n°22 – 28/5/2022 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO.

01 – Schirò* (pd): sulla doppia cittadinanza italo-spagnola sono nuovamente intervenuta con una comunicazione al sottosegretario agli esteri Della Vedova.
02 – Schirò e Porta* (pd): per la riduzione dell’Imu è sufficiente un pro-rata di pensione
03 – Schirò e Porta (Pd) – agevolazioni “rientro cervelli”: l’agenzia delle entrate illustra e chiarisce.
04 – Giacomo Finzi, Susanna De Guio, BOGOTA’*, Voto «Histórico» per il blocco progressista. Così Petro va. Colombia che cambia. Avanti al primo turno con il 40,1%. La destra si ricompatta dietro al populista Hernández
05 – Claudio Vercelli*: Boris PAHOR, la travolgente esegesi della civiltà di frontiera. Scomparso a 108 anni lo scrittore e intellettuale sloveno di Trieste. Nel suo percorso, l’antifascismo, la memoria del ’900, i conflitti di una terra ferita, la sfida per la convivenza, Nel corpo della sua opera la sostanza di una riflessione sulla materia di cui sono fatte le relazioni interculturali, vivendo nella sua persona la presenza di più matrici intellettuali.
06 – Como MAIE proponemos la libertad de conciencia, para que cada ciudadano italiano analice y vote según su propia manera de ver cada punto de este referendum. Aqui están los puntos.
07 – Ascanio Celestini*: La tribù bianca e l’ideologia delle «guerre giuste». Incontro con Alex Zanotelli, una vita dalla parte degli ultimi: «Con una mano diamo aiuti, con l’altra vendiamo armi». Ucraina e non-violenza? «Dovevamo pensarci nel 2014».
08 – Il Premio Sila a Luciana Castellina, una «carriera» da diversamente comunista. COSENZA. Premio Sila ’49 «alla Carriera» a Luciana Castellina che incanta il pubblico: «Andate là dove accadono le cose, non siate mai sudditi ma cittadini protagonisti»

 

01 – SCHIRÒ* (PD): SULLA DOPPIA CITTADINANZA ITALO-SPAGNOLA SONO NUOVAMENTE INTERVENUTA CON UNA COMUNICAZIONE AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI DELLA VEDOVA. 24 maggio 2022
Sono nuovamente intervenuta sulla questione del riconoscimento della doppia cittadinanza per gli italiani che risiedono in Spagna, una delle comunità di connazionali che ha conosciuto una costante e significativa espansioni negli ultimi anni.
Ho scritto, infatti, una lettera al Sottosegretario agli Affari esteri, Benedetto Della Vedova, che nell’agosto dello scorso anno aveva risposto alla mia interrogazione sull’argomento, presentato nel marzo del 2021.
In tale occasione, il Sottosegretario Della Vedova aveva avuto modo di dichiarare l’interesse del Ministero degli esteri per una positiva soluzione della questione e aveva accennato anche a un’interlocuzione diretta sul tema con l’allora Segretario di Stato spagnolo Gonzales Barba, volta ad avviare rapporti bilaterali finalizzati alla definizione di un accordo Italia-Spagna per il reciproco riconoscimento della doppia cittadinanza.
Mentre per l’ordinamento italiano, come è noto, dalla legge sulla cittadinanza del 1992 non vi è alcuna remora per tale riconoscimento, per quello spagnolo vi è un serio impedimento in quanto la doppia cittadinanza è riconosciuta solo a un numero ristretto di cittadini, in genere di provenienza ibero-americana.
In realtà, quando l’incontro tra Il Sottosegretario Della Vedova e il Segretario di Stato spagnolo avveniva era stato da poco aperto un importante varco con un accordo tra Spagna e Francia, che aveva prodotto lo stesso esito auspicato dalla mia interrogazione. Il Sottosegretario Della Vedova aveva fatto riferimento nella risposta alla mia interrogazione a un atteggiamento di disponibilità dell’interlocutore spagnolo, il quale si era riservato di verificare, tuttavia, se la via dell’accordo bilaterale fosse stata percorribile oppure se in sede spagnola fosse necessaria una modifica normativa in linea con gli indirizzi europei in materia.
Nella mia comunicazione al Sottosegretario Della Vedova, dunque, ho chiesto se ci sono stati concreti sviluppi rispetto a quelle posizioni e in ogni caso quali iniziative il Governo italiano intenda assumere per corrispondere alle giustificate attese di tanti nostri connazionali che risiedono legittimamente in Spagna.
Non mancherò, naturalmente, di informare gli interessati della risposta che il Sottosegretario Della Vedova darà a questa mia ulteriore sollecitazione, ringraziandolo anticipatamente per la sua disponibilità.
*(Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Deputati – Piazza Campo Marzio, 42 – 00186 ROMA Email: schiro_a@camera.it – angela-schiro.com)

 

02 – SCHIRÒ E PORTA* (PD): PER LA RIDUZIONE DELL’IMU È SUFFICIENTE UN PRO-RATA DI PENSIONE
Molti italiani residenti all’estero si chiedono cosa significa esattamente essere titolari di una pensione in regime internazionale per aver diritto alla riduzione dell’IMU prevista dalla normativa vigente.
E più specificamente si chiedono se sia sufficiente essere titolari di un solo pro-rata di pensione in regime internazionale sia esso italiano o sia esso estero.
Come è infatti noto si può diventare titolari di un pro-rata italiano in regime internazionale e allo stesso tempo, per ragioni dovute alla diversità temporale dell’età pensionabile, nel Paese di residenza, non essere ancora titolari di un pro-rata estero di pensione. E lo stesso ragionamento vale se si diventa titolari di un pro-rata estero ma non ancora, sempre a causa della diversa età pensionabile, di un pro-rata italiano.

La risposta è, secondo noi, affermativa – cioè è sufficiente al fine della riduzione dell’IMU, essere titolari di un solo pro-rata, ancorchè in attesa dell’altro (da ottenere tuttavia sempre tramite la totalizzazione dei contributi con uno Stato convenzionato, sia comunitario che extracomunitario), perché il pro-rata è a tutti gli effetti una pensione in regime internazionale.

Sebbene il Dipartimento delle Finanze del MEF non sia mai entrato nel merito della questione e quindi non abbia mai dato una risposta incontrovertibile, noi riteniamo che la risposta sia in realtà implicita nella importante Risoluzione n. 5/DF dello stesso Dipartimento dell’11 giugno 2021 dove sono state date numerose risposte ai chiarimenti richiesti da più parti (noi stessi siamo intervenuti più volte sollecitando chiarimenti ai dubbi in materia).

Nella Risoluzione succitata il DF evidenzia che in materia previdenziale la definizione di pensione in regime internazionale indica una pensione maturata in regime di totalizzazione internazionale e, quindi, mediante il cumulo dei periodi assicurativi maturati in Italia con quelli maturati in Paesi UE e SEE e anche con quelli maturati in Paesi extraeuropei che hanno stipulato con l’Italia convenzioni bilaterali di sicurezza sociale. Il pro-rata, sia quello italiano che quello estero, deve essere considerato quindi nell’ambito della categoria di “pensione maturata in regime di convenzione internazionale” anche quando non è corrisposto contestualmente a quello dell’altro Paese contraente. Escluse infatti dal perimetro applicativo della disposizione sono le pensioni maturate esclusivamente, e cioè senza il ricorso alla totalizzazione, in uno Stato estero o in Italia.

Ovviamente chiediamo ai nostri connazionali di segnalarci ogni eventuale interpretazione da parte dei comuni non conforme al dettato della norma.

Ricordiamo infine che per l’anno 2022 l’imposta IMU da pagare scende al 37,5% grazie alle disposizioni della Legge di Bilancio per il 2022. Per gli stessi immobili è stato ribadito dalla legge che la tassa sui rifiuti “Tari” è dovuta in misura ridotta di due terzi.
*(Angela Schirò (Deputata Pd Estero e Fabio Porta (Senatore PD Estero)

 

03 – SCHIRÒ E PORTA (PD) – AGEVOLAZIONI “RIENTRO CERVELLI”: L’AGENZIA DELLE ENTRATE ILLUSTRA E CHIARISCE CON UNA RECENTE E IMPORTANTE CIRCOLARE L’AGENZIA DELL’ENTRATE CHIARISCE I DUBBI INTERPRETATIVI CHE ERANO STATI SOLLEVATI NEGLI ULTIMI TEMPI IN MERITO ALL’APPLICAZIONE DEL REGIME APPLICATIVO DELLE AGEVOLAZIONI PER IL “RIENTRO DEI CERVELLI” ED IN PARTICOLARE DELL’OPZIONE PER L’ESTENSIONE DELLA FRUIZIONE DEGLI INCENTIVI PER IL RIENTRO IN ITALIA DI DOCENTI E RICERCATORI DI CUI ALL’ARTICOLO 44 DEL D.L. 31 MAGGIO 2010 N. 78 (NORMA CHE È STATA NEL CORSO DEGLI ANNI OGGETTO DI NUMEROSE MODIFICHE NORMATIVE OPERATE TRA L’ALTRO CON IL DECRETO CRESCITA DEL 2019 E DA ULTIMO DALL’ART. 1, COMMA 763, DELLA LEGGE DI BILANCIO N. 234 PER IL 2022).

L’ADE illustra nella sua circolare requisiti e condizioni per esercitare tale Opzione per i soggetti che acquisiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal 2020 e per coloro rientrati prima di tale data. Come è noto la durata ordinaria dell’agevolazione Irpef per i “cervelli” che rientrano era di 4 anni nella formulazione originaria della legge istitutiva del 2010 ed è stata poi prorogata per ulteriori periodi di imposta.

Si ricorda che la legge, che rispondeva alla duplice esigenza di porre rimedio al c.d. fenomeno della “fuga dei cervelli” e di favorire lo sviluppo tecnologico e scientifico del Paese, prevede che ai fini delle imposte sui redditi è escluso dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo il novanta per cento degli emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori che, in possesso di titolo di studio universitario o equiparato e non occasionalmente residenti all’estero, abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all’estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi e che vengono a svolgere la loro attività in Italia, acquisendo conseguentemente la residenza fiscale nel territorio dello Stato.

Con il Decreto Crescita del 2019 è stato stabilito che l’agevolazione può essere estesa fino a 13 anni nel caso di docenti e ricercatori con figli minorenni a carico e che diventino proprietari di almeno una unità di tipo residenziale in Italia.

L’Agenzia ha ricordato che i docenti o ricercatori italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) rientrati in Italia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 possono accedere al regime di favore purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni.

In merito all’Opzione per l’estensione della fruizione degli incentivi la legge di bilancio 2022 ha introdotto la possibilità per i docenti e i ricercatori rientrati fiscalmente in Italia fino al 2019 di optare per l’estensione dell’applicazione del regime di favore fino a otto, undici o tredici periodi di imposta complessivi, previo versamento di un importo determinato dalla norma.

Tale possibilità, ci ricorda l’Agenzia delle Entrate, riguarda, in particolare, i docenti e i ricercatori che siano stati iscritti all’AIRE o che siano cittadini di Stati membri dell’Unione europea, che hanno già trasferito in Italia la residenza fiscale prima dell’anno 2020 e che, alla data del 31 dicembre 2019, risultino beneficiari del regime previsto dalla legge istitutiva del 2010 (sembrerebbero – sono – esclusi dall’Opzione quindi i cittadini italiani che al 31 dicembre 2019 non erano iscritti all’Aire, prevedendo così un trattamento differenziato e discriminatorio tra chi rientra in Italia dal 2020 e chi è invece rientrato prima – problema questo sul quale ci riserviamo di avviare una nostra iniziativa politica).

I requisiti richiesti per accedere al beneficio per gli ulteriori periodi di imposta previsti dalla norma, e che abbiamo sopra illustrato, devono essere posseduti dai docenti e dai ricercatori al momento dell’esercizio dell’opzione e ovviamente previo versamento di un importo determinato dalla norma che cambia a seconda della durata dell’estensione (ricordiamo che le regole per esercitare l’opzione, che si perfeziona soltanto con il versamento di quanto dovuto secondo la norma, sono state definite con un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate dello scorso 31 marzo – prot. n. 102028).

Infine un importante chiarimento dell’ADE riguarda i docenti e ricercatori che hanno beneficiato del regime agevolato fino all’anno 2019 o all’anno 2020: l’Agenzia chiarisce che questi potranno applicare il predetto regime solo a decorrere dall’anno di imposta 2022 e che i periodi d’imposta oggetto dell’agevolazione, per effetto dell’esercizio dell’opzione prevista dalla norma, devono essere computati a partire dal periodo d’imposta in cui viene trasferita la residenza fiscale in Italia.

Per informazioni e chiarimenti più ampi e dettagliati rimandiamo alla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 17/E del 25 maggio 2022.
*(Angela Schirò, deputata PD estero – Fabio Porta, senatore PD estero)

 

04 – Giacomo Finzi, Susanna De Guio, BOGOTA’*, VOTO «HISTÓRICO» PER IL BLOCCO PROGRESSISTA. COSÌ PETRO VA. COLOMBIA CHE CAMBIA. AVANTI AL PRIMO TURNO CON IL 40,1%. LA DESTRA SI RICOMPATTA DIETRO AL POPULISTA HERNÁNDEZ.

Il prossimo presidente della Colombia lo deciderà il ballottaggio. Al candidato progressista del Pacto Histórico, Gustavo Petro, non sono bastati gli oltre 8.522.399 voti (40,1%) per vincere al primo turno. A sorpresa, il suo sfidante sarà Rodolfo Hernandez che, con quasi 6 milioni di preferenze (28,16%), ha raggiunto il secondo posto superando il candidato di destra Federico Gutiérrez, in vantaggio nei principali sondaggi, che ha ottenuto invece solo il 23,89%.

L’ALTA ATTENZIONE posta sulla possibilità di brogli durante la giornata elettorale ha permesso di registrare 584 casi di irregolarità, ma dalle diverse coalizioni politiche non sono emerse denunce di irregolarità o mancanza di garanzie e secondo il Consiglio nazionale elettorale le elezioni si sono svolte regolarmente, nonostante alcuni episodi violenti (tre ordigni esplosivi nel Caqueta e Guaviare e uno scrutatore ucciso dalle dissidenze delle Farc nel Meta).

Yeisid, commerciante dello storico quartiere Palermo a Bogotá, ammette di aver votato per Rodolfo Hernández: «Molti dicono che è estremista ma per me è il candidato ideale, rappresenta il vero rinnovamento, rispetto a Petro e a Fico» commenta, sicuro che arriverà alla presidenza.

Fino a qualche settimana fa, la figura di Hernández non rientrava tra i favoriti nella campagna elettorale. Tuttavia, la sua retorica populista contro i partiti politici tradizionali, incentrata sui social network, ha fatto breccia nell’immaginario dell’antipolitica. Candidato di 77 anni, Hernández si è sottratto alla maggior parte dei dibattiti presidenziali, ma è diventato popolare su Tik Tok. Imprenditore di successo ed ex sindaco di Bucaramanga (circa 400 km a nord da Bogotà), con un discorso incentrato sulla lotta alla corruzione – sebbene abbia a suo carico un processo proprio per corruzione – ha raccolto un inaspettato successo, laddove il discorso di Federico Gutiérrez non ha sedotto del tutto gli animi tra i conservatori.

TUTTO CIÒ POTREBBE far pensare a uno scenario di divisione della destra colombiana, a seguito del declino della figura di Alvaro Uribe, ma anche della forte impopolarità del governo uscente di Ivan Duque che nel febbraio del 2022 toccava il 73% di disapprovazione.
Tuttavia, già nelle prime dichiarazioni dopo la chiusura delle urne, Gutiérrez ha già espresso il proprio sostegno a Rodolfo Hernández per il ballottaggio, garantendo almeno 5 milioni di voti al blocco di destra che permetterebbero di superare il Pacto Histórico.

Da parte sua, Gustavo Petro, sebbene abbia raccolto oltre tre milioni di voti in più rispetto alle elezioni primarie di marzo e quasi raddoppiato le preferenze rispetto al primo turno delle elezioni presidenziali del 2018, dovrà cercare ancora di rafforzare il proprio consenso per vincere al ballottaggio del prossimo 19 giugno. Ha comunque espresso soddisfazione per il vantaggio ottenuto al primo turno e per l’aumento significativo in voti, vincendo a Bogotá (di cui è stato sindaco tra il 2012 e il 2015) e nei dipartimenti della costa del Caribe, di dove è originario, e della costa del Pacifico, con punte attorno al 70% nella regione di Nariño e nel Cauca, terra della candidata alla vicepresidenza Francia Márquez.

È SIGNIFICATIVO che Hernández si sia invece aggiudicato le regioni centrali e quasi tutte le zone orientali al confine con il Venezuela. Gutiérrez ha vinto solo nella sua Antioquia, roccaforte di Alvaro Uribe.
La destra esce comunque dal primo turno delle presidenziali ringalluzzita, trovando in Hernández il suo candidato, all’insegna dell’antipolitica e della lotta alla corruzione. Petro sa che per vincere al ballottaggio dovrà raccogliere consensi tra i sostenitori del centrista Dario Fajardo che ha raccolto oltre 800mila preferenze (nel 2018 furono oltre 4,5 milioni) e tra i settori progressisti del Partito liberale, il cui appoggio non è per nulla scontato. Sarà inoltre necessario sfondare nelle regioni agrarie dove il suo programma di riforme non ha avuto l’eco sperato.

MA SOPRATTUTTO PETRO dovrà convincere la popolazione astenuta. In Colombia infatti, la bassa affluenza alle urne rappresenta un fenomeno strutturale. Sebbene la partecipazione sia stata tra le più alte degli ultimi cicli elettorali, resta ferma al 54,9% (circa 21 milioni di votanti, su un totale di 38 milioni di elettori). È questo il caso di Esmeralda, venditrice ambulante nel centro di Bogotá, che domenica stava lavorando: «Non ho tempo di occuparmi di politica». E difficilmente lo troverà in occasione del secondo turno.

Sebbene il panorama del ballottaggio sia difficile per il Pacto Histórico, la campagna politica di Petro e Márquez propone un cambiamento che, affermano, è già in atto e proviene dalla spinta dei movimenti e della società civile, mentre i seggi conquistati al Congresso nel voto dello scorso 13 marzo confermano una forza inedita del blocco progressista.
*(Fonte IL Manifesto Giacomo Finzi, Investigador presso Universidad Nacional de Colombia e Susanna De Guio è dottoranda in Sociologia, Organizzazioni e Culture presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)

 

05 – Claudio Vercelli*: BORIS PAHOR, LA TRAVOLGENTE ESEGESI DELLA CIVILTÀ DI FRONTIERA
IL PERSONAGGIO. SCOMPARSO A 108 ANNI LO SCRITTORE E INTELLETTUALE SLOVENO DI TRIESTE. NEL SUO PERCORSO, L’ANTIFASCISMO, LA MEMORIA DEL ’900, I CONFLITTI DI UNA TERRA FERITA, LA SFIDA PER LA CONVIVENZA, NEL CORPO DELLA SUA OPERA LA SOSTANZA DI UNA RIFLESSIONE SULLA MATERIA DI CUI SONO FATTE LE RELAZIONI INTERCULTURALI, VIVENDO NELLA SUA PERSONA LA PRESENZA DI PIÙ MATRICI INTELLETTUALI

La vita e l’opera di Boris Pahor, scrittore e intellettuale triestino di solide radici slovene, ruotano intorno alla declinazione di alcuni paradigmi culturali e politici novecenteschi, del cui contraddittorio pluralismo, al limite dell’intrinseca conflittualità, è stato per molti aspetti una sorta di esegeta: identità, confine, appartenenza ma anche letteratura, testimonianza e ibridazione. Di fatto, il corpo della sua scrittura ha dato sostanza e continuità ad una lunghissima riflessione sulla materia di cui sono fatte le relazioni interculturali, vivendo nella sua stessa persona (e quindi direttamente sul suo stesso modo di intendere la comunicazione letteraria), la compresenza di diverse matrici intellettuali. Il suo sforzo personale, più che essere indirizzato ad una pedagogia del multiculturalismo, è stato semmai quello di evitare che la compresenza di molteplici appartenenze si risolvesse in una cristallizzazione ideologica falsamente unitaria, oppure in una frantumazione tra parti destinati a non comunicare tra di loro.

TUTTO IL CORPUS LETTERARIO di Pahor ci consegna questa costante esigenza di ricomposizione, trasposta in una scrittura densa ed eclettica, destinata a continuare a sfuggire a qualsiasi tentativo di classificazione unitaria e, ancor meno, univoca. La sua scomparsa, a 108 anni, sembra suggellare un’esistenza novecentesca all’insegna dell’antifascismo di confine, quello che più ha faticato nel tempo a trovare punti di sintesi, dovendo raccogliere in sé spinte tra di loro a volte anche antitetiche. Nato nell’Impero austro-ungarico, testimone diretto, fin da bambino, della drammatica fascistizzazione delle terre orientali, a partire dall’incendio del Narodni dom di Trieste, ha dovuto a lungo conciliare in sé la preservazione dell’originaria radice slovena con l’italianizzazione forzata che accompagnò l’evoluzione di quei territori sotto il regime mussoliniano.

LA REDAZIONE CONSIGLIA:
Boris Pahor, intelligenza umana novecentesca
Il tema della violenza, sia istituzionale che civile, in tale frangente diventò ben presto un elemento distintivo delle sue riflessioni. Per Pahor il ricorso alla forza è il tratto distintivo di una società che non riesce a ricomporre, e a fare quindi coesistere, le diverse parti che la compongono. Così come lo è la tecnica dell’occultamento e dell’omologazione, usata per cancellare le tracce della molteplicità delle appartenenze di una terra che è sì anche di transizione ma, soprattutto, di antico radicamento. Trieste, sua città natale nonché vero e proprio spazio urbano elettivo, era da lui vissuta in questi termini. Come anche Gorizia e Capodistria. La sua forte, robusta e pervicace identità slovena – tratto linguistico e culturale molto pronunciato, che in anni più recenti lo ha esposto all’accusa di essere proclive ad atteggiamenti nazionalisti – si incontrava anche con il cattolicesimo sociale, di taglio e declinazione personalista, del quale fu a suo modo un esponente, sia pure appartato, avendo intrapreso, tra gli altri, studi di teologia poi successivamente interrotti.

Questa coscienza irrisolta, che raccoglie tracce e segmenti di un crocevia di sensibilità, lo ha accompagnato, come una sorta di percorso interiore irrisolto, anche negli anni della Seconda guerra mondiale, quando maturò definitivamente il suo impegno politico antifascista, fino ad allora perlopiù espresso e confinato nell’attività letteraria illegale e con la partecipazione a cenacoli di intellettuali sloveni. Incorporato nel Regio esercito, dopo lo sfacelo dell’8 settembre 1943 entrò a fare parte dell’antifascismo triestino di estrazione slovena, adoperandosi clandestinamente contro l’occupante tedesco e il collaborazionismo italo-sloveno.

ALL’INIZIO DEL 1944, arrestato dalle milizie dei domobranci, quindi torturato dai nazisti, fu poi deportato in diversi campi di concentramento, tra i quali Natzweiler, Dachau e, infine, Bergen-Belsen. Sopravvisse miracolosamente, ritornando a Trieste solo nel dicembre del 1946, fortemente segnato nel corpo. La cosa non gli impedì tuttavia di riprendere la partecipazione alla vita pubblica, in una città divisa da spigolose contrapposizioni. Dopo la laurea in lettere, conseguita nel 1947, si dedicò quindi a coltivare la sue due radici più forti, l’impegno pubblicistico e la partecipazione all’associazionismo culturale sloveno.

In tale veste, continuando a rivendicare il suo cattolicesimo sociale anche come dimensione etica e civile, pur non assumendo posizioni rigidamente anticomuniste (altrimenti troppo compromesse con la presenza neofascista triestina) tuttavia indirizzò il suo lavoro a favore della dissidenza slovena contraria al regime di Tito. In questa prospettiva va letto anche il suo impegno di insegnante di lingua e letteratura sia slovena che italiana, compito che assolse nelle scuole di Trieste per più di vent’anni. Questo insieme di funzioni lo resero naturale protagonista non solo della scena locale ma del più ampio movimento che cercava di animare la componente slovena non tanto come soggetto di «minoranza» bensì come anima identitaria dei territori giuliani e veneti. Il fatto che non concedesse alcunché all’autoritarismo di Belgrado lo rese da quasi subito inviso alle classi dirigenti jugoslave, subendone l’ostilità e l’ostracizzazione.

Anche per questo, tuttavia, risultò invece figura propulsiva nella crescita di una letteratura slovena di nuova matrice, slegata dagli obblighi di deferenza nei confronti di un regime sempre più ossificato e di un antifascismo internazionalista di mera circostanza. Negli anni Ottanta, la pubblicazione in Francia, e poi in Europa, del romanzo autobiografico Necropoli, il suo capolavoro espressivo dove racconta la sua prigionia nel lager di Natzweiler-Struthof, lo fece assurgere a figura di primo piano della letteratura continentale.

LA QUALITÀ LIRICA DEL TESTO, con la sua densità espressiva, la trasfigurazione dei temi affrontati dalla realtà fattuale ad un’epica non estetizzante, hanno fatto sì che la sua scrittura sia stata accostata a quella di Šalamov, Levi, Amery, Solženicyn, Antelme. Durante e dopo il decennio delle crisi belliche jugoslave Pahor ha tuttavia faticato a tenere il passo di un’identità che non si trasfondesse anche nella rivendicazione di un particolarismo sloveno potenzialmente poco attento al complesso mosaico interculturale dei Balcani settentrionali. Ne è testimonianza, al riguardo, la sua difficoltà a tematizzare l’infoibamento al di fuori degli schemi della mera contrapposizione politica, dove ha invece ingaggiato un confronto molto secco con la destra nazionalista italiana. Quel che resta di Pahor è comunque un lascito ancora da esplorare, avendo inteso Trieste e il «Nord-Est» come il trampolino dal quale tuffarsi nel mondo.

 

06 – COMO MAIE PROPONEMOS LA LIBERTAD DE CONCIENCIA, PARA QUE CADA CIUDADANO ITALIANO ANALICE Y VOTE SEGÚN SU PROPIA MANERA DE VER CADA PUNTO DE ESTE REFERENDUM. AQUI ESTÁN LOS PUNTOS:

PRIMO QUESITO (Scheda Rossa) *Abolizione del decreto Severino*
Il quesito è teso ad abolire il decreto attuativo della legge Severino sull’incandidabilità, ineleggibilità e decadenza per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna definitiva.

SECONDO QUESITO (scheda arancione) *Limiti alla custodia cautelare*
Il quesito mira ad abolire la custodia cautelare in carcere con la motivazione del “rischio di reiterazione del medesimo reato”.

TERZO QUESITO (scheda gialla) *Separazione delle carriere dei magistrati*
Il quesito è volto a sopprimere il cosiddetto sistema delle “porte girevoli”, che permette a un magistrato di poter passare dal ruolo di giudicante a requirente e viceversa, anche più volte nel corso della propria carriera. La separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti fu già oggetto del referendum abrogativo del 21 maggio 2000, che non raggiunse il quorum.

QUARTO QUESITO (scheda grigia) *Equa valutazione dei magistrati*
Il quesito mira a introdurre la possibilità per avvocati e professori universitari di partecipare con diritto di voto ai Consigli giudiziari, organismi territoriali per la valutazione sull’operato dei magistrati.

QUINTO QUESITO (scheda verde) *Riforma del Consiglio Superiore Magistratura*
Scopo del quesito è abolire l’obbligo per un magistrato che voglia essere eletto nel consiglio superiore della magistratura di presentare dalle 25 alle 50 firme di sostegno alla candidatura.

PRIMERA PREGUNTA (Formulario rojo) * Abolición del decreto Severino *
La pregunta tiene por objeto derogar el decreto de aplicación de la ley Severino sobre inhabilidades, y caducidad de parlamentarios, delegados de gobierno, concejales regionales, gobernadores y administradores locales en caso de condena en sentencia firme.

SEGUNDA PREGUNTA (Formulario naranja) * Límites a la prisión preventiva *
La pregunta pretende abolir la prisión preventiva en prisión por “riesgo de reincidencia en el mismo delito”.

TERCERA PREGUNTA (Formulario amarillo) * Separación de las carreras de los magistrados *
La pregunta apunta a suprimir el llamado sistema de “puerta giratoria”, que permite que un magistrado pueda pasar del rol de juez a fiscal y viceversa, incluso varias veces a lo largo de su carrera. La separación de carreras entre los magistrados y los fiscales ya fue objeto del referéndum abrogatorio del 21 de mayo de 2000, que no alcanzó quórum.

CUARTA PREGUNTA (Formulario gris) * Evaluación justa de los jueces *
La pregunta pretende introducir la posibilidad de que abogados y profesores universitarios participen con derecho a voto en los Consejos judiciales, órganos territoriales de evaluación del trabajo de los magistrados.

QUINTA PREGUNTA (Formulario verde) * Reforma del Consejo Superior de la Magistratura *
El propósito de la pregunta es abolir la obligación de que un magistrado que desee ser elegido miembro del consejo superior de la magistratura presente de 25 a 50 firmas en apoyo de la candidatura.

 

07 – Ascanio Celestini*: LA TRIBÙ BIANCA E L’IDEOLOGIA DELLE «GUERRE GIUSTE». INCONTRO CON ALEX ZANOTELLI, UNA VITA DALLA PARTE DEGLI ULTIMI: «CON UNA MANO DIAMO AIUTI, CON L’ALTRA VENDIAMO ARMI». UCRAINA E NON-VIOLENZA? «DOVEVAMO PENSARCI NEL 2014»
«È SBALORDITIVO QUESTO FATTO CHE SIAMO TORNATI DI NUOVO AL CONCETTO DI GUERRA GIUSTA. E SOPRATTUTTO IN DIFESA DELLA CIVILTÀ OCCIDENTALE. IO PENSAVO CHE CERTE COSE LE AVESSIMO ORMAI DIGERITE, E INVECE NO».
Sono le prime parole che pronuncia Alex Zanotelli, poi si interrompe, ci pensa e mi chiede se voglio un decaffeinato. Ringrazio. L’ho già preso al bar appena arrivato alla stazione di Napoli. Mentre accendo il registratore si mette seduto nell’angolo della stanzetta dietro al tavolino. Io dico «registro così posso usare proprio le tue parole». «Sì, sì, tranquillo» e riprende il discorso.

«Papa Francesco è stato chiarissimo nell’enciclica Fratelli Tutti. Cioè che oggi con lo “sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche”, ma anche con la Cyberwarfare “si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile” ed è diventato assurdo “parlare di una possibile guerra giusta”. Così l’unico vincitore di questa guerra è il complesso militare industriale. Questa è la cosa veramente paradossale della nostra storia. Con il problema che se effettivamente la Russia viene incastrata è capacissima di usare l’atomica. Stiamo ballando letteralmente sul baratro di un’esplosione atomica e dell’inverno nucleare. Io non riesco a capire perché la gente non lo comprende».
Caro Alex – gli suggerisco – la gente non lo comprende++++ perché non è facile spiegare che rispondere alla violenza con la violenza è un suicidio oltre che un omicidio. Le televisioni hanno cominciato subito dopo Natale a mostrare gli ucraini che si esercitavano coi fucili di legno e i ragazzini che preparavano le molotov. Era la storia di Davide contro Golia. Parli col vicino di casa e ti dice: «Che faresti se invadessero l’Italia? Ti ricordi i partigiani che hanno combattuto il nazifascismo?». Come faccio a rispondere al mio dirimpettaio che gli ucraini possono scegliere una resistenza nonviolenta?

«Oggi è inutile – mi risponde – che parliamo di nonviolenza in Ucraina. No. È solo tempo perso. Dovevamo farlo prima. Dal 2014 ad oggi sappiamo bene quello che stava avvenendo. Se noi avessimo cominciato seriamente a lavorare col popolo ucraino per coscientizzarlo, per prepararlo a una resistenza nonviolenta qualcosa poteva avvenire. C’è l’esempio della Danimarca quando Hitler ha dichiarato guerra. Quei quattro gatti di esercito che avevano si sono subito arresi con l’intenzione di resistere al nazismo. Infatti il re andava in giro con la stella di David. Hanno salvato, portato in una notte tutti gli ebrei fuori dalla Danimarca. Li han portati in Svezia. E hanno fatto una resistenza.

Il popolo ha sempre un potere enorme. Pensa a quello che ha fatto Mandela in Sud Africa. Tutti noi eravamo convinti che liggiù si sarebbe arrivati a una guerra terribile tra bianchi e neri. E invece…Però tutto questo richiede preparazione. La nonviolenza non si inventa dal nulla. Quando ero direttore di Nigrizia – racconta – ho appoggiato tutte le lotte armate in Africa contro il colonialismo perché mi sembrava che fosse l’unica cosa che si poteva fare. Bisognava stare da quella parte. Oggi mi pento. Io sono un convertito alla nonviolenza di Gesù. Lui cosa aveva capito? Che il suo popolo stava andando dritto alla guerra contro Roma. E tutti si aspettavano che sarebbe stato lui a guidarla. E la più grande tentazione che ha avuto Gesù quando è arrivato a Gerusalemme era guidare duecento, trecentomila ebrei che lo aspettavano. E invece lui è entrato su un asino. Ci ha preso in giro tutti. Pensa a Gandhi – conclude – che ha liberato l’India contro l’impero britannico e con lui c’era Bāshā Khān che guidava i musulmani».

ALEX ZANOTELLI È NATO A LIVO IN TRENTINO. DALLA METÀ DEGLI ANNI ’50 HA STUDIATO A CINCINNATI, OHIO, POI NEL ’65 HA INSEGNATO IN SUDAN. IN AFRICA HA PRESO COSCIENZA CHE «LA RICCHEZZA DI POCHI È PAGATA DALLA MISERIA DI TROPPI». Come direttore di Nigrizia, il mensile dei missionari comboniani, ha denunciato lo squilibrio tra i pochi aiuti ai poveri e i grandi introiti per il commercio di armi. Oggi l’Italia arriva più o meno a 400 milioni di euro per la cooperazione allo sviluppo (dati Openaid AICS), ma presto raggiungerà il 2% del PIL per le armi, cioè quasi 40 miliardi.
«Mi domandavo: “come è possibile che con una mano l’Italia offra aiuti e con l’altra invece venda armi?”» scrive in un suo libro che ha pubblicato Feltrinelli da poche settimane “Lettera alla tribù bianca”. Il titolo viene dalla sua esperienza nella baraccopoli di Korogocho, periferia di Nairobi. Accanto alla «enorme e spaventosa discarica di Dandora» dove anche i bambini diventano scavengers, raccoglitori di rifiuti, le bambine si prostituiscono e spesso muoiono di Aids prima di diventare maggiorenni. Dopo dodici anni in, mezzo ai rifiuti dell’umanità è tornato in Europa «perché, se oggi viviamo in un pianeta di immense folle di impoveriti, la responsabilità è in gran parte della tribù bianca. E come missionario sono tornato dalla mia gente, dalla mia tribù bianca a convertirla».
Accompagno Zanotelli a piazza Carità dove l’aspettano per un volantinaggio contro la guerra. Andiamo insieme verso il Ponte della Sanità costruito all’inizio dell’800 da Gioacchino Murat per favorire il passaggio dal centro della città alla reggia di Capodimonte evitando ai sovrani di passare in mezzo alla plebe. Gli impoveriti della nostra tribù bianca dove padre Alex è andato a portare un riscatto di pace e dignità, una resistenza nonviolenta.
*(Fonte Il Manifesto – Ascanio Celestini, è un attore teatrale, regista cinematografico, scrittore e drammaturgo italiano.)

 

08 – IL PREMIO SILA A LUCIANA CASTELLINA, UNA «CARRIERA» DA DIVERSAMENTE COMUNISTA. COSENZA. PREMIO SILA ’49 «ALLA CARRIERA» A LUCIANA CASTELLINA CHE INCANTA IL PUBBLICO: «ANDATE LÀ DOVE ACCADONO LE COSE, NON SIATE MAI SUDDITI MA CITTADINI PROTAGONISTI»

SILA ’49, IL PREMIO «ALLA CARRIERA» A LUCIANA CASTELLINA CHE INCANTA IL PUBBLICO: «ANDATE LÀ DOVE ACCADONO LE COSE, NON SIATE MAI SUDDITI MA CITTADINI PROTAGONISTI»
La figura storica della sinistra italiana, cofondatrice del Manifesto – gruppo, rivista e poi giornale – ha tenuto la sua lectio magistralis sabato mattina a Cosenza a Palazzo Arnone.

Un gruppo di amiche e amici si è avvicinato a Luciana Castellina timidamente. Lo ha fatto fa perché aveva con sé una vecchia fotografia, vecchia di 48 anni, in cui proprio la politica, scrittrice e giornalista è immortalata. Una fotografia in bianco e nero scattata a Cosenza, nel giorno del Referendum sul divorzio. Questo è solo uno dei ricordi che sabato 28, negli spazi di Palazzo Arnone, è stato evocato. Numerosissimi infatti gli aneddoti, insieme alle storie e alle memorie, che Luciana, e in particolar modo del Partito comunista, ha citato grazie alla lectio magistralis «La mia vita a sinistra è, ancora, la scoperta del mondo», tenuta di fronte al pubblico del Premio Sila ’49 (decima edizione) diretto da Gemma Cestari e presieduto da Enzo Paolini che, presentandola ha detto: «È una donna che continua a insegnarci cosa sia la libertà».

Castellina, giunta nella città dei Bruzi, per ricevere il riconoscimento alla carriera, ha parlato della sua esistenza da «diversamente comunista», trascorsa in giro per l’Europa e non solo, sempre a difendere diritti e prerogative dei più deboli, dei più fragili. «Ricordo ancora – ha raccontato – di quando negli anni Sessanta venni arrestata e rimasi in prigione per oltre due mesi. La mia colpa? Aver preso parte a una manifestazione a Roma degli operai edili e aver cercato di aiutarne uno. In cella – ha continuato – mi arrivò la lettera di mia figlia che all’epoca aveva 8 anni: Lucrezia mi scriveva che la sua maestra le chiese perché la madre prendesse i poliziotti a ombrellate e la piccola rispose che non poteva essere vero, la sua mamma non possedeva ombrelli».

Poi Parigi, Praga, Budapest, l’ex Jugoslavia, non solo l’Italia. «Leggevo Salgari – ha dettola cofondatrice de il manifesto e poi direttrice di Liberazione quando era un settimanale – perché così potevo viaggiare dappertutto; ma il viaggio più appagante l’ho fatto tramite la porta del Pci, che ha appagato la mia curiosità». Proprio grazie al Partito Castellina, pertanto, gira il mondo. A Cosenza, dove lo stesso Paolini ricorda un loro vecchio incontro («In una trattoria trasteverina una indimenticabile ragazza romana mi parlò di libertà ed eguaglianza, valori in nome dei quali la gente è caduta»), Luciana ha passato in rassegna tutto questo: gli incontri avuti con Sartre e Simone de Beauvoir, la partecipazione al primo raduno di giovani dopo il secondo conflitto mondiale, a Praga nel 1947, dove compirà 18 anni e l’India verrà resa indipendente («Ma questo è un imbroglio dell’imperialismo!», dirà per l’occasione un ragazzo inglese e comunista).

E, ancora, i viaggi attraverso i film, «quelli di Pier Paolo Pasolini e dei registi neorealisti», che, al pari del Pci, le hanno insegnato «a crescere, a comprendere che si può cambiare soggettivamente e passare dall’essere meri sudditi a cittadini protagonisti».

Protagonista della vita Luciana Castellina lo è stata e lo è tuttora. Già presidente della Commissione europea per la cultura, la gioventù, l’istruzione e i mezzi d’informazione, agli amici del Sila ’49 ha «regalato» intramontabili pezzi di Storia, oltre che un monito fondamentale. «Bisogna difendere la diversità perché la cultura dell’altro ci aiuta a rivisitarci criticamente». Di se stessa, pure autrice di molte opere, infine, dice: «Non sono una scrittrice, quanto una giornalista che scrive articoli un po’ troppo lunghi». Articoli che nascono là dove accadono le cose, sono gli articoli che hanno a che fare con la vita.
*(ufficiostampa@premiosila49.it )

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