n°23 – 04/6/2022 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO.

01 – Adriana Pollice*, Napoli: Berlinguer e l’idea incompiuta di futuro. Nel centenario dalla nascita. Si chiude a Napoli con Vandana Shiva il ciclo di incontri sul leader del PCI organizzato da Infinitimondi.
02 – Paul B. Preciado *: UCRAINA – La guerra è dentro di noi. Mi trovo in una casa in cui tutti i giorni si parla della guerra. Questa casa potrebbe chiamarsi Spagna, Europa o anche mondo. Il mondo umano
03 – Giansandro Merli *: fermare, espellere, redistribuire: la via mediterranea all’immigrazione med5. I ministri dell’interno degli stati costieri preparano le richieste alla commissione. Verso il nuovo patto su immigrazione e asilo, da sud un’unica voce per vincolare l’Europa.
04 – Nel mondo.
05 – Mario Pierro*: Record dell’inflazione al 6,9%, mai così alta dal 1986. LA CRISI. Il caro energia colpisce ancora. E crescono anche i prezzi dei beni alimentari.
06 – Filippo Barbera*: Va al voto il paese della provincia profonda, dove la politica annaspa. L’Italia del 12 Giugno è quella che Arturo Lanzani ha chiamato “Italia di mezzo”: l’Italia dei Comuni, il fondamento per la costruzioni di livelli di governo territoriale

 

01 – Adriana Pollice, NAPOLI*: BERLINGUER E L’IDEA INCOMPIUTA DI FUTURO. NEL CENTENARIO DALLA NASCITA. SI CHIUDE A NAPOLI CON VANDANA SHIVA IL CICLO DI INCONTRI SUL LEADER DEL PCI ORGANIZZATO DA INFINITIMONDI.
Enrico Berlinguer restituito alla sua dimensione storica: seconda giornata, ieri, di Berlingueriana al Circolo Ilva di Bagnoli, organizzato da Infinitimondi. Francesco Barbagallo ha ripercorso la parabola del leader del Pci, tre momenti sembrano estrapolati dal tempo presente. Nel 1973 il paese affronta lo choc petrolifero e la guerra del Kippur: «Berlinguer – ricorda Barbagallo – al Comitato centrale legherà la crisi mondiale all’acuirsi della crisi italiana. All’assemblea dice “precipita fino al fallimento un modello di sviluppo che è stato tra i più fragili e distorti dell’intero mondo capitalistico, venuti meno alcuni dei pilastri su cui era fondato: i bassi salari, lo sconsiderato drenaggio di risorse dal Mezzogiorno”». Nel 1977 si scatena contro il Pci un’offensiva ideologica, l’accusa è di leninismo: «È proprio certo, replicava Berlinguer a Scalfari, che oggi, nel 1978, il problema con il quale dobbiamo confrontarci sia quello di rispondere alla domanda se siamo leninisti o no? Chi ci chiede di emettere condanne e compiere abiure nei confronti della nostra storia ci chiede una cosa al tempo stessa impossibile e sciocca. Non si rinnega la storia, si cerca di capire e rinnovarsi nella continuità».

NEL 1981 su Critica marxista Berlinguer ammoniva: «Se si toglie all’impegno politico la tensione verso l’avvenire e lo si riduce a giochi di potere, polemiche e trattative tra esponenti di partiti, allora si contribuisce ad aggravare una crisi di fiducia che ha già dimensioni allarmanti». Barbagallo però racconta anche cos’è successo nel decennio successivo, con lo sguardo agli intrecci tra economia, politica e criminalità organizzata: «La sinistra veniva da stagioni di battaglie su questo campo. Dagli anni Novanta la lotta ai clan è stata lasciata ai magistrati, la politica locale e nazionale si è disinteressata perché veniva infiltrata a partire dal livello locale, un tratto comune a tutti gli schieramenti. I clan danno lavoro in modo lecito e illecito, anche ai professionisti, e così ottengono consenso. Mentre la sinistra non c’è più: esistono personalità interessate alla carriera. Renzo Lapiccirella si opponeva ad Amendola che gli offrì un posto da deputato nel 1948. La risposta fu: “Mi sono iscritto al Pci per fare politica non per fare il deputato”».

FIAMMA LUSSANA ha indirizzato lo sguardo al di fuori dei confini italiani: «Alla fine del 1979 il presidente dei paesi non allineati, Fidel Castro, lancia dall’Onu un drammatico appello: qual è il destino dei paesi sottosviluppati, morire di fame? A che servono le Nazioni unite? Berlinguer riprende l’appello di Castro nel suo viaggio in America Latina. Al centro dei conflitti non c’è più solo lo scontro tra capitalismo e socialismo ma anche tra paesi industrializzati e sottosviluppati, tra un nord industrializzato su cui soffia la crisi energetica e un sud che muore di fame».

E POI C’È IL DIALOGO CON L’SPD di Willy Brandt, che nel 1980 presenta il suo rapporto alla Commissione Nord-Sud in cui scrive: «La pace è il presupposto dello sviluppo. Tragico che il trasferimento di tecnologie tra paesi ricchi e paesi poveri sia sotto forma di strumenti di morte». Berlinguer, su questo solco, prepara la Carta per la pace e lo sviluppo: «Un programma innovativo – spiega Lussana -. Solo emancipando i due terzi dell’umanità il mondo sarà più sicuro. Il sottosviluppo è uno strumento del capitalismo imperialistico, la politica di potenza si basa sulla corsa alle armi per accaparrarsi l’uso del mondo. La logica dei blocchi si riflette nella tensione tra Est e Ovest, anche l’Urss ha un ruolo negativo nella liberazione dei popoli. È necessario ripensare il mondo con una nuova etica che all’individualismo e al consumismo sostituisca i valori socialisti, una cultura dello sviluppo che abolisca gli sprechi, sia innovativa, dia spazio alla crescita soggettiva. Promotori di questa riforma per Berlinguer sono i soggetti emergenti: donne, giovani, emarginati. È un socialismo rinnovato, senza dogmi: pragmatismo e idealismo rivoluzionario, quello che le socialdemocrazie hanno perduto».

GIANNI CUPERLO mette a fuoco gli ultimi anni di Berlinguer, dalla morte di Aldo Moro alla sua tragica fine nel 1984 durante un comizio a Padova: «L’approdo al governo non era più possibile perché gli interlocutori non erano più disponibili. Così chiude la stagione della solidarietà nazionale e apre quella dell’alternativa democratica. Posiziona quel patrimonio di consenso in un nuovo tempo che apre a categorie di pensiero e parti della società ricollocate nella storia del Pci: pacifismo, disarmo, femminismo, ecologismo, battaglie civili. Noi generazione venuta dopo non siamo stati all’altezza».

ALDO TORTORELLA è stato testimone di quel percorso: «Berlinguer era un fermissimo sostenitore del togliattismo, cioè del passaggio dalla dittatura del proletariato alla democrazia progressiva. Quando gli stati alleati occidentali si schierarono contro la partecipazione del Pci al governo e il dialogo si trasformò in un mediocre compromesso per il sostegno di un esecutivo Dc il cui capo venne ucciso, Berlinguer capì che serviva un’altra linea. La questione morale è un invito a tornare alla fonte dei propri principi, gli ideali socialisti e quelli del cristianesimo di base. Ecologismo, femminismo, pacifismo, disarmo sono le parole d’ordine. Il sistema capitalistico aveva vinto sulla quantità ma non sulla qualità dello sviluppo, vinto la guerra sui mezzi di consumo e di produzione ma non nei rapporti tra le persone. È la critica al capitalismo dentro al patriarcato, come forma tragica di dominio».

ERANO I SEMI di un futuro che non si è realizzato: «Una parte del partito non voleva stare all’opposizione in eterno – prosegue Tortorella -, voleva una nuova forma per togliersi il fardello della propria storia e andare al governo. Mente Berlinguer rivendica la storia del Pci lavorando a una politica nuova. Nel 1980 va ai cancelli della Fiat e dice agli operai “se voi lo decidete noi saremo dalla vostra parte” cioè se voi decidete, anche se sbagliate, saremo al vostro fianco. Altri credevano in politiche che gli operai non capivano mentre subivano un attacco ai loro diritti. Una parte dei compagni pensava che la questione fondamentale fosse l’accesso al governo per fare il bene dei lavoratori, non è andata così».
HANNO PARTECIPATO alla giornata di dibattiti Pierluigi Totaro, Anna Maria Carloni e Franca Chiaromonte, Vincenzo Vita, Roberto Esposito e Michele Grimaldi, Giacomo Di Gennaro e Leandro Limoccia, Alberto Diaspro, Ugo Leone, Peppe De Cristofaro e Maria Monticelli. Oggi alle 9.30 lectio di Vandana Shiva. Alle 11.30 Una politica per la pace con Antonio Bassolino, Maria Luisa Boccia, Pietro Folena, Marco Fumagalli, Alessandro Genovesi, Luciana Castellina.
*( Fonte Il Manifesto. Adriana Pollice, giornalista)

 

02 – Paul B. Preciado *: UCRAINA – LA GUERRA È DENTRO DI NOI. MI TROVO IN UNA CASA IN CUI TUTTI I GIORNI SI PARLA DELLA GUERRA. QUESTA CASA POTREBBE CHIAMARSI SPAGNA, EUROPA O ANCHE MONDO. IL MONDO UMANO.
Mio nonno mi raccontava la battaglia dell’Ebro (la più grande battaglia della guerra di Spagna tra gli eserciti repubblicani e le truppe franchiste, che nel 1938 ha accelerato la fine della guerra civile e delle speranze per la Repubblica spagnola) e mi lasciava toccare le ossa delle sue gambe, colpite dai frammenti di granate. Per le mie dita di bambino erano come un libro dell’orrore in braille. Le bombe a frammentazione come quelle penetrate nelle sue gambe erano state inventate attorno al quattordicesimo secolo dalla dinastia Ming. In Cina queste bombe venivano fabbricate condensando olio, sale d’ammonio, succo di scalogno, frammenti di ferro e pezzi di porcellana attorno a un nucleo di polvere da sparo, in modo da creare una palla di ferro fuso che veniva incendiata e scagliata. Scoppiando, squarciava i corpi dei nemici. In seguito il succo di scalogno è stato eliminato dalla palla di fuoco, ma le bombe hanno continuato a spargere pezzi di porcellana ovunque. Niet voyne! (in russo, “No alla guerra!”)

In un villaggio a nord dell’Ebro, in una delle poche case rimaste in piedi dopo i bombardamenti della legione Condor del terzo reich, mia nonna mi preparava ogni pomeriggio una fetta di pane imburrato superlativa: “Spero, figlia mia, (all’epoca tutto il mondo pensava che fossi una bambina e si rivolgeva a me in questo modo), che tu non conosca mai la fame della guerra”. Mia madre, erede di quella paura e nata durante gli anni della seconda guerra mondiale, ha costruito nella nostra casa un’enorme dispensa con conserve, olio, zucchero, riso, vino, fornelli, candele e pacchi di fiammiferi. Nel caso in cui la guerra ricominciasse. Entrare nella dispensa della nostra casa significava assaporare il terrore della guerra e al contempo rassicurarsi contando le riserve. Questo deposito del terrore avrebbe potuto chiamarsi Spagna o Ucraina, Moldova o Finlandia, Europa o anche mondo. Il mondo umano. Niet voyne!

Violenza di stato
Per anni mio padre, quando davanti alla televisione riceveva la notizia di qualsiasi manifestazione repressa dalla polizia, concludeva: “La guerra sta tornando”. Come se la guerra non fosse mai andata via, ma si fosse soltanto nascosta tra noi, pronta ad approfittare del minimo conflitto per ritornare. A causa delle sue preghiere invocatorie, dei suoi riti dissuasivi e dei suoi avvertimenti anticipati non ho mai veramente creduto a quello che ci insegnavano nei libri di storia a scuola, ovvero che dopo la seconda guerra mondiale vivevamo in un’Europa immune al rischio di conflitti. L’Europa poteva anche essere stata pacificata, ma la guerra era sempre tra noi. La guerra torna sempre perché non scompare mai davvero. La guerra è sempre con noi, nella nostra dispensa, nella nostra porcellana spaccata, dentro la nostra televisione, nelle nostre ossa. Portiamo la guerra dentro di noi. Niet voyne!

La guerra era sempre lì nella retorica nazionalista contro senzatetto e lavoratori del sesso. Nello sfruttamento economico delle classi operaie

La guerra era sempre lì. Così mia madre, la donna che ammassava cibo per impedirmi di morire di fame, mi spiava e mi denigrava pensando che io fossi un essere contro natura, né uomo né donna. La guerra era anche a scuola nel modo in cui i bambini “poveri” e gli “idioti” (di cui facevo parte) venivano affidati alle cure dei preti e dei religiosi. La guerra era sempre lì quando una delle mie amiche è stata violentata da un gruppo di ragazzi all’uscita di una discoteca. L’ultimo ad averla stuprata le si è attaccato al volto dicendole: “Sei fortunata che non ti abbiamo ammazzata”.

La guerra era anche nella retorica nazionalista contro i senzatetto e i lavoratori del sesso. Nello sfruttamento economico delle classi operaie. Nel modo in cui gli spagnoli trattavano i migranti arrivati dall’Africa o dall’America Latina. Li chiamavano mori, negri, sudacas. E gli facevano la guerra: non avevano il diritto di affittare case né di lavorare legalmente né di parlare in pubblico. La guerra è proseguita nelle cucine e nelle case, nelle fabbriche, negli ospedali psichiatrici, nelle carceri. Ho scoperto che la guerra andava avanti anche nella violenza dello stato, da una parte, e in quella dell’Eta (l’organizzazione armata per l’indipendenza dei Paesi Baschi sciolta nel 2018), dall’altra. Nel nostro paesino i fascisti e quelli dell’Eta erano metà e metà, quasi alla pari. La scelta non era facile. La fuga invece sì. E quindi sono partito. Niet voyne!

I MASSACRI NON HANNO FRONTIERE
La guerra abita con noi, nelle nostre case. Il nazionalismo, la misoginia e il razzismo riempiono le dispense del terrore che alimentano la guerra. Gli europei, gli americani, i russi… dicono di essere pacificati, ma per anni, al di là delle loro frontiere, hanno continuato a lanciare palle di fuoco che spaccano le ossa del nemico: guerre coloniali, post-coloniali, neocoloniali. Algeria, Eritrea, Biafra, Mali, Sudan, Sudafrica, Golfo, Iraq, Afghanistan, Kurdistan, Siria, Ucraina. Per anni ho cercato di capire perché, nel 1933 e durante la guerra civile spagnola, l’Inghilterra e la Francia non abbiano ritenuto necessario mobilitarsi in favore della Repubblica, quando le forze ribelli di Franco erano invece sostenute militarmente dalla coalizione fascista. La Francia e il Regno Unito non si sono preoccupati della Spagna, perché non capivano che quella guerra era il loro futuro.

Esiste un punto in comune tra la passività di fronte alla guerra di Spagna e in Ucraina: l’idea che si possa sacrificare un paese pur di garantire la pace in Europa

Nel caso dell’invasione dell’Ucraina potremmo pensare che la situazione sia molto diversa da quella della Spagna degli anni trenta. D’altronde i governi europei hanno espresso un sostegno simbolico a Kiev, l’embargo contro la Russia diventa sempre più duro e gli Stati Uniti e il Regno Unito vogliono inviare armi per sostenere il governo di Zelenskyj. E invece esiste un punto in comune tra la passività davanti alla guerra di Spagna del 1933 e il rifiuto di “intervenire” nel conflitto ucraino di oggi: l’idea secondo cui si possa anche sacrificare l’Ucraina a condizione che la guerra non entri in Europa, l’idea che nutrire la guerra in Ucraina inviando armi significhi preservare la pace in Europa e impedire una terza guerra mondiale, come se questa guerra (al pari di tutte le altre guerre del secolo) non fosse la solita vecchia guerra che non finisce mai. Non ci sono, non ci sono mai stati e non ci saranno mai confini per i massacri, i flussi di profughi, gli stupri, la fame… Non ci saranno mai frontiere per le radiazioni nucleari. Niet voyne!

L’unico modo per vincere la guerra è fermare la guerra. L’unico modo per lottare contro il fascismo, il nazionalismo, il razzismo e la misoginia è interrompere la produzione di armi e costringere la Russia a fermare l’invasione. Non dobbiamo inviare armi. Dobbiamo inviare delegazioni di pace in Russia e Ucraina. Dobbiamo occupare pacificamente Kiev, Leopoli, Mariupol, Charkiv, Odessa. Dobbiamo andare tutti e tutte. Soltanto milioni di corpi non ucraini e non armati possono vincere questa guerra. Vi sento già rispondere che la mia è una posizione utopica. Ma in realtà è qualsiasi altra soluzione a essere distopica. Niet voyne!
*(Traduzione di Andrea Sparacino – Paul B. Preciado, Libération, Francia)

 

03 – Giansandro Merli *: FERMARE, ESPELLERE, REDISTRIBUIRE: LA VIA MEDITERRANEA ALL’IMMIGRAZIONE MED5. I MINISTRI DELL’INTERNO DEGLI STATI COSTIERI PREPARANO LE RICHIESTE ALLA COMMISSIONE. VERSO IL NUOVO PATTO SU IMMIGRAZIONE E ASILO, DA SUD UN’UNICA VOCE PER VINCOLARE L’EUROPA.

Se i vertici internazionali sulle politiche sanitarie non citassero i malati o quelli sulla scuola facessero altrettanto con gli studenti assomiglierebbero agli incontri dei ministri dell’Interno che discutono di immigrazione. Nella conferenza stampa finale del quarto appuntamento di Med5, conclusosi ieri a Venezia, nessun intervento ha fatto cenno ai migranti in quanto soggetti titolari di diritti. Al centro solo le esigenze degli Stati costieri di fermare le partenze, espellere gli irregolari e redistribuire tra gli altri paesi membri chi sbarca e ha diritto a rimanere. La richiesta è che, come per i profughi ucraini ma con esiti ben diversi, si stabilisca una responsabilità comune europea anche su chi arriva dal mare.

OLTRE ALLA TITOLARE del Viminale Luciana Lamorgese erano presenti i quattro omologhi dell’Europa mediterranea: Fernando Grande-Marlaska Gómez (Spagna), Notis Mitarachi (Grecia), Byron Camilleri (Malta) e Nicos Nouris (Cipro). Ai lavori hanno partecipato anche i ministri dell’Interno francese Gérald Darmanin e quello ceco Vít Rakušan: i due paesi si daranno il cambio nella presidenza di turno del Consiglio dell’Ue.

Obiettivo di Med5 – riunitosi da marzo 2021 ad Atene, Malaga e in videoconferenza – è portare con un’unica voce le richieste dei paesi costieri nel negoziato per il Nuovo patto europeo sulla migrazione e l’asilo, cioè il documento programmatico con cui la Commissione stabilisce le linee guida sulle politiche migratorie dei prossimi anni. Il primo testo è stato presentato il 23 settembre 2020.

I CINQUE STATI COSTIERI, che significativamente si autodefiniscono la «linea del fronte» davanti al «problema strutturale dell’immigrazione», puntano a riequilibrare le misure di responsabilità e solidarietà. Le prime, come le procedure d’asilo accelerate lungo le frontiere esterne o il controllo dei movimenti secondari, pesano maggiormente sui paesi di approdo. Le seconde non hanno nulla a che fare con i migranti: nel contesto delle politiche migratorie europee la parola «solidarietà» rimanda agli impegni reciproci a tutela degli interessi statali. Su questo la principale richiesta che viene dal Mediterraneo è creare meccanismi obbligatori di redistribuzione dei profughi.

I cinque ministri hanno valutato positivamente le dimostrazioni di intenti della presidenza francese e il suo modello di negoziazione «step by step», che prevede uguali passi in avanti sulle questioni legate alla responsabilità e su quelle di solidarietà. Unanimemente, però, chiedono impegni concreti e fatti. La strada è in salita. Da un lato il blocco principale alla redistribuzione è sempre venuto dai paesi di Visegrád, che in questa fase sono interessati da ben altri flussi migratori: milioni di ucraini in fuga dall’invasione di Putin. L’altro ieri l’ambasciatrice polacca in Italia ha detto che il suo paese accoglie 3,7 milioni di profughi. Recentemente Frontex ha rilevato una tendenza al controesodo, ma al momento è impossibile prevedere quanti resteranno all’estero e dove al termine del conflitto, ammesso che ciò avvenga in tempi rapidi. Da Est faranno pesare questo fatto nei negoziati.

ALTRI OSTACOLI vengono dai paesi dell’Europa del centro e del nord: non sono interessati da sbarchi ma registrano alte richieste di asilo perché molti migranti si «ricollocano» autonomamente, semplicemente continuando il viaggio. Oltre un quarto delle 535 mila richieste di protezione presentate in Europa nel 2021 sono arrivate in Germania (148.200), seguita dalla Francia (103.800). Solo dopo si piazzano Spagna (62.100) e Italia (43.900), poco sopra la ben più piccola Austria (36.700).

Dove più facile può essere l’accordo, almeno di principio, con gli altri Stati membri è su espulsioni e blocco delle partenze attraverso la cooperazione con i paesi di origine e transito. Rispetto ai primi, la ministra Lamorgese ha citato i casi di Bangladesh ed Egitto da cui provengono un terzo dei 20 mila migranti sbarcati in Italia nel 2022. Per il transito il ministro greco ha più volte sottolineato l’importanza del modello turco: pagare miliardi a un regime autoritario perché fermi le partenze. Poco importa che simili politiche restringano globalmente il diritto d’asilo e comportino lungo tutte le rotte migratorie violazioni dei diritti e terribili violenze. Come in Libia, dove i finanziamenti italiani ed europei sostengono un inferno fatto di intercettazioni in mare e detenzioni a terra. Nella realpolitik non c’è spazio per gli esseri umani.
*( Giansandro Merli, redattore di Dinamo Press)

 

04 – NEL MONDO.

Regno Unito
Il 2 giugno la regina Elisabetta II, 96 anni, si è affacciata per due volte al balcone di Buckingham palace, acclamata da decine di migliaia di persone, nel primo giorno di celebrazioni per i suoi settant’anni di regno. La regina, un po’ affaticata, ha rinunciato a partecipare alla messa del 3 giugno nella cattedrale di San Paolo.

Ucraina-Russia
Il 2 giugno il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ha affermato che le forze russe hanno assunto il controllo del 20 per cento del territorio dell’Ucraina, che corrisponde a quasi 125mila chilometri quadrati. Attualmente l’offensiva è concentrata sul Donbass, nell’est del paese, e in particolare sulla città strategica di Sjevjerodoneck, che l’esercito di Mosca “occupa all’80 per cento”.

Danimarca
Il 66,9 per cento degli elettori ha approvato il 1 giugno un referendum sulla partecipazione del paese alla cooperazione dell’Unione europea in materia di difesa, revocando una clausola di esenzione che risaliva al 1992. Il referendum era stato indetto dalla premier socialdemocratica Mette Frederiksen dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

Stati Uniti
Il 2 giugno, dieci giorni dopo la strage compiuta da un ragazzo di diciotto anni in una scuola elementare a Uvalde, in Texas, il presidente Joe Biden ha lanciato un appello al congresso affinché agisca per limitare la vendita dei fucili d’assalto. Biden ha definito “inammissibile” il rifiuto della maggior parte dei deputati e senatori repubblicani di accettare qualunque modifica delle norme attuali.

Yemen
Le Nazioni Unite hanno annunciato il 2 giugno che il governo e i ribelli huthi hanno prorogato per altri due mesi la tregua in vigore dal 2 aprile. La tregua prevede anche la riapertura dell’aeroporto della capitale Sanaa ai voli commerciali, la rimozione degli ostacoli agli approvvigionamenti di carburante e la revoca dei blocchi imposti ad alcune città.

Tunisia
Il 1 giugno il presidente Kais Saied, che ha assunto i pieni poteri nel luglio 2021, ha destituito cinquantasette magistrati accusati di “corruzione”, “protezione dei terroristi”, “collusione con i partiti politici” e “molestie sessuali”. Secondo l’opposizione, si tratta di “un regolamento di conti contro la magistratura”. Il governo statunitense ha espresso la sua preoccupazione per un provvedimento che “mina le istituzioni democratiche del paese”.

 

05 – MARIO PIERRO*: RECORD DELL’INFLAZIONE AL 6,9%, MAI COSÌ ALTA DAL 1986. LA CRISI. IL CARO ENERGIA COLPISCE ANCORA. E CRESCONO ANCHE I PREZZI DEI BENI ALIMENTARI
Continua la corsa dell’inflazione, spinta dal caro-energia. Per l’Istat ha segnato a maggio 2022 il record dai tempi della lira, dal marzo 1986, quando era a +7%, rileva l’Istat. L’indice nazionale dei prezzi al consumo, al lordo dei tabacchi, è aumentato dello 0,9% su base mensile e del 6,9% su base annua, contro il +6% di aprile. Pesano i beni energetici (+42,2%, contro il +39,5% del mese precedente); i beni ad alta frequenza di acquisto come quelli alimentari. «Gli elevati aumenti dei prezzi dei beni energetici – sottolinea l’Istat – continuano a essere il traino dell’inflazione e le loro conseguenze si propagano sempre più agli altri comparti merceologici, i cui accresciuti costi di produzione si riverberano sulla fase finale della commercializzazione».
La crescita acquisita del prodotto interno lordo (Pil) si attesterebbe al 2,6%, contro il precedente 2,2%. Dunque si registra un aumento. La revisione, sostiene l’Istat è «in linea con le più recenti stime del ministero dell’Economia e delle Finanze e porta al 2,6% la crescita acquisita per il 2022, ovvero quella che si realizzerebbe se il pil restasse invariato da qui a fine anno», ha commentato il ministero dell’economia e delle finanze (Mef) secondo il quale è previsto entro giugno «un significativo aumento del Pil sul primo trimestre che metterebbe il percorso di crescita annua in linea con la previsione del Documento di economia e finanza (Def) o quantomeno prossimo ad essa». Per i trimestri successivi, ha sottolineato via XX settembre, «sarà fondamentale dare piena attuazione alle misure predisposte con i recenti decreti e proseguire nel percorso di realizzazione delle riforme e degli investimenti previsti dal Pnrr».
A trainare la crescita non sono i consumi ma gli investimenti. l’Istat rileva una diminuzione dello 0,6% dei consumi finali nazionali, a fronte di un aumento del 3,9% degli investimenti fissi lordi; le importazioni e le esportazioni sono cresciute, rispettivamente, del 4,3% e del 3,5%.
*(Fonte : Il Manifesto, Mario Pierro, giornalista)

 

06 – FILIPPO BARBERA*: VA AL VOTO IL PAESE DELLA PROVINCIA PROFONDA, DOVE LA POLITICA ANNASPA. L’ITALIA DEL 12 GIUGNO È QUELLA CHE ARTURO LANZANI HA CHIAMATO “ITALIA DI MEZZO”: L’ITALIA DEI COMUNI, IL FONDAMENTO PER LA COSTRUZIONI DI LIVELLI DI GOVERNO TERRITORIALE
Le elezioni amministrative del prossimo 12 Giugno costituiscono un passaggio importante per l’analisi del panorama politico. I numeri raccontano, in parte, il perché. Vanno al voto 978 Comuni, pari al 12,4% dei 7.904 complessivi. Quasi 9 milioni di persone, poco meno del 20% degli aventi diritto. Sono tanti o sono pochi? Ciò che più conta non è (solo) quanti sono, ma dove sono.

Le regioni con la percentuale più elevata di elettori sul totale della popolazione regionale sono Liguria, Lombardia, Sicilia, Veneto e Calabria. Si tratta, poi, per il 14,5% di “comuni superiori” (più di 15.000 abitanti) e per l’85,5% di “comuni inferiori” (meno di 15.000 abitanti). Superano i 100.000 abitanti solo le città di Genova, Messina, Monza, Padova, Palermo, Parma, Piacenza, Taranto e Verona. Abbiamo poi 26 capoluoghi di provincia e 4 capoluoghi di regione: Catanzaro, Genova, L’Aquila, Palermo. La distribuzione copre il territorio nazionale, con 18 regioni su 20 al voto.

L’Italia del 12 Giugno è dunque quella che Arturo Lanzani ha chiamato “Italia di mezzo”: l’Italia dei Comuni che su questo giornale abbiamo indicato come il fondamento per la costruzioni di livelli di governo territoriale adatti alle caratteristiche insediative, morfologiche e storico-sociali del Paese. “Italia di mezzo”: una categoria residuale che include piccoli comuni, città medie, ma anche “provincia”, aree periurbane, zone metro-rurali e metro-montane, coste e fondovalle.

Per collocazione dimensionale e territoriale, quindi, le elezioni del 12 Giugno saranno elezioni italiane. Come ricorda Arnaldo Bagnasco nello “speciale” città medie al voto che con Francesca Lacqua abbiamo curato per “Il Mulino”, da sempre gli storici hanno riconosciuto alle città un significato di primo piano per capire la società italiana. È quindi paradossale che più di recente sia mancata la precisa percezione politica del loro significato strutturale nella società nazionale. Diversamente da altri Paesi europei con cui di solito ci confrontiamo, in Italia è mancata una vera politica nazionale per le città che riconosca e sostenga il loro ruolo specifico. Anche in queste elezioni se ne sentirà la carenza – e se ne sconteranno gli effetti sulle condizioni in cui le città si presentano alle elezioni – conclude Bagnasco.

Se anche queste elezioni presenteranno elevati tassi di astensionismo, come le ultime amministrative nelle grandi città italiane, non si dovranno “incolpare” gli elettori. È questa l’indicazione che emerge dal perspicuo ritratto di Torre Annunziata, i cui cittadini non si recheranno alle urne perché l’amministrazione comunale è stata sciolta per infiltrazione camorristica: “si sente dire spesso che la «colpa è dei torresi che non sanno votare». Ma la successione di fatti che ho descritto parla d’altro.

Torre Annunziata, città amministrata dal 1995 ad oggi ininterrottamente da coalizioni politiche di centro sinistra (dall’Ulivo in poi), rappresenta oggi piuttosto la coscienza sporca della sinistra. E numerosi sono stati i torresi che sono morti: piccoli commercianti o semplici cittadini che sono stati uccisi in modo brutale – nel negozio, sulla soglia di casa, per strada – per essersi ribellati al sopruso o che sono stati colpiti da proiettili vaganti”.

L’esercizio della democrazia ha le sue radici più profonde nelle città e, in generale, nei luoghi di vita delle persone. La crisi dei partiti, con le derive populiste e personalistiche che conosciamo, insieme alla crescita di sfiducia e astensionismo, è collegata alla carenza di radicamento locale della politica, come racconta il caso di Torre Annunziata. Il radicamento locale dell’esercizio democratico non è indipendente dal ruolo che le città medie possono svolgere per la gestione di strategie di sviluppo di “area vasta”. Come riporta, per esempio, il caso di Alessandria, città che ha dichiarato default nel 2012.

Si tratta di un ruolo davvero difficile da interpretare e che mette in luce come il rischio della disaffezione politica, se non del voto a destra, sia connesso alla scarsa capacità dell’Italia di mezzo di svolgere il ruolo di perno del sistema d’area vasta di cui fa parte. Le città medie non sono poli isolati e autonomi, ma costituiscono nodi di sistemi territoriali che, nella loro diversità, chiamano in causa le interconnessioni tra aree metropolitane, città medie, aree produttive, aree agricole e naturali. La loro minore o maggiore capacità strategica di area vasta ha conseguenze importanti per la loro “politica interna”. Anche per questo, l’esito del 12 Giugno sarà un segnale per tutto il Paese.
*( Filippo Barbera. Professore/ ordinario/a. Dipartimento di Culture, Politica e Società; SSD: SPS/09 – sociologia dei processi.)

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