n°34 – 20/8/22 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – La Marca (Pd) – con la comunità italiana per festeggiare la decima edizione del “Mississauga Italfest”
02 – Schirò (Pd)*: non sarò candidata. Grazie a tutti!
03 – Elezioni 2022 – La Marca*: un onore essere candidata al senato della repubblica per rappresentare le comunità italiane dell’America settentrionale e centrale
04 – Marco Bertorello, Danilo Corradi*: Deglobalizzazione selettiva, l’Italia dei paradossi. NUOVA FINANZA PUBBLICA. La rubrica settimanale di economia politica. A cura di autori vari
05 – Redazione ANSAROMA. UNO SPETTACOLO DELIRANTE (NdR). Elezioni: ecco la carica dei 101 simboli in corsa alle Politiche del 25 settembre. Palazzo Chigi: ‘Il premier non al corrente del simbolo con il suo nome’
06 – György Dalos*: Budapest, Ungheria. LA GUERRA ALLE PORTE. L’Ungheria nel vicolo cieco della guerra. In termini strettamente geografici, con il cambiamento del sistema sociale in Ungheria non è cambiato nulla: il paese si estende ancora su una superficie di 93mila chilometri quadrati
07 – L‘Italia vista dall’estero e l’importanza di queste elezioni.
a – Michael Braun*: L’ ESTATE STA FINENDO. Per la prima volta dal dopoguerra l’Italia affronta una campagna elettorale in pieno agosto. Con il rischio di ritrovarsi un governo guidato dall’estrema destra.
b – John Foot*: Giorgia Meloni e il passato che ritorna
La leader di fratelli d’Italia, favorita alle elezioni, non sarà fascista, ma rievoca tempi bui della storia del paese.
c – Opinioni

 

01 – LA MARCA (PD) – CON LA COMUNITÀ ITALIANA PER FESTEGGIARE LA DECIMA EDIZIONE DEL “MISSISSAUGA ITALFEST”
L’ON. LA MARCA È INTERVENUTA, SABATO SCORSO, AL “MISSISSAUGA ITALFEST”, GIUNTO ALLA SUA DECIMA EDIZIONE. LA FESTA È ORMAI UN APPUNTAMENTO ESTIVO PER TUTTA LA COMUNITÀ ITALIANA, E NON SOLO, DI UNA DELLE CITTÀ PIÙ POPOLATE DEL CANADA.

“Le tradizioni italiane che ispirano questo evento sono per tutti noi motivo di orgoglio e di coesione. Sono il legame con il paese d’origine, ma anche l’espressione più autentica dell’affermazione della nostra comunità in Canada. Per questo ringrazio il suo ideatore, Frank Stendardo, il comitato d’organizzazione e i volontari che rendono possibile questa straordinaria Festa. L’edizione di quest’anno, tra le altre cose, offre al pubblico una vetrina speciale dedicata alla Regione Puglia. Regione meravigliosa e quest’anno meta di turismo internazionale tra le più apprezzate al mondo. Un luogo a me particolarmente caro, perché terra d’origine di mia madre. Il bilancio positivo di questi primi dieci anni di ItalFest deve servire da incoraggiamento per continuare sulla strada intrapresa. La presenza di un pubblico così numeroso è la prova di un lavoro eccezionale e di grande valore per tutta la nostra comunità” – ha dichiarato l’On. La Marca, nel saluto portato in qualità di unica parlamentare canadese eletta nel Parlamento italiano.

All’evento hanno preso parte la ex sindaca Hazel McCallion, l’attuale sindaca Bonnie Crombie, numerosi amministratori locali, il Console generale di Toronto, Luca Zelioli, i rappresentanti italiani di Polizia, Carabinieri e Bersaglieri e dell’associazionismo regionali.
*(On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. – CAMERA DEI DEPUTATI – Ripartizione Nord e Centro America – Electoral College of North and Central America)

 

02 – SCHIRÒ (PD): NON SARÒ CANDIDATA. GRAZIE A TUTTI!
DOPO UNA APPROFONDITA E NON FACILE RIFLESSIONE, PUR SENZA RINUNCIARE ALLE CONVINZIONI CHE MI HANNO SPINTA IN QUESTI ANNI AD ASSUMERE UN RUOLO POLITICO E ISTITUZIONALE DIRETTO, HO COMPRESO CHE PUÒ APRIRSI UNA NUOVA FASE DELLA MIA VITA.

Per questo, ho deciso di rinunciare alla candidatura che il Partito Democratico mi ha offerto nella lista della Camera della ripartizione europea della circoscrizione Estero e ho comunicato questo mio intento al Segretario Letta, alla responsabile Esteri Quartapelle e al responsabile Italiani nel mondo Vecchi.
Ringrazio il Partito Democratico per l’onore che mi è stato dato di rappresentare la nostra comunità in Europa, i circoli del PD che con la loro vicinanza e il loro stimolo mi hanno dato forza e suggerimenti in questi anni, i miei collaboratori per il loro supporto professionale e per la vicinanza umana che mi hanno dimostrato, tutti coloro che in buona fede e con spirito costruttivo mi hanno spinto, anche con le loro critiche, a fare di più e a fare meglio nel mio lavoro parlamentare.
Ringrazio soprattutto i cittadini italiani residenti in Europa che mi hanno concesso di ‘rientrare’ nella vita politica, istituzionale e civile italiana in una collocazione di grande valore e prestigio, il Parlamento, la massima istituzione di un paese democratico. Per un’italiana di seconda generazione, quale io sono, proveniente dal mondo operaio, che ha fatto la sua strada da sola in un paese straniero, che crede nell’Europa e si sente profondamente europea, si tratta di un’esperienza inestimabile che conserverò con sincera gratitudine.

In questi anni ho cercato di lasciare alcune tracce di lavoro soprattutto nel campo dei diritti di cittadinanza, del miglioramento dei servizi consolari, della promozione della lingua e della cultura italiana, delle tutele assistenziali, previdenziali e fiscali dei connazionali. Poiché la regola democratica impone di dare conto agli elettori del proprio operato e nella speranza che possano servire a chi verrà dopo, a questo contatto (angela-schiro.com) sarà possibile a breve trovarne un rendiconto.

A tutti i connazionali, a prescindere dal loro orientamento politico e ideologico, mi permetto di rivolgere un’esortazione al voto perché con i fatti difendano un diritto primario di cittadinanza sempre rimesso in discussione. Al Partito Democratico va l’augurio di essere ancora una volta all’altezza del compito di dare dell’Italia un’immagine positiva, dinamica e aperta a livello internazionale. A tutti i candidati del PD faccio i miei auguri più sinceri di successo. Con particolare cordialità e fervore – se mi è concesso – per le candidate, affinché possano trovare con le loro qualità e la loro determinazione quei riscontri e quei riconoscimenti che non sempre incontrano nei partiti e nelle istituzioni. Grazie ancora a tutti!
*(Angela Schirò)

 

03 – ELEZIONI 2022 – LA MARCA: UN ONORE ESSERE CANDIDATA AL SENATO DELLA REPUBBLICA PER RAPPRESENTARE LE COMUNITÀ ITALIANE DELL’AMERICA SETTENTRIONALE E CENTRALE

SARÒ CANDIDATA AL SENATO DELLA REPUBBLICA, CAPOLISTA DEL PARTITO DEMOCRATICO, PER LA RIPARTIZIONE AMERICA SETTENTRIONALE E CENTRALE. HO ACCETTATO CON ORGOGLIO LA PROPOSTA DI CANDIDATURA CHE MI È STATA FATTA DAL MIO PARTITO CHE RINGRAZIO PER IL SOSTEGNO E LA FIDUCIA.

Ho accettato con senso di responsabilità, consapevole della portata della sfida.

Ho accettato per portare a termine il percorso intrapreso in questi anni. Anni in cui, nonostante le complessità di una legislatura che ha visto alternarsi tre governi, una emergenza pandemica senza precedenti ed una guerra sul suolo europeo, ho dato voce alle esigenze dei nostri connazionali con iniziative e interventi parlamentari che costituiscono il fulcro del mio programma: efficienza dei servizi consolari; potenziamento della rete consolare onoraria; un più fluido rapporto con la Pubblica Amministrazione; consolidamento delle politiche di promozione della lingua e della cultura italiana; tutela degli anziani; incremento degli scambi giovanili per una maggiore circolarità delle conoscenze e delle professioni; cittadinanza e riapertura dei termini per il suo riacquisto; “turismo di ritorno”, vero volano di crescita del nostro Paese ed in particolare del nostro Mezzogiorno.

Con la fine inaspettata di questa legislatura ad opera di forze politiche irresponsabili, si è prodotto un grave danno anche alle politiche per gli italiani nel mondo. La legge di bilancio che avremmo dovuto discutere in autunno era infatti lo strumento che attendevamo per far avanzare alcune proposte fondamentali.
Ora è necessario andare avanti con coraggio, determinazione, concretezza. L’esperienza di questi anni di lavoro in Parlamento costituisce una solida certezza e una garanzia per onorare gli impegni assunti con i connazionali, ma anche per contribuire a rafforzare la presenza del nostro paese nel mondo.

Per questa ragione, ho accettato di candidarmi: per portare a termine il lavoro avviato e dare risposte alle attese delle italiane e degli italiani della mia Ripartizione.
La crisi politica che ha determinato la fine del Governo Draghi è la dimostrazione chiara ed inequivocabile che l’Italia ha bisogno di scelte coraggiose e soprattutto di serietà. Le prossime elezioni politiche rappresentano, dunque, uno spartiacque tra due idee dell’Italia, dell’Europa e del mondo.
Il Partito Democratico è innanzitutto con i cittadini che vuole trovare l’intesa, sui valori prima che sulle proposte: la serietà, l’impegno, il rispetto della parola data.
La sfida del Partito Democratico costituisce l’occasione per cambiare in meglio il nostro Paese. Anche all’estero possiamo scegliere di essere protagonisti di questa sfida. Insieme!
*(On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. – CAMERA DEI DEPUTATI – Ripartizione Nord e Centro America – Electoral College of North and Central America)

 

04 – Marco Bertorello, Danilo Corradi*: DEGLOBALIZZAZIONE SELETTIVA, L’ITALIA DEI PARADOSSI. NUOVA FINANZA PUBBLICA. LA RUBRICA SETTIMANALE DI ECONOMIA POLITICA. A CURA DI AUTORI VARI.
ABBIAMO SOSTENUTO SPESSO LA TESI CHE I PROCESSI DI DE-GLOBALIZZAZIONE SELETTIVA SIANO PREMESSA, E NON SEMPLICEMENTE CONSEGUENZA, DEL CONFLITTO MILITARE IN CORSO. GLI STATI UNITI IN PARTICOLARE, SCOTTATI DAL CRESCENTE DEFICIT COMMERCIALE CON LA CINA, HANNO APERTO UNA GUERRA DEI DAZI INIZIATA DA OBAMA, RADICALIZZATA DA TRUMP E SOLO STEMPERATA DA BIDEN NEI CONFRONTI DELL’EUROPA
.

Gli Usa, da primi sostenitori interessati della globalizzazione, si sono trasformati nel principale paese restio a proseguire su questo assetto mondiale. La Guerra di aggressione di Putin ha obiettivi imperiali e vive di una sua logica autonoma, ma in qualche modo ha trovato nel nuovo quadro geopolitico ed economico maggiori possibilità di essere considerata un’opzione praticabile. L’inflazione non è semplicemente l’effetto della guerra, quanto l’espressione dei costi crescenti dovuti alla rottura delle vecchie catene del valore, a partire da settori considerati strategici dai singoli paesi e non solo sul piano militare.

Ovviamente la guerra ha accelerato ulteriormente queste tendenze, rendendo plateale ciò che maturava dietro le quinte. In un certo senso la guerra è contemporaneamente una sfida all’egemonia statunitense e un favore alla nuova linea economica difensiva del gigante americano.

I dati Istat sulle esportazioni italiane nei primi sei mesi del 2022 confermano una realtà economica in rapido mutamento geografico. Le vendite aggiuntive nei primi sei mesi hanno fatto segnare un +7,2 miliardi di euro verso gli Usa (sospinte anche da un Euro debole), +6,2 con la Germania e +5,3 con la Francia. Gli unici segni negativi riguardano la Russia (-0,6) e la Cina (-0,2).

Questi dati possono indicare un cambiamento nei flussi commerciali almeno in alcuni settori, ma ovviamente la globalizzazione non si può spegnere con un interruttore. Le importazioni sono cresciute di più delle esportazioni, con il particolare contributo del settore energetico. Il deficit commerciale verso la Cina nel 2021 ha toccato il suo picco massimo nel Vecchio continente. Il quadro non può che essere altamente instabile e vive di spinte contraddittorie, ma inflazione e regionalizzazione di alcuni mercati strategici sembrano tendenze in via di rapido consolidamento.

In questo quadro emerge un paradosso. Tra il 2021 e 2022 si va consolidando una crescita italiana superiore alla media europea, mentre la Germania sembra in maggiore difficoltà. C’è chi ha attribuito questi dati rovesciati, rispetto allo schema degli ultimi trent’anni, a una improvvisa dinamicità della nostra industria o agli effetti di alcuni provvedimenti governativi come i bonus 110 o il piano industria 4.0, ma la sensazione è che l’Italia potrebbe beneficiare complessivamente della de-globalizzazione selettiva, sostituendosi alla Cina come fornitore dell’Occidente almeno in alcuni settori.
La gelata salariale che ci vede fanalino di coda a livello europeo per crescita delle retribuzioni negli ultimi trent’anni, potrebbe essere il fattore decisivo di questo nuovo dinamismo, assicurando prodotti manifatturieri di qualità a prezzi competitivi da un paese geopoliticamente amico. Di questo ci parlano i dati sulle esportazioni? Forse è presto per dirlo, anche perché la quota mondiale delle esportazioni italiane è calata di un punto decimale nel 2021.
Per capire cosa accade dobbiamo confrontare l’economia italiana non solo con la Germania. La sensazione è che l’Italia possa essere il paese che regge un po’ meglio nel continente che pagherà il prezzo maggiore in questo contesto geopolitico in rapido divenire. L’Italia per il proprio profilo produttivo concentrato in segmenti a bassa produttività, grazie anche al fallimento delle privatizzazioni, è il paese industrializzato ad aver sofferto di più l’emergere dell’industria asiatica, In quella che sembra una nuova transizione epocale forse potrebbe consolidarsi una tendenza opposta, fondata principalmente sul basso costo del lavoro.
*(Fonte Il Manifesto: Marco Bertorello, collabora con il Manifesto ed è autore di volumi e saggi su economia, moneta e debito fra cui Non c’è euro che tenga . Danilo Corradi. contratto presso l’università di Tor Vergata)

 

05 – Redazione ANSAROMA. UNO SPETTACOLO DELIRANTE (ndr). ELEZIONI: ECCO LA CARICA DEI 101 SIMBOLI IN CORSA ALLE POLITICHE DEL 25 SETTEMBRE. PALAZZO CHIGI: ‘IL PREMIER NON AL CORRENTE DEL SIMBOLO CON IL SUO NOME’

Sono in tutto 101 i contrassegni depositati al Viminale per concorrere alle elezioni politiche in programma il 25 settembre.
Il tempo utile per presentare i simboli è terminato alle ore 16. I simboli sono stati presentati da 98 soggetti politici.
Per la scorsa tornata elettorale del 2018 il ministero dell’Interno esaminò 103 contrassegni depositati e ne ammise 75.
Ora parte l’attività istruttoria del Viminale. Entro 48 ore, ovvero entro la mezzanotte del 16 agosto, verranno notificati gli ammessi e i ricusati, poi saranno concesse altre 48 ore per presentare le eventuali integrazioni, modifiche richieste, o ricorsi. La partita dei simboli al Viminale dunque si chiuderà definitivamente il 18 agosto. Poi la Cassazione avrà quindi altri due giorni per decidere sugli eventuali ricorsi: dunque il ministero dell’Interno entro il 20 agosto comunicherà alle Corti di Appello i nomi dei rappresentati per le liste. Dopodiché i partiti promossi dovranno presentare, il 21 e 22 agosto, la lista dei candidati nei tribunali e nelle Corti d’appello dei capoluoghi.
Tra gli ultimi simboli depositati arriva anche Italiani con Draghi – Rinascimento, unico logo con il nome del presidente del consiglio: oltre alla scritta Italiani con Draghi il simbolo è corredato da una striscia tricolore.
Il premier Mario Draghi non era al corrente del simbolo Italiani con Draghi, fa sapere Palazzo Chigi in riferimento ai requisiti di trasparenza del simbolo che, a questo punto, potrebbero non essere soddisfatti portando anche all’annullamento.
L’ultimo contrassegno presentato è il simbolo di Italia dei Diritti, mentre in mattinata il primo simbolo affisso in bacheca è stato quello della lista ‘Peretti-Democrazia Cattolica liberale’, sempre con lo scudo crociato. Il secondo contrassegno depositato oggi è invece quello dell’ex sindaco di Napoli Luigi de Magistris, ‘Unione Popolare con de Magistris’. Affisso al Viminale anche un secondo simbolo di de Magistris, ‘Up con De Magistris’: dentro i loghi di Dema, Manifesta, Rifondazione Comunista e Potere al Popolo.
Marco Rizzo, Antonio Ingroia ed Emanuele Dessì hanno depositato al Viminale il contrassegno elettorale della lista ‘Italia Sovrana e Popolare’. “Vogliamo un’Italia sovrana e popolare, come dice il nostro simbolo. Il capo politico è Giovanna Colone, una lavoratrice della scuola che è stata sospesa per la vicenda del vaccino. Abbiamo voluto impersonificare quello che noi vogliamo rappresentare: una del popolo che ha sofferto”, ha detto Rizzo. Toscano ha invece assicurato che completeranno “a breve la raccolta firme. C’è un entusiasmo incredibile. Possiamo contare sul sostegno di tantissima gente che in tutta Italia ha preso d’assalto i nostri banchetti”, annunciando che “tutti e quattro” i presenti al Viminale “saranno candidati”. Dessì infatti si presenterà al Senato, mentre Rizzo, Ingroia e Toscano alla Camera. Perché votare Italia Sovrana e Popolare e non Italexit? “Paragone – dice Toscano – ha sempre espresso una posizione atlantista, non ho mai sentito da lui esprimere la necessità di aprire una stagione multipolare. Il nostro nemico comunque è Draghi – ha ribadito il presidente di Italia sovrana – e il sistema che ha chiuso gli italiani in casa”.
Depositato nella giornata di domenica anche il simbolo di +Europa, che alle prossime elezioni si vedrà in coalizione con Pd, Alleanza Verdi Sinistra e Impegno civico. Nel contrassegno, come nel 2018, depositato dalla tesoriera Maria Saeli, si legge ‘+Europa con Emma Bonino’, indicata come capo politico del partito. Se fossero rimasti con Calenda “sarebbe stato simile”, con i nomi dei leader dei due partiti. Da quanto si è appreso, tra +Europa e il Pd è rimasto valido l’accordo siglato quando ancora si era in coalizione con Carlo Calenda. “Per quanto riguarda i collegi uninominali di fascia alta, quelli dove l’elezione è più probabile con il Pd resta l’accordo” già siglato, “ovvero il partito di Bonino esprimerà il 30% dei candidati”, ha ricordato la tesoriera del partito. Saeli inoltre ha ribadito che Bonino, Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi saranno sicuramente candidati. “Abbiamo presentato anche il nostro programma – ha detto Saeli – frutto sia dei nostri tavoli tematici e del lavoro sul territorio, sia del ‘programma con l’Italia’ fatto da Carlo Cottarelli”, ha detto la tesoriera aggiungendo: “Cottarelli ha scritto gran parte del nostro programma si candidera’ sicuramente nell’uninominale e forse anche nel proporzionale”, ha detto Saeli, che alla domanda se sarà anche lei candidata nella lista, ha risposto: “Vediamo”
Marco Cappato ha depositato e affisso al Viminale il simbolo per le elezioni politiche: Referendum democrazia con Cappato. Il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, leader della lista ha ribadito che intende raccogliere le firme solo con modalità digitale. “Siamo partiti con una marcia dal Quirinale e ci appelliamo al presidente del Consiglio Mario Draghi perche’ le elezioni non siano antidemocratiche. Servono 60mila firme per poter partecipare alle elezioni e chiediamo di poter utilizzare quelle digitali per rivitalizzare la democrazia. Come già accade per i referendum, le firme digitali devono essere valide per partecipare alle elezioni politiche”, ha detto Cappato dopo il deposito sottolineando che raccoglierà le firme “solo in modalità digitale”, chiedendo a Draghi di “equiparare referendum ed elezioni politiche”. La raccolta firme digitali o con spid potrà essere effettuata sul sito listareferendumedemocrazia.it. “Per togliere ogni dubbio” e far ammettere le firme raccolte Cappato ha poi aggiunto: “Chiediamo al presidente Draghi una interpretazione della norma. Se dovesse accadere che le firme non vengano riconosciute abbiamo già pronti i ricorsi che presenteremo in tutte le sedi nazionali e internazionali”, ha annunciato Cappato. “Evidentemente il problema non è raccogliere le firme ma sono le condizioni e gli ostacoli che vanno rimossi all’esercizio della democrazia del nostro paese”, ha concluso.
(Redazione ANSAROMA)

 

06 – György Dalos*: BUDAPEST, UNGHERIA. LA GUERRA ALLE PORTE. L’UNGHERIA NEL VICOLO CIECO DELLA GUERRA. IN TERMINI STRETTAMENTE GEOGRAFICI, CON IL CAMBIAMENTO DEL SISTEMA SOCIALE IN UNGHERIA NON È CAMBIATO NULLA: IL PAESE SI ESTENDE ANCORA SU UNA SUPERFICIE DI 93MILA CHILOMETRI QUADRATI.

D’altra parte, però, oggi l’ex Repubblica Popolare d’Ungheria (come si è chiamata dal 1949 al 1989, sotto il comunismo) confina con cinque nuovi paesi nati proprio dalla dissoluzione di entità più grandi e multietniche. A nord, l’ex Repubblica Socialista Cecoslovacca è stata sostituita dalla Repubblica Slovacca e dall’Ucraina, all’epoca parte dell’Unione Sovietica e oggi indipendente. A sud, il crollo dell’ex Jugoslavia ha portato alla nascita di tre nuovi stati: Serbia, Croazia e Slovenia.

Ciò che lega la maggior parte di queste realtà all’Ungheria e ai suoi vecchi vicini, come la Romania e l’Austria, è l’adesione all’Unione europea. Serbia e Croazia, infatti, sono in lista d’attesa, mentre l’Ucraina è considerata un candidato auspicabile da Bruxelles. Due degli stati nati dall’ex blocco orientale, la Slovacchia e la Slovenia, hanno adottato l’euro come valuta. Serbia e Croazia, invece, hanno una propria moneta nazionale.

UN POPOLO DISPERSO
Negli anni novanta questi paesi sono diventati delle democrazie parlamentari dove le rivalità tra i gruppi di potere si manifestano pubblicamente e, non di rado, in maniera violenta. Ogni trasformazione sociale e conflitto in corso al loro interno tocca gli interessi dell’Ungheria a causa del numero di ungheresi che risiedono lì: 1,5 milioni in Romania, 500mila in Slovacchia, 150mila in Ucraina, 300mila in Serbia, 16mila in Croazia e 15mila in Slovenia.

Queste minoranze sono un’eredità di diversi accordi del primo e del secondo dopoguerra che hanno comportato perdite territoriali per l’Ungheria, come il trattato del Trianon del 1920 e i trattati di Parigi del 1947. E i problemi degli ungheresi all’estero, siano essi legati ai diritti linguistici o all’istituzione scolastica, hanno delle conseguenze anche sulla politica interna. Ostilità secolari vengono spesso riesumate e strumentalizzate. Certo, a volte anche alcuni vicini dell’Ungheria adottano atteggiamenti simili, ma finora tutti questi conflitti si sono comunque mantenuti entro dei confini pacifici, e hanno avuto solo un impatto indiretto sulla sicurezza dell’Ungheria.

Le guerre jugoslave tra il 1991 e il 2001, però, hanno dimostrato quanto sia fragile la stabilità su cui poggia l’intera regione, e cosa accade quando le superpotenze mondiali s’intromettono nelle dispute nazionali.

Dal punto di vista politico la guerra solleva questioni scomode: le relazioni dell’Ungheria con Russia e Ucraina sono tutt’altro che equilibrate

Il 24 febbraio 2022 entrerà negli annali della storia europea, e quindi anche di quella ungherese. La guerra non dichiarata della Russia contro l’Ucraina ha cambiato le relazioni tra est e ovest prevalse dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gettando un’ombra quasi apocalittica sulla politica mondiale. È difficile prevedere quando e come finirà il conflitto, ma è certo che ci vorrà molto tempo prima che venga stabilito un nuovo equilibrio per garantire la pace. Come minimo, ora i paesi dell’Unione europea e della Nato devono fare i conti con una potenza ostile che confina con loro e prepararsi a una nuova fase della guerra fredda.

Per quanto riguarda il modo in cui la devastante “operazione militare speciale” in corso in Ucraina può aver influenzato le elezioni ungheresi dello scorso 3 aprile (che hanno riconfermato nettamente il partito Fidesz di Viktor Orbán, in coalizione con il partito popolare cristiano democratico), è logico supporre che, dato l’attuale clima di paura, gli elettori hanno preferito mantenere Fidesz al potere piuttosto che affidarsi a una traballante coalizione di sei partiti.

Questo presupposto è anche alla base di quanto ha apertamente dichiarato lo stesso Orbán, ovvero di voler “esonerare” l’Ungheria dal conflitto. Questa posizione è stata pesantemente criticata dall’opposizione e condannata come un tradimento degli alleati occidentali dell’Ungheria, ma in realtà si concretizza solo in due ambiti: nel rifiuto di Budapest a far transitare sul territorio ungherese le armi destinate a Kiev, e in quello a estendere al settore energetico le sanzioni previste dall’Unione europea contro la Russia. In particolare, questa seconda decisione consentirebbe al già controverso progetto russo-ungherese per l’ampliamento dell’unica centrale nucleare del paese, a pochi chilometri dalla cittadina di Paks, di procedere inalterato. Ma per quanto ci siano anche degli specifici interessi politici da prendere in considerazione, questa richiesta di “esonero” va oltre.

L’AMBIGUITÀ DI ORBÁN
L’Ungheria, infatti, confina per 136 chilometri con l’Ucraina (ovvero l’ex confine con l’Unione Sovietica), dove, in Transcarpazia, vivono circa 150mila persone di etnia ungherese, molte delle quali sposate con ucraini. Di conseguenza, finora quasi 200mila rifugiati – ungheresi, ucraini e cittadini di altri paesi residenti in Ucraina – sono entrati in Ungheria attraverso i sei valichi di frontiera. E per quanto gran parte di loro non intende rimanere in Ungheria, i dispiegamenti logistici necessari per accoglierli avranno un impatto enorme e imprevedibile sulle finanze nazionali. Senza l’assistenza disinteressata di organizzazioni non governative e privati cittadini, nonché il sostegno dell’Unione europea, sarebbe difficile affrontare quest’emergenza.

Anche dal punto di vista politico la guerra solleva questioni scomode, perché le relazioni dell’Ungheria con Russia e Ucraina sono tutt’altro che equilibrate. Nel 1991 il governo di József Antall aveva firmato un trattato di amicizia con l’Ucraina che, tra l’altro, garantiva l’eliminazione del visto per chi viaggiava tra i due paesi. Poi i rapporti si sono raffreddati soprattutto a causa delle politiche linguistiche restrittive di Kiev, che influenzano negativamente sia la minoranza ungherese sia quella (ben più cospicua) russa in Ucraina. Nel frattempo, con l’arrivo al governo di Orbán si sono sviluppati legami con la Russia di Putin, grazie soprattutto alle affinità tra i due politici, che condividono l’atteggiamento autoritario e pongono l’illiberalismo alla base della concezione dello stato.

La loro vicinanza, resa evidente dalla visita del premier ungherese a Mosca alla fine di gennaio 2022 e sbandierata come una “missione di pace”, non è un vezzo ma parte integrante della “via speciale” tra est e ovest che Orbán cerca di percorrere. Le dichiarazioni di facciata sui valori fondamentali dell’Europa e la firma di documenti congiunti contro l’invasione russa, infatti, non cancellano l’impressione che l’Ungheria stia sempre più scivolando verso lo status di membro irrilevante dell’Unione europea.

Così, mentre le raccapriccianti immagini della guerra sconvolgono l’opinione pubblica e la fine del conflitto, con le sue devastanti conseguenze economiche, potrebbe non essere lontana, il primo ministro ungherese predica “calma strategica”. Qualunque sia l’idea che i cittadini possano farsene, questo concetto piuttosto nebuloso potrebbe dissimulare il disagio delle élite di Fidesz. Nel tredicesimo anno dell’era di Orbán, infatti, il sistema sta affrontando difficoltà sempre maggiori figlie delle sue stesse politiche economiche e sociali. La moneta nazionale continua a perdere valore (oggi un euro è pari a circa 400 fiorini, nel 2010 ad appena 285) e il costo dei beni alimentari cresce.

Il governo ha imposto un blocco temporaneo dei prezzi, colpendo soprattutto le imprese piccole e piccolissime, e che nel caso della benzina ha portato molte stazioni di servizio al fallimento. Orbán ha indicato una sola causa dietro l’elevato tasso d’inflazione del 10,7: “Siamo riusciti a rimanere fuori dalla guerra, ma non saremo risparmiati dalle sue conseguenze. I prezzi vengono spinti al rialzo in parte dal conflitto e in parte dalle sanzioni imposte dall’occidente”.

È evidente che il premier ungherese sta predicando una “calma strategica” per se stesso, scaricando la responsabilità della crisi finanziaria sull’“occidente”. Resta solo da capire per quanto ancora un piccolo paese come l’Ungheria, con scarse risorse energetiche e poche materie prime, potrà continuare a stare con le mani in mano.
(Fonte: INTERNAZIONALE. György Dalos, Voxeurop, Francia. Traduzione di Davide Musso, Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con Voxeurop. Fa parte della serie La guerra alle porte)

 

07 – L‘Italia vista dall’estero e l’importanza di queste elezioni.
a – Michael Braun*: L ESTATE STA FINENDO. Per la prima volta dal dopoguerra l’Italia affronta una campagna elettorale in pieno agosto. Con il rischio di ritrovarsi un governo guidato dall’estrema destra.
b – John Foot*: Giorgia Meloni e il passato che ritorna
La leader di fratelli d’Italia, favorita alle elezioni, non sarà fascista, ma rievoca tempi bui della storia del paese.
c – Opinioni

a – Michael Braun*: L ESTATE STA FINENDO. PER LA PRIMA VOLTA DAL DOPOGUERRA L’ITALIA AFFRONTA UNA CAMPAGNA ELETTORALE IN PIENO AGOSTO. CON IL RISCHIO DI RITROVARSI UN GOVERNO GUIDATO DALL’ESTREMA DESTRA.
“Se mi interessano le elezioni?”. L’anziano signore abbronzato lancia una breve occhiata dentro la sua tazzina di caffè, poi si stringe nelle spalle. Siamo al lido Belsito di Ostia, la spiaggia di Roma, all’ombra del tendone del bar, e probabilmente Vincenzo , conducente della metropolitana in pensione, pensava ad altro: è fuggito dal caldo della città e ora vorrebbe godersi la brezza leggera e il mare. “In questo momento farei volentieri a meno della politica”, aggiunge. In agosto, mese di ferie, non sente proprio il bisogno di una campagna elettorale.
E invece gli italiani voteranno il 25 settembre per eleggere un nuovo parlamento, dopo che il 21 luglio il presidente del consiglio Mario Draghi si è dimesso e il presidente della repubblica Sergio Mattarella ha sciolto le camere, regalando all’Italia una novità: elezioni subito dopo la pausa estiva. È da più di un secolo che le elezioni si tengono nella prima metà dell’anno. L’ultima campagna elettorale estiva risale al 1919, in vista di un voto che si tenne a novembre.
E così questo agosto i politici italiani sono in missione speciale: la sera, in tv, si parla di politica. Ma in Italia agosto è sacro. E il giorno più sacro dell’anno, il 15 agosto, chi se lo può permettere festeggia il ferragosto, ovvero l’assunzione di Maria, in spiaggia o in montagna, indisturbato dalle notizie provenienti da Roma, dove non solo gli uffici dei parlamentari, ma anche bar e ristoranti sono chiusi e deserti. “Il problema non è tanto che stavolta ci tocca una campagna elettorale in
piena estate”, dice Vincenzo. “Per me il problema principale è che non so più per chi votare”. La moglie annuisce e la loro amica Agnese osserva: “Sinistra, destra, perfino i cinquestelle. Non c’è differenza: in questi anni li abbiamo visti tutti al governo ma niente è migliorato”. E ora si ricomincia: promesse elettorali a non finire, tagli delle tasse, aumenti delle pensioni e dei salari. “Tutti parlano delle tante belle cose che vogliono fare, ma nessuno spiega come tradurre le promesse in realtà”. Per esempio, osservano i tre villeggianti, la destra ha annunciato grandi tagli delle tasse, ma il modo di finanziarli resta avvolto da una fitta nebbia, visto che il debito pubblico è già alle stelle.
COME UN SASSO NELLA SCARPA
A due tavoli di distanza l’umore non è migliore. Rita insegna matematica in una scuola secondaria, Sergio è dirigente di un’azienda pubblica. Anche loro, come Vincenzo e Agnese, mi chiedono con insistenza di omettere i loro cognomi. Per Rita, queste elezioni anticipate sono “fastidiose come un sasso nella scarpa”. “Con Draghi avevamo un ottimo capo di governo”. Sarebbe dovuto rimanere fino alla fine della legislatura, nella primavera 2023, “ma i partiti non gliel’hanno permesso”. Rita teme che dopo il voto, e la probabile vittoria dell’alleanza dei partiti di destra, le cose non miglioreranno, anzi si faranno più complicate. Secondo lei, l’Italia ha già perso la credibilità agli occhi dell’Europa conquistata grazie a Draghi.
Nel resto del paese lo stato d’animo non è diverso rispetto alla spiaggia di Ostia. Nei sondaggi più del 60 per cento dei cittadini dichiara di avere molta o moltissima fiducia in Mario Draghi. Dopo le sue dimissioni, quasi il 70 per cento degli italiani ha detto di guardare “con grande preoccupazione” alla prospettiva di elezioni anticipate. Nonostante questa preoccupazione, secondo gli stessi sondaggi, dopo il voto del 25 settembre i tre partiti di destra potranno contare su almeno il 45 per cento dei voti e quindi su una netta maggioranza parlamentare. Del resto, il partito di destra dato attualmente in testa, il postfascista Fratelli d’Italia guidato da Giorgia Meloni, è sempre stato all’opposizione del governo Draghi.
Gli altri due partiti di destra, Forza Italia di Silvio Berlusconi e la Lega, il partito populista di Matteo Salvini, pur facendo parte della coalizione d’emergenza guidata dall’ex capo della Banca centrale europea, hanno contribuito alla sua brusca fine non partecipando al voto di fiducia. Ma né Salvini né Berlusconi hanno rivendicato una rottura con Draghi. Hanno semplicemente sostenuto che gli altri partiti della coalizione, cioè il Movimento 5 stelle e il Partito democratico (Pd), che rappresenta la sinistra moderata, non erano abbastanza affidabili per proseguire la collaborazione al governo. Insomma, l’immagine di Draghi come uomo di grande competenza, al di sopra delle parti e perciò in grado di gestire la crisi, è rimasta sostanzialmente intatta tra gli elettori di tutti gli schieramenti politici.
GLI INDECISI
Un altro dato importante è che attualmente la maggioranza più ampia è formata dagli astensionisti e dagli indecisi: tutti i sondaggi li collocano intorno al 40 per cento. Tra loro ci sono i delusi, gli scettici, quelli che hanno già votato tutti i partiti senza vedere i risultati sperati.
Uno stato d’animo che non sorprende, in un paese la cui economia ristagna ormai da trent’anni e che sul piano delle dinamiche salariali è molto lontano dalla media europea. Mentre negli ultimi tre decenni i salari sono aumentati in tutto il continente (in Germania, per esempio, del 37 per cento), in Italia sono addirittura calati del 2 per cento rispetto al 1990.
In passato le elettrici e gli elettori italiani hanno spesso riposto le loro speranze in autoproclamati salvatori del paese: Silvio Berlusconi, che ha ottenuto la sua ultima, netta vittoria elettorale nel 2008 con la promessa di “un nuovo miracolo italiano”; l’ex leader del Pd Matteo Renzi, che ha raggiunto il 40 per cento alle elezioni europee del 2014 con promesse di cambiamento simili; o il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, che diceva agli italiani di fare pulizia nella politica e alle legislative del 2018 ha conquistato il 33 per cento dei voti.
Ebbene, nell’attuale legislatura i cinquestelle hanno fatto parte di tre coalizioni diverse, e in due hanno perfino espresso il presidente del consiglio, Giuseppe Conte. Ma neanche il partito di Grillo si è mostrato all’altezza delle aspettative degli elettori: oggi i sondaggi lo danno al 10 per cento.
*(Fonte Internazionale : Michael Braun, Die Zeit, Germania)

 

b – JOHN FOOT*: GIORGIA MELONI E IL PASSATO CHE RITORNA – LA LEADER DI FRATELLI D’ITALIA, FAVORITA ALLE ELEZIONI, NON SARÀ FASCISTA, MA RIEVOCA TEMPI BUI DELLA STORIA DEL PAESE.
E la sua vittoria sarebbe una minaccia per la democrazia in Europa. A Ferragosto in genere gli italiani sono in vacanza e la politica è un tabù. Non quest’anno. L’Italia è sprofondata in un’insolita elezione estiva (si vota il 25 settembre), dopo la caduta a luglio del fragile governo di coalizione. Ora non si fa che parlare di accordi, candidati, collegi elettorali e baratti. Le vacanze italiane sono rovinate.
A meno di un improbabile miracolo politico, Giorgia Meloni diventerà presidente del consiglio. Sarà un momento storico per l’Italia e per l’Europa: Meloni è a capo del partito populista e di estrema destra Fratelli d’Italia, erede diretto del Movimento sociale italiano (Msi), formazione neofascista con cui condivide la fiamma nel simbolo. Uno dei paesi centrali dell’eurozona sarà governato da una coalizione di centrodestra, in larga misura euroscettica ostile agli immigrati. L’alleanza tra Meloni, la Lega di Matteo Salvini e i resti di Forza Italia, il partito dell’ottantacinquenne Silvio Berlusconi, otterrà quasi certamente un’ampia maggioranza.
La sinistra è debole e divisa, e i legami con quel che resta dell’ultra populista Movimento 5 stelle (M5s, che a giugno si è scisso) si sono spezzati. In assenza di alleanze larghe, nel sistema elettorale italiano misto e complesso – anche dopo il taglio del numero di parlamentari decretato da una battaglia dei cinquestelle culminata in un referendum – l’opposizione appare in condizioni disastrose. Il governo dell’ex banchiere Mario Draghi era molto popolare, ma era destinato a concludersi senza lasciare alcuna eredità politica.
La lunga agonia di governi d’emergenza e fragili coalizioni sembra prossima alla fine. Il governo di Meloni durerà a lungo, a meno di scandali o crisi economiche, da non escludere. Alcuni hanno osservato il paradosso della sua affermazione proprio mentre ricorre il centesimo anniversario della prima presa del potere da parte dei fascisti in Italia: la marcia su Roma di Benito Mussolini, avvenuta nell’ottobre 1922, che segnò l’inizio della fine per la democrazia italiana e la nascita di un regime autoritario durato vent’anni. Ma, diciamolo subito con chiarezza, Meloni non è fascista. Non si metterà a capo di gruppi armati in camicia nera e non cercherà di rovesciare la democrazia liberale. Al di là di questi elementi di base, però, i segnali sono preoccupanti per l’Italia, per l’Europa e per la democrazia. Meloni e Salvini sono populisti della stessa specie di Viktor Orbán, Nigel Farage e Marine Le Pen. Hanno costruito il loro successo sulla promessa di grandi tagli alle tasse che favoriscono i più ricchi, una retorica nazionalista contro gli immigrati e i rifugiati (con cenni alla teoria della grande sostituzione) e su discorsi antieuropei. Tutto questo si è svolto in gran parte sui social network, dove Meloni e Salvini sono utenti esperti, a differenza di Berlusconi, che non è mai andato oltre la tv, di gran lunga il suo mezzo di comunicazione preferito.
IL PIÙ PERICOLOSO
Mentre Meloni nega ufficialmente e con rabbia qualsiasi legame con il fascismo, la base del suo partito annovera molti militanti “nostalgici” del regime di Mussolini.
Esempi di questi legami (slogan, statue, saluti) sono comuni e spesso liquidati come mero folclore, niente di serio, solo apparenza. I consiglieri nelle amministrazioni locali del partito di Meloni sono spesso stati visti fare il saluto romano, lodare Mussolini e abbandonarsi a un razzismo esplicito. L’immagine moderata che Meloni ha coltivato con attenzione per anni non sempre sembra essere stata comunicata alla base del movimento.
Oltretutto l’Italia è un paese segnato per decenni da guerre della memoria, spesso intorno a monumenti legati alla seconda guerra mondiale e alle rivolte degli anni settanta. È chiaro che la riabilitazione di quel passato, l’idea che “Mussolini ha fatto molte cose buone”, riacquisterà credito se Meloni diventerà capo del governo. Probabilmente però è Salvini il personaggio più pericoloso. Il suo mandato da ministro dell’interno è stato segnato da una politica caotica sui flussi migratori, con il divieto illegale di attracco nei porti italiani imposto alle imbarcazioni di migranti. In qualsiasi nuovo governo è probabile che il leader leghista avrà un ruolo importante.
Dopo l’invasione dell’Ucraina, sia Salvini sia Meloni hanno fatto rapidamente marcia indietro sui loro legami con Mosca e sul sostegno che in passato avevano manifestato al presidente russo Vladimir Putin. Nonostante questo, la politica estera italiana promette di essere molto più morbida nei confronti del Cremlino dopo le elezioni. Nel corso della crisi ucraina, Berlusconi ha invece continuato a farsi portavoce del suo vecchio amico Putin. È facile liquidare l’ex presidente del consiglio come un personaggio da barzelletta, ma la sua influenza continua a pesare.
La democrazia italiana sopravvivrà a Meloni e l’Italia resterà nell’Unione europea e nell’eurozona, ma potrebbe riportare gravi danni, soprattutto se la bellissima costituzione antifascista italiana sarà modificata. Meloni ha detto di volere l’elezione diretta del presidente della repubblica.
Nessuno sa quali saranno gli effetti del drastico taglio dei parlamentari (approvato in nome di una populista “riduzione dei costi della politica”) sul sistema italiano, ma con ogni probabilità si avrà un parlamento molto più conservatore, a maggioranza maschile e vecchio.
In Europa nascerà una nuova coalizione tra l’Italia, l’Ungheria e la Polonia, con
forti legami con le idee e gli slogan degli Stati Uniti di Donald Trump. Meloni e Salvini non hanno risposte per l’infinita crisi economica dell’Italia, a parte incolpare l’Europa, i migranti, i banchieri e Soros.
Le loro proposte di flat tax (un’imposta sul reddito ad aliquota unica) con ogni probabilità peggioreranno le cose. Giorni più bui attendono l’Italia, dopo le rovine e le divisioni provocate dalla pandemia, i cui effetti si fanno ancora sentire. La decisione di Meloni di restare fuori dalla coalizione guidata da Draghi le frutterà un ricco raccolto. Ha coltivato con cura l’immagine di madre e patriota. Da quando Berlusconi ha sdoganato politicamente l’estrema destra negli anni novanta, molti ex fascisti sono diventati ministri. Ma la carica più alta non era mai stata occupata da qualcuno proveniente da quella tradizione. Almeno fino a oggi.
*( Fonte Internazionale, John Foot insegna storia italiana all’università di Bristol, nel Regno Unito. Il suo ultimo libro pubblicato in italiano è L’Italia e le sue storie 1945-2019 (Laterza 2019).

 

c – OPINIONI
“L’ Italia ha un problema cronico d’instabilità politica”, scrive El País. “NEGLI ULTIMI 76 ANNI HA AVUTO 67 GOVERNI. E NEGLI ULTIMI VENTI SILVIO BERLUSCONI È STATO L’UNICO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO CAPACE DI RIMANERE IN CARICA PER PIÙ DI DUE ANNI DI SEGUITO. COME MAI NEL PAESE È COSÌ DIFFICILE GOVERNARE?”.
Il corrispondente da Roma del quotidiano spagnolo, Daniel Verdú, spiega che oltre a una legge elettorale che favorisce le coalizioni ma non singoli partiti e a un sistema bicamerale perfetto creato dopo la fine del fascismo per evitare l’ascesa del totalitarismo, c’è un altro problema endemico della politica italiana: il “transfughismo”. Secondo Verdú è questa una delle principali cause dell’instabilità politica del paese, “aggravata dalla mancanza di disapprovazione e sanzioni per chi in parlamento cambia casacca”. Nonostante questo, continua Verdú, “in Italia la mappa molto complessa dei partiti, delle piattaforme e dei blocchi non impedisce che si formino governi, data la grande capacità di raggiungere accordi di coalizione. Il problema, di solito, sorge dentro le coalizioni, com’è successo all’esecutivo guidato da Mario Draghi, caduto a causa degli attriti e dei malumori manifestati dal Movimento 5 stelle”.
Su Politico gli analisti Tommaso Grossi e Francesco De Angelis mettono a fuoco un’altra caratteristica della politica italiana. “Lo storico Donald Sassoon”, scrivono, “aveva definito la presunta immaturità politica lamentata da esperti e intellettuali ‘l’anomalia italiana’. I problemi che il paese deve affrontare sono spesso identificati come parte di questo eccezionalissimo, che impedisce all’Italia di funzionare come altre democrazie occidentali e spiega anche la sua storica predilezione per un leader forte”. Le debolezze istituzionali, aggravate da una legge elettorale che impedisce maggioranze solide in parlamento, hanno definito un’altra caratteristica: il ricorso a leader tecnici in tempi difficili, a spese del patto che nelle democrazie dovrebbe legare governanti e governati.

 

 

 

 

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