n°34 – 26/8/23 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – Pierre Haski*: La guerra in Ucraina si è globalizzata – Attenzione alle illusioni ottiche.
02 – Andrea Colombo*: Manovra, il governo supplica l’Europa e rimuove la sanità – BANDIERA BIANCA . Dopo Giorgetti e Fitto, anche Tajani lancia l’allarme sulle regole Ue e incalza Gentiloni: «Faccia la sua parte per tutelare l’Italia»
03 – Andrea Carugati*: Santoro sfida sinistra e M5S: «Serve una lista pacifista» – VERSO LE EUROPEE. Sabato prima tappa in Versilia con de Magistris, Raniero La Valle e Ginevra Bompiani
04 – Quali sono i ruoli chiave del parlamento- Non tutti i parlamentari hanno lo stesso peso. Deputati e senatori che ricoprono ruoli chiave riescono a incidere maggiormente. Scopriamo quali sono e cosa fanno
05 – Antonio Correia*: CRISI CLIMATICA – L’Europa comincia a costruire le foreste del futuro
06 – Michele Bertelli*: Quito – America Latina – Ecuador Al ballottaggio. Ma la vera sorpresa è l’assenza di violenza. Al primo turno vince la Correista González, segue lo sconosciuto 35enne NOBOA.
07 – JOHANNESBURG Paolo Vittoria *: I Brics tra nuove monete e vecchio capitalismo – IL VERTICE IN SUDAFRICA. L’idea di una valuta anti-dollaro e altre adesioni all’orizzont
e.

 

01 – Pierre Haski*: LA GUERRA IN UCRAINA SI È GLOBALIZZATA – ATTENZIONE ALLE ILLUSIONI OTTICHE. LA GUERRA IN UCRAINA SI È GLOBALIZZATA, EPPURE NON È UNA GUERRA MONDIALE. IL SUO IMPATTO, IN OGNI CASO, SI FA SENTIRE OVUNQUE, E LE DECISIONI POLITICHE RISPETTO ALLO SVOLGIMENTO DEL CONFLITTO, ALIMENTATE DAI DUBBI E DALLE SPACCATURE IDEOLOGICHE, NON POSSONO LIMITARSI SOLO AL TEATRO EUROPEO.

PRENDIAMO IL VERTICE DEI BRICS (BRASILE, RUSSIA, INDIA, CINA E SUDAFRICA) IN CORSO A JOHANNESBURG. L’evento può dare l’impressione della nascita di un blocco coerente antioccidentale. La realtà, però, è più complessa.
I partecipanti trovano un terreno d’intesa in un orientamento politico comune, ma presentano contraddizioni immense. L’unica soluzione per risolverle sarebbe quella di accettare la leadership cinese, cosa che l’India, per citare solo il paese più popoloso, non è assolutamente disposta a fare. Tuttavia non possiamo ignorare il segnale politico inviato dal “club” dei paesi emergenti.

LA CRISI POLITICA AFRICANA
Lo stesso rischio di imbattersi in uno specchio deformante emerge in Sahel, soprattutto dopo il colpo di stato in Niger. Sarebbe un errore non considerare ripetuti colpi di stato militari come una delle espressioni della nuova guerra fredda. Ma la presenza del gruppo Wagner e l’ombra della Russia, più che la causa del problema, sono un effetto dell’opportunità creato dall’instabilità, mentre l’origine della situazione va ricercata prima di tutto nella crisi politica africana.
Confondere la causa con le conseguenze può comportare una reazione eccessiva, come ci insegnano molti esempi storici. Resta il fatto che il continente africano, suo malgrado, subisce l’onda d’urto dell’invasione dell’Ucraina.
Gli Stati Uniti sono ossessionati dalla rivalità con la Cina, non certo dalla Russia o dal futuro dell’Europa
Infine, mentre nella zona del Pacifico le tensioni non smettono di aumentare, la guerra russa è diventata un fattore cruciale di un’equazione strategica che la precede e la oltrepassa. Gli Stati Uniti sono ossessionati dalla rivalità con la Cina, non certo dalla Russia o dal futuro dell’Europa, e sostengono con decisione l’Ucraina soltanto perché sanno benissimo che un successo di Mosca porterebbe grandi benefici a Pechino e sarebbe un incoraggiamento a incrementare l’aggressività della Cina nelle acque calde del mar Cinese meridionale o a Taiwan. Se così fosse, il fulcro del dibattito statunteste non sarebbe “chi ha perso l’Ucraina” (così come nel 1949, con la vittoria di Mao a Pechino, la domanda che circolava a Washington non era “chi ha perso la Cina”) ma “chi ha perso l’Asia, e dunque il mondo”.

UN DIBATTITO PRIMA DI TUTTO POLITICO
È in questo contesto confuso e complesso che emerge una nuova riflessione sull’aiuto militare all’Ucraina. È un dialogo a volte caricaturale, come dimostra la presa di posizione “putiniana” di Nicolas Sarkozy in Francia; ed è anche spiccatamente strategico nei dubbi espressi a Washington sulla capacità degli ucraini di cambiare il rapporto di forze sul campo dopo i risultati deludenti (è innegabile) della controffensiva estiva.
Ma questo dibattito è prima di tutto politico, perché si basa anche sull’analisi che faranno gli statunitensi dell’impatto globale del conflitto. Nel contesto altamente esplosivo della campagna elettorale degli Stati Uniti, qualsiasi passo indietro in Ucraina sarebbe interpretato come una concessione fatta alla Cina e a Xi Jinping e dunque come un fallimento di Joe Biden.
L’unica speranza di far diminuire la tensione, in questo ambiente più propizio agli ingranaggi bellici che alla distensione, nasce da un eventuale vertice tra il presidente statunitense e il numero uno cinese Xi, che i diplomatici stanno cercando di mettere in piedi per l’autunno. L’obiettivo non sarà quello di sancire la pace, né in Ucraina né tra i due paesi, ma di trovare il modo di essere in disaccordo senza rischiare di trascinare il mondo in un conflitto generalizzato. È poco, ma è già qualcosa.
La stessa prospettiva era alla base dell’ultimo incontro tra i due organizzato a Bali lo scorso autunno a margine del G20, ma il processo di distensione è rapidamente deragliato. Oggi si cerca di rilanciarlo prima che un incidente nel mar Cinese meridionale faccia precipitare la situazione, che un’incursione di troppo a Taiwan faccia scoccare la scintilla o che Vladimir Putin stravolga il mondo con i suoi continui rilanci. Gli europei restano largamente spettatori di tutto questo, perché ormai la posta in gioco sull’Ucraina è mondiale. Questa è la realtà di una fine estate al suono dei cannoni.
*( Fonte: Internazionale – Pierre Haski, L’Obs, Francia – Traduzione di Andrea Sparacino)

 

02 – Andrea Colombo*: MANOVRA, IL GOVERNO SUPPLICA L’EUROPA E RIMUOVE LA SANITÀ – BANDIERA BIANCA . DOPO GIORGETTI E FITTO, ANCHE TAJANI LANCIA L’ALLARME SULLE REGOLE UE E INCALZA GENTILONI: «FACCIA LA SUA PARTE PER TUTELARE L’ITALIA»
C’è un’assenza significativa nei discorsi dei ministri al meeting di Cl a Rimini: la sanità. Non ne parla nessuno. Non figura tra le voci irrinunciabili degli austeri né tra le richieste, pur giuste, di chi vorrebbe invece allargare i cordoni della borsa. Tra i segnali foschi che si sono accumulati in questi giorni è uno dei peggiori, e infatti su questo fronte le opposizioni annunciano battaglia: «Ci opporremo con unghie e denti a ogni taglio e privatizzazione della sanità pubblica universalistica», promette la segretaria del Pd Elly Schlein.

L’altro segnale è l’allarme per il ritorno del patto di stabilità. Il terzo a suonare quella sirena, dopo Giorgetti e Fitto, è il vicepremier Tajani. Spara a palle incatenate: «Bisognava fare come in Cina, dove per aiutare la crescita hanno diminuito il tasso d’interesse. Il contrario di quello che ha fatto la Bce». Dalla Banca centrale al nuovo patto di stabilità il passo è brevissimo: «Il patto deve essere di Stabilità e di Crescita. Servono correttivi perché Paesi come l’Italia non siano aggravati da spese non volute dal governo né dallo Stato. Come le spese per il Pnrr e per la difesa dell’Ucraina». Il vicepremier chiude l’intemerata chiamando direttamente in causa il commissario italiano Gentiloni: «Credo e mi auguro che faccia la sua parte per tutelare l’interesse italiano e di una Unione europea che produce». Cosa aspetta a darsi una mossa?

A RIMINI C’È ANCHE Salvini, che però di patto di stabilità preferisce non impicciarsi. Su Pnrr e legge di bilancio invece qualcosina dice: «Il grosso del Pnrr è a debito e io non mi indebito per gli stadi ma per gli asili sì. La priorità nella legge di bilancio è aumentare stipendi e pensioni». I due vicepremier la pensano all’opposto sulla tassa per gli extraprofitti delle banche, il leghista la vuole confermare in pieno, l’azzurro mira a ridimensionarla escludendo «le banche di prossimità» e possibilmente anche i profitti esteri. Sull’aumento delle pensioni invece concordano.

Per Tajani bisogna avvicinarsi al traguardo di legislatura promesso, le minime a mille euro, passando subito da 600 a 700 euro mensili, trovando le coperture grazie a non meglio precisate «privatizzazioni». Salvini non quantifica e non indica fonti di entrata, a parte il solito Reddito di cittadinanza da togliersi a chi non ne ha diritto, ma sull’aumento ci metterebbe subito la firma.

Le ambizioni di entrambi, per non parlare di esigenze assolute come appunto la sanità, sono destinate a infrangersi contro il muro della penuria di risorse ma anche di quel ritorno del patto di stabilità che è il primo e principale cruccio di tutto il governo. La coperta sarà probabilmente anche più corta del previsto, perché l’obiettivo previsto di una crescita all’1% non appare a portata di mano quest’anno e neppure per il prossimo quello dell’1,5%. Il ricorso a deficit e debito, con le regole del patto in fase di riscrittura, appare al governo come quanto di meno consigliabile: significherebbe consegnare un argomento possente ai guardiani del rigore, la Germania, l’Olanda, i “frugali”. L’Italia invece ha bisogno di vantare merito in materia di rigore e austerità per provare a strappare condizioni meno soffocanti.

SE IL TIMORE FOSSE solo quello ufficialmente dichiarato da Fitto, la mancanza di un accordo e di conseguenza il ritorno in vigore delle «vecchie regole», la preoccupazione sarebbe in realtà limitata. Il vero guaio è che anche con le nuove la musica non cambierà e anzi rischia di peggiorare. Il tetto per il rapporto deficit/Pil resterà comunque fissato al 3%. La proposta della Commissione, rimaneggiata dai falchi di Berlino, prevede il rientro automatico dello 0,5% del deficit ogni anno in caso di sforamento. Per il ministro delle Finanze tedesco Lindner è ancora poco e nei prossimi mesi si sforzerà per irrigidire le regole del rientro. Nelle condizioni in cui si trova l’Italia, tra l’impennata del debito e quella della spesa corrente, sia il vecchio che il nuovo modello rischiano di rivelarsi esiziali.

LA SPERANZA DEL GOVERNO era prolungare la sospensione introdotta con l’esplosione della crisi Covid di un altro anno. Giorgetti, un po’ a mezza bocca, aveva in effetti provato a introdurre il tema, proprio nel suo intervento a Rimini. La rapidità con cui ha dovuto in poche ore ingranare la retromarcia, affidando al Mef il compito di precisare le sue parole di fatto capovolgendole, dice tutto sulla reazione europea. Quella strada è sbarrata e la sola via d’uscita, strettissima, è ottenere che nel deficit non venga contata una lunga serie di spese. Anche solo per sperarci bisogna arrivare al tavolo con alle spalle una manovra più che austera e il nodo eterno della ratifica della riforma del Mes finalmente sciolto.
*( Fonte: Il Manifesto – Andrea Colombo è un giornalista, scrittore e commentatore politico)

 

03 – Andrea Carugati*: SANTORO SFIDA SINISTRA E M5S: «SERVE UNA LISTA PACIFISTA» – VERSO LE EUROPEE. SABATO PRIMA TAPPA IN VERSILIA CON DE MAGISTRIS, RANIERO LA VALLE E GINEVRA BOMPIANI. A SETTEMBRE LA DECISIONE SUL LANCIO DI UNA «COSA ARCOBALENO» PER IL 2024. IL GIORNALISTA: «DOBBIAMO DARE RAPPRESENTANZA AL POPOLO DELLA PACE. I PARTITI DI OPPOSIZIONE NON COLGONO LA GRAVITÀ DEL TEMA. PRONTO A COLLABORARE, MA NON ACCETTO LEZIONCINE»

Non c’è niente di più urgente che dare rappresentanza al popolo della pace. Eppure la guerra in Ucraina, che sta ridisegnando il mondo, è il tema che i principali partiti preferiscono evitare o seppellire nella retorica». Michele Santoro lancia via social l’appuntamento di sabato sera alla Versiliana, dal titolo «E se spuntasse un arcobaleno?», dove lancerà un appello ultrapacifista insieme a Luigi de Magistris, Raniero La Valle e Ginevra Bompiani.

IL SUO POST È TUTT’ALTRO che ambiguo: «La Versiliana sarà un piccolo test per capire se quello mio e di Raniero è un sogno condiviso da molti. In quella occasione sarà chiaro se e in quale forma può cominciare ad esistere “il partito che non c’è”, se vale la pena presentare una lista alle elezioni europee». L’obiettivo dunque è chiaro: sondare il terreno per capire se ci sono le potenzialità per dar vita a una lista che potrebbe creare problemi nell’area del centrosinistra, soprattutto ai 5 stelle e ai rossoverdi, che hanno votato contro l’invio di armi ma che, secondo Santoro, «non hanno messo il tema della pace in testa alla loro agenda politica», spiega al manifesto. «Il voto potrebbe essere un’occasione per segnalare l’esistenza di una opinione pubblica che si sente mortificata dai media e dalla politica del “così come stiamo, stiamo bene”. Riuscire a darle voce sarebbe un invito per tutti i partiti a tenerla veramente in conto».

IL POPOLARE GIORNALISTA rispolvera una definizione degli anni Novanta, «il partito che non c’è», che fu lo slogan delle sue piazze tv negli anni Novanta, quando con Samarcanda combatteva le malefatte del pentapartito e sosteneva i giudici di Mani pulite. Ora diventa l’evocazione di un soggetto pacifista tout court che, ancor prima di nascere, vuole scuotere i partiti dell’opposizione con «un grido di dolore». «Non sono contro i 5 stelle e apprezzo i passi avanti fatti da Schlein sul tema della pace. Ma nei partiti non c’è la consapevolezza della gravità di questa guerra, che sta distruggendo l’Europa, e delle conseguenze che sta già determinando in campo economico e sociale», il suo ragionamento.

«Che senso ha parlare di salario minimo se la guerra rischia di cancellare qualunque possibilità di fare politiche espansive e favore dei più deboli?» . Il suo obiettivo dunque è dare la scossa al centrosinistra: «Inutile soffermarsi sulle stupidaggini che scrive un generale se non si coglie la dimensione militare che sta assumendo la politica in Europa». E invita i partiti di area a «mettere da parte egoismi di bottega e personalismi», a evitare «reazioni aggressive» al suo progetto o «dare lezioncine».

SANTORO SFERZA Sinistra italiani e Verdi, che hanno lanciato a inizio agosto un appello per allargare le loro liste per l e europee costruendo un’«Alleanza eco-sociale per il clima, la democrazia e l’uguaglianza». «Nel loro appello non compare la parola guerra, bisogna chiedersi perché», dice il conduttore. «Forse perché i Verdi tedeschi sono tra i più convinti nell’invio di armi a Kiev?». «Io non sono minoritario», dice il giornalista, «vorrei che riuscissimo a coinvolgere un grande numero di persone, dentro e fuori i partiti».
A FINE SETTEMBRE si tireranno le somme. «Valuteremo se ci sono le condizioni per fare una lista, vorrei che fossimo in grado di smuovere una parte del popolo che non vota, almeno il 2%. Dare rappresentanza a queste persone avrebbe conseguenze su tutto il sistema politico, rompere una cortina di indifferenza e rassegnazione». Lui sarà tra i candidati? «Non ho obiettivi personali, ho già fatto l’europarlamentare e dopo pochi mesi me ne sono andato. Ma farò quello che serve al progetto», dice Santoro.
DE MAGISTRIS È convintamente della partita. «I ragionamenti di Michele sono in linea con il percorso che ha portato alla nascita di Unione popolare, che ha messo la pace in cima all’agenda fin dall’inizio. È fondamentale portare il fronte pacifista dentro le istituzioni di una Europa totalmente subalterna alla Nato». L’ex sindaco di Napoli frena sul nuovo soggetto politico: «Sabato non nascono liste, l’obiettivo è far capire che tutti gli altri temi, dall’inflazione al caro-energia, non si risolvono senza la fine della guerra. Noi siamo isolati tra i partiti, ma non nel sentire delle persone».
ARRIVA SUBITO IL VIA LIBERA di Rifondazione, che è socio fondatore di Unione popolare e denuncia la «rimozione» del tema della guerra. «C’è un palese accordo tra un governo subalterno alla Nato e un’opposizione che fa finta che la guerra non ci sia». Di qui il plauso all’iniziativa di Santoro e La Valle che «rilancia la necessità di una presa di posizione politica e di un impegno chiaro per il cessate il fuoco, la trattativa, il disarmo, la pace», dice il segretario Maurizio Acerbo. A 72 anni, dopo aver evocato per decenni l’idea di un impegno diretto in politica (già sfiorato nel 2004 con la candidatura europea nelle liste dell’Ulivo), stavolta il «partito di Santoro» sembra più vicino che mai.
*( Andrea Carugati , cronista parlamentare. Scrivo per il manifesto)

 

04 – QUALI SONO I RUOLI CHIAVE DEL PARLAMENTO – NON TUTTI I PARLAMENTARI HANNO LO STESSO PESO. DEPUTATI E SENATORI CHE RICOPRONO RUOLI CHIAVE RIESCONO A INCIDERE MAGGIORMENTE. SCOPRIAMO QUALI SONO E COSA FANNO.
In quanto eletti i parlamentari di camera e senato hanno tutti lo stesso ruolo di rappresentanti della nazione, come recita l’articolo 67 della costituzione. Con l’inizio della legislatura però a ciascun parlamentare vengono attribuiti incarichi specifici all’interno dei gruppi, delle commissioni o delle giunte. Questo incarico può essere semplicemente quello di componente di un organo, oppure può prevedere maggiori responsabilità. I più importanti tra questi incarichi sono definibili come ruoli chiave.

I PRESIDENTI D’AULA
In ciascuna delle due camere il ruolo più importante è quello del presidente. Regola l’attività di tutti i suoi organi, dirige e modera la discussione, pone le questioni, stabilisce l’ordine delle votazioni e ne proclama il risultato. Il presidente del senato è la seconda carica dello stato, è eletto dall’assemblea a scrutinio segreto con la maggioranza assoluta dei componenti nelle prime due votazioni; la maggioranza assoluta dei presenti, computando anche le schede bianche, nella terza votazione e dopo la terza votazione mediante il ballottaggio tra i senatori più votati nell’ultimo scrutinio. Il presidente della camera invece è la terza carica dello stato, per la sua elezione serve una maggioranza dei due terzi dei componenti per le prime due votazioni. Dal secondo scrutinio è richiesta la maggioranza dei due terzi dei voti computando anche le schede bianche. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta dei voti.

COSA SONO GLI UFFICI DI PRESIDENZA DI CAMERA E SENATO.
I vertici di camera e senato, svolgono il proprio compito coadiuvati da un ufficio di presidenza che comprende anche 4 vice presidenti, 3 questori e un minimo di 8 segretari.

I PRESIDENTI DEI GRUPPI PARLAMENTARI
Ciascun gruppo parlamentare, nella prima riunione, nomina il presidente, uno o più vicepresidenti e un comitato direttivo. Il presidente partecipa e presiede la conferenza dei presidenti di gruppo (anche nota come conferenza dei capigruppo o semplicemente capigruppo). L’organo si riunisce periodicamente per organizzare l’ordine dei lavori e per la programmazione del dibattito parlamentare. Il presidente può adottare autonomamente alcune iniziative. Tra queste chiedere che venga dichiarata l’urgenza su un determinato provvedimento (art. 69 del regolamento della camera), presentare mozioni (art. 111), presentare interpellanze urgenti (art. 138), richiedere informazioni alla corte dei conti, richiedere una conferenza dei capigruppo (art. 13) e richiedere lo svolgimento di una riunione in seduta segreta (art. 63). Queste richieste possono essere presentate anche dagli altri parlamentari ma in questo caso è necessario che siano sottoscritte da un numero minimo di componenti l’organo. Inoltre generalmente le mozioni di fiducia (e di sfiducia) vengono presentate dai presidenti di gruppo.

PRESIDENTI E ALTRI RUOLI CHIAVE NELLE COMMISSIONI
Il presidente rappresenta la commissione, la convoca formandone l’ordine del giorno, ne presiede le sedute e ne convoca l’ufficio di presidenza (articolo 21 comma 1 del regolamento della camera). Generalmente viene affidata loro la relazione dei provvedimenti più importanti discussi e approvati in commissione, nonché la relativa presentazione del testo all’aula.
I vicepresidenti sostituiscono il presidente in caso di assenza o di impedimento. I segretari verificano i risultati delle votazioni e controllano la redazione del processo verbale (articolo 21 comma 2 del regolamento della camera).
All’interno delle commissioni sono rappresentati tutti i gruppi parlamentari. Assieme al presidente, vice presidente e segretario di commissione, fanno parte dell’ufficio di presidenza delle singole commissioni anche i capigruppo. Questo vuol dire che ogni gruppo deve nominare un suo rappresentante. Il capogruppo in commissione collabora quindi alla formazione del calendario dei lavori della commissione stessa, funge da rappresentante politico, nonché portavoce, dello schieramento all’interno dell’organo.
DATI
La XIX legislatura si è aperta con una chiara maggioranza di centrodestra. Proprio per questo la maggior parte dei ruoli chiave negli organi di camera e senato è ricoperto da esponenti dei tre maggiori partiti della coalizione, ovvero Fratelli d’Italia (FdI), Lega e Forza Italia (FI).
Per quanto riguarda le presidenze delle commissioni permanenti, ad esempio, sia alla camera che al senato la maggioranza ha seguito un identico schema. Metà delle presidenze è andata a FdI, mentre l’altra metà è stata suddivisa tra esponenti di Forza Italia e della Lega, con una presidenza in più per quest’ultimo gruppo.
In ciascuna commissione sono poi presenti anche 2 vicepresidenti. Uno di maggioranza, scelto mantenendo praticamente le stesse proporzioni adottate per le presidenze, e uno di minoranza.
Tra i gruppi di opposizione al senato ricoprono il ruolo di vicepresidenti di commissione permanente 3 esponenti del Partito democratico (Pd), 3 del Movimento 5 stelle (M5s), 2 di Azione-Italia viva (Az-Iv) e 1 del gruppo Per le autonomie e del misto. Alla camera invece sono 7 del Pd, 4 del M5s, 2 di Az-Iv e 1 di Alleanza verdi e sinistra.
Quanto agli uffici di presidenza, al senato è ancora Fratelli d’Italia il gruppo più rappresentato, sia da un punto di vista numerico che qualitativo. Esprimendo anche il presidente d’aula, Ignazio La Russa.
Al secondo posto, con 3 esponenti all’interno dell’ufficio di presidenza, il Pd, il M5s e la Lega. Tra questi però solo il Pd dispone, oltre che di un vicepresidente, anche di un questore.
I gruppi parlamentari e gli incarichi negli uffici di presidenza nella XIX legislatura
Il numero e il tipo di incarichi ricoperti presso gli uffici di presidenza di camera e senato dai componenti di ciascun gruppo parlamentare
Questo contenuto è ospitato da una terza parte. Mostrando il contenuto esterno accetti i termini e condizioni di flourish.studio.
Alla camera invece presidenza è attribuita al leghista Fontana. A differenza della situazione al senato però in questo caso la Lega non è anche il gruppo più rappresentato, bensì il terzo. Da un punto di vista numerico infatti è sempre FdI ad esprimere più componenti (5), seguito dal M5s (4).

ANALISI
Nonostante questi ruoli siano tutti di grande importanza per l’andamento del processo legislativo e dunque per il funzionamento della macchina parlamentare, spesso non si tratta delle figure più in vista.
Buona parte del loro lavoro d’altronde è sottratto a stringenti obblighi di trasparenza. A differenza di quanto avviene per le sedute dell’aula infatti, la redazione e la pubblicazione di un accurato resoconto stenografico non è quasi mai obbligatoria per le sedute delle commissioni, le riunioni degli uEppure è proprio in questi organi che prendono corpo le iniziative politiche che poi, in alcuni casi, trovano il loro compimento nelle votazioni d’aula. È la conferenza dei capigruppo a decidere del calendario dei lavori, decretando così l’ordine di priorità dell’attività parlamentare. Mentre è nelle commissioni permanenti che si discutono dettagliatamente le norme contenute nei vari disegni di legge.
*( FONTE: openpolis – commissioni parlamentari, leggi- Quando: XIX legislatura – camera, parlamento, senato)

 

05 – Antonio Correia*: CRISI CLIMATICA – L’EUROPA COMINCIA A COSTRUIRE LE FORESTE DEL FUTURO
“LE FORESTE COMPOSTE DA UN’UNICA SPECIE DI ALBERI RISCHIANO DI SUBIRE MOLTO DI PIÙ LE CONSEGUENZE DEL CLIMA”.
Il programma europeo Reinfforce ha lo scopo di creare una rete unica al mondo, composta da 38 arboreti distribuiti sul versante atlantico del continente, in Portogallo, Spagna, Francia e Regno Unito. Ogni arboreto è composto dalle stesse specie autoctone, in modo da testare l’adattabilità dei vari alberi a diversi tipi di clima.
Europa sette giorni è un progetto giornalistico che racconta la vita delle società e dei cittadini del continente. Partecipano vari giornali europei: El País (Spagna), Gazeta Wyborcza (Polonia), Internazionale (Italia), Kathimerini (Grecia), Le Soir (Belgio) e Telex (Ungheria
*) Antonio Correia, ricercatore del Forest research centre dell’università di Lisbona

 

06 – Michele Bertelli, QUITO – AMERICA LATINA – ECUADOR AL BALLOTTAGGIO. MA LA VERA SORPRESA È L’ASSENZA DI VIOLENZA. AL PRIMO TURNO VINCE LA CORREISTA GONZÁLEZ, SEGUE LO SCONOSCIUTO 35ENNE NOBOA. NESSUN INCIDENTE DOPO UNA VIGILIA DI SANGUE. UN VOTO STORICO: IL PAESE DESTINATO ALLA PRIMA PRESIDENTE DONNA O AL PIÙ GIOVANE DELLA SUA STORIA.
L’Ecuador andrà al ballottaggio il prossimo 15 ottobre e sarà ancora una volta una competizione tra i sostenitori del partito di Rafael Correa e i suoi oppositori. Un film già andato in onda nel 2021. Allora non finì bene per l’ex presidente che governò dal 2007 al 2017 nel contesto della sinistra latinoamericana di inizio millennio.
Ma in questa prima tornata la sua candidata, Luisa González, può cantare vittoria con oltre tre milioni di voti e il 33% delle preferenze. La maggioranza, ma non sufficiente a vincere subito: per evitare il ballottaggio è richiesto il 40% dei voti e una distanza di dieci punti dal secondo candidato.
CIONONOSTANTE, in conferenza stampa González si è presentata sicura di sé: «È la prima volta nella storia dell’Ecuador che una donna ottiene una percentuale così alta, vincendo le elezioni», ha esordito quando appena il 25% dei voti era stato scrutinato. A sfidarla al ballottaggio sarà il 35enne Daniel Noboa dell’alleanza Azione democratica nazionale. In molti non avevano nemmeno idea di chi fosse fino al dibattito elettorale dello scorso lunedì, ma domenica ha ottenuto più di due milioni di voti (il 23%).
Imprenditore e figlio di un magnate della produzione di banane più volte candidato alla presidenza della repubblica, Noboa ha puntato tutta la sua comunicazione sulla promessa di creare opportunità lavorative per i più giovani. «So come attrarre gli investimenti stranieri, riattivare la produzione, il commercio e generale lavoro, mentre i politici corrotti non ne hanno idea», ha dichiarato durante la campagna.

Delusione invece per Jan Topic, il candidato del «pugno di ferro» contro il crimine organizzato, che ha ottenuto solo il 14% dei voti. I suoi piani per dotare la polizia di armi e veicoli allo stato dell’arte non sono bastati a farlo percepire come un candidato credibile.

La festa di Luisa González a Quito foto (foto Ap/Carlos Noriega)
Ma la vera notizia è forse che la giornata elettorale è trascorsa in assoluta tranquillità. Un risultato non scontato, visti i diversi omicidi di dirigenti politici che hanno insanguinato le scorse settimane. Ancora alla vigilia, l’emittente tv Teleamazonas raccontava di diverse sparatorie nella città di Esmeraldas, una delle zone più colpite dalla presenza di bande di narcos sia ecuadoriane che colombiane. La polizia locale ha assicurato che nessuno degli scontri poteva ritenersi legato al processo elettorale.
NEL PRIMO POMERIGGIO una sensazione di sollievo per lo svolgersi regolare delle votazioni ha iniziato così a diffondersi tra gli elettori che varcavano le porte del Collegio centrale tecnico, una delle sezioni con più elettori della capitale. Da subito è stato evidente che le speranze dei correisti di vincere al primo turno difficilmente si sarebbero realizzate, visto che diversi elettori associano il loro nome alla diffusione della corruzione.
«Non vogliamo tornare al Paese di dieci anni fa», dice Priscilla, medica di 50 anni che ha scelto di votare per Christian Zurita, giornalista che ha preso il posto di Fernando Villavicencio, il candidato anticorruzione assassinato a colpi di pistola. Alla fine, il loro partito, il Movimento Costruire, arriverà terzo.
Noboa sembra invece aver fatto breccia tra i giovani. «Sa quello di cui parla», racconta al manifesto Javier, che ha 26 anni e lavora come commesso in una bancarella di dolciumi vicino alla Piazza dell’Indipendenza, a pochi metri dal palazzo presidenziale di Carondelet. È stato il dibattito elettorale dello scorso lunedì a convincerlo ad appoggiare il giovane candidato: «Correa lasciò bene il paese, e le persone più grandi sono legate a questo. Ma le generazioni più giovani vogliono guardare al futuro».
COME PERÒ ACCADDE già nel 2021, la base storica della Rivoluzione cittadina mantiene una solidità che nessuna altra formazione politica può vantare. Jaime ha 69 anni e ha passato tutta la vita a lavorare nelle corride. Ogni giorno si ritrova con altri quattro colleghi, quasi tutti in pensione, al caffè Juan Fragonero. E tutti e cinque non hanno dubbi: «Io voto Rafael Correa, che è rappresentato dalla Luisa». Per loro è un ragionamento lineare: «Con il suo governo abbiamo avuto sicurezza, non la violenza che oggi vediamo tutti i giorni».
Per aspettare i risultati, questo blocco inscalfibile ha scelto il quartiere di Chillogallo nel sud di Quito, un vero e proprio bastione del partito. Qui, gli alti palazzi degli uffici danno il passo a bassi muri di cinta grigi, su cui compaiono le scritte «Vota 5», la sigla della Rivoluzione cittadina.

I sostenitori si radunano sotto uno enorme manifesto che ritrae González con il lemma «La risurrezione della patria: sicurezza, lavoro, benessere». All’uscita dei primi exit poll iniziano i festeggiamenti. Ma lo spettro del 2021, quando il candidato correista Andrés Aruz vinse al primo turno per poi venire battuto da Guillermo Lasso al ballottaggio, incombe ancora su adi loro.
Se Noboa dovesse ottenere tutti i voti di Zurita e Topic non ci sarebbe storia. Eventualità tutt’altro che remota, dato che il candidato di Adn non ha escluso in conferenza stampa una futura collaborazione: «Non ho nulla contro di Topic, è una persona che considero abbia avuto buone intenzioni in queste elezioni, abbiamo avuto una conversazione per vedere in che modo può aiutare sul tema della sicurezza».
CHIUNQUE VINCERÀ si troverà a reggere l’Ecuador per solo un anno e mezzo e dovrà affrontare immediatamente la piaga della violenza dilagante a causa delle bande impegnate nel narcotraffico. Quelle appena concluse sono state infatti elezioni anticipate, decretate dopo che il presidente uscente Lasso aveva deciso lo scioglimento dell’Assemblea nazionale per evitare una procedura di impeachment. Il nuovo governo eletto, di conseguenza, durerà solo fino alla scadenza naturale della precedente legislatura.
Proprio per questo, alcuni degli oppositori di González temono che la sua candidatura sia solo uno stratagemma per garantire un indulto a Correa, che oggi risiede in Belgio e sulla cui testa pende una condanna per corruzione. Eventualità che la candidata ha comunque più volte negato. Se verrà messa alla prova o meno, lo decideranno gli ecuadoriani il prossimo ottobre. E sarà la seconda volta in cui il correismo dovrà affrontare un Noboa: come ricorda il quotidiano El Universo, era già accaduto nel 2006.
In ogni caso, quella di quest’anno sarà comunque un’elezione emblematica: decreterà se l’Ecuador avrà la sua prima presidente eletta donna o il più giovane presidente nella storia del Paese.
*( Michele Bertelli – Giornalista freelance e videomaker altamente motivato, dal 2012 ho coperto eventi internazionali e scritto o girato storie di attualità dall’estero)

 

07 – JOHANNESBURG – Paolo Vittoria *: I BRICS TRA NUOVE MONETE E VECCHIO CAPITALISMO – IL VERTICE IN SUDAFRICA. L’IDEA DI UNA VALUTA ANTI-DOLLARO E ALTRE ADESIONI ALL’ORIZZONTE. MA IL MODELLO RESTA
RIFLETTORI PUNTATI SU JOHANNESBURG DOVE OGGI SI APRONO I LAVORI DEL XV BRICS SUMMIT. BRASILE, RUSSIA, INDIA, CINA E SUDAFRICA, PUNTANO A UN AMPLIAMENTO DEL FRONTE EMERGENTE, OBIETTIVO STRATEGICO DI QUESTE TRE GIORNATE, LA CUI DIFFICILE SFIDA SARÀ COSTITUIRE CRITERI E PRINCIPI CONDIVISI CHE DOVREBBERO GARANTIRNE IDENTITÀ E COERENZA. IN DISCUSSIONE SE INCORPORARE NUOVI MEMBRI E/O INCLUDERE PAESI ASSOCIATI, PARTENDO DALLE CATEGORIE GIÀ ESISTENTI DI BRICS PLUS E BRICS-AFRICA OUTREACH.
La presidenza sudafricana lavora proprio sul rafforzamento di vincoli con l’Africa: il terzo giorno, degli oltre quaranta capi di Stato confermati, la maggior parte proviene dal continente africano, oltre che da America latina, Asia e Medio Oriente. L’aspettativa è alta, più di venti paesi hanno fatto richiesta di adesione e i membri attuali da soli compongono circa il 40% della popolazione mondiale e il 25% dell’economia globale. Altro tema in discussione l’unità di valore comune nelle operazioni commerciali e di investimento che non sostituisca le valute nazionali, ma crei un’alternativa stabile alle monete dominanti: in sostanza, non dipendere dal dollaro. In questo senso, una spalla sicura è la Nuova Banca di Sviluppo, creata dai Brics e attualmente presieduta dalla ex presidente del Brasile Dilma Rousseff.

SE QUESTA ALLEANZA economica potrebbe essere usata dalla Russia come paracadute per le sanzioni occidentali, il blocco di paesi emergenti – fin dalla prima riunione dei ministri degli esteri nel 2006 – ha agito di concerto nell’ambito del G20, del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, con proposte concrete per la governance finanziaria globale, come la riforma delle quote del Fmi approvata a Seul nel 2010. Ci si chiede se il summit sarà un’opportunità per ampliare i pochi spiragli nelle trattative di pace. Anche se non è nell’agenda ufficiale, molto probabilmente ne discuteranno in riunione privata i leader stasera (in videoconferenza il presidente russo, sarà presente il ministro degli esteri).
Una conferma arriva dal presidente brasiliano Lula che al Sunday Times ha dichiarato: «Dovremo discutere importanti temi globali come pace e lotta alle diseguaglianze» per poi parlare di post–war global institutions. Certamente lo scacchiere politico internazionale – a partire dalla crisi bellica – appare molto diverso da quando Jim O’ Neill nel 2001 nel suo paper The World Needs Better Economic BRICs richiamò la necessità di un cambiamento della governance economica globale e uno spostamento dell’asse del potere economico dal nord verso il sud globale. La guerra russo-ucraina ha riacceso un bipolarismo da cui sembra difficile intravedere vie d’uscita e che smentisce il principio dei Brics di un più equo ordine mondiale multipolare. Una delle voci critiche sul summit è Trevor Ngwane, attivista antiapartheid e docente di sociologia all’Università di Johannesburg: «La posta in gioco è aumentata dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. La guerra sta riconfigurando i Brics e forzando il ritmo perché si stavano evolvendo lentamente, cercando i propri passi, ma improvvisamente ora devono dichiararsi per gli Usa, la Nato o la Russia. È una situazione terribile soprattutto per il Sudafrica». E per il mondo intero. Oltretutto, se per «sud globale» si intendono movimenti di base o proposte di economie alternative, al momento questo «sud» sembra fuori dalla porta: a Johannesburg è prevista per domani una manifestazione di protesta contro guerre, violazione di diritti umani, diseguaglianze, autoritarismi, cambiamenti climatici, ecocidio.
TRA TENSIONI e strategie per nuovi equilibri e assetti a livello globale, a non essere messo in discussione dalle potenze emergenti sembra essere il modello di sviluppo che ci sta portando al fallimento. Per il resto, fatto salvo il capitalismo, nuove pagine di storia e di non facile lettura potrebbero aprirsi
*(Vittoria Paolo -Dipartimento. DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI -. Ruolo. Professore di pedagogia generale e sociale (M-PED/01)

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