4906 UN PUNTO DI VISTA ECLETTICO SULLE ELEZIONI

20080503 11:31:00 redazione-IT

Di Valerio Evangelisti (da Carmilla on line)

Azzarderò -pur non ritenendomi per niente un esperto in politica -qualche considerazione sulle elezioni che si sono appena svolte inItalia. I commenti che le hanno seguite si sono incentrati su alcunitemi. Il permanere del sex appeal di Berlusconi, la sostanzialesconfitta del Partito Democratico di Walter Veltroni, la scomparsa delraggruppamento ‘La Sinistra l’Arcobaleno’ (mai denominazione fu cosìimbecille), il consenso di larga parte della classe operaia alla Lega Nord.Quest’ultimo è il solo argomento che mi interessa davvero. Mi lascia sbalordito la strana nozione di ‘classe operaia’ che pare aversi nel2008. Si crede ancora che esista una compagine operaia compatta,portatrice in teoria dei valori della sinistra? Sono almeno trent’anni(se non quaranta) che il concetto è stato sezionato, sbugiardato, messoa nudo nella sua incongruità. La classe operaia cui si fa riferimento non esiste più dagli anni Settanta del Novecento.

Qui si fa sentire il peso della scomparsa di un pensiero marxistaradicale, represso quale ‘cattiva scuola’ introduttiva al terrorismo(come marijuana e hashish introdurrebbero, in teoria, alle ‘droghepesanti’). Si è scordato completamente il concetto marxiano di‘sussunzione reale’ (del lavoro al capitale). Una fase avanzata delcapitalismo in cui il plusvalore non è più estorto nei soli luoghi dilavoro, ma permea l’intera vita delle classi subordinate e ne dominal’intera esistenza, non-lavoro incluso. Lungi da me l’idea di difenderel’integralità del pensiero di Marx, che non era Nostradamus e non potevaprevedere altro che ciò che aveva sotto gli occhi. Poteva peròestrapolare. Tra le sue estrapolazioni più felici vi fu quella che,prima o poi, lo sfruttamento non sarebbe passato solo attraverso lafabbrica.Sulla scorta di questa nozione, tra gli anni Sessanta e i Settanta,numerosi teorici ‘estremisti’ (gli ‘operaisti’) si accorsero che laclasse operaia tradizionale perdeva terreno, e veniva smembrata pezzoper pezzo. Vi fu il ‘decentramento produttivo’, per cui la grandefabbrica cedeva attività a imprese minori nelle quali operai e impiegatigodevano di un numero irrisorio di diritti. Seguì l’inganno del falso‘lavoro autonomo’, in cui l’impresa stipulava con soggettipresuntivamente indipendenti accordi di collaborazione a termine. Lacaduta del Muro di Berlino e la globalizzazione permisero di impiantareattività produttive in ogni parte del globo, purché il lavoro vi fossemal pagato e gli oneri fiscali vi fossero labili. Infine laglorificazione del precariato, con la Legge Biagi e altre, consentì didisporre di manodopera per il periodo voluto, dentro o fuori latradizionale officina. Ciò stava avvenendo anche con l’immigrazionemassiccia innescata dalle imposizioni del Fondo Monetario Internazionalee della Banca Mondiale su paesi non in grado di reggerla.Il ricatto ai lavoratori italiani era: o accettate le condizioni che vioffriamo, o andiamo a produrre in Croazia, in Polonia, in India, inCina. Oppure assumiamo al vostro posto poveracci pronti a piegarsi aqualsiasi salario che li strappi alla fame. E voi, di lavoro, non netroverete mai più.In un quadro simile, la classe operaia poteva solo contrarsi eindebolirsi, come in effetti è accaduto. Si parla tanto deimetalmeccanici della FIOM, ma quanti sono oggi gli operai dellacategoria, rispetto a trenta anni fa? Hanno forse lo stesso grado di‘coscienza di classe’?No, non l’hanno. Decimati, sulla difensiva, stentano a riconoscersipersino come categoria. I sindacati che dicono di rappresentarli (e che,crollati i partiti di riferimento, si passano la staffetta del comandoal di là di ogni procedura democratica, per investitura diretta) sonocomposti per metà da pensionati reclutati a forza nei Caaf. Hannosopportato di tutto da chi doveva difenderli: flessibilizzazione,decentramento, allungamento dell’orario di lavoro attraversol’imposizione di fatto dello straordinario, ecc. Se vogliono ancoraprotestare, lo faranno contro chi è pagato ancor meno di loro (gliimmigrati), e su base territoriale, non di classe. E’ logico che chi stafuggendo si rifugi anzitutto in casa propria.Il voto alla Lega Nord (peraltro ampiamente sopravvalutato) meraviglia,a questo punto, solo gli ingenui. Ma passiamo ai restanti segmenti delleclassi subalterne.La sinistra, quando aveva un cervello e leggeva ancora, poteva trovarequalche indicazione sulla mappa perduta di classe in un aureo librettodell’americano Henry Braverman, Lavoro e capitale monopolistico,Einaudi, Torino, 1978. Braverman, un ex operaio americano, scriveva chela classe lavoratrice ‘protesta e si sottomette, si ribella o si lasciaintegrare nella società borghese, si considera classe o perde coscienzadella propria esistenza, a seconda delle forze che agiscono su di essa edegli umori, delle congiunture e dei conflitti della vita politica esociale. Ma poiché nella sua esistenza permanente essa è la parte vivadel capitale, la sua struttura occupazionale, i modi di lavorare e ladistribuzione nei settori industriali della società vengono determinatidal processo di accumulazione. Essa è presa, abbandonata, gettata invarie parti del meccanismo sociale ed espulsa da altre non in base allapropria volontà e attività, ma secondo il movimento del capitale’ (pp.379-380).Il proletariato, in effetti, nella sussunzione reale non è affattosparito, in particolare quello giovanile. Come aveva cercato di spiegareun’ampia letteratura fin dagli anni Settanta, si trova oggi disperso inmille forme di lavoro precario, falsamente autonomo, falsamenteintellettuale. Si salda oggettivamente ad altri lavoratori, importatiper eseguire quel tanto di lavoro manuale che è ancora indispensabile.Perseguitati, reclusi nei CPT, condannati socialmente perché la lorocondizione non diventi mai regolare -ciò che condurrebbe a unintollerabile aumento di costo delle loro prestazioni. Non ne posso piùdi sentire portare a esempio di precariato i ‘lavoratori dei callcenter’, come se facessero parte di una sorta di mercato accessorio emarginale, e la loro precarietà discendesse da quella delle loroimprese. Andrebbe capito il ruolo sociale di un ‘call center’, nellasussunzione reale. Si tratta di aggiungere valore alle merci unendovi lacomunicazione e l’informazione. Un ‘Tonno X’ è identico a un ‘Tonno Y’,sugli scaffali. Ma se io faccio in modo che ‘X’ sia legato alla nozionestessa di tonno, il ‘Tonno Y’ resterà invenduto, al di là del suo valored’uso, mentre il ‘Tonno X’ andrà a ruba.Comunicazione e informazione aggiungono valore, nell’attuale assetto delcapitalismo. Ciò anche se questo non avviene in un luogo di lavororiconoscibile. Anzi, la sua sede è proprio esterna. Cosa che vale pertantissime altre forme di immaterialità produttiva (altro temaampiamente esaminato negli anni Settanta). L’obiettivo è sussumere ilsoggetto subalterno fuori dell’orario canonico di lavoro, quando siillude che il suo tempo sia ‘libero’. Condizionarne fantasia,immaginario, reazioni. Fargli produrre valore allorché si crede ariposo. Buona parte delle attività precarie è indirizzata a questaconquista. Antitetica alla vecchia formula socialista ‘Otto ore perlavorare, otto ore per istruirsi, otto ore per riposare’. Istruirsi elavorare (nel senso di aggiungere valore alle merci) è diventato lastessa cosa. Ma si potrebbe aggiungere il riposo, visto che è il momentodei sogni, e quei sogni nascono condizionati.Discorso astratto e visionario? Mica tanto. Negli Stati Uniti e in buonaparte dell’Occidente l’industria dello spettacolo (cinema e soprattuttotv) e quella informatica sono oggi trainanti. Entrambe sono‘immateriali’. Invece la finanza si è completamente staccata dalleattività concretamente produttive, e raggiunge livelli di scambioquotidiano impressionanti, senza riferimento al valore effettivo dellesingole aziende.In un quadro simile, in cui l’Occidente si specializza nellavalorizzazione delle merci brute provenienti da altri continenti o daaree depresse, il proletariato bisognerebbe andarlo a cercare tra chista molto in basso (gli immigrati) o chi, apparentemente collocatomeglio, ai margini della produzione diretta, in realtà contribuisce inmaniera strategica all’aggiunta di valore alle merci. Operatori dei‘call center’, certo, ma anche informatici subalterni, studenti inseritinella ‘scuola-impresa’, figure effimere che transitano da un lavorotemporaneo a un altro, immigrati eternamente disponibili a reperirerisorse con qualsiasi mezzo (‘angeli’ per la sinistra, ‘demoni’ per ladestra, quando non sono né l’una né l’altra cosa, bensì semplicementeproletari disperati), disoccupati, insegnanti, e via enumerando. Lenuove forme che il capitale ha modellato per la propriaautovalorizzazione. Agenti e vittime dell’estensione del potere delsistema alle ore di non-lavoro, in cui è l’immaginario che domina, eprefigura i comportamenti del giorno dopo. Anche le ‘otto ore perriposarsi’ si sono saldate, nel dominio, alle restanti sedici.Soggetti di questo tipo o votano (in minoranza) per Berlusconi, che inqualche modo ha capito la loro funzione, sia pure da padrone, o nonvotano affatto. Come si potrebbero sentire rappresentati da una sinistraparlamentare (parlo della sconcia ‘La Sinistra l’Arcobaleno’, non delPartito Democratico, che è una sfumatura della destra) che non hanemmeno capito la configurazione attuale della società? Che, suddivisain molteplici ‘partiti comunisti’, è rimasta ancorata ai canoni di tredecenni orsono? La ‘centralità operaia’ è indiscutibile, la FIOM (tantoantidemocratica quanto i vertici di CGIL-CISL-UIL) ne è il cuore. Spaziomarginale abbiano i Cobas, le RdB, le varie espressioni del sindacalismodi base. I centri sociali, naturale raggruppamento a sinistra dimigliaia, o decine di migliaia, di giovani, stiano calmi. Idem per imovimenti locali: No TAV, No Dal Molin, decine di altri. La lotta diclasse diventa lotta per le poltrone. Bertinotti pontifica e lanciadiktat: la non violenza è un dogma inviolabile, l’adesione alladialettica parlamentare è fatto acquisito, le ‘liberalizzazioni’ sono unvalore da accettare criticamente però da appoggiare, il comunismo èun’idea puramente filosofica.Raccoglie omaggi e consensi dagli avversari. ‘Che brava persona’, ‘Cheuomo distinto’, ‘Con lui sì che si può ragionare’. Peccato che l’attualecomposizione di classe non lo segua. La classe operaia che reggeva ilPCI gli preferisce la Lega e la sua concretezza territoriale. Le areeche costituiscono la composizione proletaria presente ed egemonica nonvanno nemmeno alle urne, per votare un partito comunista qualsiasi, trai quattro o cinque in lizza. In chi mai dovrebbero identificarsi?Nessuno sembra capire le loro istanze e l’attuale assetto del lavoro. Leloro posizioni sono ferme agli anni Cinquanta. Trotzkismo? E che diavoloè oggi il trotzkismo?Una composizione di classe nuova attende oggi risposte concrete. Hatrascinato i burocrati fuori dal Parlamento per farli, a forza,extraparlamentari. O troveranno una nuova vita nelle piazze, o BeppeGrillo seguiterà a godere dei frutti di una scelta strategica giusta. Lasinistra consapevole di sé è diffusa nella marcia società italiana.Centinaia di centri sociali, di organizzazioni locali nate su problemispecifici, di istanze sindacali di base attendono di prendere la parola.La si pianti di essere partitino -la falce e martello, chissenefrega -e si sia composizione di classe. Forse, allora, si troveranno i votinecessari, se è a questo a cui si tiene. Altrimenti si riceverannopernacchie. Il degno accompagnamento delle ultime elezioni. Unacomposizione di classe non ha pietà. Spernacchia ex alleati passati alnemico, ‘classi operaie’ prossime alla pensione e diventate razziste,forme istituzionali che non la rispettano, sindaci che si inventanonemici per meglio abbatterli.Che tutto ciò vada affanculo. Si vota (a volte) per dovere, ogni tantoper piacere. E’ nella società che li si contrasta, i porconi. Qui, nellepiazze, è atteso ciò che resta della sinistra parlamentare. O viene intempi utili o si farà da soli.

Valerio Evangelisti

Fonte: www.carmillaonline.com
Link: http://www.carmillaonline.com/archives/2008/04/.html#

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