n°44 – 04.11.23 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – Come il parlamento valuta l’attuazione del Pnrr – Le norme attribuiscono alle camere il potere di richiedere tutte le informazioni e i documenti utili per esercitare il controllo sull’attuazione del Pnrr e del fondo complementare. Un ruolo di primo piano è svolto dalle commissioni.
02 – Andrea Colombo*: Scherzetto russo a palazzo Chigi. La premier abbocca – CRISI UCRAINA. Telefonata su Ucraina («stanchi della guerra»), migranti e Macron con un «politico africano». Ma è il duo comico Vovan e Lexus. Un consigliere diplomatico passa la chiamata, nessuno verifica: «Rammaricati»
03 – Sen. Francesca La Marca*: La Senatrice La Marca partecipa al Gala del 71° anniversario della CIBPA di Toronto.
04 – Teresa Barone*: tassa in busta paga per transfrontalieri svizzeri. Nella manovra 2024 si istituisce una tassa sulla retribuzione di transfrontalieri e residenti italiani che lavorano in svizzera: contributo al SSN.
05 – Alfiero Grandi*: Il premierato modello Meloni è un pericoloso attacco alla Costituzione
06 – Uniti per la pace contro l’imperialismo di Sollevazione. (*) – Ci sarà modo di spiegare nei dettagli ai tanti nostri amici che non hanno potuto partecipare alla Conferenza Internazionale i diversi aspetti per cui essa è stata un successo al di là delle nostre aspettative.
07 – Norberto Fragiacomo*: Palestina: zeloti e sicofanti – Due millenni fa, al pari di oggi, la Palestina era un territorio occupato
08 – Marco Bascetta*: chi odia davvero gli ebrei – opinioni. Si alimenta così dall’una e dall’altra parte il mito devastante di una impossibile «SOLUZIONE FINALE».
09 – Chiara Cruciati*: INVIATA A TEL AVIV – Nel mirino ci sono i campi profughi. Onu: «Rischio genocidio» (ndr, il genocidio è in corso)
10 – Che cosa fanno i viceministri e i sottosegretari di stato (*) Coadiuvano i ministri nell’esercizio delle loro funzioni ed esercitano i compiti ad essi delegati tramite decreto ministeriale. Un massimo di 10 sottosegretari possono ricevere anche la nomina a viceministro.
11 – Anna Fabi*: Riforma Pensioni: Quota 103 con penalizzazioni. Pensioni (ndr. ma non dovevano abolire la legge Fornero?)
12 – Lorenza Pignatti*, TALLINN: Come ipnotizzati dall’infosfera – MOSTRE. La biennale estone «Tallinn Photomonth», con il suo titolo «Trance», indaga l’esperienza dell’iperconnessione. Ambienti video-scultorei, rituali di guarigione, tutorial di internet, alterazioni psicofisiche: sulla scena baltica, investigazioni sociali e tecnologiche utilizzando anche il «glitch»

 

01 – Come il parlamento valuta l’attuazione del Pnrr – Le norme attribuiscono alle camere il potere di richiedere tutte le informazioni e i documenti utili per esercitare il controllo sull’attuazione del Pnrr e del fondo complementare. Un ruolo di primo piano è svolto dalle commissioni.(*)
DEFINIZIONE
IL PARLAMENTO ha poteri potenzialmente molto rilevanti per quanto riguarda la verifica dello stato di attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Alle camere infatti sono attribuite ampie prerogative per quanto riguarda l’accesso a dati e informazioni, oltre alla possibilità di svolgere audizioni dei soggetti coinvolti nella realizzazione delle diverse misure.
A livello normativo, una prima disposizione in merito è prevista dall’articolo 43 della legge europea 2019-2020. Qui si prevede infatti che le commissioni parlamentari competenti svolgano un’attività di controllo sul corretto utilizzo delle risorse assegnate all’Italia.
La legge di bilancio per il 2021 ha poi introdotto l’obbligo per il governo di trasmettere alle camere una relazione annuale sullo stato di avanzamento del piano. Nel documento dovrebbero essere riportate informazioni sull’utilizzo delle risorse e sui risultati raggiunti. Si prevede inoltre che siano evidenziate le misure necessarie per accelerare l’avanzamento dei progetti e migliorare la loro efficacia rispetto agli obiettivi perseguiti.

Come funziona la nuova governance del Pnrr.
Successivamente, il decreto legge 77/2021 (articolo 2, comma 2, lettera e) ha invece stabilito che queste informazioni debbano essere inviate con cadenza semestrale. La responsabilità dell’invio di questi dati ricade in particolare sulla cabina di regia, oltre che sul ministro deputato.

LE COMMISSIONI PARLAMENTARI HANNO AMPI POTERI DI CONTROLLO SUL PNRR.
La cabina di regia inoltre è tenuta a inviare alle commissioni parlamentari competenti per materia ogni ulteriore elemento utile a valutare lo stato di avanzamento degli interventi, il loro impatto e l’efficacia rispetto agli obiettivi perseguiti. In particolare nel sostegno all’occupazione dei giovani e alla lotta alle disuguaglianze di genere.
Al termine dell’esame di ogni relazione semestrale possono essere adottati atti di indirizzo (come mozioni o risoluzioni) al governo che indicano le eventuali criticità riscontrate nel programma di adozione delle riforme e nello stato di avanzamento degli investimenti.

Quanto e come può essere modificato il Pnrr.
Da notare infine che l’articolo 9 bis del decreto legge 152/2021, al comma 2, stabilisce che qualora il governo intenda modificare il Pnrr, la proposta prima dell’invio alla commissione europea deve essere condivisa con le camere “in tempo utile per consentirne l’esame parlamentare”.
DATI
A oggi sono uscite 3 relazioni del governo per il parlamento. La prima risale al 23 dicembre del 2021. La seconda è del 5 ottobre 2022. La terza, che è anche la prima e per ora unica relazione del governo Meloni, è stata trasmessa al parlamento l’8 giugno scorso.
Inoltre, dal suo insediamento, il governo Meloni ha reso alle camere 4 informative urgenti sul Pnrr (2 per ogni aula). Le prime il 26 aprile in merito allo stato di attuazione del piano, con particolare riferimento alle scadenze legate alla terza e alla quarta rata. Le seconde l’1 agosto e in questo caso l’oggetto era la presentazione della proposta di revisione complessiva del Pnrr. Da notare invece che la prima proposta di revisione, limitata alla modifica di 10 scadenze relative al primo semestre 2023, non è stata preceduta da un passaggio in parlamento prima dell’invio a Bruxelles.
Solo nella seconda occasione il parlamento si è espresso con un atto di indirizzo al termine della discussione. In entrambe le camere però la maggioranza ha fatto quadrato, respingendo gli atti presentati dalle opposizioni e approvando una sola risoluzione dai contenuti molto generici. Il ministro Fitto inoltre è intervenuto il 19 luglio in audizione nelle commissioni bilancio e politiche Ue sia alla camera che al senato.

Per quanto riguarda l’analisi delle commissioni sulla terza relazione del governo, a oggi il lavoro non è ancora concluso. Non sono stati deliberati quindi atti di indirizzo in merito. In base a quanto riportato dai resoconti delle commissioni, il numero di sedute in cui sì è affrontato il tema risulta essere abbastanza basso. Con una prevalenza del senato rispetto alla camera.

35 LE SEDUTE DI COMMISSIONE IN CUI SI È DISCUSSO DELLA TERZA RELAZIONE SULL’ATTUAZIONE DEL PNRR.
In base alla documentazione disponibile, oltre al ministro Fitto, nell’ambito della loro attività di controllo le commissioni hanno acquisito anche le osservazioni di diversi soggetti. Tra cui: la conferenza delle regioni, l’associazione nazionale comuni italiani (Anci), i sindacati, la corte dei conti e alcune delle aziende partecipate coinvolte nella realizzazione del piano.

ANALISI
Sono diversi gli elementi di criticità che emergono relativamente al controllo parlamentare del Pnrr. Il primo e più evidente riguarda il fatto che il governo avrebbe dovuto presentare una relazione sul piano con cadenza semestrale. Cosa che per il momento non è mai avvenuta. Infatti, il governo guidato da Mario Draghi prima e quello di Giorgia Meloni poi finora ne hanno presentata una all’anno.
Un secondo aspetto da rimarcare riguarda il fatto che il lavoro svolto dalle commissioni nel tempo si è ridimensionato. In precedenza infatti ogni commissione aveva affrontato nel dettaglio gli aspetti di propria competenza e proposto specifici atti di indirizzo. Ciò non avviene più.
In base a quanto riportato in un report realizzato dai centri studi di camera e senato infatti la modalità con cui il parlamento si è approcciato all’analisi di questi documenti nel tempo è cambiata. Per la prima relazione infatti ogni commissione ha approfondito i profili di propria competenza. A partire dalla seconda invece le commissioni bilancio e politiche dell’Unione europea hanno acquisito un ruolo di primo piano, mentre le altre si sono limitate a esprimere pareri ma senza approfondire più di tanto la discussione.

DALLA SECONDA RELAZIONE SUL PNRR, L’ANALISI DELLE COMMISSIONI È DIVENTATA MENO APPROFONDITA.
In base a quanto è possibile ricostruire dai resoconti, alla camera oltre alle già citate commissioni bilancio e politiche Ue, del tema si sono occupate per quanto di loro competenza le commissioni cultura, lavoro e affari sociali. Al senato invece sostanzialmente tutte le commissioni hanno visto un loro coinvolgimento, anche se molto parziale. Salvo quelle per il bilancio e per le politiche Ue, negli altri casi si è trattato della formulazione di un “parere non ostativo”. Sostanzialmente quindi, salvo pochi casi, le altre commissioni non sono entrate nel merito.

Se l’obiettivo di questa nuova impostazione era quello di velocizzare i lavori, non sembra comunque essere stato raggiunto. Infatti, a distanza di oltre 4 mesi dalla presentazione del documento governativo, la discussione è ancora in corso.
Un altro elemento che vale la pena sottolineare riguarda il fatto che, nonostante gli ampi poteri attribuiti dalle norme, le richieste di informazioni ulteriori rispetto a quanto contenuto nella relazione e alle informative del ministro Fitto sono state molto generiche. Gli esponenti dell’opposizione da questo punto di vista hanno lamentato una certa ritrosia del governo nel condividere informazioni dettagliate. Cosa che gli renderebbe più difficile approfondire i vari temi. Peraltro si tratta di un elemento che, su specifici aspetti, è stato rilevato anche da esponenti della maggioranza.
Maria Cecilia GUERRA (PD-IDP), […] sottolinea un innegabile difetto di comunicazione da parte del Ministro Fitto. Rileva infatti che quest’ultimo, nella citata audizione dello scorso 19 luglio, ha evidentemente ritenuto di non dover fare alcun accenno all’importante accordo che pure era in via di conclusione tra il Governo italiano e la Commissione europea [l’approvazione della modifica delle 10 scadenze relative alla quarta rata, ndr] e di cui naturalmente non poteva che essere già allora ampiamente a conoscenza, mortificando in tal modo il ruolo istituzionalmente assegnato alle Commissioni.
– RESOCONTO SEDUTA COMMISSIONE BILANCIO DELLA CAMERA DEL 26 LUGLIO.
Come denunciamo da tempo, le carenze dell’attuale esecutivo – come anche del precedente – in termini di trasparenza sono innegabili. Al contempo però occorre rilevare una scarsa capacità di entrare nel merito delle questioni anche da parte delle opposizioni. Anche in commissione infatti le dichiarazioni appaiono più improntate alla polemica politica che a un effettivo controllo sullo stato di attuazione del piano.
Cosa: commissioni parlamentari, Governo e Parlamento, Pnrr – piano nazionale di ripresa e resilienza – Quando: XIX legislatura, XVIII legislatura – Dove: camera, senato
(Fonte: Openpolis)

 

02 – Andrea Colombo*: SCHERZETTO RUSSO A PALAZZO CHIGI. LA PREMIER ABBOCCA – CRISI UCRAINA. TELEFONATA SU UCRAINA («STANCHI DELLA GUERRA»), MIGRANTI E MACRON CON UN «POLITICO AFRICANO». MA È IL DUO COMICO VOVAN E LEXUS. UN CONSIGLIERE DIPLOMATICO PASSA LA CHIAMATA, NESSUNO VERIFICA: «Rammaricati»

Dolcetto o scherzetto? Lo scherzo risale al 18 settembre ma la Tass lo ha reso noto a ridosso di Halloween: se è una coincidenza è di quelle fortunate. Nella burla il premier italiana c’è cascata in pieno e l’imbarazzo è dovuto più a questo che ai contenuti dello scambio con il sedicente politico africano impersonato da uno dei due comici russi Vovan e Lexus, specializzati in tranelli telefonici. Meloni infatti è in folta compagnia. Erdogan, Lagarde, Angela Merkel, Elton John sono alcuni di quelli che hanno abboccato come lucci alla beffa dei due.
A PALAZZO CHIGI sono convinti che siano supportati dai servizi segreti russi. Probabilmente non hanno torto. Resta il fatto che affrontare temi nevralgici con un perfetto sconosciuto senza accertarsi prima di chi sia, anche solo con una rapida passeggiata su Internet, non depone a favore della saggezza e cautela della presidentessa del consiglio. Per tacere del consigliere diplomatico che ha passato la chiamata senza ulteriori ricerche e che inevitabilmente passerà presto «ad altro incarico». Non a caso è proprio il suo ufficio a diramare l’imbarazzato comunicato con cui cerca di parare il colpo, «rammaricandosi» per «essere stato tratto in inganno da un impostore che si è spacciato per il Presidente della Commissione dell’Unione Africana e che è stato messo in contatto telefonico con il Presidente Meloni».

Nel merito l’abbindolata ha dato poca soddisfazione ai russi proprio sul tema per loro eminente. Il premier ha ammesso che la decantata controffensiva ucraina «non sta forse andando come ci si aspettava». Si è lamentata delle conseguenze della guerra: «Immigrazione, inflazione, aumento del prezzo dell’energia». Un disastro. Soprattutto ha riconosciuto che la situazione non presenta soluzioni diverse da quella trattativa che ufficialmente tutto l’occidente esclude finché non sarà Zelensky a volerla: «Vedo molta stanchezza da tutte le parti. Potremmo essere vicini al momento in cui tutti capiranno che abbiamo bisogno di una via d’uscita, una soluzione accettabile per tutte e due le parti senza violare il diritto internazionale. Ho alcune idee ma sto aspettando il momento giusto per presentarle».
SAREBBERO PAROLE forti, in conflitto con tutte le prese di posizione ufficiali, se non fosse che quel che confermano è già universalmente noto nonostante il velo della retorica d’ordinanza. In compenso Meloni è sfuggita alle trappole più insidiose. Il «problema di nazionalismo» ce l’ha Putin, non gli ucraini che «stanno facendo quel che è giusto fare e noi cerchiamo di aiutarli». E sul grano: «Se permettiamo alla Russia di ricattarci sarà sempre peggio ma se non troviamo altre soluzioni diventerà impossibile».
Anche sui migranti la premier non è andata oltre quel che tutti sanno: «La Ue dice di capire ma quando chiedi fondi diventa più difficile». Parole tante, soldi e fatti pochi: «Quando li ho chiamati al telefono non hanno risposto e sono tutti d’accordo che l’Italia deve risolvere da sola il problema». Non è quel che racconta la premier quando esce dai vertici europei, sempre «molto soddisfatta». In compenso è quel che anche i meno occhiuti vedono da soli.
DI INCRESCIOSO C’È SOLO la conversazione sulla Francia e il golpe in Niger, capitolo del resto che Meloni apre di persona, senza bisogno di provocazioni da parte del duo russo. È lei che, senza camuffare un approccio non proprio amichevole nei confronti del governo di Parigi, s’informa, chiede se il falso africano consideri il golpe una mossa ostile contro la Francia. È lei che spiattella invereconda le spinte di Parigi «per qualche tipo d’intervento» e che rivendica il merito di aver frenato gli ardori bellici di Macron e dei suoi ministri: «Diciamo loro che dobbiamo evitare situazioni che potrebbero creare più problemi di quel che già abbiamo». Da quel non lontano 18 settembre tra Macron e Meloni è scoppiata una pace dettata dagli interessi comuni e non è facile che l’indiscreta chiacchierata porti a incidenti diplomatici. Però non si sa mai. Quel che invece si sa è che Giorgia Meloni farebbe bene a guardarsi da chi più le sta vicino, collaboratori o compagni di vita che siano. Ma anche questo già lo sapevamo tutti.
*(Fonte: Il Manifesto, Andrea Colombo. Giornalista di lungo corso ed ex militante di Potere Operaio, in passato ha scritto per Liberazione, Il manifesto (del quale è cronista politico)

 

03 – Sen. Francesca La Marca*: LA SENATRICE LA MARCA PARTECIPA AL GALA DEL 71° ANNIVERSARIO DELLA CIBPA DI TORONTO.
Venerdì 27 ottobre, la Senatrice La Marca ha partecipato al Gala in occasione del settantunesimo anniversario della Canadian Italian Business and Professional Association di Toronto. Erano presenti circa 500 persone, tra le quali numerosi rappresentanti di rilievo della comunità imprenditoriale di Toronto e molti esponenti politici. A fare gli onori di casa il Presidente Tony Cocuzzo e i due Vicepresidenti Sabrina Marrelli e Tony Cipriani.
La serata è stata un’occasione per premiare e ringraziare i vincitori dei CIBPA Awards 2023, i premi che ogni anno l’associazione assegna agli imprenditori che si sono distinti per aver contribuito maggiormente allo sviluppo economico e sociale del Canada. Molti di loro erano presenti in sala per partecipare alla magnifica serata. Tra gli ospiti illustri anche il deputato Francesco Sorbera, il Senatore Tony Loffreda, la Ministra Filomena Tassi e il console generale Luca Zelioli.
Tra i tanti progetti portati avanti quest’anno dalla CIPBA si segnalano donazioni importanti per nuove borse di studio destinate ai giovani italo canadesi; donazioni per la Saint Miguel’s Hospital e per la Metropolitan University of Toronto. Tutto ciò è stato possibile grazie al supporto della folta comunità imprenditoriale che da anni supporta l’associazione.
“Buonasera a tutti, vorrei ringraziare il neopresidente Tony Cocuzzo e i vicepresidenti, Sabrina Marrelli e Tony Cipriani per l’invito a partecipare a questa magnifica serata. Da 71 anni la CIBPA di Toronto rappresenta aziende, imprenditori e leader italiani, portando la loro voce all’interno della comunità economica canadese” – così la Senatrice La Marca nel suo intervento al Gala.
“Possiamo essere orgogliosi che l’Italia sia il secondo partner commerciale canadese nell’Unione Europea. Il 2022 è stato un anno record per gli scambi tra i due paesi, superando il valore dei 10 miliardi di euro. Grazie all’approvazione provvisoria del CETA, l’esportazione di merci italiane in Canada è aumentata del 61%. Ho depositato a mia prima firma, al Senato della Repubblica un DDL di ratifica definitiva del CETA che, non appena verrà approvato, accrescerà ulteriormente questa percentuale”.
“Con queste brevi note ci tenevo a portarvi il mio saluto in occasione del vostro 71º anno di età e rinnovo gli auguri di lunga vita ai nostri due Paesi e a questo splendido rapporto. Buona serata”. Così la Senatrice La Marca conclude il suo saluto.
*(Sen. Francesca La Marca – 3ª Commissione – Affari Esteri e Difesa – Electoral College – North and
Central America)

 

04 – Teresa Barone*: TASSA IN BUSTA PAGA PER TRANSFRONTALIERI SVIZZERI. NELLA MANOVRA 2024 SI ISTITUISCE UNA TASSA SULLA RETRIBUZIONE DI TRANSFRONTALIERI E RESIDENTI ITALIANI CHE LAVORANO IN SVIZZERA: CONTRIBUTO AL SSN.
Il testo della Manovra 2024 introduce una nuova tassa a carico di alcuni lavoratori transfrontalieri, chiamati a versare una quota di compartecipazione familiare al Sistema Sanitario Nazionale.
Obiettivo della nuova norma è quello di sostenere la Sanità delle Regioni di confine, anche al fine di favorire la permanenza dei professionisti del settore spesso in fuga verso l’estero attirati da retribuzioni più elevate.
L’articolo 49 (Disposizioni in materia di lavoratori frontalieri, contributo al Servizio sanitario nazionale e osservanza degli obblighi anagrafici) prevede che a pagare alla Regione di residenza una quota di compartecipazione al SSN:
i residenti che lavorano e soggiornano in Svizzera che utilizzano il Servizio sanitario nazionale;
i frontalieri in Svizzera
i familiari a carico di entrambe le categorie
A quanto ammonta il nuovo contributo
LA TASSA SUL SALARIO NETTO RIGUARDERÀ CHI LAVORA IN SVIZZERA E SARÀ VERSATA COME CONTRIBUTO AL SSN DIRETTAMENTE ALLA REGIONE DI RESIDENZA, VARIANDO TRA UN MINIMO DEL 3% E UN MASSIMO DEL 6% DEL SALARIO NETTO PERCEPITO.
Stando al Disegno di Legge di Bilancio 2024, la quota versata dai lavoratori transfrontalieri andrà a beneficio del personale medico e infermieristico, in qualità di trattamento accessorio e in misura non superiore al 20% dello stipendio tabellare lordo.
*(Fonte: PMI.it – Teresa Barone, giornalista, pubblicista, collabora da molti anni con PMI.it occupandosi di imprese e green economy, mondo del lavoro e nuove tecnologie applicate)

 

05 – Alfiero Grandi*: IL PREMIERATO MODELLO MELONI È UN PERICOLOSO ATTACCO ALLA COSTITUZIONE – LA PROPOSTA DI ELEZIONE DIRETTA DEL CAPO DEL GOVERNO PUNTA A COPRIRE I VUOTI DELL’AZIONE DEL GOVERNO. ALTRIMENTI GIORGIA MELONI NON AVREBBE SCELTO QUESTO ABBINAMENTO TEMPORALE DELLA LEGGE DI BILANCIO CON LA PROPOSTA DI MODIFICA DELLA COSTITUZIONE.
Ciò non toglie che la proposta del “premierato” sia pericolosa e grave per la Costituzione e per l’equilibrio istituzionale del nostro paese. Sarà anche un atto disperato per distrarre l’attenzione ma i suoi effetti possono essere devastanti.
Le destre al governo lanciano un messaggio netto, in particolare quella parte che non riesce a condannare esplicitamente il fascismo e che vuole cambiare questa Costituzione, le cui radici sono nella Resistenza.
Mentre Fini aveva sostanzialmente accettato la Costituzione, ora Giorgia Meloni punta a cambiarla in modo da non dovere più fare i conti con le radici e la sostanza della Costituzione del 1948. È un obiettivo epocale per quella parte della destra che non l’ha mai accettata. Tuttavia, non si capisce perché la parte antifascista della destra accetti di appoggiare questo tentativo.

COSÌ NON NASCE LA TERZA REPUBBLICA
Non si tratta di terza Repubblica ma di uscire dalla Costituzione con un tentativo di nascondere il revisionismo, ad esempio dando ad intendere che non saranno toccati i poteri del Presidente della Repubblica, che invece saranno ridimensionati.
Le opposizioni a questo punto hanno un ruolo storico da svolgere: contrastare questa scelta strettamente legata all’autonomia regionale differenziata di Calderoli e all’obiettivo di mettere sotto controllo l’autonomia della magistratura, a partire dalla separazione delle carriere.

La più illustre vittima della proposta del governo è il parlamento che nella Costituzione in vigore è centrale in quanto deve svolgere un ruolo di rappresentanza di elettrici ed elettori e nomina quote della Corte Costituzionale e del Csm. È del tutto evidente che un parlamento definitivamente ridotto a un ruolo subalterno porterebbe ad un capo del governo padrone del parlamento, con un potere enorme di influenza sulle istituzioni di garanzia.
Il parlamento è già oggi ridimensionato, anche per responsabilità di chi oggi è all’opposizione, con l’abuso dei decreti legge (dovrebbero essere solo per urgenze) per voti di fiducia a raffica, maxi emendamenti e regolamenti che riducono il ruolo dei parlamentari. La maggioranza di destra ha aggiunto un capitolo in questi giorni che rasenta l’eversione: ha deciso che il parlamento non potrà cambiare la legge di bilancio (la decisione di politica economica più importante dell’anno) perché il governo ne blinda il testo rispetto alla sua stessa maggioranza parlamentare.

È un antipasto degli effetti che potrà avere un futuro capo del governo eletto insieme alla sua maggioranza e praticamente inamovibile, altrimenti si tornerebbe a votare. La finta di un’alternativa interna alla maggioranza è, infatti, largamente improbabile.

UN MODO PER NASCONDERE I FALLIMENTI
Era prevedibile che gli scarsi risultati del governo nella politica economica spingesse ad iniziative di bandiera della destra come l’elezione diretta del capo del governo che, detta così, potrebbe sembrare meno pericolosa dell’elezione diretta del presidente della Repubblica ma non lo è.
Cambia la Costituzione in punti decisivi e delicati ed è dirompente perché altera gli equilibri tra i poteri dello Stato (l’equilibrio tra i poteri è cardine della democrazia) ma non affronta in alcun modo la questione dei cosiddetti contrappesi.
L’autonomia regionale differenziata nella versione Calderoli porterebbe il nostro paese sull’orlo della secessione delle regioni ricche, allargando ancora di più le differenze tra le diverse regioni e tra aree forti e deboli dentro le stesse, senza comprendere che il sistema paese potrebbe aiutare tutte le regioni, al contrario della corsa solitaria di alcune con le risorse di tutti.
La Lega pretende l’approvazione della Calderoli, quindi Giorgia Meloni punta a fare passare il premierato e Forza Italia alla separazione delle carriere nella magistratura. Sono iniziative legislative su binari diversi: legge ordinaria per l’autonomia differenziata, costituzionale per l’elezione diretta del capo del governo, e per modifiche dell’ordinamento giudiziario.

C’È SEMPRE IL REFERENDUM
Il premierato è una modifica della Costituzione e ha bisogno di una maggioranza dei 2/3 dei parlamentari per essere approvata senza possibilità di referendum popolare. La maggioranza deve sapere, come tutta l’opposizione, che si tratta di una deriva accentratrice e autoritaria e che il referendum sarà possibile e non basterà l’appoggio dichiarato da Renzi per evitarlo, se le opposizioni manterranno una netta posizione contraria.
Concentrare i poteri sul premier anziché su un rilancio del parlamento chiarisce che il nostro sistema istituzionale non sarà più fondato sul parlamento.
Giorgia Meloni punta ad acquisire maggiori poteri e di governare la sua maggioranza con un mandato diretto e forte in grado di metterla in riga. Del resto si è visto in questo anno di governo che il criterio della fedeltà, perfino familistico, è quello più gradito.
Il futuro parlamento sarà ridotto definitivamente a ratificare le decisioni del governo, per questo l’elezione diretta del capo del governo avviene insieme ai parlamentari, con legge maggioritaria, che garantisce il 55% dei parlamentari senza neppure una soglia minima di voti ottenuti, basta solo essere primi.
È già una perversione il premio di maggioranza (nascosto) in vigore che ha dato a chi ha preso il 44 % dei voti il 59 % dei parlamentari e il cui esito oggi viene usato per imporre modifiche della Costituzione alla maggioranza degli elettori che non hanno votato le destre. Con una legge elettorale maggioritaria è indispensabile rivedere le soglie di garanzia previste dalla Costituzione in modo da evitare un potere esagerato della maggioranza che potrebbe arrivare a controllare la magistratura e a influenzare gli organi di garanzia costituzionale.
Il parlamento attuale, pur malridotto, potrebbe già riprendersi i poteri ma la soggezione dei parlamentari eletti grazie alla designazione dall’alto ha creato un guasto difficile da recuperare e in futuro diventerebbe definitivamente subalterno al governo. Questa è una modifica di fondo della Costituzione.

MENO POTERI AL CAPO DELLO STATO
Se il capo del governo aumenta i poteri è evidente che il Presidente della Repubblica e il parlamento li perdono.
All’elezione diretta del premier va contrapposta l’elezione diretta dei parlamentari, con metodo proporzionale e scelta diretta degli elettori. Uno dei problemi più seri della democrazia italiana è la frattura tra chi rappresenta e chi vota, non si conoscono, non ci sono rapporti di fiducia, vanno ricostruiti.
Oggi è il Presidente della Repubblica a nominare il Presidente del Consiglio, tiene conto del risultato elettorale ma ha ampia facoltà di scelta, ad esempio potrebbe non nominare il capo dei vincenti, nel caso di dimissioni del capo del governo potrà cercare un’alternativa solo nell’ambito della maggioranza che lo ha eletto altrimenti si torna a votare.
Il disegno di legge del governo potrà essere “appesantito” durante i lavori parlamentari, aggravando il ruolo stravolgente di queste norme.
Non si deve sbagliare. La controriforma costituzionale tentata da Renzi ha aperto un varco che per fortuna si è concluso con la vittoria del No e le sue dimissioni da Presidente del Consiglio.
Ora Giorgia Meloni scopre le sue carte, le opposizioni debbono reagire per fare fallire questo attacco alla Costituzione.

*(Alfiero Grandi: strisciarossa.it -Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.)

 

06 – UNITI PER LA PACE CONTRO L’IMPERIALISMO DI SOLLEVAZIONE. (*) CI SARÀ MODO DI SPIEGARE NEI DETTAGLI AI TANTI NOSTRI AMICI CHE NON HANNO POTUTO PARTECIPARE ALLA CONFERENZA INTERNAZIONALE I DIVERSI ASPETTI PER CUI ESSA È STATA UN SUCCESSO AL DI LÀ DELLE NOSTRE ASPETTATIVE.
Per la presenza di tante delegazioni provenienti da ogni continente, per la qualità dei tanti interventi, per l’atmosfera segnata da amicizia e fratellanza, per i momenti di lucida commozione, per la grande attenzione ricevuta in Italia e in tanti altri paesi.
Ringraziamo i tanti cittadini che hanno firmato l’appello di convocazione, gli italiani presenti che hanno contribuito al successo della nostra impresa. Ci limitiamo qui all’essenziale: tutti assieme, in barba alla campagna di disinformazione e di criminalizzazione dei media italiani, siamo riusciti a realizzare l’ambizioso obiettivo di fondare uno stabile coordinamento internazionale composto da più di cento movimenti dei più diversi paesi e che abbiamo denominato STOP WW3 – INIZIATIVA INTERNAZIONALE DI PACE.

PUBBLICHIAMO DI SEGUITO IL TESTO DELLA DICHIARAZIONE FONDATIVA.
Dichiarazione finale della Conferenza di Pace di Roma – 28 ottobre 2023
Delegati di 40 organizzazioni ed esponenti provenienti da 25 paesi si sono riuniti a Roma il 27 e 28 ottobre 2023 per discutere le cause dell’attuale guerra in Ucraina, l’impatto della guerra sulla pace internazionale, i pericoli che affliggono il nostro popolo e i compiti del movimento per la pace. una pace giusta e permanente.

LE NOSTRE CONCLUSIONI
– Le politiche aggressive degli Stati Uniti e dei suoi più stretti alleati (l’Occidente) sono le cause profonde della guerra in Ucraina e, come vediamo in Palestina, stanno spingendo l’umanità sull’orlo di una terza guerra mondiale.
– Per mantenere un ordine mondiale unipolare, l’Occidente ha bisogno del dominio imperialista. Mira a trasformare la grande maggioranza dei paesi del mondo in stati vassalli, dentro a un nuovo sistema internazionale neocoloniale.
– L’élite imperialista utilizza la maschera ideologica pseudo-progressista della “globalizzazione democratica”, della difesa dei diritti umani e civili e del superamento degli stati nazionali come pretesto per il proprio dominio. Essi usano istituzioni come l’UE, la Banca Mondiale, il FMI e il WEF per imporre il dominio economico, e la NATO per imporre il dominio militare.

IN QUESTO QUADRO L’OCCIDENTE
– Attacca la Russia con il chiaro obiettivo di distruggerla come stato sovrano e dividerla in un insieme di deboli stati vassalli.
– Circonda la Cina con basi militari, navi da guerra e nuove alleanze militari; intensifica le consegne di armi a Taiwan e continua le provocazioni nel Mar Cinese Meridionale per costringere la Cina a una risposta militare che possa essere usata come pretesto per la guerra. Continuano le provocazioni belliche attorno alla penisola coreana.
– Sostiene Israele, il suo principale strumento per la sua politica neocoloniale in Medio Oriente, al fine di schiacciare il popolo palestinese e costringere l’Iran alla guerra.
– Mantiene l’occupazione dell’Iraq, i conflitti in Yemen, Siria, Libia, Libano – e soprattutto continua l’occupazione della Palestina.
– Saccheggia costantemente l’Africa e l’America Latina, imponendo governi fantoccio e istigando i suoi stati vassalli a invadere paesi indipendenti, ad esempio nel Sahel.
– Impiega milizie armate in operazioni di “regime change” e organizza omicidi di intellettuali, politici, scienziati e giornalisti russi e iraniani; commette azioni terroristiche come far saltare in aria il Nord Stream 2.
– Attraverso misure coercitive unilaterali illegali (UCM), cerca di strangolare le economie dei paesi che resistono all’imperialismo, insensibili alle conseguenze catastrofiche per le popolazioni di questi paesi, per la classe operaia e per tutti i poveri dello stesso Occidente.
– Avvelena e uccide. Gli Stati Uniti hanno già utilizzato armi nucleari, non solo a Hiroshima e Nagasaki, ma anche armi all’uranio impoverito (DUW) contro l’Iraq, la Serbia e ora contro la Russia. Le DUW contaminano permanentemente il territorio e hanno ucciso un numero ancora innumerevole di persone.
Per questi motivi l’élite occidentali rappresentano una minaccia permanente contro la pace e lo sviluppo del mondo e minacciano l’esistenza stessa dell’umanità.

LA NOSTRA POSIZIONE RIGUARDO ALL’ATTUALE GUERRA IN UCRAINA
Non è stato il 24 febbraio 2022 che è iniziata la guerra in Ucraina, e nemmeno quando gli Stati Uniti hanno provocato il colpo di stato del 2014. È necessario andare più indietro nel tempo, ai tempi della sanguinosa espansione della NATO verso l’Europa orientale. Le guerre sporche in Jugoslavia, la disintegrazione dello stato balcanico un tempo più forte e l’istigazione alle guerre nel Caucaso erano tutte fasi dello stesso progetto. La guerra contro la Russia era già iniziata subito dopo lo scioglimento illegale dell’URSS, imposto contro la volontà dei suoi cittadini. La formazione di nuovi confini nell’Europa orientale e nell’Asia centrale è stata imposta al di fuori del quadro del diritto internazionale.
La NATO era ed è lo strumento degli Stati Uniti per imporre il proprio controllo su tutta l’Europa. La sua espansione verso est è stata illegale e rappresenta una minaccia permanente contro tutti i paesi sovrani e indipendenti.
Il governo russo ha cercato di evitare l’attuale fase della guerra, ma l’Occidente, attraverso i suoi fantocci in Ucraina, ha continuato a prendere di mira le popolazioni russe e ha rifiutato qualsiasi accordo di pace basato sulla parità di sicurezza, come proposto dalla Russia. Le azioni dell’Occidente hanno reso la guerra inevitabile.
Il modo in cui l’Occidente conduce la guerra dimostra che esso mira sia a un’escalation senza fine sia a logorare al massimo sia i russi che gli ucraini. L’uso di armi illegali come bombe a grappolo e munizioni all’uranio impoverito dimostra che l’azione disumana dell’élite occidentali è senza limiti. I loro sforzi per coinvolgere tutti i paesi dell’Europa orientale — così come altri paesi — nel conflitto dimostrano come le principali élite occidentali stiano cercando di usare la popolazione europea come carne da cannone proprio come ora fanno con gli ucraini.
L’unica base per risolvere le controversie internazionali dovrebbe rimanere il diritto internazionale, che ha al centro la Carta delle Nazioni Unite. La volontà degli Stati Uniti e dei suoi alleati —il cosiddetto “ordine basato su regole” — non dovrebbe più essere una regola obbligatoria per il mondo.

CIÒ DI CUI HANNO BISOGNO I POPOLI DEL MONDO
– Una sconfitta della NATO in Ucraina. Senza questo presupposto non vi è possibilità di una pace duratura. Una vittoria occidentale sulla Russia sarebbe un nuovo disastro per l’umanità. Diventerebbe il punto di partenza per nuove guerre nei Balcani, nel Medio Oriente e nell’Asia orientale, in particolare nel Mar Cinese Meridionale e nella penisola coreana, ovvero una terza guerra mondiale di lunga durata.
– Un nuovo quadro di cooperazione nell’Europa dell’Est e nei Balcani, liberato dal controllo USA-UE, basato su relazioni paritarie e che rimodelli le conseguenze catastrofiche della vittoria dell’Occidente nella Guerra Fredda.
– Un mondo di paesi sovrani in cui i popoli possano determinare il proprio futuro, liberi dalla dittatura economica globale imposta dall’Occidente, liberi da misure coercitive unilaterali. Il mondo ha bisogno di reti commerciali, finanziarie, di comunicazione e di trasporto libere dal controllo dell’Occidente. In questa direzione, la formazione di nuove organizzazioni per la cooperazione tra Stati, libere dal
controllo occidentale, e il ruolo rafforzato del Sud del mondo nelle organizzazioni internazionali esistenti rappresentano sviluppi positivi.
– Una nuova architettura delle Nazioni Unite che rifletta i diritti del Sud del mondo e il principio di pari sovranità per tutti gli Stati.

I NOSTRI COMPITI
– Abbiamo molto da fare per quanto riguarda l’informazione e l’istruzione. Nei paesi NATO-UE e in altri paesi dominati dagli Stati Uniti esiste una censura virtuale totale. Dovremmo informare queste popolazioni che la guerra dell’Occidente in Ucraina è una guerra ingiusta.
– Dobbiamo fermare l’invio di armi, munizioni, equipaggiamenti e personale sul campo di battaglia ma:
– il nostro compito principale dovrebbe essere quello di liberare i nostri paesi dall’adesione alla NATO, dal controllo e dalle basi militari statunitensi. Questo sarà l’apice della nostra solidarietà verso i popoli del mondo che resistono.
ABBIAMO deciso
1) Di dare vita una rete permanente per coordinare i compiti di cui sopra sotto il nome di “Stop World Word 3-Iniziativa internazionale per la pace
2) Di organizzare azioni internazionali e delegazioni di solidarietà in Russia-Donbass e in Palestina
3) Di organizzare la 2a conferenza internazionale di pace entro la fine del 2024
Votata all’unanimità dai delegati presenti e quindi approvata per acclamazione dalla Conferenza
*(Sollevazione: rivista di politica e cultura del Fronte del Dissenso)

 

07 – Norberto Fragiacomo*: PALESTINA: ZELOTI E SICOFANTI – DUE MILLENNI FA, AL PARI DI OGGI, LA PALESTINA ERA UN TERRITORIO OCCUPATO.
A signoreggiare erano allora i Romani che, considerata la ferocia dei tempi, esercitavano il loro potere con relativa “mitezza”: agli inizi del primo millennio solo una parte della regione era sottoposta al controllo diretto di Roma, mentre il resto era affidato alle cure di regoli-vassalli locali; inoltre i dominatori evitavano di ingerirsi nella vita sociale e religiosa dei nativi, concedendo loro ampi spazi di autonomia. Prima della grande rivolta giudaica del 66 d.C. si verificarono delle crisi – dovute, in un caso, alle stravaganti pretese di Gaio Caligola, in altri al poco tatto dei governatori – ma, nel complesso, la situazione pareva sotto controllo. La pacificazione della Giudea si rivelò tuttavia un miraggio: benché la classe sacerdotale (non nella sua interezza) e l’élite ellenizzata dei grandi centri urbani mostrassero propensione a collaborare con gli occupanti, il popolo covava rancore e rabbia nei confronti dei “gentili”. Le due grandi insurrezioni del I e II secolo d.C. non nacquero dal nulla: già da decenni era attivo un agguerrito movimento antiromano che traeva i suoi adepti soprattutto dagli strati medi e bassi della popolazione.
Gli zeloti erano guerriglieri che, in nome di un fanatico patriottismo religioso, si opponevano in armi agli imperiali, tendendo imboscate ai loro distaccamenti e non disdegnando azioni – che oggi definiremmo “terroristiche” – rivolte contro singoli funzionari e intere comunità accusate di collaborazionismo. Ammazzavano insomma sia militari che civili, connazionali compresi, e costituivano una spina nel fianco per i magistrati romani, che disponevano in loco di truppe poco numerose. Se catturati, gli zeloti non chiedevano né ottenevano pietà: uscivano probabilmente dai loro ranghi i due “ladroni” crocifissi assieme a Gesù Cristo e, a quanto pare, lo stesso Giuda Iscariota. Il termine latino latrones non indica infatti i “semplici” ladri (fures), ma va tradotto con “predoni” o “briganti”: individui cioè che si associavano per commettere atti violenti di natura non esclusivamente predatoria. Ascrivibili a questa categoria erano senz’altro Simon bar Giora, animatore della rivolta scoppiata sotto Nerone, e Bar Kokheba, “il Figlio della Stella” che, nelle vesti di Messia, sfidò Adriano. Le legioni romane impiegarono parecchi anni (e persero tantissimi uomini) per piegare i rivoltosi che, una volta sedate le sommosse, incontrarono una fine ignominiosa in omaggio al motto virgiliano parcere subiectis debellare superbos.

In sostanza gli zeloti erano trattati da terroristi poiché tali essi apparivano agli occhi dei Romani; la mentalità odierna, al contrario, individua in costoro dei patrioti, la cui buona causa è macchiata, ma non svilita, da singole condotte che – se considerate fuori dal loro contesto – andrebbero bollate come criminali. Non dubito peraltro che gli israeliani odierni abbiano per i condottieri che ho menzionato la stessa ammirazione che, ad esempio, gli Scozzesi mostrano nei riguardi di William Wallace e gli Irlandesi per un Michael Collins.

D’altra parte sarebbe eccessivo pretendere moderazione dagli oppressi: anche i seguaci di Spartaco commisero efferate violenze nei confronti delle famiglie di possidenti in cui si imbatterono, e i contadini francesi e tedeschi in rivolta non sempre risparmiarono spose e figli dei loro aguzzini. L’odio sedimentatosi in decenni di sopraffazioni, ingiustizie e sfruttamento offusca quasi sempre la ragionevolezza al momento della rivalsa: “Non so che cosa accadde, perché prese la decisione, / forse una rabbia antica, generazioni senza nome /che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore: /dimenticò pietà, scordò la sua bontà, / la bomba sua la macchina a vapore”, canta Guccini né La locomotiva, spiegando molto (se non tutto). Possiamo noi biasimare uno schiavo per aver restituito – magari con gli interessi – al cattivo padrone le angherie e le umiliazioni patite? Risponderei onestamente di no, a meno di essere parte in causa o di esigere dall’essere umano una perfezione e una dirittura morale che appartengono (forse) a pochi eletti.

La premessa di carattere storico, sommaria e di poche pretese, non è un “fuori tema”, perché ci aiuta a inquadrare l’attuale situazione in Vicino Oriente, che solamente un propagandista senza coscienza (cioè il giornalista-tipo nostrano) può dichiarare si sia originata ex nihilo il 7 ottobre scorso. La ripugnanza che ci ispira l’uccisione a sangue freddo di civili inermi da parte dei miliziani palestinesi non può né deve farci dimenticare che, come ha giustamente detto il Segretario dell’ONU Guterres, “gli attacchi di Hamas non sono venuti fuori dal nulla. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione. Hanno visto la loro terra costantemente divorata dagli insediamenti e tormentata dalla violenza; la loro economia soffocata; la loro gente sfollata e le loro case demolite. Le speranze di una soluzione politica alla loro situazione sono svanite”.

Si tratta di parole sagge ed equilibrate, che hanno però suscitato la tracotante reazione di Israele e dei suoi volonterosi reggicoda occidentali. Le frasi pronunciate da un ministro del governo Netanyahu – quello che ha paragonato i palestinesi ad “animali” –e da un ex ambasciatore (sic!) israeliano in Italia, secondo cui “l’obiettivo è distruggere Gaza, questo male assoluto” non sono dal sen fuggite, ma esprimono un sentimento evidentemente diffuso e inquietante. Esse riecheggiano l’anatema lanciato da Martin Lutero, riformatore protegè della nobiltà tedesca, contro “le empie e scellerate bande dei contadini” guidate da Thomas Müntzer, di cui veniva auspicato lo sterminio – e oggi è a uno sterminio che stiamo assistendo, perpetrato da uno Stato etnico che, perlomeno negli ultimi decenni, si è mosso al di fuori di qualsiasi parvenza di legalità internazionale, non demeritando quell’epiteto di “rogue” che i suoi apologeti riservano invece volentieri a nazioni, guarda caso, invise a Washington e al cosiddetto Occidente. L’argomento della “legittima difesa”, quotidianamente invocato dai nostri media, non è spendibile, visto che essa può esercitarsi a fronte del ricevimento di un’offesa ingiusta, cioè non provocata e gratuita; d’altro canto la crudele punizione collettiva inflitta a Gaza e all’intera popolazione palestinese non è neppure una vendetta (già di per sé moralmente riprovevole), ma semmai la prosecuzione di una strategia di progressivo annientamento che, in tempo di “pace”, si esprime nell’espansione degli insediamenti illegali, nelle violenze dei coloni, nella distruzione di case e nelle espulsioni indiscriminate di arabi.

La scioccante descrizione da parte del presidente turco Erdogan di Hamas come un “movimento di liberazione” non è pertanto un assurdo logico, per le ragioni che ho menzionato in precedenza e nonostante le atrocità commesse; quanto agli Israeliani, la loro autoassoluzione può indignare per il sovrappiù di cinismo e sfacciata arroganza, ma a ben vedere costoro si comportano, mutatis mutandis, come gli oppressori del passato. Nemo iudex in re sua, verrebbe da chiosare – senonché essi usurpano la funzione di giudice, e chi dovrebbe assumere un ruolo di terzietà rinuncia a farlo.

Non alludo naturalmente agli USA, gemelli diversi di Israele che del diritto internazionale fanno strame (almeno) sin da quando sganciarono due bombe atomiche su altrettante città indifese e strategicamente irrilevanti; mi riferisco piuttosto all’Europa, che si vanta di essere la patria del diritto e dell’illuminismo. Le consorterie che governano (rectius: amministrano per conto terzi) i paesi del Vecchio Continente sono totalmente appiattite sulle posizioni israelo-americane: anziché assumere il ruolo di osservatori neutrali – e perciò in grado di ragionare spassionatamente e offrire, sulla scorta di una drammatica esperienza plurisecolare, possibili soluzioni a un problema ormai incancrenitosi–esse si comportano come tifosi allo stadio e, da perfetti sicofanti, denunciano esclusivamente le malefatte degli altri, sorvolando sulle inescusabili colpe dell’Occidente, vale a dire dei loro sponsor – che stanno impunemente trascinando il mondo verso l’abisso. Si ripete insomma il copione ucraino, con l’evidente complicità di giornalisti che, nella stragrande maggioranza, si atteggiano ad agitprop di regime: simili, per intenderci, ai cronisti che invocavano la cruenta soppressione degli schiavi e dei contadini insorti “contro Dio e contro gli uomini” (ancora Lutero) che li trattavano al pari di bestie senz’anima o di instrumenta vocalia. A riprova della disonestà intellettuale di questi professionisti della (dis)informazione cito la taccia di antisemitismo disinvoltamente scagliata contro chiunque si azzardi a criticare Israele e il sionismo: accusa nel caso di specie paradossale, dal momento che i palestinesi sono a loro volta semiti.
In questo stato è ridotto il “democratico” Occidente che, immemore di tragedie causate e sofferte e degli insegnamenti faticosamente trattine, rappresenta oggi con le sue politiche aggressive e ipocrite la principale minaccia per il futuro dell’umanità.
*(Fonte: Il Manifesto. Norberto Fragiacomo, giornalista)

 

08 – Marco Bascetta*: CHI ODIA DAVVERO GLI EBREI – OPINIONI. SI ALIMENTA COSÌ DALL’UNA E DALL’ALTRA PARTE IL MITO DEVASTANTE DI UNA IMPOSSIBILE «SOLUZIONE FINALE». Tutto congiura per polarizzare e radicalizzare. Chi odia davvero gli ebrei. Due pietre d’inciampo, dedicate ai deportati Eugenio e Giacomo Spizzichino, oltraggiate a Roma.

L’Europa è in allarme per il diffondersi crescente di fenomeni di antisemitismo. Giustamente. L’ostilità antiebraica, tuttavia, raramente si manifesta oggi allo stato puro.

Nella versione più strettamente razzista si combina con un atteggiamento xenofobo, che include arabi, musulmani, neri e rom. Ispirandosi a una versione neofascista dell’ideologia della «purezza». In questo calderone complottista ciascuno svolge il proprio ruolo: gli ebrei manovrerebbero, grazie alla loro potenza finanziaria, la «sostituzione etnica» nera e musulmana destinata a sommergere le tradizioni cristiane e gli stati nazione che le incarnano. Un delirio condiviso su entrambe le sponde dell’Atlantico e non solo da frange irresponsabili e marginali.

Nella versione «politica» filopalestinese di tradizione nazionalista, quella che appare oggi in maggiore espansione, l’antisemitismo, laddove si impone, poggia sull’idea che l’identificazione di tutti gli ebrei con il governo dello stato di Israele sia assoluta ed esistenziale, qualunque politica questo persegua e qualunque mezzo impieghi per risolvere, rimuovere, se non cancellare del tutto, il problema palestinese. E ne condividano dunque la responsabilità.

C’è poi da sempre un antisemitismo popolare nutrito di vecchi pregiudizi e stereotipi che viaggia su uno stretto crinale tra il mugugno risentito e la sempre possibile esplosione di aggressività.

Tra questi differenti bacini, tutti radicati nella destra e nei fondamentalismi religiosi, i travasi e i passaggi non sono infrequenti e le combinazioni ideologiche molteplici. A dispetto della sua natura fondamentalista, l’antisemitismo è un’attitudine opportunista pronta ad insediarsi in diversi azioni e discorsi, capace di minacciare in varie forme la vita e la cultura delle comunità ebraiche nel mondo.

Ma i governi europei, con i loro divieti di manifestare per la Palestina, con l’imposizione di una adesione incondizionata alla conduzione israeliana della guerra contro Gaza, con la fiacchezza con cui si richiamano alle ragioni umanitarie e alla buon’anima del diritto internazionale, stanno davvero contrastando nel modo più efficace il diffondersi dell’antisemitismo o piuttosto offrendogli nutrimento?

Laddove si dovrebbero recidere i nessi velenosi stabiliti dall’ideologia (quel corto circuito che fonde in uno l’irrinunciabile esistenza dello stato di Israele e della sua sicurezza, la sua cinica politica regionale, l’azione di un premier fanatico e screditato con la tonnara di Gaza e il violento far west cisgiordano), si invoca invece uno schieramento senza riserve e senza pensieri se non l’ovvia condanna di Hamas, che occupa ormai, quasi in solitaria, il centro della scena palestinese. Si alimenta così dall’una e dall’altra parte il mito devastante di una impossibile «soluzione finale». Tutto congiura per polarizzare e radicalizzare.
In Germania il problema dell’antisemitismo ha, per così dire, il suo centro di gravità permanente. Ed è in Germania che l’allarme rosso è scattato, ma per tradursi immediatamente in una adesione senza condizioni e senza obiezioni all’azione bellica condotta dal governo di Netanyahu nella striscia di Gaza. Con l’imposizione del silenzio a qualunque protesta da parte di una ormai vasta popolazione musulmana (prevalentemente turca) e di chiunque si preoccupi del destino dei palestinesi.
Questa posizione è un alibi. Da un bel pezzo la destra tedesca, e non solo quella estrema, pretende che la si faccia finita con il debito che la Germania ha contratto, non solo con gli ebrei ma con il mondo intero tra 1933 e il 1945. Insomma, la formula del «gigante economico e nano politico», il pacifismo, il riguardo per l’Europa, l’apertura ai migranti e una larga garanzia di asilo politico, il sottodimensionamento militare, sono diventati un motivo di insofferenza, cavalcato dalla destra e inseguito affannosamente dal governo rosso-verde-giallo di Olaf Scholz. La Germania riarma, si accinge a una politica di respingimenti e rimpatri, stringe le maglie del diritto di asilo.
Nel paese le aggressioni e i vandalismi a sfondo razzista e antisemita sono eventi diffusi e quotidiani, ben più estesi dei festeggiamenti filo Hamas a Berlino, tra le forze dell’ordine le simpatie per l’estrema destra non sono un caso raro. Non resta, della responsabilità tedesca, che il giuramento di fedeltà a Israele e la retorica che lo accompagna. Tutto sommato, un saldo a buon mercato.
*(Fonte: Il Manifesto. Marco Bascetta. Giornalista, saggista, direttore editoriale di manifesto libri.)

 

09 – Chiara Cruciati*: INVIATA A TEL AVIV – NEL MIRINO CI SONO I CAMPI PROFUGHI. ONU: «RISCHIO GENOCIDIO» – GAZA CITTÀ CHIUSA. ANCORA BOMBE SU JABALIYA, BEACH CAMP, BUREIJ: COLPITE LE SCUOLE DELL’UNRWA. NEL RAID DI MARTEDÌ 195 UCCISI, ALTRI 120 DISPERSI
«Questa era la mia casa. Non so cosa dire. Siamo senza difesa». Una donna indica un mucchio di macerie. Viveva con la famiglia nel campo profughi di Burcei, a sud di Gaza City, 46mila abitanti. Sono i campi rifugiati i più colpiti dall’aviazione israeliana negli ultimi giorni. A Jabaliya non c’è pace. Stanno ancora cercando i dispersi dell’attacco di martedì sera. Alla fine si è riusciti a fare un bilancio di quel raid, delle sei bombe sganciate su Jabaliya: 195 uccisi, 777 feriti e circa 120 dispersi, probabilmente morti. Lo dicevano ieri i soccorritori, civili a mani nude: non c’è più nessuno vivo sotto.
IERI È SUCCESSO ancora. Stesse scene, macerie rimosse a mani nude: «Le mie due sorelle sono sotto, con i figli. Siamo inutili. Non possiamo rimuovere tutto questo cemento. È troppo tardi, saranno morti ormai». È il racconto di un ragazzo ai giornalisti di al Jazeera, pressoché unica emittente che riesce a lavorare dalla Striscia, dove internet e rete telefonica si accendono e si spengono.
Gli uccisi a Jabaliya ieri erano almeno 29, decine i feriti. Tra le strutture prese di mira c’è una scuola dell’Unrwa che ospita migliaia di sfollati. Poche ore prima Israele aveva bombardato un’altra scuola dell’agenzia Onu per i rifugiati nel campo di al-Shati: cinque uccisi. Da Beach Camp sono arrivate invece altre immagini, girate dal blogger palestinese Ahmed Hijazee: sulla scuola Unrwa che ospita migliaia di sfollati sono piovute munizioni che hanno sprigionato polvere bianca, mentre dall’alto ne cadeva altra, a grandi archi.
Immagini che hanno riportato alla mente il fosforo bianco usato nell’offensiva militare Piombo fuso, di sicuro lo hanno pensato le persone sul posto che hanno iniziato a gridare «fosforo, fosforo» tentando di coprirsi la bocca. Impossibile al momento dire se si trattasse dell’arma proibita, già utilizzata – secondo Amnesty International e Human Rights Watch – le scorse settimane a Gaza e nel sud del Libano.

L’OPERAZIONE israeliana è iniziata 27 giorni fa e ha provocato una carneficina: 32mila i palestinesi feriti e oltre 9mila gli uccisi, di questi 2.600 non sono mai stati recuperati. Sono dispersi sotto macerie impossibili da rimuovere se si scava con le mani. Là sotto stanno anche 1.150 bambini, mai trovati. Tra le vittime, oltre a 3.760 minori e 2.326 donne (il 67% del totale), ci sono anche 72 membri delle Nazioni unite e 135 tra medici e paramedici.

Gli altri, esausti ma ancora vivi, operano nella metà degli ospedali che la Striscia aveva prima del 7 ottobre: il 46%, 16 ospedali su 35 non funzionano più. Ieri a fermarsi è stato il Turkish-Palestinian Friendship Hospital, l’unico oncologico dell’enclave, a causa degli attacchi aerei e della fine del carburante necessario ai generatori.
Ieri il capo di stato maggiore israeliano Herzi Halevi ha “aperto” alla consegna del carburante, ma solo quando sarà finito: «Da una settimana dicono che gli ospedali stanno per terminarlo, ancora non è terminato», ha detto senza citare le 16 cliniche che hanno già interrotto le attività. Poco dopo a smentirlo è stato il premier Netanyahu: «Non ha dato nessuna autorizzazione» in merito al trasferimento di benzina.
«UN GENOCIDIO», hanno avvertito ieri sette relatori speciali per i diritti umani dell’Onu: «Restiamo convinti che il popolo palestinese è a grave rischio di genocidio. Il tempo per agire è adesso», scrivono elencando mancati aiuti, taglio dell’acqua, bombardamenti aerei su scuole e rifugi per i civili.
CHI PUÒ SCAPPA, ma sono pochissimi. Dopo le 500 persone uscite mercoledì dal valico di Rafah in Egitto, in tanti si sono affollati al grande arco che conduce fuori e agli sportelli per il controllo passaporti. A uscire sono solo gli stranieri e i palestinesi con doppia cittadinanza (400 persone, molti statunitensi e belgi, ma anche i cooperanti italiani) e 60 malati.
I bambini restano dentro, sullo sfondo dell’ennesimo appello lanciato ieri dall’Unicef, ormai quotidiani e inascoltati: «Anche la guerra ha delle regole. Il costo di questa escalation di violenza per i bambini e le loro comunità sarà tramandato alle generazioni che verranno. I bambini muoiono a tassi allarmanti e sono privati dei diritti fondamentali».
QUELLA ESCALATION di violenza non sarebbe stata nemmeno dispiegata tutta, a sentire Halevi secondo cui l’aviazione sta impiegando meno della metà della sua forza. La violenza arriva anche da terra, fino a Gaza city. «L’esercito è nel cuore di Gaza nord e negli ultimi giorni sta operando dentro Gaza City, circondandola da diverse direzioni», ha spiegato. In serata il portavoce militare Daniel Hagari ha parlato di attacchi a postazioni e infrastrutture di Hamas.
A metà pomeriggio le agenzie riportavano di duri scontri a fuoco tra forze israeliane e miliziani di Hamas nella città più grande e popolata della Striscia: l’invasione di terra è realtà da giorni e ha raggiunto le aree urbane. Hamas risponde con colpi di mortaio, granate e scontri ravvicinati con la fanteria.
UCCISO IERI il 18esimo soldato israeliano, Salman Habaka, comandante di un battaglione. Sarebbero 130, secondo Israele, i miliziani uccisi. Il timore è che alcuni siano civili: ieri la Mezzaluna rossa ha denunciato spari da veicoli militari sull’Al-Quds Hospital, con almeno due feriti, una donna e un bimbo.
*(Fonte Internazionale da IL Manifesto. Chiara Cruciati, è una professionista, una giornalista, ma soprattutto una donna di grande prossimità umana e disponibile a condividere il proprio sapere)

 

10 – CHE COSA FANNO I VICEMINISTRI E I SOTTOSEGRETARI DI STATO (*) COADIUVANO I MINISTRI NELL’ESERCIZIO DELLE LORO FUNZIONI ED ESERCITANO I COMPITI AD ESSI DELEGATI TRAMITE DECRETO MINISTERIALE. UN MASSIMO DI 10 SOTTOSEGRETARI POSSONO RICEVERE ANCHE LA NOMINA A VICEMINISTRO.

DEFINIZIONE
I sottosegretari di stato sono nominati con decreto del presidente della repubblica su proposta del presidente del consiglio, in accordo con il ministro di riferimento. Il loro compito è quello di coadiuvare i ministri nell’esercizio delle loro funzioni. In un momento successivo alla nomina vengono loro attribuite delle deleghe specifiche tramite decreto ministeriale. Possono intervenire alle sedute delle camere e delle commissioni parlamentari facendo le veci dell’esecutivo e rispondendo a interrogazioni e interpellanze. Tuttavia non partecipano alle riunioni del consiglio dei ministri.

IL SOTTOSEGRETARIO VERBALIZZANTE È UNA FIGURA DI PRIMO PIANO ALL’INTERNO DELL’ESECUTIVO.
Fa eccezione a questo quadro il sottosegretario alla presidenza del consiglio con funzioni di segretario del consiglio dei ministri. Questo infatti viene nominato contestualmente ai ministri e non dopo come i suoi colleghi. Inoltre la sua presenza è prevista in sede di consiglio dei ministri visto che spetta a lui il compito di verbalizzare le sedute. Pur essendo a tutti gli effetti un sottosegretario si tratta solitamente di una figura molto importante all’interno dell’esecutivo, che lavora a stretto contatto con il presidente del consiglio stesso.
Ma anche altri sottosegretari possono assumere, in un secondo momento, un ruolo più rilevante rispetto ai loro colleghi. La legge infatti prevede che fino a un massimo di 10 sottosegretari possano essere nominati viceministri (L. 400/1988, articolo 10).

10 IL NUMERO MASSIMO DI VICEMINISTRI PREVISTI DALLA LEGGE.
A differenza dei normali sottosegretari, a questi devono necessariamente essere conferite deleghe relative a uno o più dei dipartimenti o delle direzioni di cui è composto il ministero in cui operano. Questo vuol dire che ai viceministri è attribuito un potere effettivo su una parte dell’amministrazione del dicastero. In aggiunta i viceministri, se invitati dal presidente del consiglio, possono partecipare alle riunioni del consiglio dei ministri, ma senza diritto di voto.
Di norma ciascun ministro può decidere se nominare o meno dei viceministri. A partire dal 2014 però la legge (L.125/2014, articolo 11) impone a ogni nuovo ministro degli esteri la nomina di un viceministro alla cooperazione allo sviluppo.
Né la figura del sottosegretario né quella del viceministro sono disciplinate dalla costituzione. Questi ruoli sono invece previsti dalla legge 400 del 1988, che tuttavia non definisce il numero massimo di sottosegretari che possono essere nominati. Un’altra norma tuttavia (legge 300 del 1999) stabilisce un numero massimo di 65 componenti per ciascun governo. Di conseguenza il numero di sottosegretari che possono essere nominati deriverà innanzitutto dalla scelta del numero di ministri.

65 IL NUMERO MASSIMO DI COMPONENTI DEL GOVERNO INCLUSI IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, I MINISTRI, I VICEMINISTRI E I SOTTOSEGRETARI.

DATI
Osservando i dati alla nascita di ciascun esecutivo emerge che il governo Meloni ha nominato il numero massimo di componenti previsto dalla legge, così come prima avevano fatto i due governi guidati da Giuseppe Conte. A differenza di questi però Meloni ha nominato più ministri e meno sottosegretari.
I RUOLI NEI GOVERNI DELLE ULTIME TRE LEGISLATURE
IL NUMERO DI MINISTRI, VICEMINISTRI E SOTTOSEGRETARI NEI GOVERNI DAL 2013 A OGGI
PIÙ IN GENERALE COMUNQUE SI PUÒ OSSERVARE COME NELLE ULTIME DUE LEGISLATURE I GOVERNI ABBIANO TUTTI NOMINATO 65 COMPONENTI, CON L’ECCEZIONE DEL GOVERNO DRAGHI CHE SI È FERMATO A 64. NELLA LEGISLATURA PRECEDENTE INVECE I NUMERI ERANO UN PO’ PIÙ BASSI, ARRIVANDO A 61 O 62 MEMBRI.

ANALISI
La scelta di quanti sottosegretari e viceministri nominare dipende in larga parte dagli equilibri interni a ciascun esecutivo. Nominandone il numero massimo fin dall’inizio il governo può più facilmente accontentare le richieste che provengono dalle diverse forze della maggioranza. In questo modo però l’esecutivo si preclude la possibilità di nuove nomine nel momento in cui la fase politica lo renda opportuno.
Questa decisione inoltre produce effetti anche sugli equilibri e sui lavori parlamentari. Tradizionalmente infatti i componenti del governo sono per la maggior parte anche parlamentari. Dati gli impegni di governo però di solito dedicano poco tempo ai lavori in aula e nelle commissioni. Questo aspetto, che è sempre stato presente, assume maggiore rilevanza da quando, con l’avvio della legislatura attuale, è stato ridotto il numero di parlamentari. Questa considerazione tuttavia non sembra aver influito sulle scelte del governo Meloni, nonostante in alcune commissioni il margine della maggioranza risulti abbastanza ristretto.

Chi: governo Berlusconi IV, governo Conte, governo Gentiloni, governo Letta, governo Meloni, governo Monti, governo Renzi, Luigi Di Maio, Matteo Salvini, sottosegretari
Cosa: Mappe del potere
Quando: XIX legislatura, XVI legislatura, XVII legislatura, XVIII legislatura
*(FONTE: openpolis)

 

11 – Anna Fabi*: RIFORMA PENSIONI: QUOTA 103 CON PENALIZZAZIONI. PENSIONI (ndr. ma non dovevano abolire la legge Fornero?)

Riforma Pensioni, Quota 103 in Manovra 2024: ricalcolo interamente contributivo, limite all’importo e finestra più lunga per la decorrenza.
La nuova Quota 103 per il 2024 prevede requisiti più rigidi in termini di finestre di uscita e calcolo pensione, che ne allontanano la decorrenza e ne riducono di fatto l’importo. Sono le novità di Riforma Pensioni inserite in Legge di Bilancio, nel capitolo dedicato alla previdenza e alla flessibilità in uscita.
Nel testo della Manovra c’è un ricalcolo contributivo dell’assegno e un tetto massimo fino alla maturazione del requisito pieno a pensione. Di fatto, l’uscita anticipata dal mondo del lavoro diventa sempre più una corsa a ostacoli.
VEDIAMO COME DOVREBBE CAMBIARE QUOTA 103 SECONDO LE ULTIME NOVITÀ.
Indice
• Quota 103: come cambia dal 2024
• Pensione Quota 103 con taglio assegno
• Importo massimo della pensione
• Decorrenza pensione con finestra mobile più lunga
• Riepilogo requisiti 2024 per la Quota 103
• La flessibilità in uscita in Manovra
• Quota 103: come cambia dal 2024
Partiamo dai requisiti attualmente previsti dalla Quota 103, che continuano ad applicarsi fino al 31 dicembre 2023: 62 anni di età minima, 41 anni di contributi versati, nessuna penalizzazione sull’assegno ma importo massimo erogabile di 1500 euro fino al raggiungimento dei requisiti di vecchiaia (attualmente fissati a 67 anni).

Dal 1° gennaio 2024, bisogna maturare entro fine anno sempre 41 anni di contributi versati ma si dovrà attendere di più per uscire. Non solo: scatta anche una penalizzazione sul calcolo.

PENSIONE QUOTA 103 CON TAGLIO ASSEGNO
Calcolo pensione con sistema retributivo, contributivo o misto

Chi aggancia questa formula di flessibilità in uscita, in genere avrebbe diritto a calcolare la pensione con il sistema misto, che prevede la valorizzazione con il retributivo della quota di contributi versati entro il 31 dicembre 1995.
Invece, la Quota 103 per chi matura il requisito nel 2024 prevede il ricalcolo contributivo della pensione.

IMPORTO MASSIMO DELLA PENSIONE
La Quota 103, fin dall’esordio di Quota 100, ha sempre previsto un tetto massimo all’assegno percepito, da applicarsi fino al raggiungimento dei requisiti per l’età della pensione di vecchiaia (attualmente fissati a 67 anni). Per la prima edizione di Quota 100 era previsto un tetto di 1500 euro. Con le nuove edizioni della Quota 102 e 103 l’importo si è adeguato all’inflazione.
Per il 2024, è fissato anche un nuovo tetto all’assegno percepito, che in base al Ddl della Manovra è pari a 4 volte il trattamento minimo INPS (circa 2.270 euro) invece di cinque volte (come avviene oggi). Finché non si raggiunge l’età per la pensione di vecchiaia, al momento 67 anni, si riceve quindi una pensione fino al tetto imposto.

DECORRENZA PENSIONE CON FINESTRA MOBILE PIÙ LUNGA
Per chi sceglie la nuova Quota 103, la finestra mobile – il periodo che intercorre fra il momento in cui si matura il diritto e quello della decorrenza della pensione – si estende a sette mesi nel privato e a nove mesi nel pubblico.
Anche questa è una regola che si applica solo a chi matura il diritto a partire dal 2024.
In pratica, con la nuova Quota 103 da gennaio prossimo si dovrà aspettare almeno sette mesi per percepire la prima pensione se dipendente privato, nove mesi se dipendente pubblico. Un “compromesso” di Governo all’alternativa prevista all’inizio, ossia uno slittamento di un anno che avrebbe reso questa pensione anticipata una sorta di Quota 104.
RIEPILOGO REQUISITI 2024 PER LA QUOTA 103
Tutte le novità esposte riguardano coloro che maturano il diritto alla pensione con la nuova Quota 103 dal primo gennaio 2024. Chi invece matura 62 anni di età e 41 anni di contributi entro il 31 dicembre 2023 ha ancora diritto alla vecchia Quota 103 e continua a poter applicare le precedenti regole, anche se decide di andare in pensione successivamente.

RIASSUMIAMO TUTTI I REQUISITI, in base all’ultima versione della bozza di Manovra.
Attuale Quota 103: 62 anni di età e 41 anni di contributi entro il 31 dicembre 2023. Finestra mobile di tre mesi. Nessuna decurtazione sull’importo della pensione. Assegno percepito con tetto massimo fisso fino ai 67 anni. Chi ha questo requisito, può esercitarlo in qualsiasi momento. Quindi, può andare in pensione nel 2024 o in un periodo successivo con la vecchia Quota 103.
Nuova Quota 103: stessi requisiti ma maturati entro dicembre 2024, con finestra mobile che aumenta a sette / nove mesi. Riduzione dell’assegno con ricalcolo contributivo. Pensione massima percepito fino a 4 volte il minimo INPS fino alla maturazione del requisito per la pensione di vecchiaia.
LA FLESSIBILITÀ IN USCITA IN MANOVRA
In generale, la Manovra 2024 ha previsto una stretta su tutte le forme di flessibilità in uscita: si è alzata l’età per l’APE Sociale a 63 anni e cinque mesi e quella per Opzione Donna a 61 anni (sempre con una riduzione di un anno per ogni figlio, fino a un massimo di due anni).
La pensione anticipata contributiva, consentita a determinate condizioni con 64 anni di età e 20 anni di contributi, prevede dal 2024 un vincolo più alto in termini di assegno maturato, che deve essere pari a 3 volte l’assegno sociale per gli uomini (oggi invece è a 2,8 volte per tutti).
*(Fonte: PMI.it. Anna Fabi, giornalista)

 

12 – Lorenza Pignatti*, TALLINN: Come ipnotizzati dall’infosfera – MOSTRE. LA BIENNALE ESTONE «TALLINN PHOTOMONTH», CON IL SUO TITOLO «TRANCE», INDAGA L’ESPERIENZA DELL’IPERCONNESSIONE. AMBIENTI VIDEO-SCULTOREI, RITUALI DI GUARIGIONE, TUTORIAL DI INTERNET, ALTERAZIONI PSICOFISICHE: SULLA SCENA BALTICA, INVESTIGAZIONI SOCIALI E TECNOLOGICHE UTILIZZANDO ANCHE IL «glitch»
La rete di immagini e informazioni in cui siamo immersi è composta da fili che sembrano seguire un impulso onnicomprensivo che crea vertigine e straniamento. Tallinn Photomonth, biennale internazionale di arte contemporanea, visitabile nella città estone fino al prossimo 26 novembre, sonda i significati e le iconografie derivate dalla trance di informazioni e immagini in cui siamo immersi.

«TRANCE» È IL TITOLO della mostra principale di questa manifestazione e indaga il modo in cui le opere d’arte ampliano l’esperienza sensoriale in un mondo mediato dalla tecnologia. Ospitata alla Tallinn Art Hall raccoglie il lavoro di una ventina di artisti che si muovono tra indagine sociale e narrazione immaginifica, naturale e artificiale. «Gli artisti in mostra assorbono, hackerano e riformattano i mezzi convenzionali della produzione audiovisiva – afferma il curatore Ilari Laamanen –. Presentano incontri idiosincratici tra corpi e tecnologie e utilizzano il glitch come strumento concettuale: una frattura nel tempo, che per sua natura richiede e determina un momento di interruzione e riflessione».

Di Patricia Domínguez Claro (nata nel 1984 a Santiago del Cile) è presentato Eyes of Plants, ambiente video-scultoreo che attinge a un ampio inventario di simboli visivi, che vanno dalla vita vegetale ai rituali di guarigione, ai tutorial di benessere pubblicati in Internet. Domínguez inventa una sorta di futurismo botanico che intreccia storie familiari e narrazioni collettive in cui rituali di guarigione ancestrali diventano necessari per poter sopravvivere in un contesto sempre più dipendente dall’iperconnessione tecnologica.

UNA LUCIDA ATTENZIONE è riservata alla pervasività dell’infosfera con il video Fire 2 Fire di Cuss Group, collettivo fondato nel 2011 a Johannesburg, che indaga e racconta la scena culturale del Sudafrica. Le attività del collettivo spaziano dalla produzione di serie televisive, alle pubblicazioni di fanzine, a progetti curatoriali internazionali presentati in gallerie e spazi non tradizionali come negozi commerciali, per renderne più democratica la fruizione.
Il boom dei cellulari e lo sviluppo di servizi bancari abilitati alla telefonia mobile dimostrano la vivacità e la pervasività della scena digitale africana, anche se rimangono molte disuguaglianze nella costruzione e nel funzionamento delle infrastrutture digitali.

NEL VIDEO, CUSS GROUP conduce lo spettatore in uno stato di alterazione psicofisica tra promesse di salvezza e prosperità economica che si possono ottenere con offerte di danaro inviate alle varie confessioni religiosi presenti online. Lo schermo è sovraccaricato dal bombardamento caotico di parole chiave e frammenti di immagini, cui si sovrappone una presenza olografica che cerca di ipnotizzare il fruitore con messaggi profetici. Una sorta di parodia delle forme di profitto e di manipolazione presenti in rete che alterano la psiche degli individui, ignari della sua tossicità.
Diversamente tossico, questa volta nei confronti dell’ambiente è il video Driven, dell’artista estone Karel Koplimets che documenta quello che accade a scadenza settimanale, in estate, nel parcheggio del centro commerciale Ülemiste di Tallinn. Lì sono organizzate gare illegali con auto truccate, che prima della competizione sfilano una a una per mostrare come vengono personalizzate, in una sorta di spettacolo con musica techno e tanti effetti di fumo colorato. Una sottocultura urbana molto seguita dalla popolazione locale e, in qualche modo, accettata dalle autorità, che sembrano condividere la passione per le macchine, basti pensare che lo scorso l’anno l’Estonia era al 17/o posto al mondo per auto pro-capita, con 715 auto ogni 1000 persone.

LONTANE DALLE ESIBIZIONI di artefatti meccanici di Driven, che ricordano le atmosfere del romanzo Crash di Ballard e dell’omonimo film di Cronenberg, sono altre opere presenti in mostra, come l’installazione di Norman Orro e Joonas Timmi. Insieme, hanno realizzato una sorta di grande arpa che mette in dialogo ecologia, tecnologia e metodi tradizionali di lavorazione del legno. Ricorda la struttura ossea di un essere vivente, che diffonde suoni derivati dalla manipolazione della voce della cantante Vaim Sarv. Intervento sonoro che è parte della ricerca intrapresa già da una decina d’anni da Orro con il suo progetto Music For Your Plants.
Il programma satellite di Tallinn Photomonth è composto da una decina di mostre personali estremamente diverse da Trance, in cui gli artisti mettono in atto un’analisi poetica del reale. Ritva Kovalainen e Sanni Seppo hanno documentato gli habitat forestali finlandesi, dove la silvicoltura intensiva impedisce a numerose comunità biotiche formate da migliaia di piante, funghi, animali, batteri, di sopravvivere in quelle condizioni.

LA SILVICOLTURA INTENSIVA e il disboscamento hanno trasformato le foreste in qualcosa di fondamentalmente diverso da come sarebbero in natura. Solo l’1% circa delle foreste finlandesi è allo stato naturale, cioè intatto. Rimangono ancora un po’ di aree boschive in cui l’impatto dell’attività umana non ha modificato in modo decisivo la struttura naturale e la composizione delle specie.
Per Forests of the North Wind, è questo il titolo della loro personale, hanno fotografato solo le aree «protette» delle foreste non sfruttate a livello commerciale, che si trovano principalmente nei pressi della Carelia settentrionale e della Lapponia. Presentata a Gallery Seek, raccoglie la parte finale della trilogia composta dagli artisti nel corso degli ultimi tre decenni. La prima parte, realizzata nel 1997, è Tree People, un’esplorazione dei miti finlandesi associati agli alberi e alle foreste, la seconda, iniziata nel 2009 è Silvicultural Operations, in cui hanno evidenziato gli aspetti negativi della silvicoltura, la cui pervasività è difficile da comprendere, visualizzare e perfino da accettare.

È INVECE UNA MACCHINA del tempo la mostra Nordic Blue di Luca Berti, ospitata al Juhan Kuus Documentary Photo Centre che si trova nella parte hipster della città, anche denominata Creative City. Ex zona industriale che ora raccoglie start-up tecnologiche, studi di artisti, grafici e designer, teatri e spazi espositivi. La personale di Berti, fotografo italiano da più di venti anni residente in Danimarca, è un visual storytelling del paesaggio rurale dei Paesi nordici, ripreso attraverso la tecnica fotografica analogica della cianotipia.
Noto come maestro dello slow photography, Berti ha viaggiato per i Paesi nordici in bicicletta per diversi periodi dell’anno. Nel corso dei suoi lenti viaggi entra in contatto con gli abitanti dei villaggi rurali e le popolazioni Sami. Fa loro ritratti che ricordano quelli ripresi dai primi dagherrotipisti, in cui la rarefazione della luce nordica amplifica la drammaticità e il silenzio di quei volti, che sembrano appartenere a un’epoca lontana.
*(Fonte: Il Manifesto. Lorenza Pignatti … Storica dell’arte e curatrice, insegna alla NABA di Milano. Ha insegnato alla Supsi)

 

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