Golpe in Myanmar

La signora Aung San Suu Kyi è stata arrestato in un colpo di stato militare: le Forze Armate hanno (ri)preso il potere dichiarando un anno di stato di emergenza

di Alessio Fraticcioli

(Asiablog.it) — All’alba di lunedì 1° febbraio l’esercito del Myanmar ha lanciato un colpo di stato arrestando la signora Aung San Suu Kyi, leader del Paese asiatico, e i principali esponenti del governo civile salito in carica cinque anni fa.

Qualche ora dopo un canale televisivo di stato ha annunciato che i poteri sono stati trasferiti al capo dell’esercito, il generale Min Aung Hlaing, e che il Paese rimarrà in “stato di emergenza” per un anno. Intanto i voli interni sono stati sospesi ed è stato chiuso l’aeroporto internazionale di Yangon, la più grande città del Paese.

 

Democratizzazione alla birmana

Negli ultimi anni alcuni osservatori avevano descritto o celebrato il Myanmar come un raro caso in cui i generali hanno consegnato volontariamente un po’ di potere ai civili, onorando i risultati delle elezioni del 2015, le prime a carattere multipartitico dopo diversi decenni di regime militare.

Dopo il voto del 2015, Aung San Suu Kyi ed altri membri del suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia, avevano potuto formare un governo dopo aver trascorso anni in prigione per la loro opposizione politica ai militari, che alla signora Suu Kyi era valsa anche un premio Nobel per la pace nel 1991.

In realtà l’esercito, oggi guidato dal generale Min Aung Hlaing, aveva mantenuto importanti leve di potere nelle istituzioni e in tutti i settori del Paese. Questo golpe e gli arresti dei massimi leader del governo, insieme ad altri politici e attivisti, mettono in chiaro chi in ultima istanza detiene il potere di decidere le sorti della nazione asiatica.

Reazioni internazionali

Diverse nazioni hanno immediatamente condannato il golpe birmano. Tony Blinken, il nuovo segretario di stato degli Stati Uniti, ha dichiarato che l’amministrazione Biden esprime «allarme e grave preoccupazione» per l’escalation dei militari ed invita le autorità di Naypiydaw a rilasciare i leader del governo e della società civile. «Gli Stati Uniti sono al fianco del popolo birmano nelle loro aspirazioni di democrazia, libertà, pace e sviluppo», ha aggiunto Blinken. «I militari devono annullare immediatamente queste azioni».

Quando si è avviato sulla strada della democratizzazione, concedendo lo svolgimento delle elezioni nel 2010 e poi ancora nel 2015, il regime del Myanmar è stato lodato dai governi occidentali, inclusa l’amministrazione Obama, come una speranza di democrazia in una situazione internazionale in cui diversi Paesi sembravano scivolare verso l’autoritarismo. Ma la transizione politica nella nazione del sud-est asiatico non è mai stata così fluida o genuina come sperato da molti.

L’esercito, che pure ha fatto partire una transizione politica verso quella che ha definito, in modo confuso ma non troppo, “democrazia fiorente disciplinata”, ha scritto una Costituzionem pubblicata nel 2008, che lascia molto potere agli uomini in divisa. Ad esempio, solo il 75% dei seggi parlamentari viene scelto dagli elettori, mentre il restante 25% viene cooptato dal Tatmadaw (l’esercito birmano). E nei primi caotici anni della democratizzazione, le liberalizzazioni in molto casi sono state semplici svendite di beni statali a favore di aziende controllate dai militari o da loro delegati.

Nel 2017 i militari hanno intensificato la loro brutale campagna contro una minoranza etnica, quella dei Rohingya, costringendo 750.000 persone a fuggire nel vicino Bangladesh in uno dei più grandi flussi mondiali di rifugiati del Ventunesimo secolo. Negli anni scorsi un rapporto delle Nazioni Unite ha sostenuto la necessità di incriminare per crimini di guerra e genocidio i militari birmani in relazione ai “crimini atroci” commesi contro i Rohingya, a partire dagli incendi dei villaggi, gli stupri e le esecuzioni sistematiche.

 

FONTE: asiablog.it

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