n° 49 – 10/12/2022. RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – La Marca (Pd)*: incontra il direttore Coltiti (INPS). Al centro il tema dei pensionati all’estero.
02 – La Marca (Pd) incontra Varriale (Maeci). Prioritario l’incremento del personale consolare
03 – Bang sonici, Carè(Pd): interrogazione al Ministro, preoccupano la popolazione – “Ho presentato un’interrogazione parlamentare, al Ministro della Difesa, relativa al problema dei bang sonici che si sono verificati in provincia di Cosenza, in particolare nella Piana di Sibari.
04 – Antonio Bevere*: Dall’assalto alla Cgil alla precarietà dei lavoratori. L’ETERNO FASCISMO. Ci troviamo dinanzi al fascismo eterno, ad una nebulosa che si presenta nella società e nelle istituzioni sotto le spoglie più innocenti (Eco), da smascherare e denunciare?
05 – Catherine Cornet *: I mondiali in Qatar e un’informazione alternativa sul mondo arabo.
06 – Afp, Francia*: le proteste in Cina sono storiche, e il governo cerca di nasconderle.
07 – Enzo Scandurra*: Quando le prime volte sentii in TV e annunciato dai quotidiani, che all’Italia erano stati assegnati dall’Europa oltre 200 miliardi, che poi andarono a formare il famoso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pensai ingenuamente che finalmente sarebbero stati affrontati, se non proprio risolti, gli annosi problemi della sanità, della scuola e dell’università e chissà quanti altri ancora
08 – La povertà lavorativa è ancora una realtà in Europa. La povertà non incide solo su chi lavora poco. In Italia, è a rischio povertà l’8,3% delle famiglie ad alta intensità lavorativa. Circa il 9% dei lavoratori in Ue vive sotto la soglia di povertà. L’Italia è il quarto paese Ue per incidenza della povertà tra i lavoratori. Mediamente in Ue non c’è stato alcun miglioramento negli ultimi 10 anni. *

 

01 – LA MARCA (PD) INCONTRA IL DIRETTORE COLITTI (INPS). AL CENTRO IL TEMA DEI PENSIONATI ALL’ESTERO
Si è svolto venerdì 2 dicembre, presso la sede generale dell’INPS a Roma, l’incontro tra Francesca La Marca, Senatrice PD eletta nella ripartizione America Settentrionale e Centrale, e il Dottor Massimo Coliti, Dirigente della Direzione Centrale Pensioni, Area Normativa e Contenzioso in Regime Internazionale, Pagamento Pensioni all’estero dell’INPS.
«È stato un incontro molto proficuo – spiega la Sen. La Marca – nel corso del quale abbiamo approfondito diverse tematiche che riguardano i pensionati italiani in Nord e Centro America. Il Dottor Colitti mi ha fornito dati molo interessanti e completi. Nel solo Canada, sono 36mila le pensioni che vengono erogate mentre negli Stati Uniti questo numero ammonta a 23mila.»
«L’incontro – sottolinea la Sen. La Marca – mi era stato sollecitato da patronati in Canada e negli Stati Uniti, che ci tengo a ringraziare per il prezioso lavoro che quotidianamente svolgono in favore dei nostri pensionati. Durante lo stesso, insieme al Dottor Colitti, abbiamo affrontato numerose tematiche: come quelle relative ai pagamenti delle pensioni, della Campagna di accertamento dell’esistenza in vita, della Social Security Americana e, più in generale, le problematiche di comunicazione tra pensionati, patronati e INPS.»
«Il Direttore Colitti, insieme al suo Staff, hanno dimostrato grande disponibilità e apertura. Auspico – conclude la Sen. La Marca – che questo sia solo il primo di una serie di incontri con il principale obiettivo di migliorare e rendere più efficiente il servizio erogato a tutti i pensionati residenti fuori dai confini nazionali.»
*(Sen. Francesca La Marca, Ph.D. – SENATO DELLA REPUBBLICA – Ripartizione Nord e Centro America. Elettorale College of North and Central America)

 

02 – La Marca (Pd) INCONTRA VARRIALE (MAECI). PRIORITARIO L’INCREMENTO DEL PERSONALE CONSOLARE. Si è svolto ieri, presso gli uffici della Farnesina, l’incontro tra Francesca La Marca, Senatrice del Partito Democratico eletta nella Ripartizione America Settentrionale e Centrale, e l’Ambasciatore Renato Varriale, Direttore Generale per le Risorse e l’Innovazione del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. All’incontro era presente anche Alessandro Ferranti, Consigliere d’Ambasciata.

«Ho voluto incontrare nuovamente l’Ambasciatore Varriale, proprio in queste settimane di definizione della Legge di Bilancio, – sottolinea la Sen. La Marca – per rimettere al centro la questione delle nuove assunzioni da destinare alle sedi consolari che più ne hanno necessità. L’incontro nasce altresì dalle sollecitazioni dei Consolati di Toronto, Miami e Città del Messico, a cui auspico vengano assegnate presto risorse aggiuntive.»

«Il Direttore Varriale, che ringrazio per il costante impegno – spiega la Sen. La Marca – mi ha anticipato che la recente conclusione di una importante procedura concorsuale permetterà di procedere ad un ingente numero di assunzioni al termine della prossima estate. Ad ogni modo, ho predisposto un emendamento per chiedere di bandire nuovi concorsi per l’assunzione di personale. In considerazione del fatto che, quest’anno la Legge di Bilancio verrà prima presentata alla Camera, lavorerò con i colleghi Deputati per ottenere questo importante risultato.»

«Per quanto concerne la Legge di Bilancio – spiega la Sen. La Marca – il mio impegno sarà fortemente indirizzato anche a sostenere l’emendamento sui contrattisti. Le nostre sedi consolari, in numerose circoscrizioni estere, necessitano di un incremento di personale. Non dobbiamo dimenticare che esse offrono servizi essenziali ai nostri connazionali all’estero ed è quindi indispensabile che siano messe nelle condizioni di operare in maniera efficiente.»
*(Sen. Francesca La Marca, Ph.D. – SENATO DELLA REPUBBLICA – Ripartizione Nord e Centro America – Electoral College of North and Central America – Email – francesca.lamarca@senato.it )

 

03 – Bang sonici, Carè (Pd): INTERROGAZIONE AL MINISTRO, PREOCCUPANO LA POPOLAZIONE
ROMA 09 DIC. – “HO PRESENTATO UN’INTERROGAZIONE PARLAMENTARE, AL MINISTRO DELLA DIFESA, RELATIVA AL PROBLEMA DEI BANG SONICI CHE SI SONO VERIFICATI IN PROVINCIA DI COSENZA, IN PARTICOLARE NELLA PIANA DI SIBARI. Già nel novembre 2021, in diversi comuni del cosentino si sono registrati forti boati a distanza ravvicinata dovuti al passaggio di aerei a velocità superiore a quella del suono (detti bang sonici), che l’Aeronautica militare ha confermato essere attività di volo supersonica, preventivamente autorizzata e pianificata; il “bang sonico”, il fenomeno di rottura del muro del suono, è un forte boato che si produce ogni volta che un aereo in volo determina una compressione dell’aria, producendo un rumore molto più che forte, fastidioso quanto acusticamente dannoso per la popolazione; il passaggio di questi aerei ha creato nella popolazione di Cosenza e della sua provincia molta paura e scompiglio, soprattutto in anziani e bambini, e in uno degli episodi è stato talmente dirompente da arrivare ad infrangere i vetri di una scuola; E’ già stata svolta un’attività di controllo negli anni scorsi, ma il problema continua a persistere e benché l’Aeronautica militare operi nel rispetto delle procedure standard di volo, l’effettuazione di tali passaggi aerei crea forte preoccupazione e un notevole disturbo alla popolazione dei territori interessati. Ho chiesto dunque al Ministro nell’interrogazione se non ritenga opportuno adottare le misure necessarie per garantire che durante l’effettuazione di attività di addestramento al volo supersonico si possano evitare alla popolazione disagi e preoccupazioni e se non si ritenga necessario valutare la possibilità di modificare le rotte dell’attività addestrativa pianificata dell’Aeronautica militare in modo tale da evitare ulteriori episodi di bang sonico che, da anni, allarmano la popolazione della piana di Sibari.” Così in una nota il deputato del Pd Nicola Carè, componente della Commissione difesa

*(On./Hon. Nicola Carè – Camera dei Deputati – Chamber of Deputies – IV Commissione Difesa – Defence Committee – Circoscrizione Estero, Ripartizione Africa, Asia, Oceania e Antartide – Electoral College – Africa, Asia, Oceania and Antarctica – Ufficio/Office: – Palazzo Montecitorio – Piazza del Parlamento, 24 – 00186 Roma-Italy Tel: +39 06 67 60 31 88)

 

04 – Antonio Bevere*: DALL’ASSALTO ALLA CGIL ALLA PRECARIETÀ DEI LAVORATORI. L’ETERNO FASCISMO. CI TROVIAMO DINANZI AL FASCISMO ETERNO, AD UNA NEBULOSA CHE SI PRESENTA NELLA SOCIETÀ E NELLE ISTITUZIONI SOTTO LE SPOGLIE PIÙ INNOCENTI (ECO), DA SMASCHERARE E DENUNCIARE?
L’ osservazione di Ennio Flaiano nel 1972 («I fascisti sono una trascurabile maggioranza», La solitudine del satiro, 356) è – a distanza di mezzo secolo- ampiamente smentita. Per Umberto Eco (Il fascismo eterno, 2020,edizione speciale per Gedi, 17), «la parola “fascismo” è divenuta una sineddoche, una denominazione pars pro toto per movimenti o fenomeni totalitari diversi».

Fascista come parte del tutto può designare militante della violenta intolleranza verso il dissenso, militante del razzismo e dello schiavismo, avversario dei lavoratori e del sindacato. Il fascismo eterno può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. «Il nostro dovere è smascherarlo e puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo» (ivi, 42 s). Tra le caratteristiche di questa multiforme nebulosa è meritevole di vigilanza la sua posizione nei confronti delle organizzazioni sindacali (smantellate dal regime mussoliniano), alla luce dell’episodio di pirateria contro la Cgil di aderenti all’associazione Forza Nuova, fedele erede e continuatrice del pensiero e dell’azione del fascismo italiano. Risulta dalla sentenza del Gup di Roma (11 luglio 2022, dep. 5 ottobre 2022) che questi e camerati similari, il 9 ottobre 2021, dopo tracotante pretesa di incontrare il segretario nazionale della Cgil – seguita da clamorosa e indisturbata marcia per il centro della capitale – avevano forzato porte e finestre della sede nazionale, sopraffatto gli agenti di polizia, devastato e distrutto documenti, manifesti, computer. Un inquietante concorso nel successo dell’impresa squadrista è emerso dalle dichiarazioni difensive di uno dei condannati: «la Polizia li aveva ‘spalleggiati’ e aveva detto loro ‘rompete tutto’» (pag. 12 sent.). Nessun accertamento è stato sollecitato dalla magistratura, nessuna iniziativa è stata presa dalle forze dalla sicurezza nazionale. La doverosa indagine avrebbe liberato da qualsiasi ombra i vertiti di polizia( il prefetto era Piantedosi, oggi ministro dell’Interno), conformemente al principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.

Comunque, secondo la giudice, i fatti di devastazione e saccheggio non hanno avuto «matrice fascista» e non hanno cagionato danni all’onore partigiano rappresentato dall’Anpi. Il segretario della Cgil non ha polemizzato con la magistratura, limitandosi a ribadire la richiesta di scioglimento dell’associazione.
Questa negativa emergenza politica merita la completa valutazione del potere punitivo della Stato, accompagnata però dalla consapevolezza di dati del mondo del lavoro che hanno concorso a rendere il fascismo maggioranza non più trascurabile.

Oggi i proletari sono orfani di leader, di rivendicazioni radicali, di ambizioni riformiste, mentre i lavoratori sono oppressi, intimoriti e ricattati dalla disciplina della precarietà e della flessibilità. Le imprese hanno costruito un modello asservito alla libertà di movimento del capitale, tanto da diventare enti finanziari che occasionalmente producono anche beni e servizi. Ne consegue che puntano a contratti di lavoro di breve durata, a una dislocazione della forza lavoro in sincronia con la mobilità del capitale da un settore a un altro, da un paese a un altro (Luciano Gallino, Vite rinviate. Lo scandalo del lavoro precario, Edizioni Laterza la Repubblica, 2019, 57). La precarizzazione indebolisce le tradizionali soggettività sociali e politiche (la classe operaia, il movimento operaio, il sindacato), basate sulla solidarietà e sul conflitto sociale. Si è contrapposta la aggregazione di individui in competizione tra loro e in posizione difensiva verso tutti i diversi, anche se debolissimi (L. Ferrajoli, Per una Costituzione della Terra, Feltrinelli, 36).

Ci troviamo dinanzi al fascismo eterno, ad una nebulosa che si presenta nella società e nelle istituzioni sotto le spoglie più innocenti (Eco), da smascherare e denunciare?

Da quale nebulosa politico-culturale provengono la flessibilità del mercato del lavoro, i contratti a zero ore e la riduzione in servitù dei dipendenti; il rigetto delle masse di immigrati in alternativa al programmato sfruttamenti selvaggio; l’organizzazione di ambienti e di ritmi di lavoro che producono annualmente centinaia di morti e migliaia di invalidi; l’obbligo degli studenti inesperti di andare in fabbrica ed essere preda della mortifera organizzazione aziendale? Quale matrice costituzionale ha una sentenza che qualifichi associazione a delinquere il sindacato impegnato in una vincente trattativa?

 

05 – Catherine Cornet *: I MONDIALI IN QATAR E UN’INFORMAZIONE ALTERNATIVA SUL MONDO ARABO. FIN DALLA SUA FONDAZIONE NEL 1971, IL PICCOLO EMIRATO DEL QATAR HA PUNTATO A “ESSERE PRESENTE SULLA CARTINA GEOGRAFICA”, FARSI CONOSCERE E RICONOSCERE PER POTERSI PROTEGGERE DAI SUOI POTENTI VICINI E NEMICI, L’ARABIA SAUDITA E GLI EMIRATI ARABI UNITI.

Con l’emittente televisiva Al Jazeera, lanciata nel 1996, Doha si è proposta come alternativa alla narrazione occidentale, creando una “Cnn araba”, particolarmente seguita al livello globale durante l’invasione statunitense prima dell’Iraq e poi dell’Afghanistan.
Per il mondo arabo democratico la tv qatariota è stata cruciale nel dare conto delle primavere arabe del 2011, essendo stata l’unica emittente araba indipendente a trasmettere quello che succedeva nelle piazze della regione, tra i manifestanti che chiedevano libertà, pane e dignità. Al Jazeera è sempre stata progressista, quando si tratta di occuparsi di eventi al di fuori delle sue frontiere. Si è inoltre schierata con i Fratelli musulmani della regione contro le forze sponsorizzate dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Arabia Saudita. Inoltre, con la versione inglese di Al Jazeera lanciata nel 2006 il Qatar è partito alla conquista dell’opinione pubblica occidentale. I mondiali a Doha nel 2022 sono l’apogeo di questa strategia. Esistere, ma soprattutto cambiare lo sguardo globale non solo sui suoi 400mila abitanti, ma quello su tutti i popoli della regione.

SUPREMAZIA BIANCA E ORIENTALISMO
Oggi l’impero mediatico qatariota conta una decina di testate tra televisioni, giornali e social network, e durante i mondiali di Doha dai giornali parzialmente sponsorizzati dall’emirato fioccano le accuse all’Europa colpevole di orientalismo e di un “complesso di superiorità morale”. Secondo Feras Abu Helal, caporedattore del giornale Arabi21, “le critiche alla Coppa del mondo in Qatar presentano un misto di supremazia bianca e di orientalismo, con tanto di commenti sulla ‘coppa del mondo nel deserto’ e cammelli”. Anche se gli europei hanno una forte tradizione di calcio e le loro squadre nazionali hanno vinto più coppe di qualsiasi altro continente, oggi il “calcio è un gioco globale”, sottolinea Abu Helal, ed è tempo che gli europei “accettino che la coppa sia giocata in diversi paesi e continenti”.

QUESTA VISIONE DEL QATAR COME DI UNA TERRA DI BARBARIE È “UNO SPETTACOLO AUTOCELEBRATIVO, MA INCOERENTE, DI SUPERIORITÀ MORALE”, AGGIUNGE IMRAN MULLA SU MIDDLE EAST EYE.
I SOCIAL NETWORK SONO PIENI DI IMMAGINI IN CUI I TIFOSI ARABI ESPRIMONO LA LORO SOLIDARIETÀ ALLA PALESTINA, A DISPETTO DELLE POLITICHE DEI LORO GOVERNI

Le risposte all’arroganza europea nei confronti del mondo arabo sono comparse su diversi altri giornali del Medio Oriente. Sul panarabo Al Quds, il giornalista yemenita Mahmoud Gamyi accusa l’eurocentrismo di credersi ancora e sempre l’unico “asse attorno a cui ruota la civiltà”. Gamyi osserva che la forza della proposta qatariota è di aver ridato onore alla cultura araba, nomade, mortificata dal colonialismo.
Un esempio di questa cultura è lo stadio Al Bayt, ispirato alla tenda beduina, che illustra quanto i qatarioti siano riusciti a presentare il loro patrimonio senza “provare alcun senso di inferiorità”. E se molti europei sono vittime delle “distorsioni mediatiche, cinematografiche e accademiche che mirano a imprigionare arabi e musulmani in quadri stereotipati” (come ampiamente approfondito da Edward Said, l’arabo è sempre ritratto nella sua tenda), Doha fa vedere al mondo che questa “tenda araba che prima si spostava alla ricerca di acqua e pascoli, oggi è diventata fissa. Ormai sono l’acqua e i pascoli a venire in Qatar da diverse parti del mondo. Dopo secoli in movimento, si è giunti a una fase di stabilità, con tutto quello che comporta in termini di civiltà, stabilità, apertura e modernità”.
Durante la cerimonia di apertura, il Qatar, continua Gamyi, ha anche saputo trasmettere i principali messaggi spirituali dell’islam al mondo: con il versetto coranico sull’unica origine di tutto il genere umano, ha legato il messaggio spirituale dell’islam al rifiuto di ogni forma di razzismo, arroganza e altri stereotipi espressi da chi attacca il paese arabo e islamico, perché in fondo non accetta che la Coppa del mondo sia organizzata in questa “selvaggia periferia geografica” lontana dalla “sacra geografia centrale”.

NOZZE PANARABE
Fuori del Qatar, la stampa araba nota quanto l’evento sportivo abbia risvegliato i grandi fondamenti del panarabismo, l’ideale di unione araba in opposizione alla divisione del mondo arabo creato dalle frontiere delle mappe coloniali. Il quotidiano Al Quds titola in copertina: “Apertura storica che incarna il sogno arabo e abbaglia il mondo”. Malgrado decenni di divisioni e guerre, l’editorialista Ibrahim Darwish nota che per la vittoria dell’Arabia Saudita ci sono state celebrazioni ovunque nella regione, al Cairo, ad Amman, a Fallujah, in Iraq, e addirittura presso gli houthi dello Yemen in guerra contro l’Arabia Saudita, “perfino i tanti arabi che detestano la politica estera saudita hanno applaudito la vittoria”.

La copertura televisiva di Al Jazeera in arabo è tutta indirizzata a mostrare che questi mondiali sono quelli del mondo arabo e non solo del piccolo emirato. I giornalisti inviati si dilettano a mostrare i matrimoni tra persone di diverse nazioni arabe, come quello tra una sposa egiziana e un palestinese davanti agli stadi di Doha mentre tunisini e algerini esortano la coppia a forza di ullalí, i tipici canti dei matrimoni del Maghreb. Quest’atmosfera festiva “incarna l’unità degli arabi nella Coppa del mondo di Doha”.

Altro elemento del panarabismo, la questione della Palestina è tornata al centro dell’attenzione. L’emirato è uno dei pochi paesi del Golfo schierati contro la normalizzazione delle relazioni con Israele, e i social network sono inondati di immagini in cui i tifosi arabi esprimono la loro solidarietà con la Palestina, malgrado i loro governi: i tifosi libanesi girano le spalle al giornalista israeliano e ricordano che il suo paese “si chiama Palestina, non Israele”, i tifosi marocchini si presentano con kefiah e magliette con la foto della giornalista palestinese di Al Jazeera, Shireen Abu Akleh, assassinata l’11 maggio 2022, e ricordano che “se i leader hanno firmato gli accordi di Abramo, i popoli arabi rimangono solidali alla causa palestinese”.

RIAVVICINAMENTO DEL GOLFO
A livello geopolitico, scrive Al Quds, il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Doha dopo cinque anni di boicottaggio del Qatar è forse solo simbolico ma potrebbe essere importante “dato che Muhammad bin Salman sedeva accanto all’emiro del Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad Al Thani, nella cabina reale, e lo sceicco Tamim ha salutato la vittoria sventolando la bandiera saudita. Queste relazioni politiche possono finire all’improvviso come sono cominciate, ma i piccoli gesti sono importanti, e lo sono ancora di più in Medio Oriente, dove ci ricordano quanto sia divisa la regione”.

Per la prima volta nella storia dei mondiali di calcio, il torneo si svolge in Medio Oriente. In una regione, spiega Abdullah Al Arian professore alla Georgetown university del Qatar, che “considera il calcio molto più di uno sport”. Nel suo libro The turbulent world of Middle East soccer James Dorsey, riferimento accademico sul calcio arabo, spiega quanto questo sport equivalga a “un’arena in cui si svolgono le lotte per il controllo politico, la protesta e la resistenza, il rispetto di sé e i diritti di genere”.

Dall’inizio della loro presenza nella regione, molti club sono nati con uno spirito pro o anticolonialista, come il famoso Al Ahly del Cairo aperto nel 1907, e “sono stati motori dell’identità nazionale e della giustizia sociale”. Secondo Dorsey, lo stadio, nel mondo arabo, può essere paragonato al campus universitario – in quanto è stato a lungo terreno fertile per la rivoluzione, un “incubatore di protesta”. Gli ultrà egiziani, per esempio, sono “stati fondamentali per spezzare il ciclo di paura che aveva avvolto la società, mostrando che le forze dell’ordine non erano invincibili”. La loro esperienza di lotta con le guardie nello stadio era estranea alla classe media scesa a manifestare: “Senza la loro militanza e la loro organizzazione, il rovesciamento di Mubarak si sarebbe potuto rivelare impossibile”, conclude Dorsey. Il mondo arabo, in effetti, non è al suo primo scontro politico sul calcio.
Le ultime stoccate qatariote alle condanne europee dei mondiali sono ironiche: molti social network arabi hanno commentato “l’ignorante arroganza dei tifosi inglesi venuti a dare lezioni di civiltà vestiti da crociati”, mentre un articolo sul beerwashing di Al Jazeera intitolato “Birre, sport e uomini: la santa trinità del marketing per l’alcool” studia la cultura maschile del bere e della violenza allo stadio in Europa osservando che… potrebbe essere il momento di cambiare questa cultura.
*( Catherine Cornet. È una giornalista e ricercatrice francese, arabista specializzata in cultura e politica del Medio Oriente. Insegna storia del Medio Oriente e espressioni politiche dell’Islam all’American University of Rome. Collabora con Internazionale e con numerose testate giornalistiche e televisive francesi.)

 

06 – AFP, FRANCIA*: LE PROTESTE IN CINA SONO STORICHE, E IL GOVERNO CERCA DI NASCONDERLE. LA CENSURA DELLE AUTORITÀ CINESI È AL LAVORO DAL 28 NOVEMBRE PER CANCELLARE OGNI TRACCIA DELL’ONDATA DI PROTESTE DEI GIORNI PRECEDENTI, SCATENATA DALLE RESTRIZIONI SANITARIE E PER CHIEDERE MAGGIORI LIBERTÀ. SI TRATTA DI MANIFESTAZIONI DI UN’AMPIEZZA CHE NON SI VEDEVA DA DECENNI.

Il 27 novembre una folla di manifestanti, rispondendo ad appelli sui social network, aveva espresso la sua rabbia principalmente a Pechino e Shanghai, prendendo alla sprovvista le forze dell’ordine. Tra gli slogan gridati all’unisono: “Basta test covid, abbiamo fame!”, “Xi Jinping, dimettiti! Pcc (Partito comunista cinese), fatti da parte!”, “No ai confinamenti, vogliamo la libertà”. Alcune manifestazioni si erano svolte lo stesso giorno a Wuhan (dove quasi tre anni fa fu individuato il primo caso al mondo di covid-19), a Canton, a Chengdu e a Hong Kong. Per la sua estensione, la mobilitazione, il cui numero totale dei partecipanti è difficile da verificare, è stata probabilmente la più importante dai moti pro democrazia del 1989. Durante le proteste sono scoppiati degli scontri tra i manifestanti – alcuni esibivano dei fiori o dei fogli bianchi come simboli di censura – e le forze dell’ordine e molte persone sono state arrestate.
È stato il culmine di un malcontento popolare che negli ultimi mesi è cresciuto costantemente in Cina, uno degli ultimi paesi al mondo ad applicare una rigida politica “zero covid”, che implica confinamenti continui e test molecolari quasi quotidiani della popolazione.

SOTTO SORVEGLIANZA
La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l’incendio scoppiato a Urumqi, capoluogo della provincia dello Xinjiang (nord-ovest), in cui sono morte dieci persone e che ha catalizzato la rabbia di molti cinesi, che accusano le restrizioni sanitarie di aver reso impossibili le operazioni di soccorso. Ma le manifestazioni di questo fine settimana hanno anche fatto emergere domande di maggiori libertà politiche, addirittura di dimissioni del presidente Xi Jinping, appena riconfermato alla testa del paese per un terzo mandato.

Così il 28 novembre mattina, la polizia sorvegliava, a Pechino e Shanghai, i luoghi di assembramento del giorno precedente. Nelle vicinanze del fiume Liangma, nella capitale, dove più di 400 giovani cinesi si erano riuniti la sera prima per svariate ore, al grido “Siamo tutti abitanti dello Xinjiang!”, erano parcheggiate delle auto della polizia e gli agenti pattugliavano il canale. A Shanghai una delle strade che erano state bloccate dalla folla, durante la notte è stata circondata da alte barriere blu lungo i marciapiedi per impedire qualsiasi nuovo raggruppamento.

Sui social network cinesi, tutte le informazioni riguardanti le manifestazioni del fine settimana sembravano essere sparite. Sulla piattaforma Weibo, una sorta di Twitter cinese, le ricerche “fiume Liangma” e “via Urumqi”, due dei luoghi di protesta del giorno precedente, non davano alcun risultato legato alla mobilitazione.

I video che mostravano gli studenti cantare e manifestare in altre città sono scomparsi dalla piattaforma WeChat. Sono stati rimpiazzati da messaggi che avvertivano che il post era stata segnalato come “contenuto sensibile contrario al regolamento”.

Sul motore di ricerca Weibo, la ricerca con parola chiave #A4 – in riferimento ai fogli bianchi branditi durante le manifestazioni – sembra essere stata modificata per dare solo qualche risultato.

Il rigido controllo delle autorità cinesi sull’informazione e le restrizioni sanitarie sui viaggi all’interno del paese complicano la verifica del numero totale di manifestanti. Ma una sollevazione così estesa è rarissima in Cina, tenendo conto della repressione attiva contro tutte le forme di opposizione al governo. Il Quotidiano del popolo ha pubblicato un articolo che mette in guardia contro la “paralisi” e la “stanchezza” di fronte alla politica zero covid, senza tuttavia accennarne un termine.

“Le persone hanno raggiunto un punto di saturazione dato che non ci sono direzioni chiare sulla via per porre fine alla politica zero covid”, spiega all’Afp Alfred Wu Muluan, esperto di politica cinese all’Università nazionale di Singapore. “Il partito ha sottovalutato la rabbia della popolazione”, aggiunge.
Le manifestazioni hanno spaventato gli investitori, e il 28 novembre le borse asiatiche erano in netto calo. Lo stesso giorno sì è toccato un nuovo record di casi di covid-19 in Cina, con 40.052, anche se la stragrande maggioranza è asintomatica. E le cifre restano comunque piuttosto basse in percentuale a una popolazione di 1,4 miliardi di abitanti.
(Traduzione di Thomas Lemaire, (AFP) Agenzia di stampa francese sorta nel 1944, dapprima clandestinamente, in luogo dell’agenzia Havas, L’AFP è un’impresa pubblica nel cui consiglio d’amministrazione siedono tuttavia in misura maggioritaria rappresentanti della stampa francese. L’agenzia conta 260 sedi locali distribuite in 151 Paesi)

 

07 – Enzo Scandurra*: QUANDO LE PRIME VOLTE SENTII IN TV E ANNUNCIATO DAI QUOTIDIANI, CHE ALL’ITALIA ERANO STATI ASSEGNATI DALL’EUROPA OLTRE 200 MILIARDI, CHE POI ANDARONO A FORMARE IL FAMOSO PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA, PENSAI INGENUAMENTE CHE FINALMENTE SAREBBERO STATI AFFRONTATI, SE NON PROPRIO RISOLTI, GLI ANNOSI PROBLEMI DELLA SANITÀ, DELLA SCUOLA E DELL’UNIVERSITÀ E CHISSÀ QUANTI ALTRI ANCORA.

Immaginai subito il sollievo di ex colleghi d’università che avrebbero finalmente visto l’ingresso di nuovi e giovani ricercatori fino ad allora precari e anche l’arrivo di preziose risorse per la ricerca. Pensai ancora che, accanto agli ospedali che versano nelle condizioni drammatiche che ben conosciamo, sarebbero sorti presidi territoriali sanitari di prima accoglienza e sarebbe finito l’incubo di ore e ore di attesa nei pronto soccorso dei nosocomi.
Credei che i problemi della scuola italiana sarebbero finiti con nuovi ingressi di docenti, con la manutenzione dei vecchi e fatiscenti edifici, che ci sarebbero stati molti più docenti per consentire agli studenti di rimanere a scuola fino al pomeriggio, che si sarebbero costruite nuove e più moderne scuole, che sarebbe finita la questione delle “classi pollaio”; se no che ripresa era?
Pensai che si sarebbero realizzati moltissimi impianti eolici e fotovoltaici in modo da abbandonare la dipendenza dai fossili e avviarsi verso quella che era stata già denominata riconversione ecologica, per la quale era stato chiamato un famoso tecnico che avrebbe dichiarato guerra all’uso dei fossili.

Insomma i territori, nel mio immaginario, sarebbero divenuti i luoghi dove produrre energia pulita, disseminati di presidi socio- sanitari e scolastici e comunità energetiche. Presidi della difesa degl istessi territori – basta vedere la tragedia di Ischia di questi giorni alla cui origine c’è la devastazione ambientale incrementata dall’abusivismo perlopiù condonato.
Pensai ancora al sud che con tutti quei soldi del PNRR avrebbe potuto risalire la china del mal sviluppo per avviarsi a diventare un’area strategica del Mediterraneo in Europa, un ponte verso le aree dell’Africa settentrionale.
Giunsi fino a fare, nella mia mente, qualche conto grezzo: si trattava di oltre 200 miliardi quando, fino ad allora, le manovre economiche che si potevano al massimo sognare erano dell’ordine di 5-6 miliardi e comportavano lunghi dibattiti parlamentari.
Ci ho messo un po’ di tempo a capire che le cose non sarebbero andate così, che tutti quei soldi non avrebbero cambiato di una virgola la situazione italiana e che soprattutto per sanità, scuola e università le cose sarebbero andate anche peggio.
Immaginate la delusione, per esempio, che ho provato nel sapere che tra le grandi opere da finanziare, probabilmente inutili, ci sarebbe stata anche quella del famigerato Ponte sullo Stretto, diventata quasi leggendaria.
Mah! Mi dicevo all’inizio, pazienza, magari si farà con i soldi avanzati da quei famosi 200 e oltre miliardi.
Qualcosa non va, mi sono detto ad un certo punto. Ho letto della proroga per le trivellazioni per estrarre ulteriore fossile dai nostri mari, del nucleare che credevo scomparso dal futuro (ci sono stati ben due referendum per tentare di cancellarlo), degli inceneritori che, se non sbaglio, devono essere alimentati anche essi con combustibili fossili, di quella strana tecnologia che serve per catturare la CO2 prodotta per poi seppellirla sotto la crosta terrestre (cosa che in passato aveva fatto sapientemente la natura formando i depositi naturali di fossili), poi ancora delle auto elettriche le cui batterie richiedono consumi di metalli rari, presenti solo in certi paesi, poi dei gassificatori e ancora l’idrogeno, prodotto anch’esso coi combustibili fossili.
Un giorno sono passato nella la mia facoltà universitaria, l’ho trovata vuota. Una volta c’erano lotte furiose per accaparrarsi una stanza, ora sembrano luoghi abbandonati per qualche nuova, misteriosa epidemia. Negli ospedali il clima non è diverso, anche lì sale d’attesa strapiene per essere visitati velocemente da qualche medico, spesso davvero eroe, che non ha ancora abbandonato il luogo pubblico per un assai più proficuo stipendio nel privato.
Infine la scuola del Merito, quasi don Milani non fosse mai esistito, dove ancora si svolgono doppi e tripli turni e di tanto in tanto cedimenti strutturali mettono a rischio la vita degli studenti.
Le città sommerse di rifiuti e il traffico privato fa perdere ore e ore di tempo per raggiungere il dentista o una banca per la quale è tassativamente necessario richiedere un appuntamento. E nei territori: fabbriche che chiudono i battenti per trasferirsi altrove, operai licenziati, povertà che aumenta, disuguaglianze che crescono, intelligenze costrette ad emigrare.
Ma quei soldi, dirà l’uomo di strada imbottigliato nel traffico o in attesa in qualche corridoio del pronto soccorso, non dovevano servire, almeno un po’, a questo.
*(Fonte: Internazionale. Enzo Scandurra, urbanista, saggista e scrittore; già ordinario di Urbanistica presso Sapienza di Roma, Direttore del Dipartimento di Architettura e Urbanistica,)

 

08 – LA POVERTÀ LAVORATIVA È ANCORA UNA REALTÀ IN EUROPA. LA POVERTÀ NON INCIDE SOLO SU CHI LAVORA POCO. IN ITALIA, È A RISCHIO POVERTÀ L’8,3% DELLE FAMIGLIE AD ALTA INTENSITÀ LAVORATIVA. CIRCA IL 9% DEI LAVORATORI IN UE VIVE SOTTO LA SOGLIA DI POVERTÀ. L’ITALIA È IL QUARTO PAESE UE PER INCIDENZA DELLA POVERTÀ TRA I LAVORATORI. MEDIAMENTE IN UE NON C’È STATO ALCUN MIGLIORAMENTO NEGLI ULTIMI 10 ANNI.

I dati sono un ottimo modo per analizzare fenomeni, raccontare storie e valutare pratiche politiche. Con Numeri alla mano facciamo proprio questo. Una rubrica settimanale di brevi notizie, con link per approfondire. Il giovedì alle 7 in onda anche su Radio Radicale.

a – 4 le mozioni in favore dell’introduzione del salario minimo presentate in parlamento e respinte. È stata invece approvata l’unica mozione proveniente dalla maggioranza, contraria al salario minimo e favorevole all’implementazione di misure alternative per proteggere i lavoratori, in particolare il potenziamento della contrattazione collettiva. Una delle principali problematiche legate all’assenza di un salario minimo è il fenomeno della povertà anche tra chi lavora. Le discussioni in parlamento in materia di salario minimo e povertà lavorativa
La scorsa settimana si è tornato a parlare, in parlamento, di salario minimo. Si tratta di un tema che in Italia si discute da anni, ma su cui ancora non sono state prese decisioni vincolanti. La posizione delle nuove camere in materia si è espressa nei giorni scorsi, quando sono state respinte una serie di mozioni presentate da Andrea Orlando (Pd), Giuseppe Conte (M5s), Matteo Richetti (Iv) e da Marco Grimaldi (Avs) in favore all’introduzione del salario minimo. Invece l’unica mozione approvata è stata quella della maggioranza, firmata da Chiara Tenerini (FI), contraria al salario minimo e favorevole al ricorso a misure alternative per tutelare i lavoratori.
A oggi l’Italia è uno dei pochi stati membri dell’Unione europea a essere sprovvisto di una misura di salario minimo. Infatti nel nostro paese il livello minimo dei salari viene stabilito tramite contrattazione collettiva, a seconda del settore. Uno dei principali problemi legati all’assenza di un salario minimo per tutti è la cosiddetta povertà lavorativa. Ovvero quando una persona, nonostante sia occupata talvolta anche a tempo pieno, percepisce un salario inferiore alla soglia di povertà.

b – 8,9% dei lavoratori nell’Unione europea era a rischio povertà (2021). Con “povertà lavorativa” si intende il fenomeno di chi, pur lavorando, si trova al di sotto della soglia di povertà relativa, ovvero guadagna meno del 60% del reddito mediano nazionale. Si tratta di un dato che è rimasto sostanzialmente invariato nel corso dell’ultimo decennio, oscillando tra l’8% e il 10%. Esistono invece notevoli differenze tra i vari stati:
si va dal 15,2% della Romania al 2,8% della Finlandia. Con l’11,7% di persone occupate a rischio povertà, l’Italia è quarta.
(Nonostante l’Unione europea la consideri un fenomeno da arginare, è ancora ampiamente diffusa, e l’Italia è uno degli stati membri con più lavoratori a rischio. Prevenire tale condizione fa parte di un progetto più ampio, ovvero della strategia comunitaria per arginare la povertà.

“I LAVORATORI HANNO DIRITTO A UNA RETRIBUZIONE EQUA CHE OFFRA UN TENORE DI VITA DIGNITOSO. SONO GARANTITE RETRIBUZIONI MINIME ADEGUATE […]. LA POVERTÀ LAVORATIVA VA PREVENUTA. PILASTRO EUROPEO DEI DIRITTI SOCIALI”

Si definisce povertà lavorativa il fenomeno per cui persone regolarmente occupate che risultano essere a rischio povertà, ovvero che hanno un reddito disponibile equivalente al di sotto della soglia di povertà relativa (fissata al 60% del reddito mediano nazionale).
Ci sono una serie di fattori che incidono su questa condizione, ad esempio la cittadinanza (gli stranieri sono quasi ovunque più esposti a questo fenomeno). Ma anche l’età (a scapito dei giovani) e il livello di educazione (l’incidenza è maggiore tra chi non possiede un titolo di studio terziario).

c – li stati Ue in cui nel corso dell’ultimo decennio l’incidenza della povertà lavorativa è aumentata. Tra questi anche l’Italia (+0,6 punti percentuali tra 2012 e 2021). Il peggioramento più marcato si è verificato in Lussemburgo (+3,2 punti percentuali), passato dal 10,3% nel 2012 al 13,5% nel 2021. Il miglioramento più evidente, invece, si è registrato in Grecia (-4 punti percentuali).

d – 8,3% , dei lavoratori a rischio povertà, in Italia, fa parte di nuclei familiari a elevata intensità lavorativa. Si tratta di un indicatore con cui Eurostat misura il coinvolgimento nel mondo del lavoro su base familiare. Ovviamente l’intensità dell’attività lavorativa è legata all’incidenza della povertà. Tuttavia neanche le famiglie in cui si lavora molto sono esenti da tale condizione. In Italia appunto l’8,3%. Una cifra che sale al 25,7% nel caso delle famiglie a intensità lavorativa media e al 40,2% in quelle a intensità bassa.

e – 14 punti percentuali i differenza, in Danimarca, a livello di povertà lavorativa tra i più giovani (18-24 anni) e la media della popolazione. Come l’intensità lavorativa, anche l’età, oltre alla cittadinanza, è un fattore legato alla povertà lavorativa. La Danimarca è il paese Ue che presenta il divario più ampio: 6,5% in media, 19,8% tra i giovani. In 9 paesi lo scarto è a vantaggio dei giovani. In Italia la povertà tra i giovani raggiunge il 15,3% (3,6 punti percentuali in più rispetto alla media della popolazione di 18-64 anni).
( Fonte: OPENPOLIS)

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