4848 PARAGUAY: Il vescovo rosso che dà dignità a un Paese di diseredati

20080421 15:10:00 redazione-IT

di Maurizio Chierici

Gli exit poll confermano i pronostici: Fernando Lugo è in testa, e il Paraguay archivia 61 anni di autocrazia del partito Colorado. Paraguay che è un paese dimenticato alla fine al mondo, ma è successo qualcosa: ora tutti sanno dov´è con un presidente protagonista insolito. I padri della Chiesa di Roma hanno attraversato i cinquecento anni di storia del continente latino con impegni diversi.

Dai vescovi obbedienti al potere delle conquiste a predicatori bastonati, umiliati, massacrati, oscurati per aver scelto la difesa dei popoli sfiniti dalla violenza economica dell´occidente illuminato. Bastonate a Montesinos e a Cristobal de Las Casas, gesuiti di Mission sacrificati alla real politik vaticana, monsignor Romero ucciso in Salvador perché sgradito all´amministrazione Reagan.

Nell´ombra imposta alla teologia della liberazione è cresciuto un altro vescovo e se la violenza non pasticcia il voto, Fernando Lugo é il primo pastore capo di stato nell´America del Sud, forse nel mondo. Ex vescovo perché il 22 dicembre 2006 ha presentato la rinuncia al ministero. Ma essere vescovo è come essere battezzato: possibile sciogliere l´impegno con le gerarchie ma il sacramento resta. Incancellabile come il sacerdozio.

Quando lo scorso novembre il giornalista arriva ad Assuncion per capire chi è, Lugo sospira: «Lei viene dall´Italia, da Roma». Non nasconde la malinconia per l´orizzonte perduto. Fra pochi giorni compie 57 anni. Risponde aggrappato al volante del fuoristrada che lo aiuta a sopravvivere nelle piste terra e fango della campagna elettorale. Piccole città, villaggi dimenticati dall´asfalto: tre quarti del paese è così. Camicia tagliata nel lino bianco, sandali francescani, giubbetto nero. Se il pubblico che lo applaude sono indios guaranì, monta sul palco con una sciarpa colorata attorno alle spalle. Quasi una divisa da quando ha lasciato la dignità vescovile. Dietro gli occhiali, sguardo da intellettuale impegnato nell´utopia: sono tanti in America Latina. «Non è utopia», la voce quieta si increspa nella protesta che resta un sussurro. Sceglie le parole con la prudenza del pastore che per trent´anni ha distribuito omelie dall´altare. L´altare di un prete sospettato dalle polizie per quel mescolarsi ai problemi dei contadini schiacciati dal notabilato del latifondo: cento ore di lavoro la settimana, un dollaro al giorno. «Impossibile sopportarlo», ripete rallentando. Sta attraversando un paesino e la gente si sbraccia. Corre nella polvere dell´auto che lo precede: angeli custodi del ministero degli interni. Sorride: «Per proteggermi, ma anche spiarmi. Ogni sera fanno rapporto sulle persone che incontro». Sotto la tenda delle bancarelle del mercato incontra un vecchio sacerdote. Che lo avvicina e lo benedice imponendo le mani sulla fronte. Per un minuto pregano assieme, poi l´abbraccio rispettoso. «Auguri», il prete se ne va.

È la più strana campagna elettorale alla quale un giornalista si sia mai mescolato. Lugo scuote la testa. «Nell´ombra qualcuno prepara sempre qualcosa. Non vogliono perdere gli affari. La corruzione è il cancro che divora da mezzo secolo il Paraguay. I colorados della dittatura del generale Stroessner sono diventati i colorados del partito unico: 61 anni di potere, affari e polizie nelle stesse mani».

Viene da una famiglia perseguitata dalla dittatura e dagli autocrati che ne hanno preso il posto. Il padre era un militare: non si rassegnava alla degenerazione del partito Colorado nel quale aveva riposto ogni speranza. Venti volte in prigione: «Lo venivano a prendere con l´aria degli impiegati che portano una multa. La sua valigia era sempre pronta. Non protestava e li seguiva incoraggiandoci con un filo di voce. È il prezzo da pagare alla dignità». Tre fratelli costretti all´esilio dopo galera e tortura. Uno è morto in Svezia, l´altro sopravvive in Francia, l´ultimo lo accompagna nella campagna elettorale. Nel 1977 Fernando diventa prete, congregazione del Verbo Divino: subito missionario in Ecuador. «Per cinque anni ho avuto l´opportunità di approfondire la teologia pastorale con teoria e pratica quotidiana. Gli studi mi hanno permesso di capire la condizione sociale del continente. Ho imparato a guardare la gente in modo diverso e mi sono reso conto come fosse inutile disperarsi: dovevo fare qualcosa per aiutare la speranza. Capire il lavoro dei poveri che erano quasi tutti: Ecuador, Paraguay, Brasile, Centro America. La loro testimonianza mi ha aiutato ad incarnarmi nella fede perché la fede non è solo osservazione contemplativa, ma rapporto con la realtà». Si affida alla teologia della liberazione quando Roma la soffoca con prudenza e belle parole. Nel 1982 la missione finisce, torna a casa. Coordina cooperative e associazioni di braccianti. Arrestato ed espulso «per attentato alla pace sociale»: arroganza che conferma la microstoria di migliaia di famiglie dalla dignità avvilita nelle crudeltà quotidiane. «Roma…», immalinconiva al primo incontro. Roma è stato il rifugio del suo esilio, quattro anni che gli hanno insegnato la moderazione delle democrazie moderate. Ma moderazione non vuol dire rinuncia. Appena diventa vescovo di San Pedro Apostol, diocesi poverissima del Paraguay povero, organizza attorno alla sua cattedra magazzini di consumo diretto: dal piccolo produttore al piccolo consumatore, dimezzando i prezzi. Orti comunitari, cooperative per distribuire il raccolto al di fuori delle reti della commercializzazione nelle mani delle solite mani. Intanto il paese cambia pelle, non le gerarchie. L´arroganza dei militari si è trasformata nella furbizia di chi coltiva privilegi attorno alla politica. Ma il 90% della gente continua a vivere senza diritti, solo doveri e la paura dei passi nella notte. Al «vescovo rosso» si avvicinano sindacalisti contadini, arrivano intellettuali, studenti, altri preti. Nasce un collettivo che nel 2005 diventa Movimento Poopolare Tekojoja: assieme ed uguali in lingua guarani. «Raccolgono adesioni per convincermi a candidarmi, centomila firme in pochi mesi. Un tormento decidere ma capisco che non posso scappare ed accetto». Alla vigilia del Natale 2006 rinuncia al ministero sacerdotale e all´episcopato. Il nunzio lo sconsiglia, il Vaticano lo invita a ripensarci, la conferenza episcopale paraguyana condanna la scelta con parole di circostanza ma consapevole che gran parte dei preti di base è d´accordo e continua a dare una mano alla sua Alleanza per il Cambiamento.

Dalla residenza di San Pedro, si trasferisce in una villetta alla periferia di Assuncion «accanto alla stazione delle corriere. Chi mi vota non ha l´automobile e viaggia così». L´Alleanza riunisce movimenti e partiti attorno alla parola «cambiamento», ideologie ed etica a volte lontane. Una parte consistente è favorevole al divorzio e all´aborto. Una volta presidente come affronterà la cointraddizione? «Resto contrario ad ogni provvedimento che minacci la vita umana. Come cattolico e come cristiano devo difenderla. Il tema divide il movimento. Sarà necessario elaborare una carta etica e scientifica non solo per il Paraguay ma per l´intera America Latina».

Lugo presidente avrà nostalgia del Lugo vescovo e sacerdote? «Alla nostalgia non si comanda. A volte mi vien voglia di tornare. Ma l´urgenza è un´altra: stare assieme alla gente per restituire quella dignità che mio padre si ostinava a difendere andando in galera. Impegno politico e fede nel messaggio della Chiesa credo possano convivere: la folla degli elettori lo trova naturale. Chi mi circonda a volte intuisce il dolore della rinuncia. Ma sono convinto che quando Dio mi chiamerà potrò rispondere di aver compiuto la sua volontà e il suo desiderio di giustizia». Ormai le parole sono finite. Lugo deve smontare il medioevo per traghettare milioni di diseredati nel ventunesimo secolo. Salto nella storia che notabili ed affari continueranno a contrastare con ogni violenza ed imbrogli sui quali provano a vegliare 500 osservatori stranieri. Chissà se l´incubo Paraguay si è sciolto davvero nella notte.

mchierici2@libero.it

 

 

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EmiNews 2008

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