Colombia: brutale repressione della protesta popolare

di Sergio Bassoli

Nei giorni scorsi il mondo intero ha riaperto gli occhi e l’attenzione sulla Colombia, ma ancora una volta per le violenze e le morti che accompagnano la storia e la vita dei colombiani dalla metà del secolo scorso. Sindacati, studenti, organizzazioni sociali, comunità indigene, riuniti in una coalizione chiamata “Comité Nacional de Paro” (Cnp), letteralmente, “comitato nazionale di sciopero”, da un paio di anni promuovono la protesta sociale, pacifica e nonviolenta, contro le politiche neoliberali e lo scarso impegno nell’implementazione degli Accordi di Pace dell’attuale governo guidato dal presidente Iván Duque.

Basta leggere la piattaforma di questa ampia coalizione della società civile colombiana per capire quanto sia profondo il malessere e trasversale la richiesta di giustizia, di legalità e di pacificazione: dal salario minimo, alla difesa dell’economia e delle risorse nazionali, agli aiuti per le piccole imprese, al sostegno dell’economia solidale e familiare, al rispetto dei diritti fondamentali del lavoro, alla sovranità e sicurezza alimentare, dal diritto alla scuola pubblica e gratuita, al diritto alla salute pubblica, all’uguaglianza di genere e contro ogni forma di discriminazione di sesso e di appartenenza etnica, al no alle privatizzazioni, dalla richiesta di attuazione dell’agenda degli Accordi di Pace, alla fine della violenza e dei morti ammazzati.

Dal primo sciopero nazionale, convocato dal Cnp il 21 novembre del 2019, il governo si è sempre rifiutato di aprire un tavolo di confronto con i manifestanti, proseguendo con le sue politiche di riforme e contro riforme, fino all’ultima riforma fiscale, proposta in piena emergenza sanitaria, con la popolazione allo stremo, proponendo un aumento del prelievo fiscale per coprire l’aumento di deficit statale. Una mossa che ha isolato ancora di più l’esecutivo e portato in piazza milioni di colombiani, fino a costringere il presidente Duque a chiedere il ritiro di questa ennesima assurda riforma, dopo sei giorni di proteste, dal 28 aprile al 3 maggio scorso, che hanno paralizzato l’intero paese.

Ciò che poteva essere risolto con il dialogo ed il confronto, è costato invece la morte di decine di persone (all’8 maggio se ne contavano già trenta), quasi un migliaio di feriti, novanta desaparecidos e una decina di casi di violenza e stupro di donne da parte di agenti in borghese.

Ancora una volta lo Stato non si è dimostrato all’altezza della situazione prevenendo e fermando l’ondata di violenza e di repressione, favorita e sostenuta da quelle forze reazionarie di destra e dell’oligarchia collusa con il narcotraffico, che continua a servirsi dei gruppi paramilitari e di apparati deviati della polizia e dell’esercito per diffondere terrore, eliminare sindacalisti, attivisti sociali, leader indigeni, ex-combattenti, nella completa impunità.

Solamente nel 2020, le organizzazioni di difesa dei diritti umani hanno denunciato settanta casi di omicidi collettivi, intesi con più di tre persone uccise. Dalla firma degli Accordi di Pace (2016) ad oggi sono stati assassinati 287 ex-guerriglieri delle Farc, che hanno accettato il piano di ritorno alla vita civile e consegnato le armi, e 904 attivisti sociali.

Alla violenza “fuori controllo”, alla politica neo-liberale di privatizzazioni, di tagli al già esiguo stato sociale, di svendita delle risorse al capitale straniero, di corruzione e collusione con il narcotraffico, si aggiunge l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia, ed esplode il conflitto sociale, in presenza di un governo cieco e sordo.

“La gente ha due possibilità, o morire di fame o scendere in piazza”, così ci spiega cosa stia succedendo in Colombia il presidente della confederazione sindacale Cut, Francisco Maltés Tello, “17 milioni soffrono la fame, 12 milioni lavorano nell’informalità, cioè senza alcun tipo di tutele e contratto, 21 milioni non hanno più risorse economiche, mezzo milione di piccole realtà economiche sono fallite, la disoccupazione è salita oltre il 17% e i giovani non hanno futuro…”.

Le ultime notizie dicono che finalmente il governo, dopo aver ritirato la legge di riforma fiscale, sia disponibile a sedersi al tavolo con i rappresentanti del Cnp, ma chiede che siano sospese le manifestazioni, gli atti vandalici e i blocchi stradali. Il Comitato condanna ogni atto di violenza, denuncia le infiltrazioni di agenti provocatori nelle piazze, ma non è disposto a fermare le mobilitazioni.

La comunità internazionale, che fino a ieri ha appoggiato il governo di Duque senza se e senza ma, tanto da favorire l’accreditamento della Colombia nell’Ocse e aver sottoscritto decine di accordi commerciali, oggi è in forte imbarazzo, per la dura repressione delle proteste, per un uso sproporzionato delle forze antisommossa, e per la situazione sociale che rischia di prendere una strada che ha poco a che vedere con la pace e con la democrazia.

 

FONTE: https://www.sinistrasindacale.it/index.php/periodico-sinistra-sindacale/numero-10-2021/1985-colombia-brutale-repressione-della-protesta-popolare-di-sergio-bassoli

 

 


 

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