18 aprile 2020 NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL ESTERO ED ALTRE COMUNICAZIONI

1 – Schirò (Pd): per gli italiani rimpatriati e disoccupati per effetto del licenziamento è prevista l’indennità di disoccupazione facilitata . Il dramma dell’epidemia Coronavirus sta costringendo molti lavoratori italiani trasferitisi all’estero per lavoro a rientrare in Italia.
02 – CORONAVIRUS | Sottosegretario Merlo: nuovi voli speciali per il rimpatrio dei connazionali, Farnesina lavora senza sosta
03 – Alfiero Grandi. Europa, bene le scuse chieste all’Italia, ora prestiti e interventi concreti per fronteggiare la crisi.
04 – Al Consiglio europeo del 23 la partita in salita di Conte . Governo. Nella migliore delle ipotesi il premier otterrà un fondo garantito dal bilancio Ue. I partiti di maggioranza intanto trattano sulle nomine alle partecipate e l’opposizione attacca, di Andrea Colombo.

05 – di LUIS SEPULVEDA, QUESTO È IL GIORNO PIÙ ATTESO. PINOCHET ANDRÀ A PROCESSO. UN INTERVENTO DELLO SCRITTORE USCITO ORIGINARIAMENTE SUL MANIFESTO DEL 6 GENNAIO 2005

1 – SCHIRÒ (PD): PER GLI ITALIANI RIMPATRIATI E DISOCCUPATI PER EFFETTO DEL LICENZIAMENTO È PREVISTA L’INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE FACILITATA . Il dramma dell’epidemia Coronavirus sta costringendo molti lavoratori italiani trasferitisi all’estero per lavoro a rientrare in Italia.
Una normativa ingenerosa e poco lungimirante non consente a coloro che ne avrebbero bisogno, in attesa di cercare e trovare un lavoro, di ottenere il reddito di cittadinanza.
Tuttavia una legge poco conosciuta prevede un trattamento di disoccupazione a favore dei lavoratori italiani rimpatriati. Si tratta della legge 25 luglio 1975 n. 402.
Rientrano nel campo di applicazione della legge i cittadini italiani che abbiano lavorato all’estero (sia in Stati non convenzionati che in Stati comunitari o convenzionati in base ad accordi e convenzioni bilaterali) rimasti disoccupati per effetto del licenziamento o del mancato rinnovo del contratto di lavoro stagionale da parte del datore di lavoro all’estero (straniero ovvero italiano, operante o residente all’estero).
Per accedere alla prestazione di disoccupazione il lavoratore italiano rimasto disoccupato deve presentare apposita domanda e soddisfare, oltre le condizioni sopra indicate, i seguenti requisiti:
1) essere rimpatriato entro 180 giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro;
2) avere reso la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro al competente Centro per l’impiego entro 30 giorni dalla data del rimpatrio.
La domanda non è soggetta a termini di presentazione, né la data di presentazione della stessa ha effetti sulla decorrenza della prestazione di disoccupazione.

L’importo della prestazione è calcolato sulla base delle retribuzioni convenzionali determinate per l’anno di riferimento della prestazione da erogare (per l’anno in corso vedere circolare n. 15/2020 dell’Inps).
L’indennità di disoccupazione spetta quindi ai cittadini italiani che abbiano lavorato all’estero e siano rimasti disoccupati per effetto del licenziamento.
La domanda deve essere presentata all’INPS, esclusivamente in via telematica, attraverso uno dei seguenti canali: WEB – servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino tramite PIN attraverso il portale dell’Istituto; Contact Center dell’Inps; Patronati/intermediari dell’Istituto – attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi con il supporto dell’Istituto.
Le persone disoccupate, rimpatriate da uno Stato estero che applica la normativa comunitaria (Paesi dell’UE, Stati SEE -Islanda, Liechtenstein e Norvegia- e Svizzera), dovranno allegare il documento portatile U1, qualora ne siano in possesso, attestante i periodi di assicurazione, la data e il motivo della cessazione e la qualifica del lavoratore e tutta la documentazione utile a comprovare l’attività lavorativa all’estero (contratto di lavoro, buste paga, etc.).Nel caso in cui il richiedente la prestazione non sia in possesso del documento portatile U1, le informazioni necessarie saranno richieste direttamente dalla Struttura INPS territorialmente competente all’Istituzione estera in causa (ma in questo caso probabilmente i tempi di trattazione della pratica saranno molto più lunghi).
Invece le persone disoccupate rimpatriate da uno Stato estero non convenzionato dovranno allegare alla domanda apposita dichiarazione, attestante il licenziamento o il mancato rinnovo del contratto, rilasciata dal datore di lavoro all’estero o dalla competente autorità consolare.
In presenza di tutti i requisiti richiesti il cittadino disoccupato e rimpatriato ha diritto alla prestazione per la durata massima prevista di 180 giorni. Giova inoltre ricordare che i lavoratori che percepiscono l’indennità di disoccupazione possono richiedere anche l’assegno al nucleo familiare, purché ne abbiano i requisiti. I requisiti sono gli stessi previsti per i lavoratori dipendenti.
L’indennità viene pagata direttamente dall’Inps e può essere riscossa mediante accredito sul conto corrente bancario o postale o su un libretto postale, oppure mediante bonifico domiciliato presso Poste Italiane allo sportello di un ufficio postale rientrante nel CAP di residenza o domicilio del richiedente.
E’ importante chiarire che dato che l’indennità di disoccupazione non si basa su requisiti contributivi accreditati all’estero, il cittadino disoccupato può fare richiesta anche se ha svolto un periodo minimo di lavoro all’estero.
Infine vorrei ricordare che i nostri connazionali, prima di rientrare in Italia, potrebbero aver diritto ad una prestazione di disoccupazione a carico dell’ultimo Stato estero dove hanno prestato attività lavorativa, pertanto potrebbe essere opportuno presentare lì una domanda di disoccupazione che potrebbe essere economicamente per loro più favorevole (in ogni caso, per gli “europei” prima di liquidare l’indennità di disoccupazione le Sedi dell’Inps verificheranno l’eventuale diritto ad una “NASpi” se trattasi di lavoratori frontalieri, transfrontalieri o stagionali – art. 65 Reg. n. 883/2004).
Per fare la domanda di indennità è consigliabile comunque rivolgersi ad un ente di patronato che si occupa di tutela di lavoratori.
Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – – Camera dei Deputati

02 – CORONAVIRUS | SOTTOSEGRETARIO MERLO: NUOVI VOLI SPECIALI PER IL RIMPATRIO DEI CONNAZIONALI, FARNESINA LAVORA SENZA SOSTA
“Sono oltre 60mila – spiega il Sottosegretario agli Esteri Ricardo Merlo – gli italiani già rimpatriati dall’inizio dell’emergenza coronavirus. Come Farnesina sappiamo che sono tanti i connazionali ancora fuori, ma posso assicurare che lavoriamo incessantemente per consentire il rientro in Italia di tutti gli italiani costretti loro malgrado a restare oltre confine”
“Continua senza sosta il lavoro del governo italiano, con la Farnesina in prima linea, per riportare in Patria gli italiani rimasti bloccati all’estero in piena emergenza coronavirus”. Lo dichiara in una nota il Sen. Ricardo Merlo, Sottosegretario agli Esteri e presidente del MAIE – Movimento Associativo Italiani all’Estero.
“Ieri, giovedì 16 aprile, un secondo volo speciale è partito da Caracas, Venezuela, con 275 passeggeri di 21 nazionalità europee, tra questi tanti italiani. Nello stesso giorno, è partito da L’Avana, Cuba, un volo Blu Panorama che ha riportato in Italia un centinaio di connazionali.
Domenica 19 aprile partirà da Orlando un volo speciale operato dalla compagnia NEOS per rimpatriare i connazionali temporaneamente presenti nel sud est degli Stati Uniti e rimasti bloccati a causa dell’emergenza sanitaria legata al COVID 19. L’iniziativa è stata presa di concerto con l’Unità di Crisi della Farnesina.
Ancora: Air Dolomiti, Compagnia aerea italiana del Gruppo Lufthansa, ha in programma per martedì 21 aprile due nuovi voli commerciali di rimpatrio da Bucarest per i cittadini italiani all’estero, che seguono quelli speciali già effettuati nelle scorse settimane dalle città di Riga, Vilnius, Bucarest e Sofia. In accordo con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, la Compagnia predisporrà due collegamenti da Bucarest che partiranno martedì 21 rispettivamente alle ore 13,35 e alle 14,35 locali. I voli atterreranno prima all’aeroporto di Roma Fiumicino e poi proseguiranno per Milano Malpensa.
E’ previsto per lunedi’ 20 aprile dall’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv un ulteriore volo speciale – con scalo a Roma Fiumicino e arrivo a Milano Malpensa – per riportare in patria connazionali che a seguito della sospensione dei voli si sono trovati bloccati in Israele o che abbiano urgenza di tornare in Italia.
Rientrerà in Italia domenica sera anche Laura Pintore, 27enne ricercatrice italiana rimasta bloccata per settimane in Nuova Zelanda, questa volta grazie a un volo speciale organizzato dal governo francese ma con la collaborazione dell’Ambasciata italiana”.
“Sono solo alcuni esempi. Sono oltre 60mila – spiega il Sottosegretario Merlo – i connazionali già rimpatriati dall’inizio dell’emergenza coronavirus. Ringrazio la rete diplomatico-consolare italiana per la preziosissima collaborazione che sta offrendo in questo periodo complicato.
Come Farnesina sappiamo che sono tanti i connazionali ancora fuori, ma posso assicurare che lavoriamo incessantemente per consentire il rientro in Italia di tutti gli italiani costretti loro malgrado a restare oltre confine

03 – ALFIERO GRANDI. EUROPA, BENE LE SCUSE CHIESTE ALL’ITALIA, ORA PRESTITI E INTERVENTI CONCRETI PER FRONTEGGIARE LA CRISI, di Alfiero Grandi.
Le dichiarazioni di Ursula Von der Leyen sull’Italia, arrivando a chiedere scusa per il deficit di solidarietà, sono una novità importante e premono per ottenere novità positive dalla riunione dei capi dei governi europei prevista per il 23 aprile. Se non ci fosse di mezzo la gravità della pandemia, tutt’altro che sotto controllo, e una conseguente crisi economica di proporzioni impressionanti per il nostro paese, potremmo apprezzare meglio questa novità. Purtroppo l’urgenza è tale che avere fissato la riunione europea al 23 aprile non ha lasciato un’impressione positiva. Il tempo incalza, le decisioni vanno prese rapidamente, l’Europa deve decidere. La discussione in Italia si è concentrata sul Mes, brandito da Salvini e Meloni con inutile estremismo, forse per tentare di far dimenticare che è il governo Berlusconi che nel 2011/2012 ha partecipato alla sua stesura, con Meloni ministro e la Lega nella maggioranza: Berlusconi ha spiazzato i suoi “alleati” riconoscendo che è andata proprio così, ma aggiungendo che in cambio dovevano esserci gli eurobond. Forse Tremonti, mefistofelico ministro dell’Economia, gli aveva raccontato che c’era uno spazio per gli eurobond. Difficile da credere, se c’è contrarietà oggi tanto più c’era allora quando la Grecia veniva socialmente massacrata.
Resta il fatto che sono due partite non scambiabili, tanto è vero che Monti, arrivato al governo dopo la crisi di Berlusconi, si è ben guardato dall’usare l’antenato del Mes, perché allora come oggi il rischio è la troika, cioè la rinuncia all’autonomia delle decisioni nazionali e quindi di venire messi sotto tutela. Monti che guidò il governo successivo prese decisioni drastiche, molte non condivisibili (pensioni, ad es.) ma tenne il punto della sovranità nazionale. L’importanza delle dichiarazioni di Berlusconi resta perchè mette in campo una posizione diversa dalla demagogia antieuropea di Salvini e Meloni. Del resto la Lega non ha trovato di meglio che votare contro anche agli eurobond. Da varie parti arrivano pressioni per ricorrere al Mes per le spese legate alla pandemia. Nella foga viene presentata una realtà edulcorata. Sembrano considerazioni di buon senso ma a leggere bene i documenti vengono seri dubbi che sia tutto così ovvio.
I prestiti del Mes hanno una condizionalità che verrebbe alleggerita se l’utilizzo sarà legato alla crisi sanitaria, ma restano alcuni aspetti tuttora non chiariti. Il Mes fa prestiti per periodi limitati, di norma due anni, quanto potrebbe essere la durata di questi? Per interventi come quelli necessari oggi occorrono tempi molto lunghi, decenni. I prestiti, per ragioni costitutive del Mes, prevedono un interesse che remuneri il prestito più altre spese, non sono a costo zero, come si trattasse di un normale prestito. I prestiti sono garantiti come debito ultra privilegiato, al punto che l’Italia dovrebbe pagarlo perfino se uscisse dall’Euro (ipotesi puramente di scuola), la condizionalità del Mes potrebbe essere chiesta anche successivamente e questo andrebbe chiarito, in particolare che non ci possono essere clausole aggiunte ex post. È vero, di norma un intervento del Mes consente alla Bce di superare il vincolo di non acquistare direttamente titoli pubblici e quindi potrebbe esserci un intervento forte per tenere basso lo spread, ma in questo caso siamo certi che la troika non entrerebbe in campo in modo automatico? Settori economici, finanziari ed imprenditoriali mettono in luce la “convenienza” di avere questi soldi a disposizione, c’è del vero ma dimenticano di dire che nel caso di intervento della troika a farne le spese sarebbero in larga misura le spese sociali e vista la situazione della sanità è facile immaginare che l’intervento sarebbe sulle pensioni e sulla spesa pubblica, cioè pensioni, stipendi e acquisti.

IN REALTÀ PARTE DI COLORO CHE PREMONO PER USARE IL MES PENSANO DI USARE RISORSE CHE ALTRI PAGHERANNO.

A differenza del governo Conte 1 il Conte 2 ha opportunamente sviluppato una politica di alleanze con altri stati europei. Le dita negli occhi di Salvini agli altri paesi avevano isolato l’Italia. Oggi non è più così, per fortuna. Tornare al passato di un sovranismo fondato su risse continue con tutti sarebbe un disastro. Lo schieramento di cui fa parte l’Italia ha esigenze e obiettivi non tutti coincidenti, per questo è bene chiarire tutto quanto è possibile sul Mes e lasciare liberi i singoli paesi di chiederne l’intervento. Più le modifiche saranno buone meglio sarà per tutti. Siamo chiari, nessuno può giurare che l’Italia in futuro non avrà mai bisogno di usare questo meccanismo ed è meglio iniziare subito a chiedere, insieme agli altri stati, la modifica delle regole che dai trattati sono state trasposte negli strumenti come il Mes. La destra estremista punta ad usare le difficoltà per favorire un processo di uscita dell’Italia dall’euro, pretendere chiarimenti è un argine contro questa deriva. Quindi chiarire è utile a tutti, anche a chi per ora (sperabilmente mai) pensa di non usare questo meccanismo, Monti aveva visto giusto e oggi ci sono troppe incognite sul futuro economico e finanziario mondiale per accettare preclusioni. Perfino la Cina cede alcuni punti di Pil, cosa ci aspetta è difficile prevederlo. È sperabile che la riunione del 23 aprile tra i capi di governo abbia la fantasia necessaria per dare corpo e forza alla formula per ora troppo evanescente definita dall’eurogruppo. Sembra di assistere all’inaugurazione di un monumento finora coperto da teli che non lasciano intravvedere la sostanza. Vedremo tra non molto cosa c’è sotto.
Se vi sarà una forma di mutualità, il cui nome ha poca importanza, concepita ex novo come strumento dell’Unione avremo fatto un passo avanti non da poco, se poi avrà sia interventi a fondo perduto che prestiti a lungo termine sarà ancora meglio. Uno strumento ex novo può consentire di prefigurare anche una nuova modalità di intervento della Bce a sostegno di un intervento comune degli stati, infatti si potrebbe leggere come cosa diversa dall’acquisto diretto di debito pubblico. Altrimenti le dichiarazioni di Von der Leyen a cosa servirebbero?
Infine va chiarito che comunque vada a finire l’Italia deve fare la sua parte. Deve prendere decisioni importanti, ad esempio deve riportare in Italia produzioni che non possono più dipendere dall’estero, alcune obbligate e altre “incoraggiate”. Se un’auto ha bisogno di componenti che non arrivano è un problema, se alla sanità pubblica mancano i mezzi necessari per poter curare in modo efficace la salute delle persone è un delitto. Occorre ristrutturare i settori produttivi, riportare le produzioni nel paese, organizzare il lavoro nel modo più moderno ed efficace, a distanza in tutte le situazioni che lo consentono. Chi non rispetta il lavoro chiude. Anche sul piano delle risorse occorre cambiare. L’Olanda è un paradiso fiscale inaccettabile, come altri, va chiesto che venga vietata la concorrenza fiscale sleale, ma quante imprese italiane hanno scelto di usare questi strumenti di elusione/evasione? Basterebbe una norma che affidi agli stati/paradiso l’obbligo di fare da sostituto di imposta per lo stato italiano. Si possono proporre strumenti finanziari pubblici all’interno del nostro paese dove c’è risparmio disponibile ma occorre farlo con garanzie precise, primo tra tutti garantire che quel debito pubblico non verrà mai ristrutturato.
L’evasione è un problema antico, iniziamo l’intervento dalle liste di quanti hanno rinunciato perfino ad usare i condoni del centro destra, purtroppo non cancellati da chi è venuto dopo. Gole profonde hanno rivelato gli elenchi, procediamo e iniziamo a confiscare e a mandarne qualcuno in carcere, con buona pace di Salvini. Il nostro paese deve raccogliere le risorse dove sono e usarle per quanti (imprese e persone) ne hanno urgente bisogno, questo non dipende dall’Europa ma dall’Italia e insieme avviare con altri paesi una fase di revisione dei trattati, a partire dai parametri di Maastricht fino al ruolo della Bce perché la separazione tra Tesoro e Banca centrale va superata.
Alfiero Grandi

04 – AL CONSIGLIO EUROPEO DEL 23 LA PARTITA IN SALITA DI CONTE . GOVERNO. NELLA MIGLIORE DELLE IPOTESI IL PREMIER OTTERRÀ UN FONDO GARANTITO DAL BILANCIO UE. I PARTITI DI MAGGIORANZA INTANTO TRATTANO SULLE NOMINE ALLE PARTECIPATE E L’OPPOSIZIONE ATTACCA, di Andrea Colombo

Se i voti degli ultimi due giorni all’Europarlamento sono un’anticipazione di quello che accadrà nel Parlamento italiano sul tema cruciale del Piano europeo anti crisi, l’immagine de formicaio impazzito non è esagerata. Arrivano divise sia la maggioranza che l’opposizione, oltretutto con voti a geometria variabile sul versante dell’opposizione (Lega e Fdi contrari e Fi favorevole sui Recovery Bond, Lega e Fi contrari e Fi favorevole ai corona bond).
Tra le tante divisioni emerse a Strasburgo in attesa di deflagrare a Roma la più clamorosa è quella interna alla maggioranza. Il Movimento 5 Stelle ha ribadito in ogni modo possibile il suo rifiuto totale della nuova linea di credito del Mes, a favore della quale resta più che mai schierato il Pd. Il reggente Vito Crimi ci ha tenuto a ribadirlo ieri: «Il mandato di Conte è chiaro. Servono l’emissione di debito condiviso e maggiori emissioni della Bce. Il Mes è tanto inadeguato che non c’è neanche bisogno di dire di no a questo strumento». Se lo scontro fosse solo di natura tecnica ricomporlo sarebbe più facile. Nonostante gli strepiti sui 36 miliardi ai quali l’Italia, secondo il Pd, non può rinunciare, in ballo ci sono in realtà solo gli interessi annui, certamente più vantaggiosi nella linea di credito del Mes ma non a livello tale da minare le basi di una maggioranza. Sono nell’ordine dei 4-500 milioni l’anno.

Ma il nodo è politico. Per il Pd i toni polemici con l’Europa sono già andati oltre ed è ora non solo di mitigarli ma di capovolgerli. Altrimenti verrebbe meno la sola ragion d’essere di questo governo, che è proprio la ricostruzione di un rapporto di piena fiducia dell’Europa nei confronti dell’Italia «populista e sovranista». Se il Consiglio europeo metterà nero su bianco quell’«assenza di condizionalità» che nella proposta dell’Eurogruppo è tutt’al più un auspicio, cioè se fisserà una restituzione a lungo termine e troverà una formula per escludere l’irrigidimento delle condizioni in futuro, il Pd martellerà il premier. Ma se anche dovesse andare in maniera opposta, insisterà per fingere che quelle garanzie ci siano. Proprio perché in discussione c’è l’intero orientamento politico del governo nei confronti della Ue e non solo un passaggio tecnico in realtà neppure fondamentale.

Sui Recovery Bond, invece, la maggioranza è compatta. L’europarlamentare a 5S Corrao ha spiegato in lungo e in largo che l’astensione e il voto contro il paragrafo 17 della Risoluzione approvata a Strasburgo non vanno intesi come pollice verso nei confronti di strumenti di condivisione del debito ma solo contro le «ambiguità», dal momento che «si parla solo di garanzia del bilancio Ue e non di mutualizzazione del debito». La spina è che, nella migliore delle ipotesi, Conte tornerà dalla riunione del Consiglio europeo del 23 aprile non con gli eurobond ma proprio con un Fondo garantito dal Bilancio europeo. Sarà difficile usarlo come contropartita per far ingoiare ai 5 Stelle il Mes.

Lega e Fi hanno spiegato il loro no agli eurobond, che ha portato giovedì alla bocciatura dell’emendamento dei Verdi che li proponeva, in maniera diversa. Per gli azzurri scende in campo direttamente Silvio Berlusconi: «I recovery, garantiti dal bilancio comunitario, avranno molto maggior efficacia degli eurobond, superati e irrealizzabili». La Lega, invece, giustifica il no dicendo che gli eurobond implicherebbero «la totale cessione di sovranità» e insiste perché la Bce diventi «prestatore di ultima istanza» potenziando l’acquisto dei Btp italiani.

Berlusconi, dopo aver «apprezzato le scuse della von der Leyen» si spinge sino ad ammonire il governo affinché «eviti contrapposizioni di bandiera in Europa». Conclusione: le condizioni per una spaccatura trasversale che metterà l’Italia, comunque, in condizione di massima debolezza ci sono tutte e il rischio che, quando si tratterà di decidere sul prestito Mes la maggioranza si ritrovi priva di collante è assolutamente concreto.
Peraltro lo scontro trasversale impatterà un parlamento già trasformato in campo di battaglia tra maggioranza e opposizione. I tre leader della destra hanno firmato un comunicato fiammeggiante per denunciare la decisione del governo di procedere subito alle nomine dei vertici di Eni, Enel, Poste, Leonardo e Terna: «L’opposizione si chiama fuori da questa scelta infelice che non è nello spirito di collaborazione responsabile invocato da Mattarella». All’appuntamento con la crisi economica la politica italiana si presenterà infatti armata fino ai denti e pronta a usare quelle armi.

05 – di LUIS SEPULVEDA, QUESTO È IL GIORNO PIÙ ATTESO. PINOCHET ANDRÀ A PROCESSO. UN INTERVENTO DELLO SCRITTORE USCITO ORIGINARIAMENTE SUL MANIFESTO DEL 6 GENNAIO 2005

Il miracolo della radio mi ha regalato la notizia più attesa: la Corte suprema di giustizia ha respinto il ricorso presentato dalla difesa dell’animale, del criminale, dell’assassino, del ladro. Ora la tenue luce della giustizia si lascia vedere fra il fumo della Moneda in fiamme.
Solo poche ore fa stavo accomiatandomi da mio figlio Sebastián all’aeroporto di Gijón. Come sempre cercavo di mascherare la tristezza dell’addio dietro un paio di battute, e ho visto che il mio giovanotto di vent’anni, per mano con la sua fanciulla, mi mandava dei segnali prima di entrare nella sala d’imbarco. Come sempre, dal momento che l’uomo è un animale di costumi protettivi per assurdi che essi appaiano, sono rimasto lì finché l’aereo è decollato. Come sempre, ho fatto il conto dei giorni e delle ore passati insieme e mi sono soffermato sul ricordo di una camminata sulla spiaggia solitaria mentre lui mi chiedeva di parlargli del mio ultimo viaggio in Cile.
Emozionato, gli ho raccontato che era stato un bel viaggio, che mi ero incontrato con i miei vecchi amici, con i miei cari compagni della guardia del presidente Allende, e che lentamente cominciavo a pensare al mio ritorno.
MIO FIGLIO esibiva con orgoglio una maglietta del Forum sociale cileno, il bel disegno di Federica Matta risplendeva nella luce marina. «Quell’animale è sempre lì, senza che nessuno lo tocchi?», mi ha chiesto all’improvviso. Sì, l’animale, il criminale, l’assassino, il ladro era sempre in Cile, protetto dalla più odiosa impunità. Staremo bene in Cile. Avrò un paio di cavalli, ho risposto per allontanare quella presenza vergognosa.
Quando l’aereo di mio figlio era sparito dal pannello delle partenze, sono ritornato alla macchina, ho acceso il motore e allora il miracolo della radio mi ha regalato la notizia più attesa: la Corte suprema di giustizia aveva respinto il ricorso presentato dalla difesa dell’animale, del criminale, dell’assassino, del ladro, e lui dovrà affrontare il processo che aspetta la società cilena, i cileni che vivono fra la cordigliera e il mare, quelli che vivono nella diaspora, quelli che sono nati sotto altri cieli e sono cresciuti con il nostro amore per il lontano paese disseminato di isole.
Confesso di aver creduto che questo giorno così atteso non sarebbe mai arrivato, e non per sfiducia nella giustizia, bensì in quelli incaricati di amministrarla. Quante vite si sarebbero salvate se i tribunali cileni avessero accettato i ricorsi presentati dai familiari dei desaparecidos, degli assassinati nei centri di detenzione e di tortura, degli sgozzati di notte e nelle ore in cui solo i criminali potevano muoversi per le strade del Cile?
Fra il 1973 e il 1989 furono presentati migliaia di ricorsi d’urgenza, i familiari arrivavano con testimoni che avevano assistito alle detenzioni, ai sequestri, ai furti di persone, e nessuno fu accolto perché la giustizia era nelle mani di prevaricatori, di complici del dittatore.
NON CREDEVO che questo giorno fosse possibile, però allo stesso tempo, poiché conosco e ammiro la storia civile del mio paese, ho sempre cercato di convincermi che il processo contro Pinochet è cominciato quando l’ultimo difensore del palazzo della Moneda sparò l’ultimo colpo in difesa della costituzione e della legalità.
Non sarà giudicato per tutti i suoi crimini, ma solo per alcuni, comunque tanto selvaggi e bestiali come tutti quelli che ordinò dalla sua codardia di satrapo, dalla sua viltà di essere mediocre e ottuso, dal fetore del suo tradimento. Però sarà giudicato, con tutte le garanzie che noi non avemmo, e ci rallegra che sia così perché noi crediamo nella giustizia.
È dovere di tutti vegliare perché non gli capiti nulla, perché la sua salute si conservi, perché non gli manchi niente, e se è necessario fare una colletta pubblica per tenerlo vivo, facciamola. Quanto dobbiamo pagare?
Quel che importa è che mio figlio, i figli di tutti quelli che hanno sofferto, e le vedove e i genitori che seppellirono i loro figli, e le fidanzate dai corredi frustrati, e le nonne che si ritrovarono senza i destinatari delle loro carezze vedano l’animale fascista, il criminale venduto, l’assassino di sogni, il ladro di vite e di beni, fotografato di fronte e di profilo, con il suo numero da delinquente sotto la mascella, lasciando le impronte digitali delle sue grinfie nell’inchiostro nero del la vergogna. È questo che importa.
MENTRE SCRIVO queste righe, mio figlio Sebastián vola verso la Germania e io ricordo la passeggiata sulla spiaggia deserta. Quando gli ho raccontato del mio ritorno a El Cañaveral, quel luogo sacro fra i monti dove il Dispositivo di sicurezza del presidente Allende, il Gap, si preparava a difendere la vita dei nostri dirigenti, di coloro che si erano fatti carico di realizzare il più bel sogno collettivo della mia generazione. Là, insieme a «Patán», «Galo», «El Pelao» e altri dei migliori, dei più coraggiosi compagni che abbia mai conosciuto e la cui amicizia è il mio grande orgoglio, ricordavamo senza retorica quel sogno pieno di aneddoti e di gioventù.
So che loro condividono la serena allegria per questo giorno, per questo giorno tanto atteso, in cui la tenue luce della giustizia si lascia vedere fra il fumo della Moneda in fiamme, fra i volti luminosi di tutti i compagni del Gap che caddero e che non sono mai scomparsi dalla nostra memoria.

01 – SEPÚLVEDA, IL GIRAMONDO CHE COMBATTEVA L’INGIUSTIZIA E AMAVA LE PAROLE BIOGRAFIE MILITANTI. La sua è stata una vita rocambolesca, intrisa di politica. Entrato nel Partito socialista cileno, con il golpe del ’73 fu arrestato e torturato, fino all’esilio ottenuto da Amnesty International. Nel ’78 si unì alle Brigate internazionali Simon Bolivar in Nicaragua e poi, negli anni a seguire, diventerà lo scrittore acclamato che tutti conoscono, di Roberto Zanini da Il Manifesto
«Il bastardo non vale un minuto del mio tempo». Manuel Contreras era stato il capo della Dina, la Gestapo cilena, era stato l’uomo che l’aveva fatto gettare in cella e consegnato ai torturatori. Ed era finalmente morto, a 86 anni, con un’immonda quantità di omicidi e una modica quantità di condanne sulle spalle. Ma c’era il sole, la griglia bollente, la birra gelata, e su tutto incombeva un appetito cileno. «Vaffanculo anche Contreras». Niente pezzo, niente intervista. In sottofondo, rumore di bistecca che cominciava a sfrigolare. Era l’agosto del 2015
LUIS SEPÚLVEDA era questo, un cantastorie da combattimento, e le battaglie erano tante, quelle vecchie, quelle nuove e soprattutto le prossime: perché agitarsi per un vecchio macellaio carico d’anni e di peccati? La Storia gli era già passata sopra, asfaltando la strada di un nuovo Cile solo poco meno esecrabile di quello vecchio. Quel vecchio Cile che aveva assorbito, travolto e infine lanciato nel mondo il nipotino di un anarchico andaluso che per scampare alla garrota si era rifugiato a Valparaiso. Nonno Gerardo è stato l’inizio di una traiettoria convulsa, complicata e bellissima fatta di viaggi, libri e fucilate. Un’avventura di mille protagonisti e di uno solo: Luis Sepúlveda stesso. Il suo personaggio migliore.
L’avventura si è fermata ieri, in Spagna. Il Covid-19 ci ha messo oltre 50 giorni a ucciderlo. Se l’era preso in Portogallo, a un festival letterario. Alla clinica di Guijon perdono due giorni prima di fargli la lastra che spaventa i medici: ambulanza fino a Oviedo, ricovero, isolamento, tampone. Il 29 febbraio Luis entra sulle sue gambe nell’Hospital central universitario de Asturias. Non ne uscirà vivo. Ad aiutare il virus, una polmonite sofferta l’anno prima a Pordenone – altro festival letterario – e poi 70 anni compiuti, molti chilometri percorsi, moltissime sigarette. Ieri mattina, quando ha chiuso gli occhi, il Covid-19 non era più nel suo corpo. Negativo al test. Ma il danno era stato fatto.
SEBBENE AUTORE da milioni di copie (oltre 9 milioni solo in Italia), su Luis Sepúlveda non esistono saggi, quindi nemmeno biografie più attendibili dei suoi stessi racconti. La vita del cileno errante era iniziata nel ’49 a Ovalle, nel centro-nord del Cile. Al nonno anarchico si contrapponeva il padre comunista, l’uno inseguito dai franchisti e l’altro dal suocero possidente che per sua figlia voleva di meglio dello squattrinato gagliego che se l’era presa.
Tutto inutile: Luis senior e Irma Calfucura hanno un bambino, Luis Sepúlveda Calfucura, mezzo spagnolo e mezzo indio mapuche, allevato dal nonno e dallo zio – anarchico incallito pure lui – con un’accorta miscela di Salgari, Melville, Cervantes e regolari pisciate notturne sui gradini della chiesa del quartiere. Precoce autore di poesie sul giornalino della scuola e di favolosi racconti erotici venduti ai compagni, a vent’anni vince il premio Casa de Las Americas per il suo primo libro, i racconti Cronicas de Pedro Nadie, e una borsa di studio quinquennale per l’università Lomonosov di Mosca, quello della nomenklatura.
A Mosca viene espulso quasi subito (dissidenza? flirt con la moglie di un docente?), così come dalla dogmatica Gioventù comunista cilena. E così entra nel Partito socialista cileno: con il golpe del ’73, quelli del «Gruppo Amici del Presidente» che non morirono nella Moneda bombardata da Pinochet saranno arrestati e così Luis, che racconterà della cella minuscola e delle unghie strappate, del secondo arresto e dei due anni e mezzo di carcere fino all’esilio ottenuto da Amnesty International. Esce dal Cile su un aereo diretto in Svezia, ma al primo scalo – a Buenos Aires – se la squaglia.
I SUCCESSIVI DIECI ANNI sono quelli di un avventuriero di sinistra, sempre sconfitto ma mai vinto (con un’eccezione: il Nicaragua), che campa con il giornalismo e pratica la letteratura. Dall’Argentina va in Brasile e poi in Paraguay, mentre un paese dopo l’altro l’America latina soffoca nelle spire del Plan Condor e dei colpi di stato di destra. A Quito, in Ecuador, si unisce a una spedizione dell’Unesco presso gli indios suhar, quei mesi nell’Amazzonia ecuadoriana saranno alla base del primo vero grande libro, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore.
Nel 1978 si unisce alle Brigate internazionali Simon Bolivar in Nicaragua: «Iniziammo in mille e pochi mesi dopo eravamo la metà», racconterà. È una vittoria, la sola: i sandinisti entrano a Managua e lui si trasferisce in Europa, a Amburgo, dove conosce Greenpeace e per cinque anni farà parte di un equipaggio. Finché nel 1989 Il vecchio che leggeva romanzi d’amore viene pubblicato (in Italia nel 1993) e fa di lui uno scrittore.
A FINE ANNI 80 potrebbe tornare in Cile ma è un tentativo che fallisce rapidamente. Gira l’Europa in camper e si ferma a Guijon, nelle Asturie: Spagna del nord, modernismo su piccola scala, una Barcellona gracile con un clima atroce diviso tra pioggerellina, pioggia e forte pioggia. Eppure. Il giramondo si ferma a Guijon, si sposa di nuovo con la stessa donna che aveva sposato in Cile, la poetessa Carmen Yanez, e finalmente scrive e basta. Nel 1997 arriva al manifesto. «Voglio essere quello che era Soriano, vi interessa?». Osvaldo Soriano era morto da qualche mese e questo cileno da battaglia voleva raccoglierne il testimone. Aveva pubblicato da poco la Storia della gabbianella, era appena uscito il Diario di un killer sentimentale. Ci interessava eccome.

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