi nel¬la no¬stra so¬cie¬tà).
L’en¬ne¬si¬mo sber¬lef¬fo al di¬rit¬to di vi¬ve¬re la pro¬pria iden¬ti¬tà fem¬mi¬ni¬le/ma¬schi¬le si è pa¬le¬sa¬to al-l’in¬do¬ma¬ni del dram¬ma¬ti¬co caso del¬la gio¬va¬ne Giu¬lia Cec¬chet¬tin, uc¬ci¬sa dal fi¬dan¬za¬to. Una straor-di¬na¬ria mes¬sa in sce¬na me¬dia¬ti¬ca che a dire il vero avreb¬be do¬vu¬to in¬di¬gna¬re, ma che il go¬ver¬no e i po¬li¬ti¬ci han¬no stru¬men¬ta¬liz¬za¬to per ca¬val¬ca¬re l’on¬da bi¬par¬ti¬san e far pas¬sa¬re la li¬nea eu¬ro¬pei¬sta “gen¬der” e non per con¬tra¬sta¬re la vio¬len¬za, con l’in¬tro¬du¬zio¬ne del¬le “re¬la¬zio¬ni sen¬ti¬men¬ta¬li” nel-le scuo¬le.
LA BAN¬DIE¬RA MA¬TRIAR¬CA
Al gri¬do del “mor¬te al pa¬triar¬ca¬to” “sì al ma¬triar¬ca¬to”, le don¬ne si ri¬bel¬la¬no alla vio¬len¬za ma¬schi-li¬sta. Ep¬pu¬re, non han¬no ca¬pi¬to che sono vit¬ti¬me a loro vol¬ta di una mes¬sa in sce¬na, di una stra¬te-gia ne¬ga¬zio¬ni¬sta. Il gio¬va¬ne so¬cio¬lo¬go Ro¬ber¬to Si¬co¬nol¬fi, ri¬pren¬den¬do l’in¬ter¬ven¬to di Mas¬si¬mo Cac¬cia¬ri, al pro¬gram¬ma “Ot¬toe¬mez¬zo”, che ha par¬la¬to del¬la fine del pa¬triar¬ca¬to da ol¬tre 200 anni, ha ri¬cor¬da¬to che quan¬do si par¬la di pa¬triar¬ca¬to e ma¬triar¬ca¬to en¬tria¬mo nel re¬gno me¬ta¬fi¬si¬co. An¬co-ra una vol¬ta, at¬tra¬ver¬so l’u¬ti¬liz¬zo er¬ra¬to dei ter¬mi¬ni, si ope¬ra alla loro can¬cel¬la¬zio¬ne di si¬gni¬fi¬ca¬to. “I TER¬MI¬NI PA¬TRIAR¬CA¬TO E MA¬TRIAR¬CA¬TO -RI¬COR¬DA SI¬CO¬NOL¬FI- SONO SI¬STE¬MI DI ORIEN¬TA¬MEN¬TO VA¬LO¬RIA¬LE E SPI¬RI¬TUA¬LE DEL¬LA SO¬CIE¬TÀ E DEL¬L’UO¬MO NEL¬LA ME¬TA-FI¬SI¬CA. IN REAL¬TÀ, SIA¬MO IN UNA SO¬CIE¬TÀ MA¬TRIAR¬CA¬LE DAL¬L’AV¬VEN¬TO DEL¬LA MO-DER¬NI¬TÀ E DEL MA¬TE¬RIA¬LI¬SMO, NEL¬LA SE¬PA¬RA¬ZIO¬NE DAL MON¬DO DEL¬LO SPI¬RI¬TO, DEL PA¬DRE. IL MA¬TRIAR¬CA¬TO HA LA RA¬DI¬CE DI ‘MA¬TER’, ‘MA¬TE¬RIA’, ‘MA¬TE¬RIA¬LI¬SMO’ CHE È IL DO¬MI¬NIO DEL¬LA DON¬NA”.
Ed è così che oggi pos¬sia¬mo pen¬sa¬re che a que¬sta so¬cie¬tà omo¬lo¬gan¬te e glo¬ba¬liz¬zan¬te che ap¬piat¬ti-sce l’in¬di¬vi¬duo, l’es¬se¬re ri¬vo¬lu¬zio¬na¬rio si¬gni¬fi¬ca es¬se¬re tra¬di¬zio¬na¬li¬sta. L’ag¬gres¬si¬vi¬tà e la cen¬su¬ra che vie¬ne ap¬pli¬ca¬ta a voci con¬tro¬cor¬ren¬te è una mor¬ti¬fi¬ca¬zio¬ne. Ci chie¬dia¬mo al¬lo¬ra dove sia la tu-te¬la del¬le mi¬no¬ran¬ze?
Ri¬ven¬di¬ca¬re l’es¬se¬re ete¬ro, l’es¬sen¬za fem¬mi¬ni¬le è un tabù e pro¬vo¬ca nel¬l’e¬ra del¬la IA una nuo¬va cac¬cia alle stre¬ghe che non han¬no più il di¬rit¬to di de¬fi¬nir¬si don¬ne per non par¬la¬re del ma¬schio, an-cor più se bian¬co ed ete¬ro¬ses¬sua¬le, or¬mai eti¬chet¬ta¬to come do¬mi¬na¬to¬re da im¬ba¬va¬glia¬re. Beh, c’è da chie¬der¬si se que¬sto ma¬te¬ria¬li¬smo “fem¬mi¬ni¬le” for¬se non ab¬bia con¬tri¬bui¬to a ge¬ne¬ra¬re que¬st’uo-mo ibri¬do, de¬pri¬van¬do¬lo e al¬lon¬ta¬nan¬do¬lo dal¬la sua fun¬zio¬ne ori¬gi¬na¬ria di “pa¬ter”.
La cre¬sci¬ta di un in¬di¬vi¬duo e di una col¬let¬ti¬vi¬tà non de¬ri¬va dal¬l’ap¬piat¬ti¬men¬to, ben¬sì dal con¬fron¬to. L’in¬te¬gra¬zio¬ne del ma¬schi¬le e fem¬mi¬ni¬le e l’ap¬por¬to del¬l’uo¬mo e del¬la don¬na nel mon¬do del la¬vo-ro e nel¬la so¬cie¬tà, nel¬la teo¬ria del¬la com¬ples¬si¬tà, co¬nia¬ta dal so¬cio¬lo¬go fran¬ce¬se, di ori¬gi¬ne ita¬lia-na, Ed¬gar Mo¬rin, ri¬sie¬de pro¬prio nel¬le qua¬li¬tà spe¬ci¬fi¬che bio¬lo¬gi¬che del¬l’uo¬mo e del¬la don¬na, nel¬la loro di¬ver¬si¬tà e for¬se nel¬le im¬per¬fe¬zio¬ni del¬la na¬tu¬ra che ci ren¬de uni¬ci. Mary sarà sem¬pre “Mary per sem¬pre”. Nes¬sun in¬ter¬ven¬to chi¬rur¬gi¬co, nes¬sun do¬cu¬men¬to, nes¬sun di¬vie¬to po¬trà mai cam¬bia¬re l’u¬ni¬ci¬tà di una per¬so¬na, la sua vera ric¬chez¬za. “YOU CAN’T RUN AWAY FROM YOUR¬SELF” (Non puoi scap¬pa¬re da te stes¬so), re¬ci¬ta una can¬zo¬ne di Bob Mar¬ley.
Un fre¬no a tut¬ta que¬sta de¬ri¬va ma¬ni¬po¬la¬to¬ria e de¬strut¬tu¬ran¬te, per evi¬ta¬re di ge¬ne¬ra¬re una so¬cie¬tà de¬via¬ta, con gra¬vi for¬me di dis¬so¬nan¬ze co¬gni¬ti¬ve, è for¬se ne¬ces¬sa¬rio.
(Fonte: Italiani. Carlotta Degl’Innocenti. Storica dell’arte, pubblicista, con conoscenza del territorio della Sabin)

 

05 – Alfiero Grandi*: 2024: UN ANNO CRUCIALE PER FERMARE LA RIFORMA COSTITUZIONALE DELLA DESTRA. Le destre hanno ottenuto nel 2022 il 59% dei deputati e dei senatori, con una maggioranza parlamentare che non ha eguali nella storia degli ultimi decenni: nel 2008 Berlusconi si era fermato al 54%. Ciò grazie alla legge elettorale in vigore che è maggioritaria, con un premio di maggioranza occulto che nel 2022 è arrivato al 15%, più del Porcellum.
Questo dato rivela che l’attuale difficoltà della maggioranza è tutta politica. Le destre non sono in grado di presentare al Paese, e al loro elettorato, risultati paragonabili alle promesse elettorali. L’alluvione di decreti legge con cui stanno governando conferma decisioni episodiche, raffazzonate, corporative. Per di più all’interno della maggioranza c’è un’aspra concorrenza, più di quanto si vuole fare apparire. Questo spinge Giorgia Meloni a cercare nelle modifiche della Costituzione il capro espiatorio delle difficoltà che incontra il Governo. È il tentativo di compensare le difficoltà del governare con un obiettivo che storicamente sta molto a cuore alle destre come l’elezione diretta del capo, in questo caso del presidente del Consiglio. Non basta più, alla destra, il criterio che chi prende più voti guida la maggioranza, visto che tra le sue componenti c’è una dura concorrenza politica sul piano interno ed europeo in vista delle elezioni del 9 giugno. Per questo sbaglia chi pensa che Giorgia Meloni possa ritirare la proposta di legge che modifica la Costituzione: la presidente del Consiglio ne ha assoluto bisogno anche in vista delle elezioni europee, per compensare l’autonomia regionale differenziata a cui la Lega punta per avere un risultato da spendere in campagna elettorale.
La proposta di Giorgia Meloni ha due pilastri. Il primo è l’elezione diretta del presidente del Consiglio dei Ministri. Il secondo è una legge elettorale maggioritaria (55%) che garantisca uno stretto collegamento tra il capo del governo, eletto direttamente, e i “suoi” parlamentari, grazie al fatto che per la prima lista (partito o coalizione) è previsto il 55% dei parlamentari anche con percentuali sotto il 40% (come ha rivelato il sottosegretario Fazzolari). Nella relazione del disegno di legge, come nelle presentazioni fin qui fatte, si afferma che la soluzione proposta non toccherebbe i poteri del Presidente della Repubblica. Questa è una balla, di cui deve essersi reso conto perfino il presidente del Senato La Russa che, uscendo dal suo ruolo, ha sostenuto che la proposta toglierebbe al presidente della Repubblica “un di più”, cioè i poteri attribuitigli oltre quanto previsto dalla Costituzione. Anche questa, peraltro, è una balla perché l’articolo 92 cella Costituzione è cristallino: il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio dei Ministri, senza vincoli e condizionamenti. Ma se il presidente del Consiglio è eletto direttamente, è inevitabile un conflitto con i poteri del presidente della Repubblica, destinato in futuro a un ruolo notarile. Il disegno di legge cambia i poteri. Del resto è così anche con il Parlamento la cui maggioranza (55%) avrebbe un legame a doppio filo con il capo del Governo, da cui dipenderebbe e di cui diventerebbe la “guardia pretoria”.

In queste settimane, in occasione della legge di bilancio 2024, c’è stata un’anticipazione di come cambierebbe il sistema politico e istituzionale. I capi dei partiti della maggioranza hanno “ordinato” ai loro parlamentari di non presentare emendamenti alle proposte del Governo, imponendone il ritiro a qualcuno che non obbediva (Lega), ma, ciononostante, l’approvazione è arrivata poco prima della scadenza e sol perché le opposizioni hanno deciso di non spingere la maggioranza verso l’esercizio provvisorio. I tempi di approvazione della legge di bilancio non sono migliorati, il Governo ha discusso gli emendamenti solo all’interno della maggioranza contraddicendo l’articolo 67 della Costituzione che prevede che i parlamentari agiscano senza vincolo di mandato e l’opposizione è stata relegata a iniziative senza speranza. È il modello che diventerebbe regola con il cambiamento della Costituzione e con una legge elettorale che mantenga la dipendenza dal presidente del Consiglio dei parlamentari, che potrebbero solo approvare i voleri del capo, senza alcuna autonomia. Verrebbe sterilizzato il ruolo politico del presidente della Repubblica verso il Governo e gli verrebbe sottratta la facoltà di sciogliere le Camere; e a questo si aggiungerebbe un Parlamento ridotto a un ruolo subalterno a fronte di un Governo che finirebbe con l’assorbire anche il potere legislativo.

Bisogna fermare questo delirio costituzionale. La modifica proposta non è di manutenzione ma di cambiamento radicale della Costituzione antifascista e democratica, fondata su una netta separazione dei poteri e dei compiti, perché l’obiettivo è portare l’Italia verso una Costituzione accentratrice e autocratica. Fratelli d’Italia lascia capire che in questo modo si contrasterebbero le spinte della Lega verso la secessione delle regioni ricche, definizione non così lontana dalla realtà perché l’obiettivo dell’autonomia regionale differenziata è trasferire poteri, e soprattutto risorse per esercitarli, a Lombardia e Veneto. Così i cambiamenti inseriti da Fratelli d’Italia nel disegno di legge Calderoli vanno nella direzione di affidare al solo presidente del Consiglio la possibilità, negli accordi con le regioni, di mettere e togliere materie da devolvere, senza l’obbligo di sentire preliminarmente il Parlamento, che è già trattato, di fatto, come un organo di mera ratifica delle decisioni del Governo. Il disegno di legge costituzionale, fingendo di limitarsi a pochi interventi, attacca frontalmente la Costituzione, mentre, in preparazione, si stanno sperimentando nuove attribuzioni di poteri al solo presidente del Consiglio, riducendo a ratifica il ruolo del Parlamento. La maggioranza usa il premio di maggioranza come clava per imporre uno stravolgimento della Costituzione.

Parte dell’opposizione sembra non avere compreso la natura cruciale della sfida a cui siamo di fronte. Ha, invece, le idee chiare Giorgia Meloni, che non a caso dice apertamente di voler chiedere il voto popolare a sostegno delle modifiche costituzionali. Anche con il soccorso di Renzi la maggioranza non arriverebbe ad approvare il disegno di legge con i due terzi dei parlamentari (circostanza che, sola, potrebbe impedire il referendum popolare). Soltanto una frana politica di altri settori dell’opposizione potrebbe consentire alle destre di evitare il referendum.

In questo contesto occorre aver chiaro che non c’è spazio per modificare la proposta del Governo. Fratelli d’Italia non può accettare cambiamenti di sostanza. Non siamo di fronte a tecnicismi, ma a una scelta politica che punta a restare al potere con la possibilità di avviare ulteriori cambiamenti istituzionali. Un esempio: se si voterà nel 2027, dopo due anni scadrà il mandato di Mattarella e la maggioranza uscita dalle urne potrebbe eleggere un suo presidente della Repubblica (magari La Russa) completando l’occupazione del potere, perché il Presidente nomina un terzo della Corte costituzionale e presiede il Consiglio superiore della magistratura. Questo disegno va nella direzione di quanto chiedevano all’Italia grandi finanziarie e agenzie di rating: abbandonare i connotati antifascisti e sociali della Costituzione nata dalla Resistenza.

Sarebbe imperdonabile dare ascolto alle sirene che si muovono per convincere settori dell’opposizione che con queste destre una trattativa è possibile. Non si può attenuare la denuncia del disegno autoritario in atto. Occorre preparare da subito gli argomenti che dovranno essere posti al centro del confronto politico parlamentare e nel paese, in vista del referendum popolare che andrà gestito come oppositivo, senza sé e senza ma. Non va sottovalutato l’argomento che Giorgia Meloni ha già usato: volete decidere voi elettori o lasciare decidere ai partiti? L’astensionismo è misura della sfiducia, del distacco dalla politica. Affermazioni come quelle della Meloni vengono fatte da chi è contemporaneamente presidente del partito che ha più voti, presidente dei Conservatori europei e presidente del Consiglio. È incredibile che proprio lei si appelli al voto diretto contro i partiti, ma ciò ha una spiegazione nel populismo della destra e nella volontà di non dipendere più, in futuro, da Salvini e da altri alleati.

Ma non basta dire no. È necessario ma non basta. Occorre contrapporre alla proposta di votare direttamente il presidente del Consiglio il ripristino dell’elezione diretta dei deputati e dei senatori da parte di elettrici ed elettori, per ridare un ruolo centrale al Parlamento come luogo della rappresentanza. In altre parole occorre cambiare la legge elettorale ma nella direzione opposta: sistema proporzionale e scelta diretta degli eletti da parte degli elettori (che oggi non hanno più rapporti diretti). Giorgia Meloni sta puntando a portarci fuori dalla Costituzione del 1948. Non è la prima che si prova a stravolgerla. Renzi è l’esempio più vicino, per fortuna sconfitto dal referendum nel 2016. Ma non è automatico che ciò accada di nuovo. Non sottovalutiamo la sfida attuale. È indispensabile che le opposizioni capiscano che è necessaria una svolta rispetto alla faciloneria con cui sono stati fatti in passato tentativi di cambiare la Costituzione, che ha bisogno più che mai di essere attuata e difesa, non stravolta. Non è stato un bell’esordio quello del neo presidente della Corte costituzionale che ha auspicato un accordo in Parlamento per evitare il referendum popolare. Questo appartiene a un passato che ha subito la pressione di un decisionismo volto ad affidare al Governo e al capo le decisioni. Oggi il ruolo del Governo si è dilatato fino a rendere il Parlamento subalterno. È il momento di ridare a quest’ultimo un ruolo decisivo, come da Costituzione, correggendo errori del passato, come la modifica del titolo V voluta nel 2001 dal centro sinistra, nel tentativo di inseguire la Lega sul suo terreno, che si è rivelata sbagliata in punti importanti e non è servita a dare vantaggi elettorali. L’indigestione nell’uso dei decreti legge, dei voti di fiducia, dei maxiemendamenti che le destre hanno portato a sistema sta creando seri problemi di ingorgo nei lavori parlamentari e peggiora le iniziative legislative, sempre più contingenti e propagandistiche. Il confronto parlamentare dovrebbe costringere tutti a dare il meglio di sé, a guardare lontano, ad agire per progetti, con lo sguardo al futuro.
La modifica della Costituzione proposta da Giorgia Meloni va respinta perché farebbe male all’Italia. Se, per la forza dei numeri, il Parlamento non riuscirà a fermarla si dovrà tenere aperta ad ogni costo la strada del referendum popolare per fare decidere elettrici ed elettori, tra i quali non esiste maggioritario. Così ogni elettore potrà contribuire a difendere la Costituzione nata dalla Resistenza.
*(Fonte: Volerelaluna. A. Grandi, giornalista)

 

 

 

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