4831 VOTO ALL?ESTERO: QUOTE ROSA? NON COSÌ

20080418 21:42:00 redazione-IT

di Silvana Mangione

Dai risultati delle consultazioni politiche degli italiani all’estero emerge un dato assolutamente sconfortante: su diciotto eletti ci sono soltanto due donne, una deputata in Europa per il PD, una senatrice in America Latina per il movimento associativo di Ricardo Merlo. Persa la deputata latinoamericana della (allora) Unione, persa la senatrice della (allora) CdL. Questo deve portarci a riflettere. Io sono notoriamente una “womanist”, non una “feminist”. Credo dunque nel valore delle singole donne intelligenti, creative, propositive e quindi valide come “persone” e non soltanto perché sono di genere femminile.

Un anno fa, in epoca non sospetta, in un’intervista rilasciata ad un giornale stampato in Germania, ebbi occasione di reiterare la mia profonda opposizione alle quote rosa, se vengono calate dall’alto, invece di essere scelte direttamente dalle comunità. I risultati di queste elezioni confortano e confermano la mia visione, che data da oltre vent’anni, da quando – nel 1988, alla II Conferenza Nazionale dell’Emigrazione – le donne delegate fecero braccio di ferro con le parlamentari italiane che volevano imporci di sostenere, appunto, le quote rosa. «Non siamo una specie in via di estinzione», dicemmo. «Vogliamo arrivare dove possiamo arrivare perché siamo persone valide, non perché questo o quel guru ci protegge e ci eleva a posizioni dalle quali possiamo soltanto dare un contributo all’elezione dei soliti unti dal Signore». Mi si obietterà che in Italia il meccanismo delle quote ha fatto eleggere molte donne. Certamente tutte bravissime, le più brave del mondo. Forse però varrebbe la pena di scoprire quante fra loro sono mogli, figlie, sorelle e amiche “d’arte” e “di casta”. Ma questa è un’altra storia e la affronteremo un’altra volta. Voglio limitarmi per ora al voto all’estero, dove ancora è possibile dare una preferenza ai candidati in lista. Alcuni partiti non si sono nemmeno peritati di candidare donne e forse è stato meglio così: almeno non le hanno umiliate. Altri le hanno candidate, ma le hanno lasciate al loro destino. Per esempio, la senatrice eletta in Europa nel 2006, pur ricandidata del PdL, è arrivata terza. Altri ancora hanno fissato l’alternanza uomo–donna, mettendo diciotto mimose far il massimo possibile della rosa di trentasei nomi, ma hanno eletto una sola donna contro otto uomini fra Camera e Senato. Non hanno nemmeno sostenuto fino in fondo la rielezione della deputata dell’America Latina, che aveva fatto un ottimo lavoro. L’unica donna eletta senatrice è il frutto di anni di presenza e di lotta sua personale all’interno delle comunità e dell’innovazione proposta da una lista indipendente. Si tratta della stessa candidata i cui voti avevano garantito la volta scorsa l’elezione del senatore dell’Unione, che questa volta è stato vittima dell’aumento delle preferenze date all’Associazionismo e al PdL in America Latina. Brava Mirella! Auguri e felicitazioni! Non vedo l’ora di conoscerTi! Brava anche Laura Garavini, la cui intelligente campagna di immagine è cominciata molto prima che fossero indette le elezioni e pubblicati i nomi dei candidati in Europa. Mentre scrivo, sebbene da molte parti sia stato annunciato un vincitore, non è ancora chiaro se il senatore uscente (già dell’Unione) in Nord e Centro America sia stato rieletto o no. I voti di lista potrebbero essersi rivelati insufficienti a garantirgli la vittoria, malgrado abbia avuto più preferenze di qualsiasi altro candidato nell’intera circoscrizione, sia al Senato che alla Camera. Nello strano meccanismo della ripartizione nord–centroamericana, infatti, malgrado la nostra legge applichi la proporzionale, data l’attribuzione di un solo senatore, chi deve vincere è la lista, non la persona. Può quindi verificarsi che un candidato con un numero minore di preferenze venga eletto perché la sua lista si è rivelata più forte. Il Ministero dell’Interno, tuttora, non conferma i dati per il Nord e Centro America, che pubblica con: «Avvertenza: l’elenco degli eletti è ricavato sui dati ufficiosi» e il caveat: «I voti di preferenza si riferiscono ad uno scrutinio non definitivo non essendo pervenuti i risultati di tutte le comunicazioni». Mancano ancora, infatti, due “enti” (così li chiama il lingo burocratese dell’ineffabile Ministero dell’Interno) degli Stati Uniti ed uno del Messico. Allo stato attuale, al Senato, la somma dei voti del PD per la circoscrizione è inferiore a quella del PdL. Non resta che attendere. Malgrado ciò è stata diffusa la dichiarazione: «il Partito Democratico in Nord America è uscito rafforzato da queste elezioni, non solo in termini elettorali ma anche e soprattutto per la partecipazione e l’interesse che è riuscito a suscitare tra volontari e simpatizzanti». Soltanto i numeri definitivi ci confermeranno la validità di questa affermazione, che dovrebbe essere sostanziata dall’elezione del senatore, se chi l’ha rilasciata ha il senso della realtà. D’altra parte ben sappiamo che in amore e in guerra tutto è consentito, anche affabulare lasciando credere il contrario dell’evidenza. Nessuna donna eletta in Nord e Centro America, nessuna eletta nella megagalattica ripartizione Asia Africa Oceania. Due su diciotto sono “un po’ pochine”, direbbero gli amici toscani, aspirando elegantemente i suoni. Così non va, non va davvero. Bisogna pensare seriamente a come valorizzare davvero le capacità delle donne, laddove esse esistono e impedire la fioritura di proposte estemporanee e utilitaristiche, che sfruttano il nostro contributo, ma non ci danno lo spazio per far pesare davvero la nostra cultura del consenso, della pace, della cura, dell’ambiente. Anche per coloro che verranno, alle quali dobbiamo aprire la strada.

Silvana Mangione

 

 

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