A proposito dei disservizi nei Consolati: Il caso di Londra e Zurigo

Riceviamo e pubblichiamo

di Gerardo Petta     

Il disappunto  dei connazionali residenti nel Regno Unito, per i cronici disservizi del consolato italiano di Londra, su cui in questi giorni hanno riferito alcuni siti informativi degli italiani all’estero, riecheggia, in qualche modo, le analoghe  preoccupazioni  di molti concittadini attivi nei Paesi europei e altrove. La lentezza infatti nell’erogazione dei servizi sembra essere  il tratto  comune dei nostri uffici consolari, o, almeno, di un buon numero di essi.  

La situazione del consolato londinese non costituisce tuttavia una novità. Essa non è infatti diversa da quella che, negli anni passati,  si registrava nella stessa sede,  come si può desumere, del resto, dagli appelli  e dalle lettere pubblicate sul Corriere della Sera e su altri quotidiani nazionali. Ma la situazione appare ora più grave.

Che fare, al riguardo? Ora, io non vorrei apparire  come uno dei tanti  saccenti di turno, che danno consigli non richiesti, ma  a me sembra che la  vicenda  londinese ricordi, per certi aspetti, l’ esperienza del consolato di Zurigo, negli anni precedenti il 2015, prima, cioè, del riassetto dei moduli lavorativi della sede zurighese, di una sede consolare- giova ricordarlo- che è anche la più popolosa d’Europa, dopo quello di Londra. Perciò, può essere istruttivo, io credo, evocare quella esperienza, in una chiave anche comparativa.   

Al riguardo, merita ricordare come l’esercizio di monitoraggio, con cui nel 2015  si è misurato l’andamento delle visite presso il  consolato zurighese, abbia messo in evidenza un dato molto interessante, e cioè, l’invarianza statistica  del flusso degli utenti consolari, pari, all’incirca, a 250  persone al giorno. Ed è sulla base di tale riscontro che  sono stati adottati gli opportuni rimedi organizzativi. Come ricorderanno i connazionali residenti a Zurigo, il consolato ha rimodulato e normalizzato l’orario di lavoro, ampliando  inoltre il numero e l’orario degli sportelli e informatizzando, al tempo stesso, le postazioni lavorative in modo da consentire ad ogni  impiegato di svolgere il proprio lavoro entro tempi brevissimi. Si è cosi arrivati, nel giro di pochi mesi,  alla pratica abolizione delle code, delle liste di attesa e degli arretrati di lavoro.  Gli eccellenti risultati conseguiti hanno indotto  l’ex  Sottosegretario agli Esteri Ricardo Merlo  a additare nell’Ufficio di Zurigo il fiore all’occhiello della rete consolare italiana. Perché, dunque, non ripetere a Londra l’esperimento zurighese?

Racconto del resto quella esperienza, conclusasi, precipitosamente, nel marzo dello scorso anno, perché a me sembra che non si parli abbastanza  dei temi organizzativi e di quanto un più accorto assetto lavorativo possa aumentare la produttività degli uffici e la soddisfazione del pubblico. Si preferisce infatti affrontare le tematiche del lavoro consolare con un approccio di tipo aristotelico, evocando cioè, a giustificazione dei disservizi correnti,  impedimenti di ordine generale, come possono essere, ad esempio,  il  gran numero di connazionali, la  mancanza di risorse finanziarie dei consolati, lo scarso numero di impiegati, l’eccesso di disposizioni normative.

Si tratta, certo, di inconvenienti incontestabili, ma si tace però  sulle misure di piccola scala, ossia non si parla di quelle misure che possono essere prese sul posto mediante una più efficace organizzazione del lavoro.  

Certamente,  il momento presente non è dei più facili e  il Coronavirus circola ancora tra di noi.  Per contrastare per altro la diffusione del virus,  si è scelto  di  puntare, come noto,   sul lavoro a distanza,  e , in qualche caso, sulla chiusura tout court degli uffici, così esorcizzando, mi sembra, i  contatti ravvicinati, divenuti ormai sconvenienti. In questo contesto,  non si manca infatti di enfatizzare i vantaggi dello ”smart working”, sorvolando però sugli svantaggi,  mentre  gli uffici consolari  si vanno  ormai barricando ogni giorno di più.

Un arroccamento, mi permetto di osservare, che si esprime anche con l’ imposizione degli  appuntamenti per via elettronica e con le nuove incombenze informatiche a carico degli utenti, che è poi, nella mia impressione, il modo escogitato dalla burocrazia per tenere i cittadini a debita distanza.

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