n°20 – 14/5/2022 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – Angela Schirò, Francesca La Marca, Nicola Carè *: parlamentari pd estero: inaugurato a Genova il museo dell’emigrazione. L’Italia colma finalmente il suo ritardo rispetto alla sua grande diaspora.
02 – On. Angela Schirò(PD) *: LISTE ELETTORALI E COGNOME DEL CONIUGE PER LE DONNE03 – Schirò (Pd): l’Imu 2022 e le rivendicazioni degli italiani all’estero.
04 – On. La Marca (Pd)* incontra il Min. Plen. De Pedys sulle criticità per la promozione della lingua italiana in nord America.
05 – Schirò E Porta (Pd)*: il bonus di 200 euro e i pensionati italiani all’estero.
06 – Italiani all’estero, l’italoamericano Enzo Odoguardi coordinatore MAIE Nord America. Merlo: “Pronti alla sfida del 2023”
07 – Serena Tarabini*: Il clima oltre la soglia Il dramma della siccità a Hachka, in Afghanistan – CLIMA. L’Organizzazione meteorologica mondiale: «Nei prossimi cinque anni la temperatura media del Pianeta potrebbe raggiungere la soglia di 1,5 °C al di sopra del livello preindustriale
08 – Proteste per chiedere le dimissioni del presidente dello Sri Lanka Gotabaya Rajapaksa. Colombo, 6 maggio 2022. (Ishara S. Kodikara, Afp)
09 – Elisabetta Povoledo*: Gabriel Zuchtriegel POMPEI AL PASSO CON I TEMPI.
10 – Le opinioni. Paul Mason*: UNA STRATEGIA PER EVITARE IL CAOS.

 

 

01 – PARLAMENTARI PD ESTERO: INAUGURATO A GENOVA IL MUSEO DELL’EMIGRAZIONE. L’ITALIA COLMA FINALMENTE IL SUO RITARDO RISPETTO ALLA SUA GRANDE DIASPORA. L’inaugurazione del Museo nazionale dell’emigrazione italiana (MEI), avvenuta ieri a Genova dopo un lungo percorso iniziato nel 2008, è sicuramente un evento positivo e atteso, che salutiamo con convinzione ed emozione per le implicazioni storiche, sociali, culturali ed etiche che esso comporta.

12 MAGGIO 2022

Genova è indubbiamente una delle porte fondamentali verso le destinazioni transoceaniche, anche se non va trascurato il ruolo che storicamente hanno avuto Napoli, Palermo, Trieste per i viaggi di mare e altre località, come Verona e Milano, per quelli ferroviari quando l’emigrazione italiana si è massicciamente rivolta verso l’Europa.

L’Italia, rispetto ai maggiori paesi di immigrazione/emigrazione, con l’istituzione di un museo nazionale recupera il suo ritardo e, almeno sotto il profilo del riconoscimento e del tributo di memoria, paga il suo debito verso la sua grande diaspora, calcolata in poco meno di 30 milioni di espatriati, una delle più consistenti del mondo.

Poiché nell’enfasi delle inaugurazioni spesso si perdono i dati reali delle situazioni, ci piace ricordare che la scelta di realizzare un museo nazionale dell’emigrazione fu fatta dall’ultimo Governo Prodi, quando su richiesta del Viceministro Franco Danieli furono iscritti in bilancio 2,8 milioni da destinare al museo e con decreto del Ministro degli esteri fu istituito un comitato scientifico che ne avrebbe dovuto delineare il percorso. I governi successivi hanno continuato su quella traccia inaugurando il Museo a Roma nei locali provvisori del Vittoriano e, dopo la chiusura di quella esperienza, il Ministro Franceschini ha accolto l’istanza delle autorità genovesi e liguri di trasformare in Museo nazionale l’esperienza avviata al Galata dalle autorità genovesi.

Dal momento che nelle cronache non compaiono nemmeno tra gli invitati i nomi di coloro che hanno permesso la realizzazione dell’istituzione, desideriamo ringraziare noi tutti coloro che nel tempo hanno creduto e operato per la realizzazione di questo progetto. Soprattutto, insistiamo sulla opportunità di rispettarne l’ispirazione iniziale, vale a dire di perseguire un impianto a rete sia con i musei locali dell’emigrazione, disseminati in molte località italiane, che con i grandi musei dei paesi di immigrazione degli italiani, che custodiscono e narrano le storie degli insediamenti e dei percorsi di integrazione. Solo così, tra l’altro, si potrà dare un contributo reale al turismo di ritorno.

Un’ultima annotazione. Nell’enfasi dell’inaugurazione, il MEI è stato descritto come la “casa” di tutti gli italiani nel mondo. Peccato che ci si sia dimenticati di invitare coloro che oggi, in base alla Costituzione e alle leggi in vigore, gli italiani nel mondo li rappresentano, vale a dire gli eletti al Parlamento nella circoscrizione Estero. Con la nostra presenza forse avremmo potuto portare un elemento in più di consenso e un valore simbolico non marginale. Ma – si sa – tra il dire e il fare spesso c’è di mezzo il mare, anzi, trattandosi di emigrazione, c’è di mezzo l’Oceano.

*(Angela Schirò, Francesca La Marca, Nicola Carè (deputati PD Estero) – Fabio Porta, Francesco Giacobbe (senatori PD Estero)

 

 

02 – ON. ANGELA SCHIRO'(PD) *: LISTE ELETTORALI E COGNOME DEL CONIUGE PER LE DONNE
HO SOTTOSCRITTO CONVINTAMENTE LA PROPOSTA DI LEGGE PRESENTATA DA GIUDITTA PINI, DEPUTATA DEL PARTITO DEMOCRATICO, CHE HA L’OBIETTIVO DI RISTABILIRE LA LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DI UN’ANTICA NORMATIVA, ENTRATA IN VIGORE PRIMA DELLA NOSTRA COSTITUZIONE E ANCORA VIGENTE, IN MATERIA DI COMPILAZIONE DELLE LISTE ELETTORALI.
L’articolo 4, primo comma, lettera a), della legge 7 ottobre 1947, n. 1058, mai abrogato, stabilisce infatti che nelle liste elettorali la donna venga identificata, se coniugata o vedova, anche con il cognome del marito. Il contenuto di tali liste è poi trascritto nei «certificati di iscrizione nelle liste elettorali», che costituiscono tuttora lo strumento di partecipazione al voto dei cittadini italiani residenti all’estero.

Questa norma ha comportato, come abbiamo verificato durante lo svolgimento delle tornate elettorali, l’automatico inserimento del cognome del coniuge nei confronti delle elettrici che risiedono o si trovano temporaneamente all’estero.

Dopo più di settant’anni dall’entrata in vigore della nostra Costituzione, questa previsione normativa, non appare rispettosa dei princìpi costituzionalmente garantiti all’identità personale e all’eguaglianza tra i sessi.

La proposta di legge prevede, inoltre, la costituzione di liste elettorali che seguono come unico criterio per la loro formazione quello dell’ordine alfabetico dei nomi. Tuttavia, al fine di non disperdere l’indicazione del genere di coloro che abbiano partecipato al voto, la proposta prevede di introdurre accanto alla necessaria indicazione del cognome e del nome, anche quella del codice fiscale.

Ricordo che nel 2019, sollecitata da tante cittadine italiane residenti all’estero, ho presentato una proposta di legge tesa a modificare il codice civile in materia di cognome dei coniugi e dare pari dignità alle donne nell’ambito del rapporto coniugale, stabilendo che ciascun coniuge conservi il proprio cognome nel matrimonio.
*(Angela Schirò Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Deputati)

 

 

03 – SCHIRÒ (PD): L’IMU 2022 E LE RIVENDICAZIONI DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO. Credo che sia opportuno ricordare che per l’anno 2022 l’imposta IMU da pagare per i soggetti titolari di pensione in regime di convenzione internazionale con l’Italia residenti all’estero scende al 37,5% grazie alle disposizioni della Legge di Bilancio per il 2022 (art. 1, co. 743, L. n. 234/2021).
È bene ricordare che per gli stessi immobili è stato ribadito dalla legge che la tassa sui rifiuti “Tari” è dovuta in misura ridotta di due terzi.
Si tratta – l’ulteriore riduzione dell’Imu – di una disposizione temporanea valida solo per l’anno in corso.
Dal prossimo anno, se non interverranno nel frattempo modifiche legislative, verrà ripristinata la riduzione al 50% così come stabilito dal comma 48 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio per il 2021 (la n. 178/20).
L’Imu è ridotta per i soggetti non residenti titolari di pensione “in regime di convenzione internazionale con l’Italia” ma comunque residenti in uno Stato di assicurazione diverso dall’Italia.
Per pensione in regime di convenzione internazionale si intende una pensione maturata tramite la totalizzazione di contributi versati in Italia con quelli versati all’estero in un Paese convenzionato, comunitario (in virtù dei regolamenti comunitari di sicurezza sociale) ed extracomunitario (che abbia stipulato con l’Italia una convenzione bilaterale di sicurezza sociale).
I titolari di sola pensione estera o di sola pensione italiana residenti all’estero sono quindi esclusi dal regime di riduzione.
Come si ricorderà il regime agevolativo previsto per l’IMU, la TASI e la TARI dall’art. 9-bis, del D. L. n. 47 del 2014, era stato eliminato con la Legge di bilancio per il 2020, che aveva appunto abolito la norma che prevedeva l’esenzione a favore dei pensionati italiani iscritti all’Aire e titolari di una pensione estera. Grazie anche all’impegno del Partito democratico siamo riusciti con la Legge di Bilancio per il 2021 a reintrodurre la parziale esenzione dell’Imu al 50% a favore dei pensionati residenti all’estero titolari di pensione in convenzione internazionale, proprietari di immobile in Italia (una sola unità immobiliare a uso abitativo non locata o data in comodato d’uso).
Solo a causa della mancanza di risorse non siamo riusciti ad ottenere una esenzione totale (è stato istituito un fondo nello stato di previsione del Ministero dell’Interno con una dotazione su base annua di 12 milioni di euro, ora incrementato dall’ultima Legge di bilancio di 3 milioni di euro per consentire la riduzione al 37,5% per il 2022).
Va comunque rilevato che la riduzione dell’Imu per i soli titolari di pensione in convenzione internazionale è stata contestata da molti nostri connazionali residenti all’estero i quali ritengono più giusto estendere il regime agevolativo ad altri soggetti (compresi i non pensionati) proprietari di immobili in Italia.
Credo che sia opportuna una seria e responsabile verifica della normativa sull’Imu che, compatibilmente con le risorse e la disponibilità economica dello Stato e con i vincoli giuridici imposti dal diritto comunitario, possa prefigurare la possibilità di venire incontro alle giuste rivendicazioni delle nostre collettività all’estero.
*(Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Deputati)

 

 

04 – On. LA MARCA (PD)* INCONTRA IL MIN. PLEN. DE PEDYS SULLE CRITICITÀ PER LA PROMOZIONE DELLA LINGUA ITALIANA IN NORD AMERICA
Lunedì, 9 maggio, l’on. La Marca ha incontrato presso la Farnesina il Min. Plen. Alessandro De Pedys, Vice Direttore Generale Direzione Generale per la diplomazia pubblica e culturale e Direttore Centrale per la promozione della cultura e della lingua italiana.
“La situazione attuale, come testimoniano le sollecitazioni ricevute da numerosi enti promotori del Nord America, appare delicata e, in alcuni casi, addirittura preoccupante” – ha riferito l’on. La Marca nel corso dell’incontro. “Occorre, dunque, prestare la massima attenzione per non rischiare di compromettere il futuro dell’attività formativa e, soprattutto, di disperdere il patrimonio di esperienze costruito in anni di impegno e di duro lavoro”.
Nel corso dell’incontro, al quale ha preso parte anche la dr.ssa Valentina Setta, l’on. La Marca ha illustrato le maggiori difficoltà che gli enti promotori stanno affrontando nel riprendere l’attività dopo due anni di pandemia e, in particolare, le loro preoccupazioni per i criteri organizzativi e didattici adottati dalla nuova circolare n. 4/2022. L’on. La Marca ha richiamato l’attenzione, inoltre, sull’insufficiente certezza dei tempi di erogazione dei contributi e sulla scarsa attenzione alle differenze esistenti nello svolgimento delle attività tra i diversi emisferi, le diverse aree continentali, i diversi paesi e tra gli stessi enti.
Il Direttore De Pedys e la dott.ssa Setta hanno assicurato il loro impegno per garantire che le anticipazioni dei contributi avvengano entro l’estate e la piena disponibilità a collaborare con gli enti per quanto riguarda l’applicazione della nuova circolare.
L’on. La Marca ha invitato i responsabili ministeriali a monitorare la situazione senza pregiudizi e rigidità per verificare puntualmente la situazione sul piano organizzativo, finanziario e didattico, area per area ed ente per ente.
Ricordando come l’esperienza nord americana sia stata fino ad oggi di assoluta eccellenza, l’on. La Marca ha tenuto a ribadire che “i corsi integrati hanno garantito negli anni un servizio di alta qualità. Occorre fare tutto il possibile perché queste realtà non subiscano arretramenti e non si vedano costrette, come mi viene segnalato in alcuni casi, a chiudere l’attività. C’è bisogno di un impegno convinto e straordinario in difesa della promozione della lingua e della cultura italiana. Lo dobbiamo alle famiglie italiane e ai loro figli, a tutti gli studenti della nostra lingua e al prestigio dell’Italia, che nella lingua ha un insostituibile strumento di affermazione”.
*(On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America
– Electoral College of North and Central America)

 

 

05 – SCHIRÒ E PORTA (PD): IL BONUS DI 200 EURO E I PENSIONATI ITALIANI ALL’ESTERO.
Pensato per sostenere il potere di acquisto degli italiani il Bonus di 200 euro è una apprezzabile “indennità una tantum” che arriverà automaticamente nelle buste paghe e nei ratei di pensione di luglio (a favore di lavoratori dipendenti e autonomi, pensionati, disoccupati, percettori del Reddito di cittadinanza, con redditi fino a 35.000 euro).
A noi ovviamente interessa sapere se anche i pensionati italiani residenti all’estero e titolari di pensione erogate da un Ente italiano possono averne diritto. Giova ricordare inoltre che anche alcune specifiche categorie di lavoratori residenti all’estero potrebbero beneficiarne, considerato che il provvedimento, che è stato inserito nel Decreto legge “Aiuti”, non subordina il diritto al Bonus alla residenza in Italia (requisito che invece è esplicitamente richiesto, per ottenere – ad esempio – il Reddito di cittadinanza o l’Assegno unico).
Questa volta il legislatore non ha escluso con esplicita citazione normativa i residenti all’estero dal beneficio.

Ciò dovrebbe significare che anche i nostri connazionali emigrati – dovessero essi soddisfare i requisiti richiesti – ne avrebbero diritto. Ma vediamo cosa dice la legge. L’art. 32 del Decreto “Aiuti”, intitolato “Indennità una tantum per pensionati e disoccupati”, recita che: “a favore dei soggetti titolari di uno o più trattamenti pensionistici, a carico di qualsiasi forma previdenziale obbligatoria, di pensione o assegno sociale nonché di trattamenti di accompagnamento alla pensione, con decorrenza entro il 30 giugno 2022 e reddito personale complessivo non superiore a 35.000 euro lordi annui, è corrisposta d’ufficio con la mensilità di luglio 2022 un’indennità una tantum di importo pari a euro 200”.

Ci sembra evidente che i requisiti utili e imprescindibili per avere diritto al Bonus sono due: la titolarità di un trattamento pensionistico italiano e un reddito non superiore a 35.000 euro. A prescindere dalla residenza.

Pertanto si desume che anche le pensioni in convenzione internazionale rientrino nella casistica della norma. Sia quelle erogate in Italia che quelle erogate all’estero. Si tratta nel complesso di circa 700.000 pensioni in regime internazionale di cui poco più della metà erogate all’estero. Crediamo che ovviamente anche le pensioni erogate in regime autonomo ed erogate all’estero debbano ottenere il beneficio. Discorso più complesso e da verificare è quello del diritto al Bonus da parte dei lavoratori residenti all’estero ma dipendenti da un datore di lavoro con sede in Italia (ad esempio tutti gli impiegati statali, come i nostri contrattisti).
Sarebbe auspicabile un urgente chiarimento da parte del Ministero del Lavoro: non mancherà da parte nostra una adeguata iniziativa perché siamo convinti che chi paga le tasse in Italia non deve subire disparità di trattamento solo perché risiede all’estero.
Sarà in ogni caso nostro impegno prioritario sollecitare il Governo e le opportune autorità competenti (come l’Inps nel caso dei pensionati) ad applicare la legge nel rispetto del suo dettato e senza discriminazioni alcune nei confronti dei nostri connazionali residenti all’estero e potenzialmente aventi diritto al Bonus.
Non va dimenticato infine che sebbene si tratti della versione definitiva del Decreto “Aiuti” varata il 5 maggio dal Consiglio dei Ministri la norma non è ancora in vigore perché in attesa della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale che dovrebbe avvenire in questi giorni.
*(Angela Schirò deputata PD – Rip. Europa e Fabio Porta (senatore PD – Rip. America Meridionale)

 

 

06 – ITALIANI ALL’ESTERO, L’ITALOAMERICANO ENZO ODOGUARDI COORDINATORE MAIE NORD AMERICA. MERLO: “PRONTI ALLA SFIDA DEL 2023”
“Sono pronto a fare la mia parte all’interno del MAIE – assicura Odoguardi -. Abbiamo l’intenzione di portare ovunque, in tutte le circoscrizioni consolari nordamericane, un messaggio chiaro, rivolto agli italocanadesi e agli italoamericani: vogliamo farvi sentire più vicini all’Italia. Vogliamo promuovere con ancora maggiore forza la cultura italiana in Canada; puntiamo a valorizzare le nostre tradizioni, i nostri valori, la nostra italianità in tutto il Nord America”
Enzo Odoguardi è il nuovo coordinatore del MAIE in Nord America. Imprenditore italoamericano, a capo di un gruppo che opera nel settore delle costruzioni e ha proprie sedi negli Stati Uniti e in Canada, Odoguardi ha deciso di sposare in pieno il progetto del Movimento Associativo Italiani all’Estero, “l’unica forza politica che si batte da sempre per difendere gli interessi degli italiani nel mondo”, spiega lo stesso neo coordinatore.
Di origine calabrese, come moltissimi connazionali residenti in Nord America, fin da giovane ha dimostrato grandi capacità di relazioni pubbliche, grande senso delle istituzioni e soprattutto si è sempre distinto nell’aiutare i più deboli e bisognosi attraverso volontariato e opere di beneficienza a favore dei meno fortunati.
“Sono pronto a fare la mia parte all’interno del MAIE – assicura Odoguardi -. Sono già al lavoro per riqualificare il Movimento in Nord America, attraverso i tanti contatti che ho nelle diverse circoscrizioni consolari e le tante persone che, insieme a me, hanno capito che i partiti romani non possono dare risposte concrete a noi che viviamo oltre oceano. Ringrazio il presidente del MAIE, Sen. Ricardo Merlo, per la fiducia accordatami. Abbiamo acceso i motori e siamo già partiti: stiamo preparando un cronoprogramma di iniziative che interesseranno tutti gli States e tutto il Canada. Abbiamo l’intenzione di portare ovunque, in tutte le circoscrizioni consolari nordamericane, un messaggio chiaro, rivolto agli Italo canades e agli italoamericani: vogliamo farvi sentire più vicini all’Italia. Vogliamo promuovere con ancora maggiore forza la cultura italiana in Canada; puntiamo a valorizzare le nostre tradizioni, i nostri valori, la nostra italianità in tutto il Nord America. Tutti i partiti romani ci hanno deluso, rimbocchiamoci tutti insieme le maniche e contribuiamo a rafforzare l’unico Movimento di italiani all’estero che ha dimostrato nel corso degli anni di sapersi occupare davvero dei nostri problemi e delle questioni che più interessano noi italiani residenti oltre confine”, conclude.
“Auguro a Enzo Odoguardi buon lavoro, nell’interesse dei connazionali di Stati Uniti e Canada”, dichiara Angelo Viro, vicepresidente MAIE. “Sono convinto che con le sue capacità, con la passione e la determinazione che lo contraddistinguono, sarà in grado di rafforzare ulteriormente il MAIE Nord America”.

Viro e Odoguardi sono entrambi due importanti imprenditori che hanno deciso di fare squadra e di collaborare ad un progetto comune, quello che vuole costruire una casa MAIE forte e organizzata in tutta la ripartizione del Nord e Centro America.
Soddisfatto il presidente Merlo: “Ci prepariamo al meglio per affrontare la sfida più importante, quella delle elezioni politiche del 2023. Sappiamo che anche gli italiani in Nord America si sentono abbandonati a se stessi, trascurati dai loro rappresentanti parlamentari. Finora la partitocrazia romana li ha presi in giro e i nostri connazionali lo hanno capito. Saremo noi, come MAIE, a ridare loro fiducia e speranza”, conclude il senatore.

 

 

07 – SERENA TARABINI*: IL CLIMA OLTRE LA SOGLIA IL DRAMMA DELLA SICCITÀ A HACHKA, IN AFGHANISTAN – CLIMA. L’ORGANIZZAZIONE METEOROLOGICA MONDIALE: «NEI PROSSIMI CINQUE ANNI LA TEMPERATURA MEDIA DEL PIANETA POTREBBE RAGGIUNGERE LA SOGLIA DI 1,5 °C AL DI SOPRA DEL LIVELLO PREINDUSTRIALE.
Nonostante i summit, gli appelli, i protocolli, le road map, le agende, la temperatura media globale continua a salire: che gli accordi di Parigi non verranno rispettati è una probabilità ventilata da tempo e che ora viene anche quantificata. A mettere i numeri al count down del fallimento è il servizio meteorologico nazionale -Met Office – del Regno Unito, centro leader dall’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm-Wmo), il quale ogni anno pubblica il Global Annual to Decadal Climate Update, un aggiornamento sul clima globale che si svolge su scala annuale e decennale, redatto sulla base delle elaborazioni dei dati relativi al primo trimestre 2022 della banca dati Noaa, il National Climatic Data Centre che registra le temperature mondiali dal 1880.

In Italia gli eventi estremi sono costati all’agricoltura oltre 14 miliardi di euro in un decennio, tra perdite della produzione nazionale e danni alle strutture Coldiretti

A PARIGI TUTTI I PAESI che hanno sottoscritto l’accordo si sono impegnati a contenere l’aumento della temperatura media globale, puntando a un aumento massimo di 1,5 gradi al di sopra del livello preindustriale. Secondo lo studio appena pubblicato, c’è una probabilità del 50% di raggiungere questo limite in almeno uno dei prossimi cinque anni. Un dato che non mostra un’ inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti. La possibilità di superare temporaneamente 1,5°C era prossima allo zero nel 2015 e da lì è andata aumentando costantemente. Per gli anni tra il 2017 e il 2021 la probabilità di superamento era del 10%, per poi schizzare a quasi il 50% per il periodo 2022-2026. Da qui a poco inoltre ci attende un anno caldissimo: è del 93% la probabilità che tra il 2022 e il 2026 si raggiungano le temperature più alte mai registrate, ancora più alte di quelle registrate nel 2016, anno che con i suoi 1,1 gradi centigradi in più del secolo XIX, a sua volta aveva superato i precedenti record del 2015 e del 2014. Altissima, sempre del 93%, anche la probabilità che la media quinquennale del periodo 2022-2026 sia superiore agli ultimi cinque anni.

«IL TARGET DI 1,5°C NON È una statistica casuale, è piuttosto un indicatore del punto in cui gli impatti climatici diventeranno sempre più dannosi per le persone e per l’intero pianeta – afferma il segretario generale dell’Omm, Petteri Taalas – Finché continueremo a emettere gas serra, le temperature continueranno a salire. E insieme a ciò, i nostri oceani continueranno a diventare più caldi e più acidi, il ghiaccio marino e i ghiacciai continueranno a sciogliersi, il livello del mare continuerà a salire e il nostro clima diventerà più estremo. Il riscaldamento dell’Artico è elevato in modo sproporzionato e ciò che accade nell’Artico colpisce tutti noi». Secondo un altro esperto del Met Office, Leon Hermanson, non si tratta solo di raggiungere dei record, ma di essere ormai dentro un processo che non si interrompe. Il fatto che uno degli anni tra il 2022 e il 2026 superi 1,5 °C al di sopra dei livelli preindustriali, non significa solo violare una soglia iconica come quella dell’accordo di Parigi, ma rivela che ci stiamo avvicinando sempre più a una situazione in cui il target di 1,5 °C potrebbe essere superato per un periodo prolungato.

MERITO DELLE POLITICHE deludenti portate avanti dai governi fino ad adesso. A certificarlo è il Carbon Action Tracker, un gruppo di ricerca scientifica indipendente che tiene traccia dell’impegno delle nazioni per rispettare l’Accordo di Parigi e contrastare la crisi climatica. Stando all’ultimo aggiornamento pubblicato nel maggio 2022, nessun paese del mondo ha politiche compatibili con l’obiettivo di limitare il riscaldamento entro 1,5°C. Obiettivo che i grandi del mondo hanno recentemente ribadito nel corso della COP26 che si è svolta a Glasgow.

LA MAGGIOR PARTE delle nazioni ha politiche che risultano «altamente insufficienti». Tra queste l’Egitto, che a novembre ospiterà la prossima Conferenza sul clima. Gli Stati Uniti e i Paesi membri dell’Unione Europea, compresa dunque l’Italia, hanno politiche «insufficienti» a raggiungere l’obiettivo.

A PROPOSITO DELL’ITALIA, fra le prime realtà a commentare questo nuovo allarme c’è la Coldiretti, dal cui punto di osservazione la situazione è già drammatica in un anno come questo, così privo di piogge. E che si preannuncia anche caldo. Dalla sua analisi, infatti, il 2022 si classifica fino ad ora al quinto posto tra i più caldi mai registrati nel pianeta con la temperatura sulla superficie della terra e degli oceani, addirittura superiore di 0,88 gradi rispetto alla media del ventesimo secolo. In Italia la temperatura, sulla base dei dati Isac Cnr relativi ai primi tre mesi dell’anno, è stata più alta di +0,07 gradi e si colloca al diciottesimo posto a livello nazionale dal 1800; una anomalia che è stata molto più accentuata al nord, dove la siccità é stata accompagnata da un ben +0,59 gradi.

PERALTRO IN ITALIA la classifica degli anni più caldi negli ultimi due secoli si concentra nell’ultimo decennio e comprende nell’ordine – precisa la Coldiretti – il 2018, il 2015, il 2014, il 2019 e il 2020. E’ un’Italia tropicalizzata dal cambiamento climatico quella descritta dalla Coldiretti, dove è molto più elevata la frequenza di eventi violenti, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo, con sbalzi termici significativi. Il ripetersi di eventi estremi è costato all’agricoltura italiana oltre 14 miliardi di euro in un decennio tra perdite della produzione agricola nazionale e danni alle strutture e alle infrastrutture nelle campagne
*( Fonte IL MANIFESTO, Serena Tarabini. Biologa, docente, ha conseguito un dottorato di ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria Civile Edile Ambientale ..)

 

 

08 – PROTESTE PER CHIEDERE LE DIMISSIONI DEL PRESIDENTE DELLO SRI LANKA GOTABAYA RAJAPAKSA. COLOMBO, 6 MAGGIO 2022. (ISHARA S. KODIKARA, AFP)

INTANTO NEL MONDO

BARU -COLOMBIA
Il 10 maggio il procuratore antidroga paraguaiano Marcelo Pecci, 45 anni, è stato assassinato da due uomini armati su una spiaggia dell’isola di Barú, in Colombia, dove stava trascorrendo la luna di miele. Pecci era specializzato nella lotta alla criminalità organizzata, al traffico di droga, al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo.

STATI UNITI
Il 10 maggio l’imprenditore Elon Musk, fondatore di Tesla e SpaceX, ha annunciato che in caso di acquisizione del social network Twitter revocherà, in nome della libertà d’espressione, la sospensione definitiva dell’ex presidente Donald Trump. Musk ha aggiunto che le sospensioni definitive dovrebbero essere riservate a casi estremi, per esempio ai profili falsi.

SPAGNA
La direttrice dei servizi segreti Paz Esteban è stata destituita il 10 maggio in seguito alle rivelazioni riguardo i telefoni cellulari spiati del primo ministro Pedro Sánchez, del ministro dell’interno Fernando Grande-Marlaska e della ministra della difesa Margarita Robles. Gli atti di spionaggio, avvenuti tra maggio e giugno 2021 usando il software Pegasus dell’azienda israeliana Nso Group, sarebbero di origine esterna. Inoltre, la settimana scorsa Esteban era finita al centro delle polemiche per aver ammesso lo spionaggio legale dei telefoni di alcuni leader indipendentisti catalani.

ISRAELE-PALESTINA
L’11 maggio una giornalista palestinese di Al Jazeera, Shireen Abu Akleh, è rimasta uccisa durante un’operazione dell’esercito israeliano a Jenin, nel nord della Cisgiordania. Secondo l’emittente e il ministero della sanità palestinese, la giornalista è stata colpita alla testa dai soldati israeliani.

SRI LANKA
Il 10 maggio il governo ha ordinato alla polizia di “sparare a vista” sulle persone che compiono atti di violenza e saccheggi. Il giorno prima otto persone, tra cui due poliziotti, erano morte e più di duecento erano rimaste ferite negli scontri tra sostenitori del governo e manifestanti antigovernativi. Lo stesso giorno si era dimesso il primo ministro Mahinda Rajapaksa, fratello del presidente Gotabaya Rajapaksa. Nel paese è in corso un’ondata di proteste contro le interruzioni di elettricità e le carenze di cibo, farmaci e benzina.

COREA DEL SUD
Il nuovo presidente conservatore Yoon Suk-yeol si è insediato il 10 maggio per un mandato di cinque anni. Nel suo discorso inaugurale Yoon ha invitato il regime nordcoreano a rinunciare al suo arsenale nucleare in cambio di aiuti economici. Dall’inizio dell’anno Pyongyang ha condotto quindici test missilistici.

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
Il 9 maggio almeno quattordici civili sono rimasti uccisi in un attacco condotto nel campo profughi di Lodda, nella provincia nordorientale dell’Ituri. L’attacco è stato attribuito alla Cooperativa per lo sviluppo del Congo (Codeco), una milizia che sostiene di difendere gli interessi della comunità lendu. L’8 maggio i miliziani avevano ucciso altre trentacinque persone in una miniera d’oro artigianale nel territorio di Djugu.

 

 

09 – Elisabetta Povoledo*: Gabriel Zuchtriegel POMPEI AL PASSO CON I TEMPI. Il direttore del parco archeologico, studia l’organizzazione sociale dell’epoca romana, le questioni di genere e usa la tecnologia per limitare i danni causati dal clima nella necropoli di porta Sarno, poco lontano dal confine orientale di Pompei, Mattia Buondonno, guida turistica, solleva un telone che protegge una tomba scoperta nel 2021. Secondo l’iscrizione sul frontone della tomba, l’occupante era uno schiavo liberato di nome Marcus Venerius Secundio, che dopo essere diventato ricco “organizzava spettacoli in greco e latino lunghi quattro giorni”, mi spiega Buondonno traducendo dal latino. All’interno della tomba, costruita pochi decenni prima dell’eruzione del Vesuvio del 79 dC che devastò Pompei, gli archeologi hanno trovato uno scheletro ben conservato.
“È STRANO PERCHÉ DI SOLITO GLI ADULTI VENIVANO CREMATI”, mi spiega Buondonno. La tomba è importante anche per altre ragioni: “Scoperte come questa danno nuove informazioni sulla vita quotidiana delle classi sociali più basse”, spiega Luana Toniolo, che si è occupata degli scavi del parco archeologico di Pompei. Un’epigrafe riassume la biografia di Secundio, che era stato custode del tempio di Venere e aveva studiato per diventare sacerdote, e fa luce sulle mansioni a cui gli schiavi liberati “potevano aspirare”, sottolinea Toniolo. Per gli archeologi l’iscrizione della tomba è importante anche perché conferma una teoria che prima d’ora non era mai stata verificata, e cioè che a Pompei gli spettacoli erano presentati in greco, la lingua più usata nel Mediterraneo orientale. Ancora non è chiaro se si trattasse di spettacoli musicali o teatrali, ma oggi sappiamo che Pompei era una città cosmopolita. Coinvolgere di più “Ora abbiamo la certezza che qui vivevano persone provenienti da tutto il Mediterraneo”, spiega in un video sulla scoperta Gabriel Zuchtriegel, 40 anni, direttore del sito archeologico. Secondo Zuchtriegel era una società aperta e multietnica. In passato i visitatori frequentavano le rovine di Pompei soprattutto per ammirare gli affreschi nelle grandiose residenze, affascinati dalla tragedia di un’antica civiltà che non aveva avuto nessuna poss gas e lapilli. Ma Zuchtriegel, l’archeologo italo-tedesco che nel 2021 ha assunto la direzione del parco archeologico, spera che in futuro i turisti possano scoprire la città da una prospettiva più ampia, esplorandone le complessa stratificazione sociale. “Le risposte a molte domande possono arrivare da altri campi, come gli studi sul genere e quelli postcoloniali”, spiega Zuchtriegel. “Non dobbiamo dimenticare che le opere d’arte che ammiriamo oggi a Pompei appartengono a una società in cui c’era la schiavitù e non esisteva il concetto di stato sociale”. Nuove testimonianze della difficile condizione degli schiavi sono emerse nel 2021 con la scoperta della Stanza degli schiavi, in una villa a nord della città antica. Nella piccola stanza ci sono tre brande (la più piccola forse destinata a un bambino), un vaso da notte e grandi anfore. Questo fa pensare che lo spazio fosse usato anche come deposito. La luce entrava solo da una piccola finestra in alto. “A volte ti ritrovi improvvisamente vicinissimo alla realtà vissuta dalla maggioranza degli abitanti di Pompei”, spiega Zuchtriegel. “Penso che fosse una società estremamente dura”. Zuchtriegel deve ancora compiere molti passi per portare nel ventunesimo secolo un luogo rimasto “congelato” per duemila anni. “Dobbiamo trovare il modo di coinvolgere persone che hanno disabilità, bambini e visitatori provenienti da un contesto culturale diverso”, sottolinea. “Non parlo solo di eliminare le barriere architettoniche, ma del linguaggio che dobbiamo usare e di come far conoscere il sito archeologico”. Sarah Bond, professoressa associata di storia dell’università dell’Iowa, negli Stati Uniti, spiega che “spesso gli archeologi seguono un approccio conservatore”. Ma ora è “felice di vedere che a Pompei le cose stiano cambiando”. Sempre più spesso gli studi sull’antichità si occupano di temi che un tempo erano trascurati, “come gli abusi sessuali e lo stupro, o la schiavitù”, sottolinea Bond. “È fantastico che gli archeologi a Pompei stiano affrontando temi come le questioni di genere, il lavoro forzato e la violenza”. Tra le scoperte più sensazionali degli ultimi anni c’è quella di un thermopolium (antico luogo di ristoro), che ha permesso di conoscere i gusti culinari dell’epoca, tra cui spicca una zuppa di lumache, carmi, come l’eccessiva umidità delle mura o l’attività sismica. “L’obiettivo è avere un quadro in tempo reale” per intervenire prima che sia tardi, spiega Zuchtriegel. L’intelligenza artificiale e la robotica sono usate anche per assemblare gli affreschi della Casa dei pittori al lavoro, distrutta durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. L’edificio si chiama così perché all’interno furono trovati pennelli e vasetti di pittura. E la scansione in 3d ha permesso di creare un modello dello scheletro di un cavallo scoperto nel 1938, individuando delle parti mancanti. Tesoro d’informazioni Le nuove tecnologie saranno importanti anche per spiegare ai visitatori un’area in fase di restauro. Si tratta della Insula occidentalis, che comprende diverse ville urbane costruite su un crinale affacciato sul golfo di Napoli. Paolo Mighetto, l’architetto che gestisce il progetto, spiega che la sua squadra sta valutando il modo migliore per mostrare l’area al pubblico, magari usando ologrammi o forme di illuminazione interattiva. “Stiamo pensando a diverse soluzioni”. Già oggi c’è un’applicazione per gli smartphone che dà informazioni sugli edifici attraverso i codici presenti in tutto il sito archeologico. Una villa nella Insula occidentalis, la Casa della biblioteca, custodisce un importante “tesoro” di informazioni, spiega Mighetto. La struttura testimonia duemila anni di sconvolgimenti: un forte terremoto nel 62 dC, l’eruzione del Vesuvio, i primi scavi a Pompei nel settecento (quando vennero realizzati tunnel sotterranei) e le deformazioni causate dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. “Possiamo apprezzare le tracce della successione degli eventi nel corso del tempo”, spiega Mighetto. “Il nostro compito è permettere ai visitatori di osservare i segni di questi eventi disastrosi attraverso le crepe e le deformazioni della muratura”, in modo che possano “capire meglio i drammi del passato”. In un certo senso Pompei è sempre stata all’avanguardia delle nuove tendenze, “non sol0 nel campo dell’archeologia, ma anche nelle tecniche di restauro e nell’accessibilità al pubblico dei siti archeologici”, sottolinea Zuchtriegel. “E questo ha avuto un grande impatto”.
*(Fonte Internazionale: Elisabetta Povoledo, The New York Times, Stati Uniti, Pompei (Napoli), 23 febbraio 2022)

 

 

10 – Le opinioni. Paul Mason*: UNA STRATEGIA PER EVITARE IL CAOS.

NEL MAGGIO 1941, CON IL REGNO UNITO ISOLATO E GLI STATI UNITI NON ANCORA ENTRATI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, JOHN MAYNARD KEYNES VOLÒ NEGLI STATI UNITI PER DISCUTERE CON ALTRI ECONOMISTI, PARTENDO DA UNA DOMANDA MOLTO SEMPLICE: CHE ASPETTO AVRÀ L’ECONOMIA MONDIALE DOPO CHE AVREMO VINTO?
Nell’agosto di quell’anno il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt e il premier britannico Winston Churchill crearono la Carta atlantica, la struttura fondamentale delle Nazioni Unite. Nel dicembre 1941, quando il Giappone attaccò la base navale di Pearl Harbor, i comandanti alleati avevano già deciso la strategia militare: combattere prima la Germania e poi il Giappone. Se paragonata agli eventi del 1941, la risposta dell’occidente all’invasione russa dell’Ucraina – e la sua implicita distruzione dell’ordine creato dalla Carta dell’Onu – finora si è distinta per una mancanza di strategia. Le maggiori potenze dell’Unione europea (Francia, Germania e la stessa Commissione europea) pensavano che la guerra non sarebbe mai scoppiata e invece ci si sono ritrovate immischiate. Gli Stati Uniti, mentre in modo frenetico rendevano pubbliche le prove dell’inizio imminente del conflitto, non sono riusciti a convincere i loro alleati democratici a difendere l’Ucraina con qualcosa di più dell’invio di piccole quantità di armi. Le sanzioni, anche se abbastanza veloci da bruciare metà delle riserve di valuta estera di Mosca, non sono state abbastanza forti da paralizzarne l’economia, perché in questi anni l’Europa è diventata sempre più dipendente dalla Russia dal punto di vista energetico. Di conseguenza, nonostante i soldati russi violentino, torturino e uccidano i civili ucraini, l’occidente continua a versare dollari sul conto bancario di Vladimir Putin attraverso gli acquisti di petrolio e gas. Anche se ha annunciato una Zeitenwende (svolta epocale) nella politica tedesca, all’inizio il cancelliere Olaf Scholz ha faticato a convincere il suo partito e perfino sé stesso che la vendita di armi all’Ucraina non scatenerà ritorsioni nucleari. Poi invece ha deciso d’inviare carri armati per la difesa antiaerea. Boris Johnson, pur avendo spedito in fretta armi all’Ucraina, è a capo di un governo e di un partito ancora soggetto all’influenza finanziaria russa. Joe Biden il sindacalista si è chiesto ad alta voce come l’occidente potesse permettere a Vladimir Putin di restare al potere; poche ore dopo Joe Biden il presidente ha allontanato l’idea di un cambio di regime a Mosca. L’occidente, insomma, è stato trascinato in un conflitto per il quale non era preparato, costretto a fornire di continuo enormi quantità di armi pesanti e munizioni. È passato dal presupposto che l’Ucraina sarebbe stata occupata in poco tempo alla convinzione che Kiev può vincere. Ma non è ancora in grado di rispondere alla domanda che i giganti degli anni quaranta consideravano ovvia, e con la quale hanno fatto i conti anche quando erano con le spalle al muro: cosa significa vincere in Ucraina? E cosa dobbiamo fare per creare stabilità, e non caos, nella regione del mar Nero dopo che sarà dichiarato il cessate il fuoco? In parte questo fallimento è dovuto al modo in cui il capitalismo basato sul libero mercato ha trasformato il pensiero strategico dell’élite politica occidentale. L’analista militare James Sherr, del centro studi Estone Icds, si lamenta che “quelli che una volta erano grandi dipartimenti di stato sono ora dominati da manager politici invece che da strateghi”.

Una strategia per evitare il caos Paul Mason
L’OCCIDENTE È STATO TRASCINATO IN UN CONFLITTO PER IL QUALE NON ERA PREPARATO, COSTRETTO A FORNIRE ENORMI QUANTITÀ DI ARMI E MUNIZIONI
Le opinioni figure influenti e controcorrente, dice, sono i celebrati “realisti” come lo statunitense John Mearsheimer, che hanno esortato l’occidente a lasciare entrare l’Ucraina nella sfera d’influenza di Putin. Sherr non spiega in alcun modo come sia avvenuta questa trasformazione della politica, ma i critici di lunga data del neoliberismo conoscono la risposta. Come dice Will Davies, economista dell’università Goldsmiths di Londra: il neoliberismo è “il disincanto della politica per mano dell’economia”. La generazione di Keynes usava strumenti economici per raggiungere obiettivi sociali universali: l’autodeterminazione delle nazioni, diritti umani e diritti dei lavoratori. I piani per la pace dopo il 1945 erano spudoratamente utopistici. Per i leader contemporanei invece tutto è economia. Ecco perché non hanno elaborato un’idea alternativa, da opporre al conservatore John Mearsheimer, che consegnerebbe tranquillamente il Donbass alla Russia. Senza un obiettivo finale non può esserci una strategia, e senza una strategia non può esserci coerenza militare e logistica. Il 25 aprile il segretario alla difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, ha fatto la prima vera contromossa, annunciando chiaramente il nuovo obiettivo di Washington:
“VOGLIAMO CHE L’UCRAINA RIMANGA UN PAESE SOVRANO E DEMOCRATICO IN GRADO DI PROTEGGERE IL SUO TERRITORIO. E VOGLIAMO VEDERE LA RUSSIA INDEBOLITA AL PUNTO DA NON POTER PIÙ FARE COSE COME L’INVASIONE DELL’UCRAINA”.
Dato che Austin è un generale decorato in pensione, abituato da sempre a comunicare con precisione i suoi obiettivi, vale la pena di analizzare da vicino le sue frasi. Per gli Stati Uniti, vincere significa che l’Ucraina sopravvivrebbe non come uno stato-cuscinetto neutrale, ma come un paese dotato di un esercito forte e di un sistema democratico. Fatto più importante, vincere significa che l’esercito russo sarà così indebolito da non poter né invadere di nuovo l’Ucraina né minacciare nessuna nazione dell’Europa orientale. Questi obiettivi sono realistici? Sì. E obbligano Putin a una scelta strategica. Dopo il vertice di Ramstein, organizzato dagli Stati Uniti in Germania, è chiaro che, qualunque cosa facciano la Francia e la Germania, Washington si è impegnata a fornire armi che permetteranno a Kiev di fermare le forze russe nel Donbass. Così facendo, Vladimir Putin dovrà decidere se conservare un esercito di livello mondiale all’altezza del suo narcisismo o mantenere il controllo sulla regione del Donbass. Ma non potrà fare entrambe le cose. Gli Stati Uniti oggi sono impegnati non solo nell’imporre sanzioni economiche a Mosca, ma anche in una guerra per procura. Per farlo, hanno rinunciato a destabilizzare il regime di Putin. Vedono l’opportunità d’impedire che la Russia sia una minaccia duratura, e poter tornare così alla maggiore preoccupazione di Washington: contenere la Cina. Nello spazio che si creerebbe in seguito a un’eventuale vittoria dovrebbe intervenire la politica, a partire da quella di sinistra. Ci sono state molte critiche (giustificate) per l’indulgenza con cui l’élite ucraina ha trattato la tradizione banderista del nazionalismo d’estrema destra nel paese; e per il modo in cui ha tollerato i movimenti di estrema destra Azov e Pravyj Sektor, due formazioni che mantengono delle milizie politicizzate. Ma durante la guerra anche i sindacati ucraini di sinistra, le associazioni in difesa dei diritti umani, i mezzi d’informazione indipendenti e i partiti della sinistra internazionalista hanno difeso il loro paese. Se vincere oggi significa avere un’Ucraina sovrana e democratica, allora verdi, liberali, socialdemocratici e sindacati devono aiutare i progressisti in Ucraina, Russia e Bielorussia a incidere sul processo di pace. Nel Regno Unito abbiamo bisogno di trovare politici capaci di mettere in pratica una strategia. E per strategia s’intende creare alleanze e accordi sulla sicurezza che possano riportare stabilità nell’Europa orientale. Ma soprattutto, abbiamo bisogno di politici che credano nel progresso sociale. La Carta atlantica del 1941, con il suo linguaggio arcaico, contiene un’idea per cui vale ancora la pena lottare: “Attuare la collaborazione più completa fra tutti i popoli nel campo economico, al fine di assicurare a tutti migliori condizioni di lavoro, progresso economico e sicurezza sociale”. uff Nello spazio che si creerebbe in seguito a un’eventuale vittoria dell’Ucraina dovrebbe intervenire la politica, a partire da quella di sinistra.
*(Fonte Internazionale: PAUL MASON è un giornalista britannico esperto di economia. Collabora con il Guardian e con Channel 4. Il suo ultimo libro uscito in Italia è Come fermare il nuovo fascismo. Storia, ideologia, resistenza (Il Saggiatore 2021). Questo articolo è uscito sul New Statesman)

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