n° 47 – 26/11/2022. RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – La Marca (Pd)* «LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE RIGUARDA TUTTE E TUTTI». 125 femminicidi avvenuti tra il primo agosto 2021 e il 31 luglio 2022 (dati Viminale). 82 donne uccise nel solo 2022 in Italia secondo l’osservatorio dell’associazione “Non una di meno”. 45mila in tutto il mondo uccise per mano di compagni, mariti o familiari (ONU).
02 – La Marca (Pd)* incontra la comunità italiana a Thunder bay.
03 – Mario Pierro*: Alla ricerca del ceto medio perduto. La manovra porta in dono i voucher, un’altra spinta al lavoro precario. Il “Buono lavoro” (voucher).
04 – Il dottorato di ricerca in Europa. Unione europea. Il programma di dottorato permette a chi lo frequenta di poter contribuire in prima persona al progresso scientifico. Il numero di iscritti varia tra i paesi europei.(ndr)
05 – Giuliana Sgrena*: l’informazione digitale parte delle nuove guerre.
SCAFFALE. “Net-war, Ucraina: come il giornalismo sta cambiando la guerra” di Michele Mezza, per Donzelli. Con l’invasione dell’Ucraina la «tecnologia» delle news si trasforma in logistica militare.
06 – Barbara Weisz*: Legge di Bilancio 2023, tutte le misure per le imprese. Bonus quotazione in Borsa, assunzioni detassate, buoni lavoro e Fondo di Garanzia PMI n Legge di Bilancio, presto un provvedimento per il Made in Italy.
7 – Meenakshi Ganguliy e Mohna Ansari *: il costo umano dei mondiali milioni di immigrati in Qatar sono stati schiavizzati, e a migliaia sono morti, per costruire gli stadi della coppa del mondo. La fifa e l’emirato devono farsene carico.
08 – (ndr) C’è un’epidemia di cui sentiamo parlare poco sui nostri media. Emergenza Colera in Siria, Libano e Haiti.
09 – Irene Doda*: La siccità mette a rischio i nostri dati. I data center, le enormi infrastrutture in cui vengono conservati i server di siti Internet, piattaforme e servizi web, sono messi a rischio dal cambiamento climatico. Questi “magazzini di informazioni”, il cuore pulsante dell’industria tecnologica globale, producono infatti enormi quantità di calore.
10 – Stefania Cella*: Clochard a Meloni: “Se toglie il reddito vengo a mangiare a casa sua? ”La stretta sul reddito

 

 

01 – LA MARCA (PD) «LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE RIGUARDA TUTTE E TUTTI». 125 femminicidi avvenuti tra il primo agosto 2021 e il 31 luglio 2022 (dati Viminale). 82 donne uccise nel solo 2022 in Italia secondo l’osservatorio dell’associazione “Non una di meno”. 45mila in tutto il mondo uccise per mano di compagni, mariti o familiari (ONU).
Numeri di una strage silenziosa spesso citati solo in occasione dell’odierna Giornata nazionale per l’eliminazione della violenza maschile contro le donne.
Penso che nel parlare di femminicidio sia necessario innanzitutto spostare l’attenzione dalle vittime ai carnefici. Penso inoltre che per contrastare questo fenomeno sia essenziale una battaglia culturale per superare stereotipi e pregiudizi. Uno dei compiti della nuova commissione bicamerale di inchiesta sul femminicidio proposta dalla collega Valeria Valente.
Ad uccidere centinaia di donne è stato e continua ad essere un sistema: patriarcale, misogino e sessista. Dove sono gli uomini? Troppo poco essere al fianco di noi donne, due giorni l’anno, seppur in occasione di utili ricorrenze. Per questo oggi, nel ricordare le donne uccise per mano di mariti, fratelli, compagni, padri, è proprio agli uomini che mi rivolgo. Dove siete? Quali sono le riflessioni che state facendo? Quando comincerete ad interrogarvi su come vivere una nuova mascolinità?
*(Sen. Francesca La Marca, Ph.D. – SENATO DELLA REPUBBLICA – Ripartizione Nord e Centro America – Electoral College of North and Central America – Palazzo Madama – 00186 Roma, Italia
Email – francesca.lamarca@senato.it)

 

02 – LA MARCA (PD) INCONTRA LA COMUNITÀ ITALIANA A THUNDER BAY. Si è svolto questo fine settimana l’incontro tra la Senatrice Francesca La Marca e la comunità italiana a Thunder Bay (Ontario, Canada). Nella giornata di venerdì 18 novembre si è tenuta una sessione di “Question and Answer” molto partecipata organizzata dal Signor Frank Pullia.

«L’incontro con la comunità italiana è durato più di due ore – sottolinea La Marca – le domande sono state diverse e hanno riguardato le più svariate tematiche. Si tratta di una storica comunità italiana, insediatasi in Canada fin dall’800. Le richieste hanno riguardato tematiche quali: i servizi consolari, l’assistenza medica, l’insegnamento della lingua italiana, questioni inerenti pensioni e cittadinanza e, non da ultimo, il riconoscimento delle patenti di guida.»
Nella giornata di sabato la Senatrice ha preso parte alla 93esima edizione della Cena di Gala della Società Italiana a Port Arthur. «È stata una meravigliosa occasione d’incontro – commenta la Senatrice – con una comunità molto unità. Ci tengo a ringraziare, particolarmente, il presidente della Società, Carlo Benincasa, e il vicepresidente, Benny Melchiorre. Un sentito ringraziamento, per l’importante lavoro svolto, lo vorrei rivolgere anche a Maria La Chimea, ex vice-console onorario a Thunder Bay, e all’attuale vice-console Stella Vallelunga. Mi ha commosso l’ospitalità riservatami da questa accogliente comunità che mantiene forti legami con l’Italia nonostante la distanza che li separa dal bel paese.
È solo un’ulteriore dimostrazione – conclude La Marca – di quanto siano importanti per il nostro paese le comunità di italiane e italiani, anche quelle più piccole, residenti all’estero. Non solo esse rappresentano l’Italia nel mondo ma sono a tutti gli effetti parte integrante della nostra comunità nazionale ed è straordinario il contributo che, tanto in passato, come attualmente, hanno dato ai loro paesi d’adozione. Tocca a noi fare in modo che questo prezioso legame si conservi nel tempo e si rafforzi nella sostanza.»
*(Sen. Francesca La Marca, Ph.D. – SENATO DELLA REPUBBLICA -Ripartizione Nord e Centro America – Electoral College of North and Central America – Palazzo Madama – 00186 Roma, Italia )
Email – francesca.lamarca@senato.it

 

03 – Mario Pierro*: Alla ricerca del ceto medio perduto. La manovra porta in dono i voucher, un’altra spinta al lavoro precario. Il “Buono lavoro” (voucher).
IL CASO. Dagli hotel al lavoro di cura, dai ristoranti all’agricoltura: dieci euro lordi all’ora (7,50 euro netti), reddito fino a 10mila euro l’anno. I sindacati: un altro attacco ai diritti che destruttura i lavori più temporanei
Detto, fatto. Appena tornata al governo la Lega, e le altre destre, hanno ripristinato la testa d’ariete che destruttura un mercato del lavoro già a pezzi: il voucher. Dagli hotel ai ristoranti, dal lavoro di cura fino all’agricoltura. Avrà un valore nominale di 10 euro lordi all’ora (7,50 euro netti) e un tetto di reddito per i lavoratori fino a 10mila euro l’anno. Erano stati aboliti nel 2017 dal governo Gentiloni costretto a farlo anche a seguito di una battente campagna sindacale. Introdotti nel 2003 con la cosiddetta «legge Biagi» erano stati considerati come una forma di pagamento alternativa in caso di lavoro occasionale accessorio o di prestazioni saltuarie. Sono diventati uno dei più convenienti strumenti dello sfruttamento.
«I voucher saranno utilizzati soprattutto in quei settori più fragili dove, tra l’altro, la stagionalità è tutelata e regolata dalla contrattazione collettiva. Su questi voucher è difficilissimo far applicare realmente la normativa sulla sicurezza del lavoro» sostiene la segretaria confederale della Uil Ivana Veronese. «In agricoltura – aggiunge il segretario della Flai Cgil Giovanni Mininni – i voucher sono già previsti per i lavoratori agricoli e sono anche ben normati da anni. Parlare di lavoro occasionale in agricoltura è una forzatura, dal momento che la flessibilità in questo settore è già prevista da un sistema di leggi e contratti collettivi che consentono assunzioni anche di brevissima durata (perfino di un giorno solo). Allargando la platea di lavoratori che possono usarli e il limite economico di utilizzo, si destruttura il lavoro in agricoltura, precarizzandolo ulteriormente senza alcun motivo e riducendo i diritti contrattuali e previdenziali dei lavoratori e delle lavoratici più fragili in un settore dove già è forte la presenza di lavoro irregolare e illegalità».
«Non solo troviamo inaccettabile un metodo che non prevede alcun confronto con le parti sociali. Riteniamo ancor più grave apprendere che nella proposta di legge viene modificata la platea di riferimento attualmente prevista – sostiene il segretario generale della Uila-Uil Stefano Mantegazza – Con questa scelta il governo rischia di destrutturare completamente il mercato del lavoro agricolo, cancellando diritti e tutele».
«I voucher in agricoltura -sostiene il segretario generale della Fai-Cisl, Onofrio Rota – già sono normati per studenti, pensionati e percettori di ammortizzatori sociali, per cui siamo pronti a discutere di modifiche sul tetto purché non si vada oltre questa platea; si rischierebbe di indebolire i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori riducendo le tutele assistenziali e previdenziali».
«Sui voucher – ha detto Giuseppe Conte (Cinque Stelle) il governo ha introdotto una storta di liberalizzazione selvaggia nel settore agricolo e del turismo».
*(Mario Pierro, responsabile sviluppo franchising di Camomilla Italia)

 

04 – IL DOTTORATO DI RICERCA IN EUROPA. UNIONE EUROPEA. IL PROGRAMMA DI DOTTORATO PERMETTE A CHI LO FREQUENTA DI POTER CONTRIBUIRE IN PRIMA PERSONA AL PROGRESSO SCIENTIFICO. IL NUMERO DI ISCRITTI VARIA TRA I PAESI EUROPEI.

EUROPA
NELL’UNIONE EUROPEA GLI STUDENTI DI DOTTORATO SONO 666.724 NEL 2019.
LA GERMANIA È IL PAESE CON PIÙ STUDENTI: 30% DEI DOTTORANDI EUROPEI.
IN 13 PAESI EUROPEI LE DONNE SUPERANO GLI UOMINI.
IL 41,6% DEI DOTTORANDI EUROPEI SI OCCUPA DI SCIENZA E TECNOLOGIA.
CHI HA UN DOTTORATO È MENO DISOCCUPATO MA SPESSO LE OCCUPAZIONI SONO PRECARIE.
Il dottorato di ricerca è il grado di istruzione più alto e permette agli studenti di poter effettuare il primo passo all’interno del mondo della ricerca. La formazione dei futuri ricercatori è essenziale per l’esplorazione di nuovi ambiti di studio e per lo sviluppo di una società. Risulta quindi cruciale garantire un accesso equo e buone condizioni a chi lo vuole conseguire.

COS’È UN DOTTORATO DI RICERCA
I sistemi scolastici sono strutturati in maniera diversa all’interno dei singoli stati. Per questo motivo, è stata strutturata una classificazione internazionale (chiamata Isced, acronimo di international standard classification of education) che ha lo scopo di rendere comparabili i gradi di istruzione.
I dottorati di ricerca sono inseriti all’ottavo livello, quello più alto. Sono strutturati per introdurre lo studente nel mondo più avanzato della ricerca. Tipicamente infatti sono ideati da istituzioni di educazione terziaria (università, college e particolari istituti professionali) che si occupano anche di questo ambito. I programmi di dottorato esistono sia nel campo accademico che nei settori professionali.

IL DOTTORANDO CONTRIBUISCE ALL’AVANZAMENTO DI UN SETTORE DI STUDI.
Secondo l’Ocse, la durata è dai tre ai cinque anni ed è richiesto un impegno full-time, anche se può capitare che si impieghi più tempo per portare a termine il percorso. Di solito il programma si conclude con la difesa di una tesi in cui lo studente dà il proprio contributo allo sviluppo dell’ambito che ha indagato. Il lavoro di ricerca viene solitamente affiancato anche ad altri corsi.

IN EUROPA I DOTTORANDI SONO PIÙ DI 600MILA. NUMERO DI PERSONE ISCRITTE A UN DOTTORATO IN EUROPA (2013-2019) DA SAPERE.
Sono considerati tutti coloro che secondo la classificazione Isced sono al livello 8. Sono inclusi sia i titoli conseguiti negli istituti pubblici che quelli privati. Il dato rappresenta il numero degli iscritti a prescindere dall’anno di frequentazione.

FONTE: elaborazione su dati Eurostat.

L’andamento è relativamente stabile nel tempo, mantenendosi sempre intorno ai 600mila iscritti tra il 2013 e il 2019. Dal 2015 si nota però un aumento costante fino ai 666.724 del 2019.

UN DOTTORANDO SU TRE È ISCRITTO IN GERMANIA DOTTORANDI IN EUROPA (2019)
DA SAPERE
Sono considerati tutti coloro che secondo la classificazione Isced sono al livello 8. Sono inclusi sia i titoli conseguiti negli istituti pubblici che quelli privati. Il dato rappresenta il numero degli iscritti a prescindere dall’anno di frequentazione.

FONTE: elaborazione su dati Eurostat.

IL PAESE IN CUI RISULTA ISCRITTO IL MAGGIOR NUMERO DI DOTTORANDI È LA GERMANIA (201.800). Corrispondono a circa il 30% dei dottorandi europei. Seguono Spagna (90.755), Francia (66.901) e Polonia (39.269). In fondo alla classifica troviamo gli stati più piccoli dell’Unione: Cipro (1.492), Lussemburgo (819) e Malta (177). In questo scenario, l’Italia è il sesto paese per numero di dottorandi, che si attestano a 29.480.

NEL 2019, IL 3,75% DEGLI STUDENTI ISCRITTI A UN SEGMENTO DI ISTRUZIONE TERZIARIA FREQUENTA UN DOTTORATO DI RICERCA.
Questo numero varia da paese a paese. I valori più alti si registrano in Lussemburgo (11,53%), Repubblica Ceca (6,78%) e Finlandia (6,2%). I più bassi invece nei Paesi Bassi (1,76%), in Italia (1,52%) ea Malta (1,1%).

LE DIFFERENZE DI GENERE RISULTANO PIUTTOSTO BILANCIATE A LIVELLO DI SINGOLI STATI MEMBRI.
Nel 2019 le donne rappresentano più della metà degli studenti in 13 stati europei su 27. Lo stato con la quota maggiore è Cipro (58,5%) seguito da Lituania (56,7%) e Estonia (56,1%). Il picco di partecipazione maschile si registra in Lussemburgo (57,1%) seguito da Germania e Repubblica Ceca, entrambe al 55,6%.

L’AMBITO SCIENTIFICO È QUELLO IN CUI CI SONO PIÙ DOTTORANDI.
Il settore in cui ci sono più dottorandi è quello scientifico e tecnologico, come attesta Eurostat. Nel 2019 conta il 41,6% degli studenti. Tra gli stati membri, questo ambito registra la quota maggiore in Lussemburgo (circa il 50%). Risulta molto popolare anche in Francia, Italia, Germania, Repubblica Ceca e Estonia con valori che variano tra il 49,7% e il 45,3%. Le quote minori sono registrate in Ungheria (31,7%), Grecia (30,7%) e Bulgaria (28,6%). Per quel che riguarda gli altri settori, risultano più seguiti quello di scienze sociali, economia e legge (20,3%) e quello dell’educazione, dell’arte e delle discipline umanistiche (19,2%). In fondo, l’ambito medico e sanitario (15,7%) e quello agricolo e veterinario (2,7%).

LE PROSPETTIVE DEI DOTTORANDI
L’attrazione di studenti in percorsi di questo tipo è un aspetto che dipende anche dalle istituzioni che li ospitano e gli stati. Secondo l’Ocse, in alcuni paesi (compresa l’Italia) ci sono delle riduzioni delle tasse per i dottorandi Lo status dello studente di dottorato cambia però tra i paesi: in alcuni stati viene riconosciuto come un lavoratore in linea a livello retributivo con altri ricercatori junior, in altri invece è considerato come uno studente, non come un regolare lavoratore per le istituzioni terziarie in cui frequenta il programma.

SPESSO IL FUTURO DEI DOTTORANDI È PRECARIO.
Un fenomeno in crescita è quello dei post doc, ovvero dei professionisti con un dottorato di ricerca che principalmente contribuiscono alle istituzioni per cui hanno lavorato ma con scarse prospettive contrattuali. Come si può leggere nel report dedicato al futuro dell’educazione terziaria redatto dall’europarlamento, la mancanza delle prospettive di carriera, un forte sbilanciamento tra lavoro e vita privata e pressioni dal punto di vista dei finanziamenti hanno portato a impatti negativi sulla salute mentale di un numero significante di questi ricercatori.
Nonostante ciò, l’ottenimento di un dottorato di ricerca sembra incidere sulla occupazione.
L’Ocse afferma che esiste una correlazione molto forte tra maggiori tassi di occupazione più elevati e titoli di istruzione più avanzati. All’interno degli stati Ocse, ci sono meno disoccupati tra coloro che hanno conseguito il dottorato di ricerca rispetto a chi ha una laurea magistrale o un titolo equivalente.
Una fascia molto ridotta della popolazione risulta avere un dottorato di ricerca. Sempre secondo l’Ocse, nel 2020 comprendono l’1,3% delle persone comprese tra i 25 e i 64 anni. L’Italia si assesta all’incirca al 2%, un dato più basso rispetto alla media dei 22 paesi Ue aderenti all’Ocse, pari al 4%.
*( FONTE: elaborazione Open Polis su dati Eurostat.)

 

05 – Giuliana Sgrena*: L’INFORMAZIONE DIGITALE PARTE DELLE NUOVE GUERRE.
SCAFFALE. “NET-WAR, UCRAINA: COME IL GIORNALISMO STA CAMBIANDO LA GUERRA” DI MICHELE MEZZA, PER DONZELLI. CON L’INVASIONE DELL’UCRAINA LA «TECNOLOGIA» DELLE NEWS SI TRASFORMA IN LOGISTICA MILITARE.
È il giornalismo che cambia la guerra, come suggerisce il titolo del nuovo libro di Michele Mezza (Net-war, Ucraina: come il giornalismo sta cambiando la guerra, Donzelli, pp. 224, euro 19) o la guerra che cambia il giornalismo? Non c’è dubbio che con il conflitto causato dall’aggressione russa all’Ucraina assistiamo alla prima net-war e non solo per l’uso di strumenti digitali che hanno cambiato il mestiere del giornalista negli ultimi decenni, ma per la trasformazione dell’informazione in logistica militare. «L’informazione è profondamente cambiata proprio dal fatto di essere usata come modo di fare la guerra, e non più di raccontarla» scrive Mezza ed è all’interno di questo processo di «ibridazione» fra realtà e manipolazione comunicativa che l’autore rintraccia la distorsione del modo di fare informazione.

E I GIORNALISTI ARRUOLATI per gestire i nuovi sistemi di questa infoguerra diventano di fatto tutti embedded. Non solo i giornalisti si sono messi l’elmetto ma è sempre più labile il confine tra intelligence e giornalismo: in gioco non è solo l’informazione e la democrazia ma la sicurezza dello stato. Il paradosso è tuttavia rappresentato dal fatto che con la guerra in Ucraina ci troviamo di fronte a una guerra di tipo «classico» con due eserciti che si scontrano, diversamente da altri conflitti in corso dove i protagonisti sono diversi e si basano su divisioni etniche, religiose o tribali. Si tratta tuttavia di una guerra asimmetrica: da una parte l’esercito russo, con carri armati e missili e dall’altra un uso prevalente della comunicazione digitale. Proprio questa «digitalizzazione» diffusa in Ucraina permette la partecipazione alla resistenza di gran parte della popolazione: i ragazzini che usano i loro programmi per inviare ai droni le indicazioni sugli obiettivi da colpire.

E SICURAMENTE questa abilità favorisce l’invio di immagini che arrivano da ogni angolo del paese e superano in velocità la diffusione di servizi da parte dei giornalisti. Sono notizie, immagini non controllate e non controllabili – per la tirannia del tempo – che ci portano ben oltre le fake news e la post-verità. «Sono i testimoni sul terreno che diventano redazione» e l’inviato è sempre più ridotto a raccoglitore «di documenti e testimonianze rastrellati nella rete mediante sistemi di ricerca e di post-produzione digitale», scrive Mezza.
Quando Elon Musk ha messo a disposizione di Zelensky i suoi 1800 satelliti la superiorità tecnologica e informatica degli ucraini si è manifestata definitivamente: chiunque con uno smart phone e un drone da 80 dollari poteva indicare obiettivi da colpire. I generali russi colpiti sono stati individuati così, utilizzando i loro telefoni intercettati. E verrebbe da chiedersi come hanno potuto essere così ingenui, visto che il processo di ibridazione della guerra era stato ampiamente previsto proprio dal capo di stato maggiore russo, il generale Valerj Gerasimov, ma la risposta è semplice: hanno dovuto usare le infrastrutture ucraine non avendone a disposizione di proprie. E lo stesso vale per le centinaia di soldati russi le cui comunicazioni con la famiglia sono state intercettate e utilizzate. Ma Elon Musk è un privato cittadino, ha scelto di supportare gli ucraini ma avrebbe potuto fare il contrario e dare una mano ai russi. E questo apre, come ovvio, inquietanti interrogativi sul potere assoluto di chi possiede i mezzi di comunicazione.
MEZZA SI INTERROGA poi sul ruolo degli algoritmi che nelle redazioni di tutti i giornali online stabiliscono orari e financo titoli delle notizie da pubblicare in base a definite politiche di marketing. E paventa il rischio, non tanto lontano, che a un certo punto saranno gli algoritmi stessi a scrivere gli articoli e il ruolo del giornalista non si capisce bene quale potrà essere. Certamente è su questo terreno che avrà senso una contrattazione sindacale ovviamente non per contrastare luddisticamente le tecnologie informatiche ma per almeno controllarne gli effetti.
*( Fonte Il Manifesto. Giuliana Sgrena, giornalista, scrittrice e politica italiana.)

 

06 – Barbara Weisz*: LEGGE DI BILANCIO 2023, TUTTE LE MISURE PER LE IMPRESE. BONUS QUOTAZIONE IN BORSA, ASSUNZIONI DETASSATE, BUONI LAVORO E FONDO DI GARANZIA PMI N LEGGE DI BILANCIO, PRESTO UN PROVVEDIMENTO PER IL MADE IN ITALY.
La prima considerazione da fare sul capitolo dedicato alle imprese di questa Legge di Bilancio 2023, è che le misure sono relativamente poche. In vista, in base a quanto ha dichiarato Giorgia Meloni, c’è un provvedimento interamente dedicato alla promozione del Made in Italy, probabilmente come decreto collegato nell’ambito della sessione di bilancio.
Le misure già inserite in Manovra, nel frattempo, sono le seguenti: rifinanziamento del Fondo Garanzia PMI, proroga del credito d’imposta per la quotazione in Borsa delle PMI, niente plastic tax e sugar tax fino al 2024, oltre a una serie di misure sul lavoro, come la proroga delle decontribuzioni sulle nuove assunzioni.

Inoltre, per contrastare il caro energia, il Governo potrebbe istituire ulteriori misure dopo il 31 marzo, se lo scenario economico lo renderà necessario, utilizzando in via prioritaria risorse derivanti da eventuali maggiori entrate e risparmi di spesa: è quanto indicato nella premessa al Documento Programmatico di Bilancio per il 2023 inviato a Bruxelles e trasmesso al Parlamento.

Vediamo tutto.

Partiamo dalle misure per le imprese vere e proprie. Come detto, viene rifinanziato il Fondo di garanzia PMI: c’è un miliardo di euro a disposizione del fondo che fornisce la garanzia per le operazioni di finanziamento (prestiti e mutui), oltre a erogare una serie di altri servizi, specificamente dicati alle PMI: rating, microcredito, convenzioni con i Confidi.
C’è poi la proroga del credito d’imposta sulle spese di consulenza sostenute per la quotazione in Borsa delle PMI. L’agevolazione è al 50% fino a un massimo di 200mila euro e si utilizza in compensazione.
Per quanto riguarda sugar tax e plastic tax c’è l’ennesimo rinvio. Queste due tasse dovevano entrare in vigore nel 2023, la manovra ne fa slittare l’entrata in vigore al 2024.

CREDITI D’IMPOSTA CONTRO IL CARO ENERGIA CARO ENERGIA: BONUS IMPRESE FINO AL 2023
All’interno del pacchetto contro il caro energia c’è il credito d’imposta sule bollette di energia e gas, che sale al 45% per le imprese energivore e al 35% per le altre. La proroga è prevista per il primo trimestre 2023. Anche questi crediti d’imposta si utilizzano in compensazione, ma sono cedibili ad altri soggetti, i quali poi a loro volta hanno a disposizione due ulteriori cessioni, solo verso banche e intermediari finanziari.

INTERVENTI IN AMBITO LAVORO E ASSUNZIONI. INFINE, CI SONO UNA SERIE DI MISURE CHE RIGUARDANO IL LAVORO.
Ci sono per prima cosa gli esoneri contributivi per le nuove assunzioni, pari al 100% fino a un tetto di 6mila euro per ciascun lavoratore, che riguardano in particolare le donne, i giovani, i percettori di reddito di cittadinanza. Queste agevolazioni si applicano anche alla stabilizzazione dei contratti a tempo determinato.
Il taglio del cuneo fiscale, pari a due punti per i dipendenti con stipendio fino a 35mila euro e tre punti per chi guadagna fino a 20mila, va invece a totale vantaggio del lavoratore, nel senso che lo sconto contributivo va a incrementare il netto in busta paga e non si risolve al momento in un risparmio per le imprese. Il Governo intende però, entro fine legislatura, arrivare ad un taglio del 5% almeno del cuneo fiscale, di cui due terzi a beneficio del lavoratore e un terzo a beneficio dell’azienda.
Per le aziende si segnala anche il ritorno dei buoni lavoro. Si potranno adottare per le prestazioni occasionali e il lavoro stagionale in determinati settori, come Agricoltura, HoReCa e Servizi alla persona, fino a 10mila euro.
Infine, è prorogato fino al 31 dicembre 2023 anche l’incentivo per le nuove iscrizioni alla previdenza agricola di coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali, regolamentato dall’articolo 1, comma 503, della legge 160/2019.

MISURE IN ARRIVO PER IL MADE IN ITALY
Da sottolineare, sempre sul fronte delle misure per le imprese, un annuncio della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, fatto nel corso dell’assemblea di Confartigianato il 22 novembre, in base al quale il Governo sta preparando un provvedimento dedicato a valorizzazione, promozione, e tutela del Made in Italy, con misure di tutela dei marchi e del diritto di proprietà intellettuale, e misura di lotta alla concorrenza sleale.
*( Weisz Barbara – Giornalista professionista, esperta di questioni economiche, politiche e finanziarie, collabora da anni con numerose testate on line, quotidiani e riviste a …)

 

7 – Meenakshi Ganguliy e Mohna Ansari *: IL COSTO UMANO DEI MONDIALI MILIONI DI IMMIGRATI IN QATAR SONO STATI SCHIAVIZZATI, E A MIGLIAIA SONO MORTI, PER COSTRUIRE GLI STADI DELLA COPPA DEL MONDO. LA FIFA E L’EMIRATO DEVONO FARSENE CARICO.
I l 18 dicembre 2022 allo stadio di Lusail, in Qatar, si giocherà la finale dei mondiali di calcio maschile. Sarà la fine di un viaggio cominciato nel dicembre 2010, quando la Fifa scelse il paese del Golfo per ospitare il torneo. Ma il 18 dicembre è anche la giornata internazionale dei migranti, istituita per onorare il loro lavoro e i loro sacrifici, e nella stessa data il Qatar celebra la sua festa nazionale. Di recente il ministro del lavoro qatariota Ali bin Samikh Al Marri ha respinto la proposta di istituire un fondo per risarcire le vittime di sfruttamento e le famiglie di chi ha perso la vita nei cantieri, sottolineando ancora una volta la mancanza di diritti per gran parte dei lavoratori stranieri nel paese. La Fifa, la federazione che governa il calcio internazionale, non si è esposta. Anche i paesi dell’Asia meridionale hanno le loro responsabilità, perché non pretendono risposte sugli abusi. I mondiali devono molto a questa regione non solo perché i palloni si producono a Sialkot, in Pakistan: tutti gli avveniristici complessi sportivi del Qatar, un investimento da 220 miliardi di dollari, sono in larghissima parte stati costruiti da lavoratori provenienti dall’Asia del sud. Sono persone che garantiscono i servizi essenziali in Qatar: lavorano negli stadi, negli alberghi, nei centri commerciali e negli aeroporti, e le rimesse che inviano sono spesso l’unica fonte di reddito per le loro famiglie.

LE REGOLE DELLA KAFALA
Con la sua indifferenza la Fifa ha incoraggiato gli abusi. E il Qatar è stato giustamente criticato per gli altissimi costi umani del suo programma Road to 2022. La Fifa non ha messo in discussione la kafala – il violento sistema di sponsorizzazione usato per reclutare la manodopera straniera, la cui gestione è appannaggio dei privati – e nemmeno il divieto per i lavoratori di formare organizzazioni sindacali e di scioperare. Dopo molte pressioni, Doha ha introdotto alcune riforme che hanno in parte affrontato la questione. Nel 2020 ha attivato un fondo previdenziale per garantire gli stipendi quando le aziende si rifiutano di pagarli. A settembre del 2022 erano stati erogati più di 320 milioni di dollari, una cifra enorme, che sottolinea la portata del problema. La maggior parte degli immigrati ha dovuto perfino versare dei soldi per poter costruire quelle opere multimiliardarie sotto il sole cocente. Secondo un sondaggio del 2020 il costo medio per presentare domanda di lavoro dal Bangladesh era di 3.863 dollari, l’equivalente di diciotto mesi di stipendio in Qatar. Buona parte del denaro inviato ai familiari serve a rimborsare i debiti contratti per farsi assumere.

Le aziende affiliate alla Supreme committee for delivery and legacy, l’ente qatariota che supervisiona i progetti e i cantieri delle strutture dei mondiali, si sono impegnate a rimborsare per più di 28 milioni di dollari le commissioni di reclutamento sostenute da 48.814 lavoratori stranieri. Un’iniziativa positiva, ma insufficiente. In Qatar gli immigrati con contratti a tempo determinato sono più di 2,2 milioni. È vero che il Qatar ha cercato di rivedere il sistema della kafala, ma le riforme hanno prodotto scarsi risultati perché avevano obiettivi modesti e sono state attuate tardi e poco applicate. Ecco perché Human Rights Watch, Amnesty international e altre organizzazioni umanitarie hanno chiesto alla Fifa e alle autorità qatariote di farsi carico degli abusi compiuti nelle fasi di preparazione ai mondiali, risarcendo le morti sul lavoro, gli infortuni e il mancato pagamento degli stipendi. Nonostante le pressioni crescenti da parte degli sponsor, delle associazioni calcistiche, degli ex giocatori e dei tifosi, la Fifa non risponde, mentre il ministro Al Marri ha liquidato la proposta di istituire un fondo d’indennizzo per i lavoratori sfruttati come una “trovata pubblicitaria” .Eppure Doha e la Fifa possono ancora decidere per cosa saranno ricordati questi mondiali: è una loro responsabilità rimediare agli abusi e hanno le risorse economiche per farlo. Al Marri ha detto che “ogni morte è una tragedia”.

Ma il dramma è che le autorità non sono riuscite a indagare in modo adeguato sui decessi di molti lavoratori, citando cause naturali o inspiegabili, archiviandoli come semplici arresti cardiaci. Li hanno slegati dalle condizioni di lavoro, insomma. E quindi non hanno riconosciuto nessun diritto a un risarcimento. Ma solo delle indagini serie possono stabilire se quelle morti sono state causate dallo stress dovuto alle altissime temperature. In tutto la Fifa ha stanziato 260 milioni di dollari per i cosiddetti legacy funds, destinati a progetti umanitari nei paesi che hanno ospitato i tre precedenti campionati del mondo: il Sudafrica nel 2010, il Brasile nel 2014 e la Russia nel 2018. Dovrebbe farlo anche in Qatar, se non vuole che la Coppa del mondo del 2022 lasci in eredità solo il ricordo degli abusi commessi nei confronti dei lavoratori.

LA VOLONTÀ POLITICA
. I governi dei paesi dell’Asia meridionale possono ancora sostenere le richieste di risarcimento e assicurare maggiori protezioni ai propri cittadini che lavorano in Qatar. In particolare, possono rispondere alle domande del ministro Al Marri che ha chiesto: “Dove sono queste vittime? Conoscete i loro nomi? Chi ha dati ufficiali?”. Sia Doha sia i paesi di origine hanno le risposte: sono scritte nei documenti ufficiali compilati dai familiari per rimpatriare le salme dei loro cari. Se gli stati dell’Asia meridionale prendessero l’iniziativa, sarebbero sostenuti dalla società civile e dai mezzi d’informazione nazionali, che sono in grado di rintracciare i parenti dei lavoratori sfruttati e di quelli che hanno perso la vita. Il vero ostacolo alla creazione di un fondo di risarcimento per gli immigrati che hanno costruito i complessi sportivi in cui si stanno svolgendo i mondiali e per le loro famiglie non è mai stato la mancanza di dati, ma la volontà politica. Solo ammettere gli abusi compiuti e garantire una riparazione economica può restituire un po’ di umanità a questo viaggio lungo dodici anni che si concluderà in un giorno simbolico come il 18 dicembre.
*( Meenakshi Ganguliy e Mohna Ansari,Nepali Times, Nepal Meenakshi Ganguliyè direttore per l’Asia meridionale di Human rights watch.- Mohna Ansariha fatto parte della Commissione nazionale per i diritti umani del Nepal)

 

08 – (ndr)C’È UN’EPIDEMIA DI CUI SENTIAMO PARLARE POCO SUI NOSTRI MEDIA. Emergenza Colera in Siria, Libano e Haiti.

In Siria, Libano e Haiti è in corso una grave epidemia di colera, malattia altamente contagiosa che si diffonde quando c’è carenza di acqua potabile e servizi igienico-sanitari come nei campi per rifugiati e nelle zone di conflitto dove le condizioni di vita sono particolarmente precarie.
Ad Haiti, l’instabilità e la violenza hanno costretto molte strutture sanitarie a ridurre le loro attività o addirittura a fermarle del tutto. I
n Libano, l’attuale crisi economica ed energetica ha ulteriormente limitato l’accesso all’acqua e ai servizi igienici.
In Siria, dove il numero di sfollati interni a causa del conflitto è il più alto al mondo, l’epidemia si è diffusa in tutto il paese con oltre 13.000 casi di sospetto colera segnalati.

 

09 – Irene Doda*: LA SICCITÀ METTE A RISCHIO I NOSTRI DATI.I DATA CENTER, LE ENORMI INFRASTRUTTURE IN CUI VENGONO CONSERVATI I SERVER DI SITI INTERNET, PIATTAFORME E SERVIZI WEB, SONO MESSI A RISCHIO DAL CAMBIAMENTO CLIMATICO. QUESTI “MAGAZZINI DI INFORMAZIONI”, IL CUORE PULSANTE DELL’INDUSTRIA TECNOLOGICA GLOBALE, PRODUCONO INFATTI ENORMI QUANTITÀ DI CALORE.
E il modo più comune con cui viene effettuato il raffreddamento degli impianti è attraverso altrettante ingenti quantità di acqua.
La siccità è in aumento in tutto il mondo, e la sostenibilità a lungo termine dei data center è seriamente minacciata. Secondo Kyle Myers, vice presidente per l’ambiente e la sicurezza dell’azienda CyrusOne (che opera più di cinquanta data center tra Nord America, Europa e Sud America) il rischio della dipendenza dall’utilizzo di acqua è fuori dubbio. “Questi centri sono progettati per funzionare per vent’ anni, quindi bisogna chiedersi come sarà la situazione nel 2040, no?”, ha spiegato alla testata Cnbc.
In un solo giorno, un centro può consumare fino a più di un milione di litri d’acqua. Le strutture collocate in zone aride, come gli stati dell’ovest degli Stati Uniti, si trovano in condizioni particolarmente rischiose. A Mesa, in Arizona, quando nel 2021 sono stati approvati i lavori per costruire un nuovo data center di Meta, le comunità locali, fortemente colpite dalla siccità e dalla mancanza di acqua, non hanno esitato a protestare. “Siamo in allarme rosso e penso che i centri dati siano un uso irresponsabile della nostra acqua” ha detto a Npr Jenn Duff, vicesindaca della città. Quest’estate, il centro di Mesa è stato ampliato. La città ospita anche un data center di Apple. Guardando invece all’Europa, in Olanda un centro di Microsoft ha consumato ottantaquattro mila litri di acqua potabile nel corso del 2021, mentre il paese soffriva per la prolungata mancanza di piogge.
Secondo un paper pubblicato a maggio dello scorso anno, nei soli Stati Uniti, circa il venti per cento dei centri dati fanno affidamento su risorse idriche già a rischio di esaurimento.

NON SORPRENDE CHE A LIVELLO MONDIALE, LA MAGGIOR PARTE DI QUESTE STRUTTURE APPARTENGA AI BIG TECH, NELLO SPECIFICO AD AMAZON, GOOGLE E MICROSOFT (I DATI SONO SEMPRE RELATIVI AL 2021). RISPETTO AI RISCHI AMBIENTALI DELLA GESTIONE DEI MEGA-SERVER, LE AZIENDE HANNO UN APPROCCIO SPESSO TUTT’ALTRO CHE TRASPARENTE. SECONDO L’AZIENDA DI CONSULENZA SUSTAINALYTICS, CHE SI OCCUPA DI VALUTARE RISCHI AMBIENTALI DELLE ATTIVITÀ AZIENDALI, SOLO IL SEDICI PER CENTO DELLE OLTRE CENTOVENTI COMPAGNIE PRESE IN ESAME IN UNO STUDIO DELLO SCORSO AGOSTO HA DIVULGATO LE INFORMAZIONI RELATIVE ALLA GESTIONE E AL CONSUMO DELLE RISORSE IDRICHE. Siamo in guerra: le nuove superpotenze si chiamano Google, Facebook, Amazon, Apple e sono sempre più pronte a prendere il posto dei vecchi stati.
Esistono alcuni tentativi di rendere più sostenibile la gestione dei centri dati. Meta, per esempio, ha lanciato un programma pilota nel suo centro di Las Lunas, in New Mexico, per ridurre l’umidità relativa degli ambienti, diminuendo così il consumo di acqua. Grazie alla pressione della comunità locale, nel 2019, Google ha acconsentito a dipendere in misura minore per il raffreddamento delle strutture da una falda acquifera in South Carolina. La già citata CyrusOne utilizza in alcuni stabilimenti una tecnologia che permette di riempire i serbatoi d’acqua una sola volta e poi riutilizzarla, in un sistema a circuito chiuso. Ma il problema non è solo dei server in sé: anche gli impianti elettrici che alimentano l’infrastruttura utilizzano un enorme quantità di acqua. Tutte le aziende Big Tech hanno preso, sulla carta, l’impegno di ridurre il loro impatto sulle risorse idriche entro il 2030.
Mentre ci avviamo verso la fine di uno degli anni più drammatici per la siccità mondiale, cresce la necessità di una soluzione a lungo termine per la gestione dei mega-server di dati. Il rischio climatico colpisce anche le informazioni che ci immaginiamo conservate nel cloud, un luogo, per definizione, raccontato come immateriale.
*(Fonte Wired – Irene Doda, lavora come scrittrice e giornalista freelance. Si occupa di lavoro, tecnologia e questioni di genere; spesso di tutte e tre queste cose insieme. Ha scritto per Wired, Singola, Il Tascabile e altre riviste online e cartacee.)

 

10 – Stefania Cella*: Clochard a Meloni: “Se toglie il reddito vengo a mangiare a casa sua? ”La stretta sul reddito.

LA DENUNCIA DEL SENZATETTO
La denuncia di un clochard a Giorgia Meloni: “Se toglie il reddito di cittadinanza, vengo da lei a mangiare?”
L’ultima manovra del governo Meloni ha introdotto numerose novità per quanto riguarda l’economia italiana. Oltre all’aumento dell’accisa su alcuni beni di consumo adesso arriva anche la stretta sul reddito di cittadinanza. Manovra che penalizza tantissimi italiani, specialmente i clochard che utilizzano il sussidio per mangiare.
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LA STRETTA SUL REDDITO
A partire dal 1° gennaio 2023 ci saranno molti più limiti e controlli, affinché lo Stato possa verificare a chi effettivamente spetti il provvedimento. Poi, a partire dal 2024, stop alla misura. La misura introdotta dal leader del Movimento Cinque Stelle – Giuseppe Conte – nel 2019, è destinata a scomparire nel 2024.
Alla luce di questa manovra, un senzatetto ha deciso di postare un video sui social in cui denuncia la sua situazione, e si appella al presidente del Consiglio dei ministri chiedendole come dovrebbe fare per mangiare, visto che utilizza il reddito di cittadinanza per fare la spesa.

LA DENUNCIA DEL SENZATETTO
“Signora Meloni io con il reddito di cittadinanza ci mangio. Non posso andare a lavorare, vivo per strada da cinque anni. Vivo assieme al mio amico, al mio cane. Lei vuole togliere il reddito, come faccio io a vivere dopo?” Sono queste le parole d’apertura del video che ha fatto il giro d’Italia.
Poi l’accusa nei confronti di politici e parlamentari: “Voi parlamentari guadagnate tantissimi soldi, non capisco il motivo. Voi dovete affogarvi e noi dobbiamo fare la fame. E funziona così. Vengo a mangiare a casa sua dopo? Mi risponda.”
La denuncia nei confronti di Meloni: “Ho insistito, ho chiamato in questura e forse hanno capito la situazione. Io sono convito che la Meloni disprezzi i meridionali, purtroppo che gente che arriva al potere e perde la testa.

 

 

 

 

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