n°24 – 17/06/23 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI

00 – Giovanni De Mauro*. NEFASTO – LA GIORNALISTA Annalisa Merelli HA SCRITTO SUL GIORNALE STATUNITENSE QUARTZ:“SILVIO BERLUSCONI HA INFLITTO UNA LUNGA SERIE DI TORTI AL SUO PAESE, E AL MONDO.
01 – OSSERVATORIO sulla TRANSIZIONE ECOLOGICA- PNRR*.
02 – La senatrice La Marca *(pd) esprime soddisfazione per l’accordo fra il Maeci e l’ente promotore Picai di Montréal.
03 –La Senatrice La Marca* (pd) incontra l’ambasciatrice del Guatemala in Italia.
04 – Annalisa Camilli *: Chi c’era a bordo della barca naufragata al largo della Grecia.
05 – Andrea Biondo*: il monito di Gentiloni: “Il tempo per il Pnrr sta per scadere”
06 – Il mare italiano necessita di maggiore protezione – Il mare ospita ecosistemi ricchi di biodiversità, ma subisce gli effetti della presenza antropica e dei cambiamenti climatici. Per questo è importante tutelarlo.
07 – Marzia Minore*: I percorsi a ostacoli della scuola multiculturale – Tra i ragazzi e le ragazze che affrontano l’esame di terza media molti sono stranieri. Da Roma a Prato a Milano, difficoltà e successi di alunni e insegnanti, in un sistema in cui le disuguaglianze sono ancora molte.
08 – I ritardi del Pnrr e le intenzioni poco chiare del governo – Parte dei fondi e dei progetti previsti sono a rischio, in un processo di revisione di cui si sa ancora poco o nulla. Abbiamo ricostruito i punti principali emersi dalla terza relazione del governo al parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr.(*)
09 – I paesi europei in cui si lavora troppo. Gli orari di lavoro eccessivi ledono la salute psicofisica, la sicurezza e il diritto al tempo libero dei lavoratori. Sono ancora molti i paesi in cui i cittadini lavorano troppo, e i divari esistono su più piani: da paese a paese, tra uomini e donne e tra categorie di lavoratori.(*)
10 – Nel mondo(*)

 

 

00 – Giovanni De Mauro*. NEFASTO – LA GIORNALISTA Annalisa Merelli HA SCRITTO SUL GIORNALE STATUNITENSE QUARTZ:
“SILVIO BERLUSCONI HA INFLITTO UNA LUNGA SERIE DI TORTI AL SUO PAESE, E AL MONDO.
È stato coinvolto in vicende discutibili e illegali, tra cui l’affiliazione alla P2, una loggia massonica di destra che pianificò un colpo di stato nel 1970; è stato accusato di aver avuto rapporti con la criminalità organizzata; è stato amico di leader autoritari come il presidente russo Vladimir Putin e il primo ministro ungherese Viktor Orbán.
Ha affrontato processi per diverse accuse di corruzione, violazione delle leggi sul finanziamento delle campagne elettorali, falso in bilancio e prostituzione minorile.
È stato condannato per frode e varie volte i processi sono durati così a lungo da essere archiviati per legge, anche se non era stato riconosciuto innocente. ‘La fine di un’era’, ha proclamato il quotidiano italiano la Repubblica. È vero il contrario.
IL DANNO DI BERLUSCONI AL PAESE SI FARÀ SENTIRE PER ANNI. È stato il pioniere di un populismo esportato in tutto il mondo, che incarna molti dei peggiori istinti della cultura italiana.
È stato il prodotto, e poi il responsabile, di una misoginia a causa della quale l’Italia è in ritardo sull’uguaglianza di genere tra i paesi del suo livello. Ha promosso il razzismo, normalizzato l’estremismo (aprendo la strada all’attuale governo di estrema destra), ridicolizzato i diritti lgbt+ e favorito un clima di impunità.
OLTRE AL SUO NEFASTO IMPATTO CULTURALE, BERLUSCONI È STATO ANCHE L’ARCHITETTO DI UNA SERIE DI RIFORME ECONOMICHE CHE, A DISTANZA DI QUASI TRENT’ANNI, RENDONO DIFFICILE ALL’ITALIA RIMANERE A GALLA NEL VENTUNESIMO SECOLO.
È stato un miliardario che ha usato la politica per aumentare la sua enorme ricchezza personale e che ha promosso la deregolamentazione e la liberalizzazione, tagliando miliardi di fondi alla scuola pubblica e alla sanità.
Gli italiani che non erano ancora nati quando Berlusconi annunciò il suo ingresso in politica continuano a pagare per il suo governo. Per loro, e per l’intera nazione, la sua era è tutt’altro che finita”.
*( Fonte: Internazionale – Giovanni De Mauro è il direttore. Ha cominciato a lavorare a 18 anni, all’Unità. Ha fondato Internazionale nel 1993 con Elena Boille, Chiara Nielsen e Jacopo Zanchini.)

 

01 – OSSERVATORIO sulla TRANSIZIONE ECOLOGICA- PNRR* – Il Governo ancora non indica, se non nel vago, quali siano le riforme e i progetti che intende sostenere e incentivare sia nel PNRR che nel nuovo capitolo del REPowerEU, un fondo di integrazione con l’obiettivo di assicurare la diversificazione delle forniture e accelerare la transizione verso le fonti rinnovabili, ricordando l’obiettivo della riduzione del 55% entro il 2030 delle emissioni climalteranti.
Su questo argomento strategico per i comparti produttivi del nostro Paese il Governo non prevede la necessaria partecipazione alle scelte, nemmeno la consultazione dei portatori di interesse prevista dalla UE.

I progetti vanno realizzati entro agosto 2026: ritardare ancora può comprometterne la realizzazione, indispensabile per rafforzare la disponibilità energetica del Paese, ridurne i costi e decarbonizzare le attività produttive, in coerenza con il contrasto al cambiamento climatico.

I segnali della maggioranza, del Governo e dei Ministri responsabili delle scelte sono inquietanti. Il sequestro del carbonio nel sottosuolo (CCS) con soldi pubblici, bocciato dal Consiglio regionale dell’Emilia Romagna e da una call dell’UE, escluso dal PNRR rientra dalla finestra con il REPowerEU; il carbone forse uscirà prima del previsto, ma il governo vuole reintrodurre il nucleare in Italia stracciando i risultati di ben due referendum popolari.

Il Ministro Pichetto Fratin ha anticipato l’aggiornamento del Pniec ma senza la prevista consultazione dei portatori di interesse, ipotizzando un mix energetico al 2030, con due terzi di rinnovabili e un terzo di fossili, ma non perde occasione per dichiararsi per il ritorno al nucleare, senza alcun rispetto per il voto della maggioranza dei cittadini.

Facile intravvedere nel terzo di fossili il mantenimento, se non l’aumento, del metano, nella prospettiva di diventare un hub per l’Europa, che non dovrebbe esistere nella transizione energetica di alcun paese dell’UE. Il Governo sta preparando la reintroduzione dell’azzardo del nucleare da fissione. Si parla di fusione solo per confondere le idee, perché comunque non sarà disponibile prima di molte decine di anni.

Gli interessi che vogliono il nucleare da fissione non vanno sottovalutati, hanno lavorato da anni per la sua riabilitazione. Il nucleare da fissione sarebbe una scelta grave e sprezzante della volontà popolare e non potrebbe che trovare risposta in un nuovo referendum abrogativo, perché nulla è sostanzialmente cambiato – a cominciare dal problema irrisolto della sicurezza e delle scorie – da quando l’Italia ne è uscita per prima, per di più ora anche la Germania ha chiuso le sue centrali.

Gran parte delle centrali nucleari sono invecchiate e la terza generazione avanzata, la cosiddetta III+ (AP 1000, reattore PWR della Westinghouse, EPR PWR di Areva) sono un clamoroso fallimento senza dimenticare che l’EPR che Sarkozy voleva appioppare al Governo Berlusconi, respinto dal referendum del 2011, è passato a Flamanville da 3,2 miliardi di Euro a 19 come ha denunciato la Corte dei Conti francese.

Solo il salvataggio dello stato francese tramite EDF ha evitato il clamoroso fallimento di Areva. Miliardi di quella rovinosa avventura saranno recuperati dalla Francia tramite l’inserimento del nucleare, insieme al gas, nella “tassonomia verde”, a carico quindi di tutti i Paesi della UE. Un esito fortemente voluto e determinato al Parlamento di Strasburgo da tutta la Destra europea.

La IV generazione del nucleare da fissione è di là da venire, e, in ogni caso, sarà a carico dello stato, visto che da quando i sei progetti di reattori sono stati presentati nel 1999 dal Generation International Forum (GIF), nessun privato da 20 anni si è fatto avanti per produrre un prototipo industriale di potenza.

E’ auspicabile che la Destra al governo cominci a dubitare del nucleare. Le grandi centrali di potenza invecchiano prima di essere allacciate alla rete, i loro costi si moltiplicano per sei, la Generation IV che doveva subentrare resta sulla carta, né si può ripiegare sui reattori (Small Modular Reactor), “piccoli e sicuri” che semplicemente non lo sono ma moltiplicano i problemi. Per di più il numero di SMR per ottenere una potenza pari a quella di un EPR (1.600 MW) configura una disseminazione radioattiva di decine di piccoli impianti di 70-100 MW, come i due attualmente in esercizio sui 50 progettati. Questa filiera è militare, come la costruttrice Rolls Royce ha rivendicato dal Governo inglese.
Il nucleare è più vecchio del transistor, ha sottolineato il Nobel Giorgio Parisi, infatti i Reattori III+, Generazione IV, SMR sono tutti basati sugli stessi principi di funzionamento. Da quando la fissione nucleare è diventata impianto per la generazione elettrica le migliorie sono solo ingegneristiche, nessuno ha ripensato alla Fisica del Reattore per garantire la sicurezza della fissione in termini non solo di componenti e loro modifiche o di sala di controllo.
Il Governo è paralizzato nella realizzazione del Deposito nazionale per la bassa e media attività radioattiva. Si è tentato di aggirare il problema delle scorie ad “alta attività” stoccando tutto nella stessa area, allarmando ancora di più le popolazioni e facendoci così restare sotto infrazione della Costituzionale, Nostra Commissione UE. La credibilità del governo sul nucleare è pari alla sua incapacità di dare attuazione ai Depositi per le scorie.
*(Promosso da Laudato Sii, Coordinamento Democrazia, Ambiente e lavoro: Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, Jacopo Ricci, Massimo Serafini, Massimo Scalia)

 

02 – La Senatrice La Marca (PD) ESPRIME SODDISFAZIONE PER L’ACCORDO FRA IL MAECI E L’ENTE PROMOTORE PICAI DI MONTRÉAL
«A seguito dell’incontro fra il Presidente dell’Ente Promotore PICAI di Montréal, Moreno Fermini, e il Consigliere del Ministero degli Affari Esteri, Marco Maria Cerbo, le due parti sono giunte a un accordo che trova la mia parziale soddisfazione.» ha dichiarato la senatrice La Marca, eletta all’estero nella ripartizione Nord e Centro America.

L’incontro a cui la senatrice fa riferimento si è tenuto lo scorso 26 maggio, presso gli uffici della Farnesina, dove la senatrice ha facilitato una discussione che ha gettato le basi per l’accordo raggiunto e firmato il 9 giugno con cui l’Ente Promotore PICAI e il MAECI si impegnano reciprocamente a facilitare il rimborso da corrispondere.

«È un buon risultato – ha aggiunto la senatrice La Marca – perché permette a un Ente Promotore storico come il PICAI, che opera da oltre 50 anni, di poter attuare un efficace programmazione che tenda a risolvere i problemi economici dell’Ente di Montreal, dovuti soprattutto alla drastica diminuzione degli studenti iscritti a causa del periodo pandemico. Va detto che questo è solo un primo passo e che sicuramente continuerò a battermi, come ho fatto finora, per attuare una modifica strutturale alla Circolare V che, così come progettata, non soddisfa assolutamente le esigenze degli Enti Promotori di Cultura Italiana.»

«Vorrei anche ringraziare il Dott. Marco Maria Cerbo e il suo staff, in primis per aver accettato l’incontro di fine maggio, ma anche per aver dimostrato una sensibilità verso le richieste degli Enti Promotori mostrando di capire l’importanza che il loro lavoro svolge per le comunità di italiani residenti all’estero.» ha concluso la senatrice La Marca.
*(Sen. Francesca La Marca (pd), Ripartizione Nord e Centro America/Electoral College – North and Central America)

 

03 –LA SENATRICE LA MARCA (PD) INCONTRA L’AMBASCIATRICE DEL GUATEMALA IN ITALIA
SI È SVOLTO NELLA GIORNATA DI IERI, GIOVEDÌ 15 GIUGNO, PRESSO IL SENATO DELLA REPUBBLICA, UN INCONTRO FRA L’ AMBASCIATRICE DEL GUATEMALA IN ITALIA, OLGA MARIA PEREZ TUNA, E LA SENATRICE LA MARCA, ELETTA NELLA RIPARTIZIONE NORD E CENTRO AMERICA.

«È stato un incontro proficuo che mi ha permesso di conoscere la neo-ambasciatrice del Guatemala in Italia e di discutere dei rapporti commerciali e culturali tra i nostri due paesi oltre che della comunità italiana in Guatemala, che conta quasi 6.000 iscritti AIRE e che è una comunità storicamente radicata nel tessuto sociale e politico del paese. Essa infatti risale alla fine dell’ottocento e molti politici di spicco guatemaltechi sono di origine italiana, come l’attuale Presidente del paese, Alejandro Giammattei.» ha dichiarato la senatrice La Marca.

La comunità italiana in Guatemala è in netta espansione, così come l’intero paese. Basti pensare che l’export italiano verso il Guatemala, solo nel 2022, ha toccato quota 189 mln di Euro, mentre quello del Guatemala nei confronti dell’Italia ha sfiorato i 220 mln di Euro. Segno questo assolutamente positivo per gli imprenditori italiani che lavorano in Guatemala.

« Continuare a tessere dei rapporti fra Italia e Guatemala vuol dire anche creare un ponte fondamentale che colleghi diversi campi come quello del commercio, della cultura e della politica. Con l’Ambasciatrice – ha continuato la senatrice La Marca – abbiamo convenuto sulla necessità di rafforzare ancora di più le relazioni commerciali e culturali tra i due paesi.»
«L’auspicio è sicuramente quello di aggiornarsi nuovamente per capire quali iniziative portare avanti soprattutto a beneficio degli italiani in Guatemala.» ha concluso la senatrice La Marca.
*(Sen. Francesca La Marca – Ripartizione Nord e Centro America/Electoral College – North and Central America)

 

04 – Annalisa Camilli *: CHI C’ERA A BORDO DELLA BARCA NAUFRAGATA AL LARGO DELLA GRECIA.
MOSHIN SHAZAD, 32 ANNI, ERA UN UOMO CON L’ESPRESSIONE SERIA, DUE FIGLI PICCOLI, LA MOGLIE E LA MADRE DA MANTENERE. PER QUESTO AVEVA DECISO DI PARTIRE DA LALAMUSA, UNA CITTÀ NEL PUNJAB, IN PAKISTAN. NON RIUSCIVA A TROVARE UN LAVORO STABILE E LE BOCCHE DA SFAMARE ERANO DIVENTATE TROPPE, DOPO LA NASCITA DEL SECONDO FIGLIO. VOLEVA RAGGIUNGERE IL CUGINO, WAHEED ALI, CHE DAL 2019 VIVE IN NORVEGIA.

È partito con altri quattro ragazzi, quattro amici, tra cui Abdul Khaliq e Sami Ullah. Ha telefonato al cugino poco dopo essere salito sul peschereccio stracarico che è partito da Tobruk, in Libia, ed è naufragato il 14 giugno, a 47 miglia da Pylos, in Grecia. “Diceva che sarebbe arrivato in Italia”, racconta Waheed Ali, che ora sta cercando il cugino tra i 108 sopravvissuti, di cui molti sono stati sistemati in un magazzino abbandonato di Kalamata, in Grecia, mentre una trentina sono stati trasferiti in ospedale. Molti erano in ipotermia. Ma Shazad potrebbe anche essere tra i dispersi.

Shawq Muhammad al Ghazali, 22 anni, era uno studente originario di Daraa, in Siria, ed era rifugiato in Giordania, dove al momento vivono la sua famiglia e suo zio Ibhraim al Ghazali. Il ragazzo era partito da Amman per la Libia, e da lì, da Tobruk, si era imbarcato per raggiungere l’Europa. “Non ho sue notizie dall’8 giugno, il giorno della partenza dalla Libia”, dice lo zio. Secondo molti familiari, le autorità greche non stanno aiutando le famiglie ad avere notizie dei parenti o a capire se sono tra i vivi o tra i dispersi.

I superstiti sono per lo più siriani (47) ed egiziani (43), poi ci sono dodici pachistani e due palestinesi, secondo le autorità greche. Tutti uomini. “Non riesco a sapere se è sopravvissuto, sono io che sto dando notizie alla famiglia in Pakistan, ma sono disperato, non riesco a capire e a sapere nulla. Del naufragio ho saputo dalla televisione”, afferma Waheed Ali.

L’imbarcazione su cui viaggiavano Moshin Shazad e gli altri era partita da Tobruk l’8 giugno, era diretta in Italia, lungo una rotta da cui sono arrivati nel 2023 la metà dei migranti partiti dalla Libia.

“Secondo le prime testimonianze sarebbe corretta la stima di 700-750 persone a bordo, tra cui almeno quaranta bambini, che probabilmente erano nella stiva. Se questi numeri fossero confermati, si tratterebbe del secondo naufragio più grave avvenuto nel Mediterraneo dopo quello dell’aprile 2015”, racconta Flavio Di Giacomo, dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Settantotto corpi sono stati recuperati finora in mare al largo della penisola del Peloponneso. Ma l’Oim ha affermato di “temere che altre centinaia di persone” siano annegate. Il portavoce della guardia costiera greca Nikos Alexiou ha detto che l’imbarcazione è naufragata, dopo che le persone si sono spostate bruscamente su un lato. L’imbarcazione è affondata in quindici minuti.

FRONTEX LI AVEVA AVVISTATI
Secondo le autorità greche, un aereo di sorveglianza dell’agenzia europea Frontex aveva avvistato la barca il 13 giugno. In un comunicato Frontex ha confermato di avere visto l’imbarcazione in mattinata, alle 9.47 del giorno precedente al naufragio e di averlo comunicato alle autorità preposte al soccorso, cioè alla guardia costiera greca. Anche la guardia costiera italiana e due mercantili avevano segnalato alle autorità greche l’imbarcazione in difficoltà. Ma secondo la guardia costiera greca, i passeggeri dell’imbarcazione “hanno rifiutato qualsiasi aiuto”, perché i migranti si stavano dirigendo verso l’Italia.

“Nel pomeriggio, una nave mercantile si è avvicinata alla barca e le ha fornito cibo e rifornimenti, mentre i (passeggeri) hanno rifiutato ogni ulteriore assistenza”, ha detto la guardia costiera greca in un comunicato. Una seconda nave mercantile in seguito ha offerto più rifornimenti e assistenza. Ma anche questa volta sono stati rifiutati, secondo i greci.

In serata, una motovedetta della guardia costiera ha raggiunto la nave “e ha confermato la presenza di un gran numero di migranti sul ponte”, è scritto nel comunicato delle autorità greche. “Ma hanno rifiutato qualsiasi assistenza e hanno detto che volevano continuare in Italia”. Tuttavia le leggi internazionali sul soccorso in mare avrebbero imposto in ogni caso ai greci di intervenire per le condizioni in cui l’imbarcazione stava navigando. Diverse testimonianze contestano la versione delle autorità greche.

Il motore della barca si è rotto poco prima delle 23 (gmt) del 13 giugno, da quel momento la barca è andata alla deriva. I naufraghi hanno chiesto aiuto, telefonando alla rete di volontari Alarmphone, già dal 13 giugno, dicendo di avere contattato anche “la polizia”. L’attivista Nawal Soufi, che vive in Italia, ha raccontato che i migranti con cui era in contatto telefonico le hanno detto che alcune imbarcazioni si sono avvicinate, distribuendo delle bottigliette di acqua.

“Il 13 giugno 2023, nelle prime ore del mattino, i migranti a bordo di una barca carica di 750 persone mi hanno contattata comunicandomi la loro difficile situazione. Dopo cinque giorni di viaggio, l’acqua era finita, il conducente dell’imbarcazione li aveva abbandonati in mare aperto e c’erano anche sei cadaveri a bordo. Non sapevano esattamente dove si trovassero, ma grazie alla posizione istantanea del telefono Turaya (telefono satellitare, ndr), ho potuto ottenere la loro posizione esatta e ho allertato le autorità competenti”, scrive Soufi, condividendo la sua ricostruzione su Facebook.

“La situazione si è complicata quando una nave si è avvicinata all’imbarcazione, legandola con delle corde su due punti della barca e iniziando a buttare bottiglie d’acqua. I migranti si sono sentiti in forte pericolo, poiché temevano che le corde potessero far capovolgere la barca e che le risse a bordo per ottenere l’acqua potessero causare il naufragio. Per questo motivo, si sono leggermente allontanati dalla nave per evitare un naufragio sicuro”, continua l’attivista nel suo post.

“Durante la notte, la situazione a bordo dell’imbarcazione è diventata ancora più drammatica. Io sono rimasta in contatto con loro fino alle 23 ore greche, cercando di rassicurarli e di aiutarli a trovare una soluzione”. Fino all’ultima chiamata in cui “l’uomo con cui parlavo mi ha espressamente detto: ‘Sento che questa sarà la nostra ultima notte in vita’”, conclude. Il parlamentare greco Kriton Arsenis, che ha parlato con i sopravvissuti a Kalamata, ha confermato la versione dell’attivista Soufi e ha dichiarato che l’imbarcazione si è ribaltata dopo essere stata trainata con delle corde dai greci. Secondo Arsenis, i greci volevano spingere l’imbarcazione di migranti nelle acque di ricerca e soccorso italiane.
*(Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale)

 

05 – Andrea Biondo*: il MONITO DI GENTILONI: “IL TEMPO PER IL PNRR STA PER SCADERE”
IL COMMISSARIO UE ALL’ECONOMIA HA SPRONATO IL GOVERNO DI GIORGIA MELONI A NON ASPETTARE SINO ALL’ULTIMO GIORNO UTILE PER LE NUOVE PROPOSTE.

La scadenza dei termini per il Pnrr sta assumendo sempre di più i connotati delle sabbie di una clessidra. Un timer, pronto ad arrivare a zero, sempre più vicino al gong finale. Un nuovo richiamo per l’Italia, oggi, è arrivato dal commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, che ha spronato il governo a non aspettare fino all’ultimo giorno utile per avanzare nuove proposte.
Il Bel paese rischia di perdere i finanziamenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, proprio nel momento in cui sarebbe dovuta arrivare la famosa terza rata.
Il commento di Paolo Gentiloni
“Abbiamo bisogno come Commissione europea che le proposte del governo italiano sul Pnrr ci arrivino presto – ha spiegato Gentiloni –, i ritardi di cui parla la relazione semestrale dell’esecutivo possono essere gestiti, ma non devono accumularsi. Dobbiamo cominciare il lavoro molto presto, nelle prossime settimane bisogna cominciare questo lavoro che per la Spagna ci ha impegnato per 3 mesi”.
A Madrid, infatti, la terza rata è già stata incassata dopo la stessa rimodulazione del piano che vorrebbe proporre l’Italia. “L’Ue collabora con qualsiasi governo – ha sottolineato l’ex presidente del Consiglio in merito alle accuse di pregiudizio nei confronti dell’Italia e di Giorgia Meloni –. Cominciammo col Conte due, poi Draghi che è stato puntuale e ha rispettato i tempi. Con lo stesso spirito ora collaboriamo con il governo Meloni”.
*(fonte: L’informazione indipendente – Andrea Biondo – pubblicista)”

 

06 – IL MARE ITALIANO NECESSITA DI MAGGIORE PROTEZIONE – IL MARE OSPITA ECOSISTEMI RICCHI DI BIODIVERSITÀ, MA SUBISCE GLI EFFETTI DELLA PRESENZA ANTROPICA E DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI. PER QUESTO È IMPORTANTE TUTELARLO.

Nelle Marche e in Molise è protetto oltre il 60% della costa.
La protezione delle aree marine è il principale strumento della politica Ue per la conservazione della bio diversità Il 3,7% delle aree marine italiane è parte della rete Natura 2000.
Tra 2019 e 2020 le aree marine protette sono cresciute dell’80%.
Il mare ospita ecosistemi particolarmente fragili e un’amplissima biodiversità. Per questo motivo subisce duramente gli effetti della presenza antropica. Dalla pesca sregolata all’inquinamento fino allo sfruttamento delle zone costiere: sono molti i modi in cui le attività umane interferiscono con l’ecosistema marino. A questo si aggiungono poi i fenomeni naturali e climatici, come la progressiva erosione del litorale. Per questo è importante proteggere questi luoghi.

LA TUTELA DELLE COSTE
La crescente urbanizzazione nelle aree litoranee, il turismo balneare e la pesca, oltre agli interventi sulla costa per la costruzione di porti e opere di difesa sono tutti fattori che contribuiscono al degrado ambientale degli ecosistemi costieri. A questo si aggiunge la progressiva erosione di questi ambienti: un fenomeno naturale a cui però contribuiscono anche i cambiamenti climatici, con l’innalzamento del livello del mare, e aggravato ulteriormente dal consumo di suolo da parte degli esseri umani.
Per erosione costiera si intende il risultato di un processo, o di una serie di processi naturali o indotti, che modificano la morfologia dei litorali determinando una perdita di superficie del territorio emerso e sommerso, e quindi anche di volume di sedimento, in un dato intervallo di tempo rispetto al livello medio del mare.

– ISPRA
Per queste ragioni è importante tutelare gli ecosistemi costieri, tra i più ricchi dal punto di vista della biodiversità. All’ultimo aggiornamento dell’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), relativo al 2019, in Italia risultavano protetti più di 10mila chilometri di litorale, su un totale di circa 1,3 milioni di km.

15,8% LE COSTE ITALIANE PROTETTE NEL 2019, SECONDO ISPRA.

NELLE MARCHE SONO PROTETTI I DUE TERZI DELLA COSTA
La quota di costa protetta nelle regioni italiane (2019)
L’indicatore fornisce la stima su base nazionale e regionale della costa protetta con opere di difesa: la misura, calcolata in chilometri ed espressa in percentuale, è ottenuta mediante elaborazioni spaziali del catalogo delle opere di difesa rigide realizzate lungo la costa italiana, dei settori di attenuazione del moto ondoso a costa e di interazione con la dinamica litoranea indotti dalle opere di difesa e dei tratti di costa beneficiari.

IN CINQUE REGIONI LA QUOTA DI COSTA PROTETTA SUPERA IL 50%: MARCHE, MOLISE, ABRUZZO, VENETO ED EMILIA-ROMAGNA. MENTRE ALL’ULTIMO POSTO C’È LA SARDEGNA CON APPENA IL 2,3%.

LA SALVAGUARDIA DELLE AREE MARINE
L’obiettivo 14 dell’agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile prevede di “conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile”. Purtroppo, come riporta Istat, al momento in Italia oltre il 90% degli stock ittici è in condizioni di sovra sfruttamento (un dato in aumento dal 2015). Tuttavia c’è stato un miglioramento per quanto riguarda la salvaguardia delle aree marine.
Le aree marine sono il principale strumento della politica dell’Ue per la conservazione della biodiversità. Insieme a molte aree terresti, queste sono protette all’interno del sistema europeo Natura 2000, la più grande rete di aree naturali salvaguardate al mondo.
Le aree naturali protette, marine e terrestri, hanno l’obiettivo di contribuire significativamente all’arresto della perdita di biodiversità, alla conservazione marina e alla sostenibilità dell’ambiente costiero e al largo della costa.
I dati si riferiscono all’area marina protetta, in termini assoluti (chilometri quadri), nell’ambito del progetto Natura 2000, ovvero la rete ecologica di zone speciali di conservazione istituita dall’Unione europea nel 1992 con la “direttiva habitat”.

Dal 2011 al 2018 l’area marina sotto protezione in Italia è rimasta sostanzialmente invariata. Nel 2019 e poi nel 2020 si è invece registrato un importante incremento: rispettivamente pari al 76% e all’80%.
Nel 2020 sono protetti nel nostro paese quasi 22mila kmq dell’area marina, ovvero il 3,7% del totale, una quota che nel 2020 si attestava al 2% e che negli anni precedenti superava di poco l’1%. L’incremento più marcato registrato nell’Unione.

+80,3% LE AREE MARINE PROTETTE DALLA RETE NATURA 2000 IN ITALIA TRA 2019 E 2020.
Siamo tuttavia ben lontani dal 45% della Germania e dal 30,8% della Francia. Anche andando a vedere paesi più simili al nostro in termini di estensione dell’area marina vediamo che ancora c’è molta strada da fare. In Grecia la quota di area protetta è pari al 4,7% e a Malta è del 4,6%. Mediamente in Ue il dato è pari al 7,2%. In termini assoluti siamo sesti in Europa, dopo Francia (quasi 133mila kmq), Spagna (più di 84mila), Portogallo (circa 42mila), Germania (quasi 26mila) e Grecia (circa 23mila).
*(da Openpolis. FONTE: elaborazione openpolis su dati Natura 2000, Eea e commissione europea – pubblicati: lunedì 24 aprile 2023)

 

07 – Marzia Minore*: I PERCORSI A OSTACOLI DELLA SCUOLA MULTICULTURALE – TRA I RAGAZZI E LE RAGAZZE CHE AFFRONTANO L’ESAME DI TERZA MEDIA MOLTI SONO STRANIERI. DA ROMA A PRATO A MILANO, DIFFICOLTÀ E SUCCESSI DI ALUNNI E INSEGNANTI, IN UN SISTEMA IN CUI LE DISUGUAGLIANZE SONO ANCORA MOLTE.
Sono amici dalle elementari, Dario e Amina: lui romano, lei bangladese arrivata a sei anni in Italia. Sono gli ultimi giorni insieme, in terza media: Dario ha scelto il liceo linguistico, Amina un istituto tecnico informatico. In classe con loro si preparano all’esame anche Khan e Andrei, arrivati da Afghanistan e Ucraina, Omar, senegalese, e Shila, dal Bangladesh, iscritta da poco.

Siamo a Roma, nel quartiere San Lorenzo, e l’istituto comprensivo (Ic) Borsi-Saffi è una delle tante scuole multiculturali in Italia: su cento alunni un quarto ha cittadinanza straniera. A fine maggio il Borsi-Saffi è diventato un caso giornalistico per la parola “razza” presente su un questionario per la diagnosi di disturbi dell’apprendimento distribuito alle famiglie. Il testo era stato fornito da un centro privato che si occupa di salute dell’età evolutiva ed è accreditato presso la regione Lazio: il termine “razza” era il risultato di una traduzione dall’inglese non rivista. Quasi un paradosso per una scuola inclusiva, in cui gli insegnanti, pur nella carenza di politiche e finanziamenti, lavorano ogni giorno per supportare i ragazzi stranieri.
Secondo gli ultimi dati del Miur gli alunni con cittadinanza non italiana sono 865.388 (il 10,3 per cento della popolazione scolastica) e vengono da quasi duecento paesi (i primi cinque sono Romania, Albania, Marocco, Cina, Egitto). Sono concentrati prevalentemente nel nord (oltre un quarto in Lombardia).
Gli alunni con background migratorio sono una categoria eterogenea. La maggior parte di loro (il 65 per cento) è nata in Italia e non ha la cittadinanza. Sono “nativi multiculturali”, come molti ragazzi della Borsi, che a casa alternano italiano e bengali, mangiano lasagne e pollo tandoori. Altri sono arrivati da bambini o da adolescenti, con percorsi e condizioni giuridiche diverse: regolari o irregolari, per ricongiungimento familiare o minori non accompagnati, migranti economici o richiedenti asilo.
In scuole come la Borsi i ragazzi migranti possono arrivare in ogni mese dell’anno e, diversamente che in altri paesi europei, sono subito inseriti in classe. Non parlano italiano, vengono da sistemi scolastici eterogenei, devono affrontare la migrazione in un’età difficile. Accoglierli e supportarli è un lavoro enorme. Rivedo Shila nell’aula riservata all’insegnamento della lingua italiana per stranieri (L2), è insieme ad altre ragazze bangladesi – la comunità prevalente a San Lorenzo. Molte sono figlie di ristoratori e negozianti del quartiere, arrivate per ricongiungimento familiare, qualcuna porta il velo. Shila, che tra i compagni italiani era seria e silenziosa, nella classe di L2 sorride e sembra più a suo agio.

INSEGUIRE FONDI PER CORSI L2, MEDIATORI, PROGETTI INTERCULTURALI, È ORMAI UN LAVORO PARALLELO, GRAVOSO PER PRESIDI E INSEGNANTI
Provo a immaginare come si sente: dover ricostruire tutti i punti di riferimento, immersa in suoni che comprende solo in parte. Per alunne come lei imparare l’italiano è prioritario. Ha un piano personalizzato di apprendimento, che la faciliterà nelle valutazioni e nell’esame. Durante la settimana ha due ore di lezione di italiano per stranieri e due pomeriggi di sostegno per i compiti. I corsi sono svolti da operatori esterni alla scuola, in convenzione con cooperative e associazioni, come avviene a Roma e in molte città italiane.
Inseguire fondi per corsi L2, mediatori, progetti interculturali, è ormai un lavoro parallelo, gravoso per presidi e insegnanti. Lo raccontano Marcello Di Pasquale e Rosanna Labalestra, dirigenti dell’Ic Saffi-Borsi e dell’Ic Salacone a Tor Pignattara (che comprende la primaria Pisacane, una scuola simbolo dell’integrazione). “Abbiamo bisogno di molte risorse per fare alfabetizzazione, supporto, sportelli di ascolto, laboratori sulle relazioni”, dice Labalestra. “Con i fondi ordinari copriamo il 20 per cento, il resto lo troviamo scrivendo progetti e cercando ogni tipo di bando: del comune, del Miur, dell’Unione europea”.
Ma in Italia il sistema dei bandi ha grosse lacune. Perché le ore di L2 sono poche, perché non c’è continuità, perché i corsi, per i tempi burocratici, partono mesi dopo l’inizio della scuola, lasciando i ragazzi senza un supporto. Soprattutto, perché le attività per gli stranieri, come dice Fiorella Farinelli, esperta di politiche di istruzione e formazione “non sono nell’ordinario funzionamento didattico: da nessuna parte è scritto che sono obbligatorie”. Ci sono scuole attive e inclusive – come la Borsi-Saffi e la Salacone a Roma – e altre che non lo sono affatto. A volte sono solo gli insegnanti di sostegno che seguono gli stranieri, anche se questo non rientra nei loro compiti specifici.

OLTRE IL PROBLEMA LINGUISTICO
Eppure in Italia esiste una classe di concorso specifica (la A023) per l’insegnamento dell’italiano a stranieri e ci sono molti insegnanti specializzati, che lavorano nei centri per l’istruzione degli adulti (Cpia, per chi ha più di 16 anni), o nel terzo settore, spesso da precari.
Per quanto incredibile, nella scuola dell’obbligo l’insegnante di ruolo di L2 non è previsto, neanche in quelle scuole (sono 3.788 su 55.240) con più del 30 per cento di alunni stranieri. Nonostante la presenza di linee guida nazionali del Miur, ottime a livello teorico (l’ultimo documento, gli Orientamenti interculturali è del 2022), il sistema scolastico italiano, come si legge in un recente rapporto della fondazione Ismu, “è tuttora sprovvisto, a venticinque anni dai primi ingressi, delle risorse organizzative e professionali necessarie a una piena inclusione”.
L’integrazione non è solo un problema linguistico. Katia Pace, maestra e referente per l’intercultura per la Borsi-Saffi, racconta le tante iniziative dell’istituto nel quartiere, dalla microforesta ecologica al doposcuola per le primarie, gestito da un’associazione di volontari dove lavorano anche madri straniere.
Arianna Buono, insegnante alla Borsi, dice: “Qui non ho mai visto discriminazione o razzismo, anzi la cosa che mi ha sempre colpito dei nostri alunni è la disponibilità ad accogliere un nuovo compagno. In classe Dario ha aiutato Khan con la grammatica italiana. La più grande soddisfazione è quando i ragazzi stranieri tornano a trovarci e ci dicono: prof, sto facendo il liceo e vado benissimo, voglio fare il medico o il cuoco… Vedere che stanno trovando la loro strada”. Eppure, dice con amarezza “a non andare alle gite sono soprattutto loro. Facciamo di tutto per coinvolgerli, parliamo con le famiglie. Spesso è un problema economico: per il campo scuola abbiamo creato delle quote solidali, molti hanno partecipato gratis. Ma per le ragazze bangladesi c’è una resistenza, è un problema culturale”. D’altronde, continua “se i genitori non parlano italiano non è facile coinvolgerli. Avremmo bisogno di aiuto, di un mediatore sempre presente. A volte il ragazzo non tira fuori un disagio perché non lo sa comunicare”.

I MEDIATORI CULTURALI SONO UN PUNTO DOLENTE: NELLE SCUOLE ITALIANE SONO PRESENZE SPORADICHE, CHIAMATI PER GLI OPEN DAY O QUANDO C’È UN PROBLEMA SERIO CON UN ALUNNO.
A sinistra: Omar, 14 anni, studente senegalese della scuola media Borsi, a Roma. È arrivato in Italia nel 2022. A destra: Rosangela, 13 anni, studente italiana di origini filippine, frequenta la scuola media Rosa Parks (ic Salacone) a Roma. – Carolina Rapezzi A sinistra: Omar, 14 anni, studente senegalese della scuola media Borsi, a Roma. È arrivato in Italia nel 2022. A destra: Rosangela, 13 anni, studente italiana di origini filippine, frequenta la scuola media Rosa Parks (ic Salacone) a Roma. (Carolina Rapezzi)
La formazione degli insegnanti, inoltre, mostra forti carenze per quanto riguarda gli aspetti antropologici e relativi all’Intercultura. Per chi lavora, continuare a formarsi “è una scelta personale, senza nessun obbligo”, dice Pace, che sogna “insegnanti capaci di comunicare in più lingue, con competenze più strutturate su aspetti psicologici e sul trauma”.
“Mi sento in difficoltà quando mi accorgo che alcuni argomenti non sono compresi”, spiega Buono, “non solo da un punto di vista linguistico ma anche culturale. Pensiamo a Dante, alla concezione dell’aldilà, dovremmo essere più bravi, capaci di parlare a culture diverse. Vorrei sapere di più della cultura bangladese, abbiamo letto delle poesie, ma il tempo è sempre poco”.

SMONTARE GLI STEREOTIPI
Anche a Prato, una delle città che ha investito di più sull’integrazione scolastica (il comune coordina i corsi di L2 e i mediatori in tutte le scuole dell’età dell’obbligo e ci sono corsi di aggiornamento periodici) gli insegnanti sentono che la loro preparazione non è ancora adeguata a una società multiculturale. In Italia, la provincia di Prato è quella con la più alta concentrazione di alunni non italiani e quasi un minore su quattro è cinese. “Dobbiamo decostruire tanti stereotipi, tanto colonialismo interiorizzato”, dice Francesca Cappelli, che lavora alle medie Mazzei dell’istituto comprensivo Marco Polo.
La sua collega, Alice Canossi, studia il cinese per capire meglio i suoi alunni: “La formazione universitaria non basta. Bisogna imparare a conoscere chi hai davanti, a stratificare, a non escludere nessuno, a usare diverse strategie. Molti non comprendono il libro di testo, devo costruire i materiali didattici”. Alla Mazzei, per facilitare l’apprendimento di tutti, si usano piattaforme multimediali per lo storytelling e il gioco di gruppo; tanti scelgono l’indirizzo musicale e suonano in orchestra. “La scuola italiana”, conclude Cappelli, “si basa sulla buona volontà e sul lavoro extra di tanti insegnanti”. Compilare bandi, inventare progetti, accogliere i nuovi arrivati e testare il loro livello linguistico, formarsi, preparare le lezioni considerando i diversi livelli, parlare con famiglie e mediatori, gestire il disagio psicologico: quello dell’insegnante nella scuola dell’obbligo è un lavoro multidisciplinare, estenuante, e per svolgerlo servirebbero competenze specifiche e più figure. Ma su questo non si è mai investito.

PER UN ALUNNO MIGRANTE, I VERI PROBLEMI COMINCIANO DOPO LA TERZA MEDIA
“Le scuole medie sono fondamentali, sono il centro del percorso”. A Prato, Noreen, brillante studente del liceo classico di origine pachistana (è l’unica non italiana in classe), racconta la sua esperienza. “Vivere in un ambiente multiculturale è bellissimo. Ma le dinamiche sono complicate, c’è la violenza, il bullismo. La nostra classe era divisa in gruppetti, con qualcuno non ho mai parlato. Alcuni insegnanti rinunciavano a fare lezione ai ragazzi più problematici. C’è chi vive situazioni di violenza a casa e le riproduce in classe. La scuola è il luogo dove si cresce, gli insegnanti dovrebbero lavorare più sulle relazioni, sul gruppo”.
A Roma Susanna Rubino dell’associazione Piuculture insegna L2 e lavora nei doposcuola: “Molti di questi ragazzi sono isolati, comunicano poco con la classe. Spesso le famiglie vivono un disagio, manca un genitore, quelli che lavorano fanno orari assurdi. Sono lasciati a loro stessi”. L’orario è un forte limite delle scuole medie, dove in genere le lezioni si limitano alla mattina e ci sono molti compiti. Per i ragazzi che conoscono poco l’italiano, studiare da soli il pomeriggio è un’impresa titanica. Disagio e lacune aumentano, accentuando il divario che li divide dai compagni. Molti alunni migranti hanno famiglie spezzate, esperienze traumatiche alle spalle, condizioni socioeconomiche difficili.
Ad accoglierli il pomeriggio, a Roma, sono spesso le associazioni di volontariato, a volte nate dai genitori italiani, o i pochi spazi di aggregazione giovanile, che colmano le carenze della scuola pubblica: come CivicoZero (una cooperativa sociale partner di Save the children, a San Lorenzo, che si occupa di minori non accompagnati) o MaTeMù (dell’onlus Cies, all’Esquilino). Qui gli adolescenti trovano anche laboratori artistici e musicali e, soprattutto, amicizie e sostegno.
Con il bando Scuole aperte il comune di Roma quest’anno ha finanziato progetti per aprire le aule il pomeriggio: sono stati dati quasi due milioni di euro a 114 scuole. Un’offerta necessaria e utile per tutti gli alunni, non solo stranieri. Sono ancora poche, però, le scuole medie italiane che, come la Quintino Di Vona a Milano, nella zona multietnica di Loreto, sono aperte tutti i pomeriggi. “Abbiamo ottenuto dei fondi europei”, dice la dirigente Maria Chiara Grauso. “Offriamo ore di L2, aiuto nei compiti, lingue, sport, teatro, musica: tutto gratis o a costi minimi”. Dalla scuola, che ha un indirizzo musicale, è nata anche l’Orchestra multietnica Golfo Mistico.

LE ASPETTATIVE E GLI INDICATORI
Per un alunno migrante, i veri problemi cominciano dopo la terza media. “Che lavoro vorreste fare?”, chiedo alla ragazze della Borsi. “Il medico”, risponde Shila. “La farmacista, l’insegnante”, dicono altre. Le aspettative possono essere alte. Ma i numeri parlano chiaro sullo svantaggio degli alunni non italiani, comprese le seconde generazioni. In Italia, alle superiori (le secondarie di secondo grado) risulta in ritardo scolastico il 53,2 per cento degli stranieri contro il 16 per cento degli italiani. Il tasso di abbandono scolastico è tra i più alti in Europa (30,1 per cento, quasi il triplo degli italiani): uno su quattro non arriva al diploma. I giovani stranieri che non studiano e non lavorano (Neet) sono il 30,9 per cento.

Un pannello per le attività dedicate ai ragazzi e alle ragazze migranti nella cooperativa sociale CivicoZero, a Roma. – Carolina Rapezzi Un pannello per le attività dedicate ai ragazzi e alle ragazze migranti nella cooperativa sociale CivicoZero, a Roma. (Carolina Rapezzi)
Anche se aumentano gli iscritti ai licei, gli stranieri si orientano verso l’istruzione tecnica (scelta dal 40,5 per cento contro il 29,8 per cento degli italiani) e professionale (20,5 per cento contro l’11,8 per cento): come emerge dalle ricerche sociologiche di Marco Romito e Gianluca Argentin sono gli stessi insegnanti a orientare verso percorsi ritenuti più “facili”.
In ogni caso, il passaggio alle superiori richiede uno studio più complesso, che è difficile affrontare con carenze linguistiche e formative. Inoltre, le ore di L2 sono poche e destinate solo ai ragazzi neoarrivati, mentre anche chi è qui da più tempo può avere ancora difficoltà. “Alle superiori, in genere, c’è meno supporto”, spiega Farinelli. “Una volta acquisita la lingua per la comunicazione quotidiana, non ci si preoccupa di insegnare la ‘lingua per lo studio’, ossia il linguaggio specialistico, indispensabile per capire, per esempio, un testo di scienze o di storia”. C’è chi non ce la fa e deve rinunciare ai suoi sogni. “Chi non arriva al diploma è fuori del mercato del lavoro qualificato: è un sistema al ribasso, che non valorizza i talenti”.
A MaTeMù tra le pareti colorate e i suoni della break dance, incontro Asma, una ragazza egiziana che studia allo scientifico. È molto brava in matematica, ma ha problemi in italiano e in latino. Cristina Gasperin, educatrice, la aiuta nei compiti: “Asma in casa parla arabo, il suo bagaglio di parole è inferiore a chi vive in una famiglia italiana. Non si può valutarla con gli stessi criteri degli altri. Si dovrebbe considerare che alcune persone sono multilingue e che questa è una ricchezza, in modo da trovare altre forme di valutazione. Lei ha una fortissima volontà, si impegna al massimo: una scuola che non riconosce tutto questo è ingiusta e discriminatoria”. Sono casi diffusi. “Un mio ex alunno cinese suonava il violino e si era iscritto al liceo musicale”, ricorda un insegnante di Prato “Era molto dotato, appassionato, ma i professori gli dissero: quest’anno ti bocciamo, il tuo livello di lingua non è sufficiente. L’hanno convinto a cambiare scuola”.
Secondo Farinelli “nella scuola italiana non si valorizza il bilinguismo, che è un vantaggio cognitivo. Usare per gli studenti stranieri categorie come quella dei bisogni educativi speciali (Bes), medicalizza la differenza, crea uno stigma. Il rischio è che il sistema educativo riproduca e accentui le disuguaglianze”.
“È una delle grandi battaglie del terzo millennio: dare a tutti l’opportunità di fare il proprio percorso, al di là delle provenienze”, osserva Alessandra Minerbi, insegnante alla Quintino Di Vona a Milano. “O la scuola diventa davvero il luogo in cui tutti hanno le stesse possibilità, come recita la costituzione, o abbiamo fallito”
*(Marzia Minore, giornalista, docente in lingua inglese per studenti universitari USA)

 

08 – I RITARDI DEL PNRR E LE INTENZIONI POCO CHIARE DEL GOVERNO – PARTE DEI FONDI E DEI PROGETTI PREVISTI SONO A RISCHIO, IN UN PROCESSO DI REVISIONE DI CUI SI SA ANCORA POCO O NULLA. ABBIAMO RICOSTRUITO I PUNTI PRINCIPALI EMERSI DALLA TERZA RELAZIONE DEL GOVERNO AL PARLAMENTO SULLO STATO DI ATTUAZIONE DEL PNRR.

• Per il governo il Pnrr andrà in stand-by fino alla conclusione del processo di revisione. Non chiederemo la quarta rata nei tempi previsti.
• Allo stato attuale mancherebbero da completare ancora 17 scadenze entro il 30 giugno.
• Tra le criticità evidenziate, i vincoli del Pnrr (in particolare in tema ambientale) e le lentezze degli enti locali.
• È ancora in corso la mappatura dei progetti irrealizzabili. Ma si va verso una revisione al ribasso degli obiettivi del Pnrr.
• L’Italia dovrebbe spendere 58,3 miliardi di euro entro la fine dell’anno. Un obiettivo che pare difficilmente raggiungibile.
Negli ultimi giorni è stata depositata in parlamento la terza relazione sullo stato di attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), la prima redatta dal governo Meloni. Il documento non nasconde le difficoltà del nostro paese nella realizzazione del piano. A partire dall’erogazione della terza rata, il cui processo di valutazione da parte della commissione europea sarebbe “in fase di completamento”.

la relazione completa sul sito della camera.
La relazione è molto estesa (parliamo di oltre 400 pagine). Per questo nelle prossime settimane pubblicheremo ulteriori articoli di approfondimento su questo tema. Possiamo però già trarre alcune indicazioni. Fra i principali elementi di criticità vengono citati i vincoli europei che avrebbero rallentato la realizzazione di molti progetti, la scarsa capacità amministrativa degli enti locali e il mutato contesto internazionale. Il documento tuttavia resta vago nello spiegare quali soluzioni l’esecutivo intende proporre a Bruxelles per riformulare il piano italiano. Ciò che sembra certo però è che la revisione coinvolgerà anche alcuni interventi di questo semestre, mettendo inevitabilmente a rischio la richiesta della quarta rata di risorse.
Il governo sembra intenzionato a non perdere i fondi assegnati al nostro paese, ma per evitarlo dovrà necessariamente rivedere a ribasso gli obiettivi iniziali del piano, soprattutto in termini quantitativi. Il pericolo è che la necessità di recuperare il tempo perso e di spendere i soldi velocemente intacchi le priorità del Pnrr: ambiente, digitalizzazione, riduzione dei divari territoriali, di genere e generazionali.

I RITARDI SULLE SCADENZE
Il nostro paese rischia di bloccarsi nell’attuazione delle scadenze del semestre in corso e di non richiedere la quarta rata a fine giugno. È la relazione stessa a esplicitare questa preoccupante possibilità.
La richiesta di pagamento della quarta rata, laddove nell’ambito della complessiva rimodulazione del Piano siano proposte modifiche dei relativi obiettivi, sarà presentata in linea con i tempi di questo processo.

– TERZA RELAZIONE SULLO STATO DI ATTUAZIONE DEL PNRR
Alcuni degli adempimenti previsti per il secondo semestre 2023 saranno infatti coinvolti nella proposta di revisione. Due scadenze rischiano ritardi: l’aggiudicazione degli appalti pubblici per il rinnovo del parco ferroviario e la firma del contratto per realizzare 9 studi cinematografici. Altre due invece sono sotto revisione. Parliamo della ristrutturazione di edifici attraverso SUPERBONUS E SISMABONUS e dell’aggiudicazione degli appalti pubblici per lo sviluppo di STAZIONI DI RIFORNIMENTO A BASE DI Idrogeno.
Se ciò fosse confermato, la quarta rata non verrà richiesta a fine giugno, ma solo in un secondo momento rispetto all’approvazione delle modifiche. Un processo che potrebbe durare diversi mesi e che al momento è lontano dall’essere avviato. Per quanto legittima quindi, l’intenzione di modificare le scadenze del semestre in corso rischia di causare ulteriori ritardi nell’avanzamento sia dei lavori sia della spesa.

SOLO 10 LE SCADENZE COMPLETATE SULLE 27 PREVISTE ENTRO FINE GIUGNO
SCADENZE PNRR DEL SECONDO SEMESTRE 2023, PER TRIMESTRE DI RIFERIMENTO E STATO DI AVANZAMENTO
DA SAPERE
Il cronoprogramma del Pnrr prevede l’adempimento di una serie di scadenze per ogni trimestre dell’anno. Sono in ritardo quegli interventi che non vengono completati entro il trimestre previsto. Ogni 6 mesi poi la commissione europea verifica l’adempimento di milestone e target e, in caso di esito positivo, procede all’erogazione di nuovi fondi.
Anche osservando i dati sul quadro attuale si nota uno stallo sulle scadenze. Tanto che a tre settimane dalla fine del semestre, sono ancora 17 gli interventi da conseguire. Inoltre è importante ricordare che l’Italia sta ancora aspettando la terza rata di fondi Pnrr (19 miliardi di euro), rinviata dalla commissione per delle criticità individuate su alcuni progetti approvati nel 2022.
In sintesi, allo stato attuale non abbiamo ricevuto la terza tranche di risorse e con molta probabilità non saremo nelle condizioni di richiedere la quarta.

I PROBLEMI EVIDENZIATI
Ma come siamo arrivati a questa situazione? Il governo individua 3 motivazioni principali.
La prima è legata ai vincoli che il Pnrr impone sugli investimenti. Su tutti, il PRINCIPIO DEL NON ARRECARE DANNO SIGNIFICATIVO ALL’AMBIENTE che molti interventi non rispettano, ostacolando il raggiungimento dei target previsti. È il caso soprattutto dei progetti “in essere”, che risalgono a prima del piano e che quindi non prevedevano il rispetto di tale principio.

67 MILIARDI € I FONDI PNRR DESTINATI AI PROGETTI IN ESSERE.
La seconda ragione, strettamente legata alla prima, è la capacità amministrativa carente degli enti pubblici territoriali. Specialmente dei comuni, che hanno un ruolo di primo piano nell’attuazione del Pnrr ma spesso faticano a seguire i processi necessari alla realizzazione dei progetti. Un problema che riguarda soprattutto le amministrazioni più piccole e svantaggiate.

43,13 MILIARDI € I FONDI PNRR AFFIDATI ALLA DIRETTA GESTIONE DEGLI ENTI LOCALI (DI CUI 25,88 MILIARDI PER PROGETTI IN ESSERE).
Come abbiamo già spiegato in questo articolo, in alcuni casi le amministrazioni locali hanno addirittura rinunciato a partecipare ai bandi del Pnrr. In altri non sono stati in grado di portare a conclusione le gare d’appalto per l’assegnazione dei lavori nei tempi previsti. In altri ancora hanno presentato progetti che non soddisfacevano i criteri richiesti.
Infine in questo quadro ha inciso il mutamento del contesto economico internazionale. Nella relazione infatti si evidenzia che l’aumento del costo delle materie prime ha di fatto reso irrealizzabili alcuni interventi con i fondi inizialmente previsti.

LE SOLUZIONI PROPOSTE
Nella relazione si legge che lo scorso 17 marzo è avvenuto un primo incontro tra gli esponenti del governo italiano e quelli della commissione europea. Ma la trattativa vera e propria per la revisione del piano non è ancora iniziata. Sono previsti nella seconda metà di giugno degli incontri tecnici per “verificare l’ammissibilità delle richieste di modifica e/o riprogrammazione”.

LA REVISIONE DEL PNRR È ANCORA IN CORSO.
Ciò che sappiamo è che è in corso un monitoraggio volto a individuare i progetti irrealizzabili, che saranno suddivisi in 2 categorie. Per gli interventi considerati strategici lo stato assicurerà un supporto ai fini del completamento dei lavori. In tutti gli altri casi invece, se non sarà possibile superare le criticità individuate, si proporrà la ricollocazione delle risorse. Anche sotto forma di incentivi alle imprese per la transizione ecologica e la digitalizzazione.
In sintesi, le misure che saranno oggetto di revisione sono quelle che hanno registrato:

• NOTEVOLE RITARDO NELLA FASE DI AVVIO;
• RILEVANTE INCREMENTO DEI COSTI;
• UNA FRAMMENTAZIONE ECCESSIVA TRA NUMEROSI SOGGETTI ATTUATORI;
• DIFFICOLTÀ NORMATIVE, ATTUATIVE E AUTORIZZATIVE CHE NON CONSENTONO DI REALIZZARE GLI INTERVENTI COME PREVISTO.
I progetti stralciati, secondo quanto dichiarato, verranno recuperati con altre fonti di finanziamento. A partire dal fondo complementare.

IL CAPITOLO SUL REPOWER EU
Con la proposta di revisione l’Italia dovrà inviare a Bruxelles anche il capitolo aggiuntivo dedicato al RepowerEu, il piano dell’Ue per far fronte alla crisi energetica. Anche in questo caso le indicazioni sulle intenzioni del governo sono abbastanza generiche.
Non si sa per certo quanti fondi riceverà l’Italia dal RepowerEu.
Un primo elemento che vale la pena rilevare è che a oggi non è ancora possibile definire con chiarezza quanti fondi aggiuntivi sono destinati al nostro paese. Dovrebbero essere 2,76 miliardi, ma l’Italia potrà richiedere ulteriori contributi se gli altri paesi non dovessero usarli.
Riguardo gli ambiti di intervento, il governo anticipa che riguarderanno il rafforzamento delle infrastrutture, la de carbonizzazione delle imprese e l’aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili.

I ritardi nella spesa
Sull’avanzamento della spesa – e quindi dei lavori e delle opere – la relazione del governo conferma ciò che già è noto da tempo: l’Italia ha speso meno del previsto.

25,7 MILIARDI € I FONDI PNRR SPESI FINORA DALL’ITALIA. CORRISPONDONO AL 13,4% DEL TOTALE DELLE RISORSE.
Da notare che i dati e la loro fonte (Regis) sono gli stessi utilizzati dalla corte dei conti nel rapporto dello scorso 25 maggio, contestato dall’esecutivo. Anche se nella relazione del governo mancano i dati sulla spesa programmata.

58,3 MILIARDI € I FONDI PNRR CHE L’ITALIA DOVREBBE SPENDERE ENTRO IL 2023. CORRISPONDO AL 30,4% DEL TOTALE DELLE RISORSE.
È vero che questa cifra si riferisce a tutto il 2023 e che mancano ancora diversi mesi alla fine dell’anno. Tuttavia è quantomeno inverosimile che il nostro paese riesca a recuperare un simile ritardo entro dicembre.
Un’altra conferma rispetto alla relazione della corte dei conti è quella relativa alla categoria di spesa in cui sono confluite la maggior parte delle risorse erogate. È la concessione di contributi – in particolare sulle misure ecobonus-sismabonus e transizione 4.0 – che rappresenta addirittura il 59% delle risorse Pnrr erogate al 31 dicembre 2022.
Si tratta di interventi di facile realizzazione: gli enti responsabili devono solo rimborsare ai soggetti privati le cifre spese. Gli ostacoli invece, come abbiamo già anticipato, sono legati a procedure più complesse per le pubbliche amministrazioni. E in particolare per i comuni.
Gli enti locali hanno più fondi Pnrr ma più difficoltà a spenderli
Risorse Pnrr erogate per lavori pubblici dai diversi soggetti attuatori, rispetto agli importi totali
Rfi (rete ferroviaria italiana) risulta essere a un livello più avanzato rispetto a tutti gli altri soggetti attuatori. Con il 16,7% di fondi spesi a fine 2022, rispetto al totale delle risorse affidate all’azienda pubblica. Lo stesso non si può dire degli enti pubblici territoriali, che su un importo totale di oltre 43 miliardi di euro, non hanno speso neanche 3 miliardi, per una quota pari al 6,4%.
La maggior parte delle amministrazioni, comunque, ha registrato un livello di spesa inferiore alle previsioni che denota un ritardo nella fase di definizione e avvio delle misure che potrebbe incidere sulla effettiva realizzazione dell’intero Piano con particolare riferimento al pieno raggiungimento degli obiettivi finali.

– TERZA RELAZIONE SULLO STATO DI ATTUAZIONE DEL PNRR
Come abbiamo già visto, l’esecutivo nella relazione esplicita le difficoltà che le amministrazioni locali – principalmente i comuni – stanno riscontrando nell’erogare risorse per realizzare progetti. È importante però sottolineare che le carenze o i ritardi degli enti territoriali in questi processi non sono una colpa da imputare ai comuni stessi.

NON SI PUÒ DARE LA COLPA AI COMUNI.
Sono il frutto di divari storici che riguardano soprattutto le amministrazioni più piccole, nei territori più periferici, del sud. A livello sia di personale che di competenze. Per come è stato ideato, il Pnrr non è stato in grado finora di dare una risposta efficace a questi ostacoli. E i governi, sia ora con Meloni sia prima con Draghi, hanno avanzato delle soluzioni insufficienti.
La priorità dell’esecutivo sembra essere quella di assicurarsi la ricezione dei fondi, senza garantirne la ricaduta efficace sui territori. Introdurre meccanismi di salvaguardia e supporto della spesa, potrebbe invece concretamente aiutare le amministrazioni locali a gestire questa partita. Favorendo lo sviluppo economico e sociale del paese, che dovrebbe essere il principale obiettivo del Pnrr.

L’OSSERVATORIO SUL PNRR
Questo articolo rientra nel progetto di monitoraggio civico OpenPNRR, realizzato per analizzare e approfondire il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Ogni lunedì pubblichiamo un nuovo articolo sulle misure previste dal piano e sullo stato di avanzamento dei lavori Tutti i dati sono liberamente consultabili online sulla nostra piattaforma openpnrr.it, che offre anche la possibilità di attivare un monitoraggio personalizzato e ricevere notifiche ad hoc. Mettiamo inoltre a disposizione i nostri open data che possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione.
(FONTE: elaborazione openpolis su dati OpenPNRR, 2023)

 

09 – I PAESI EUROPEI IN CUI SI LAVORA TROPPO. GLI ORARI DI LAVORO ECCESSIVI LEDONO LA SALUTE PSICOFISICA, LA SICUREZZA E IL DIRITTO AL TEMPO LIBERO DEI LAVORATORI. SONO ANCORA MOLTI I PAESI IN CUI I CITTADINI LAVORANO TROPPO, E I DIVARI ESISTONO SU PIÙ PIANI: DA PAESE A PAESE, TRA UOMINI E DONNE E TRA CATEGORIE DI LAVORATORI. (*)

• NEL 2022 MEDIAMENTE I CITTADINI UE LAVORANO 36,2 ORE ALLA SETTIMANA.
• SONO FORTI LE DIFFERENZE DA STATO A STATO. IN GRECIA SI LAVORANO 39,7 ORE, NEI PAESI BASSI 31,1.
• MEDIAMENTE LE DONNE LAVORANO 5,1 ORE IN MENO RISPETTO AGLI UOMINI.
• IN GRECIA IL 12,6% DEGLI OCCUPATI LAVORA TROPPO (PIÙ DI 48 ORE ALLA SETTIMANA).
• IN ITALIA LA SITUAZIONE È POLARIZZATA, MENTRE IN BULGARIA È PIUTTOSTO OMOGENEA.

È importante che le persone non lavorino troppo. Gli orari di lavoro eccessivi hanno effetti negativi sulla salute psicofisica dei lavoratori e minano la loro sicurezza. Senza contare che impediscono loro di trascorrere sufficiente tempo in autonomia, per sviluppare la propria socialità, trascorrere tempo con la propria famiglia e soddisfare i propri interessi culturali e intellettuali.
Inoltre diversi stati europei negli ultimi anni hanno iniziato a condurre esperimenti per ridurre il numero di ore o di giornate di lavoro.

IN SVEZIA PER ESEMPIO GIÀ DAL 2015 È STATA INTRODOTTA LA GIORNATA LAVORATIVA DI 6 ORE.

MENTRE VARI PAESI TRA CUI BELGIO, GERMANIA E SPAGNA HANNO ADOTTATO LA SETTIMANA DI 4 GIORNI.
Nonostante si tratti di un dibattito ancora aperto, sembrerebbe che lavorare meno sia benefico non solo per i lavoratori stessi ma anche per la loro produttività, che ne risulta incrementata.
Tuttavia, nonostante il fatto che l’Europa sia privilegiata rispetto al resto del mondo da questo punto di vista, sono ancora molti i cittadini dell’Unione che lavorano troppo. Si può osservare anche una grande frammentazione a livello nazionale e regionale, all’interno dei singoli paesi. Segno che esistono ancora disuguaglianze significative: non sono infatti i paesi più benestanti quelli in cui si lavora di più, ma il contrario. Inoltre sussistono anche disparità interne, tra chi lavora poco e chi tanto.

QUANTO LAVORANO IN MEDIA I CITTADINI EUROPEI
Mediamente in Europa gli occupati (con cui si intende sia i dipendenti che gli autonomi, con dipendenti o meno, part-time e full-time) lavorano in media 36,2 ore alla settimana. Tra dipendenti e autonomi c’è una differenza: i primi ne lavorano mediamente 35,3, i secondi 41,7. Lo stesso, anzi con un divario più marcato, si può chiaramente osservare anche tra lavoratori a tempo pieno e a tempo parziale. I primi registrano un valore di 44,5 ore e i secondi di 20,3 (pesano meno perché nel complesso sono meno numerosi).
Sia a livello nazionale che regionale in Europa si rilevano notevoli differenze per quanto riguarda l’impegno lavorativo settimanale.

Sono greche le regioni in cui si lavora di più ogni settimana – Le ore lavorative settimanali nelle regioni Ue (2022)

I dati provengono dal rilevamento sulla forza lavoro (Labour force survey) di Eurostat e si riferiscono al numero di ore lavorative settimanali dei cittadini occupati, nelle regioni Ue.

Sono tutte greche le regioni in cui si lavorano più ore ogni settimana. Cifre elevate si riscontrano anche in alcune regioni della Polonia, della Romania e della Bulgaria, ma anche in Alentejo (Portogallo), in due regioni ceche e in una slovacca. La cifra più bassa invece si registra nella regione olandese di Groningen, la quale riporta una media settimanale di 29,9 ore. Oltre 16 di differenza rispetto alle isole Ionie, in Grecia, che con 46,2 ore di lavoro a settimana detengono il record europeo.
A livello nazionale è quindi la Grecia il paese Ue in cui si lavora di più, con una media di 39,7 ore alla settimana. Seguono Romania, Polonia e Bulgaria, tutte sopra le 39. Agli ultimi posti i Paesi Bassi con appena 31,1, seguita a una certa distanza da Danimarca e Austria, che riportano rispettivamente una media di 33,6 e 33,7. Con 36,2 ore lavorative, l’Italia è esattamente in linea con la media dell’Ue.

La Grecia sale poi a una media di 41,7 ore settimanali se si isolano gli occupati di genere maschile, con una differenza di quasi 5 ore rispetto alle donne (36,9). Una differenza che risulta essere in linea con la media europea.
5,1 ore la differenza di genere di impegno lavorativo settimanale, mediamente in Ue (2022).
Le settimane lavorative più lunghe per le donne si registrano in Romania (39,2) e in Bulgaria (39). Questi sono anche i due paesi con il divario di genere più contenuto (meno di un’ora a settimana di differenza). I divari più ampi si registrano invece nei Paesi Bassi (8,2 ore settimanali), in Austria (7,7), in Germania (7,6) e in Irlanda (7,1). L’Italia, con 6,8 ore alla settimana di differenza, è al quinto posto tra i paesi membri.

QUANTI EUROPEI LAVORANO TROPPO
In Europa, a parte in alcuni specifici settori (sanitario, protezione civile, industrie che non possono essere interrotte per ragioni tecniche e agricoltura), l’orario di lavoro settimanale non dovrebbe superare le 48 ore.
Tuttavia sono ancora molti i cittadini europei che superano regolarmente questo limite, un fenomeno fortemente lesivo della salute psico-fisica.
IN GRECIA IL 12,6% DELLE PERSONE LAVORA PIÙ DI 48 ORE ALLA SETTIMANA
La quota di intervistati che hanno dichiarato di lavorare più di 48 ore a settimana nei paesi Ue (2021)

I dati si riferiscono alla quota di persone occupate che nell’ambito del rilevamento sulla forza lavoro (Labour force survey) di Eurostat hanno dichiarato di lavorare 49 ore o più alla settimana.

LA GRECIA È IL PRIMO PAESE UE PER QUOTA DI OCCUPATI CHE DICHIARANO DI LAVORARE PIÙ DI 48 ORE ALLA SETTIMANA (12,6%). SEGUONO LA FRANCIA (10,2%) E CIPRO (9,7%). BULGARIA E LITUANIA RIPORTANO INVECE UN DATO INFERIORE ALL’1%.

IN ITALIA SEMBRA ESSERCI UNA POLARIZZAZIONE TRA CHI LAVORA MOLTO E CHI POCO.
L’Italia, con il 9,4%, è al quarto posto insieme al Portogallo. È interessante notare come in Italia ci sia in questo senso una differenza: a livello di ore medie, il dato non è particolarmente elevato e anzi del tutto in linea con la media dell’Unione, mentre risulta elevata, rispetto alla media, la quota di occupati che lavorano “troppo”. Considerato che all’interno del rilevamento sulla forza lavoro Eurostat ottiene dichiarazioni, più affidabili di altri tipi di dati per quanto riguarda il sommerso, sembra esserci nel nostro paese una certa polarizzazione. Mediamente orari “normali”, ma un gruppo consistente di persone supera il numero di ore considerate consone. Il che vuol dire che gli altri occupati hanno orari molto meno impegnativi. O che c’è un’ampia parte della popolazione che lavora part-time.
Al contrario in un paese come la Bulgaria, al quarto posto in Ue per ore lavorative medie (38,6), la quota di persone che superano il limite è molto basso, indice di una forte omogeneizzazione da questo punto di vista.
*(FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat)

 

10 – Nel mondo (*)

Grecia
Il 16 giugno Stella Nanou, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), ha affermato che sono ormai molto ridotte le speranze di trovare sopravvissuti al naufragio di un’imbarcazione di migranti avvenuto al largo delle coste del paese nella notte tra il 13 e il 14 giugno. Il bilancio provvisorio è di 79 vittime e 104 sopravvissuti, ma sembra che a bordo ci fossero 750 persone, tra cui un centinaio di bambini.

Unione europea
La Banca centrale europea (Bce) ha alzato il 15 giugno i tassi d’interesse di 25 punti base per contrastare l’inflazione, che a maggio era al 6,1 per cento, ben lontana dall’obiettivo del 2 per cento. Il tasso sulle operazioni principali passa così al 4 per cento. Si tratta dell’ottavo rialzo consecutivo dei tassi dal luglio 2022. Il mese prossimo è previsto un ulteriore rialzo.

Sudan
Il 15 giugno Matthew Miller, portavoce del dipartimento di stato statunitense, ha denunciato le “violenze orribili” in corso nel paese, e in particolare nel Darfur, mettendo sotto accusa il gruppo paramilitare Forze di supporto rapido (Rsf), guidato dal generale Mohamed Hamdan Dagalo. Miller ha anche condannato l’assassinio del governatore dello stato del Darfur Occidentale, Khamis Abdullah Abakar, avvenuto il 14 giugno. Poche ore prima di essere ucciso il governatore aveva accusato i paramilitari di “compiere un genocidio”. Dalla metà di aprile circa 1.100 civili sono stati uccisi a El Geneina, il capoluogo del Darfur Occidentale.

Nigeria
Il 15 giugno il nuovo presidente Bola Tinubu ha sospeso il capo dell’autorità anticorruzione del paese, Abdul Rasheed Bawa, accusato di “abusi di potere”. La settimana scorsa era stato rimosso e arrestato il governatore della banca centrale Godwin Emefiele, anche lui sotto inchiesta.

Corea del Nord
Il ministero della difesa giapponese ha affermato il 15 giugno che il regime nordcoreano ha lanciato due missili balistici a corto raggio, che sono caduti in mare nella zona economica esclusiva di Tokyo. Poco prima Pyongyang aveva denunciato le esercitazioni militari in corso tra gli eserciti di Corea del Sud e Stati Uniti.

Giappone
Il 16 giugno la camera dei consiglieri, la camera alta del parlamento giapponese, ha approvato all’unanimità una legge che alza da tredici a sedici anni l’età minima del consenso nei rapporti sessuali. La legge modifica anche la definizione di stupro, passando da “rapporto sessuale forzato” a “rapporto sessuale non consensuale”.

Stati Uniti
Il 15 giugno almeno tre persone sono morte e un centinaio sono rimaste ferite nel passaggio di un tornado sulla cittadina di Perryton, nel nord del Texas. Vari stati del sud e del centro-ovest del paese sono in stato d’allerta per una serie di tempeste, alimentate dalle alte temperature, che stanno causando tornado, temporali e grandinate.
*( Fonte: Internazionale )

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